Il Pianeta X potrebbe essere più vicino e reale di quanto crediamo
Secondo la “mappa del tesoro” tracciata da uno studio, un pianeta con una massa molto superiore a quella della Terra potrebbe nascondersi nel nostro sistema solare coperto dalle scie luminose delle stelle che formano la Via Lattea.
Tra i misteri più affascinanti del sistema solare c’è quello che riguarda un grande pianeta ghiacciato che potrebbe trovarsi nella periferia del nostro spazio cosmico, molto al di là dell’orbita di Nettuno.
Questo ipotetico pianeta, soprannominato “Pianeta X” o “Nono pianeta” dagli scienziati che hanno iniziato a cercarlo, ha scatenato reazioni controverse fin da quando è stato presentato per la prima volta.
L’esistenza di questo pianeta “invisibile” si basa sulla sua apparente influenza gravitazionale su un gruppo di piccoli oggetti con orbite insolite e raggruppate. Ma, finora, le ricerche per trovarlo sono state vane e chi ne mette in dubbio l’esistenza sostiene che gli indizi della sua presenza non siano consistenti.
Ora un'analisi indica che quel pianeta nascosto, se davvero esiste, potrebbe essere più vicino, più luminoso e più facile da trovare di quanto non si pensasse in precedenza.
Invece di orbitare attorno alla nostra stella principale una volta ogni 18.500 anni, gli astronomi calcolano che per compiere un giro attorno al Sole gli siano sufficienti circa 7.400 anni. Questa orbita più piccola lo colloca molto più vicino al Sole di quanto si pensasse e ciò significa che il Pianeta X potrebbe apparire più luminoso ai telescopi terrestri.
“Credo che riusciremo a individuarlo tra uno o due anni”, afferma Mike Brown, astronomo del California Institute of Technology (Caltech) nonché uno degli autori dello studio, che è stato accettato per la pubblicazione sulla rivista scientifica Astronomical Journal. Ma, aggiunge, “Ho fatto questa stessa affermazione ogni anno, negli ultimi cinque anni. Sono un ottimista di natura”.
Secondo le più recenti analisi di Brown sui “capricci” gravitazionali di Pianeta X, calcolati con l’aiuto del suo collega del Caltech Konstantin Batygin, quel corpo celeste presenta una massa pari all’incirca a sei volte quella della Terra — il che lo renderebbe una sorta di super-Terra rocciosa oppure un mini-Nettuno gassoso. Se verrà scoperto, il pianeta sarà il primo grande corpo celeste a entrare a far parte della carrellata di protagonisti del sistema solare dal 1846, quando gli astronomi annunciarono la scoperta di Nettuno, un gigante di ghiaccio la cui presenza era stata ipotizzata per via della sua influenza gravitazionale su Urano.
Tuttavia, nel corso degli anni, gli scettici hanno suggerito che le tracce gravitazionali che tradiscono la presenza del Pianeta X non sono altro che artefatti osservazionali. L’apparente raggruppamento delle orbite di oggetti distanti non riflette l’influenza di un mondo nascosto, sostengono i critici ma, al contrario, è il risultato delle naturali alterazioni delle osservazioni celesti.
“La maggior parte di questi oggetti vengono scoperti con grandi telescopi che dispongono di un tempo limitato per l’osservazione del Sistema solare esterno e guardano solo dove possono farlo, cosa che dipende da dove si trovano”, spiega Renu Malhotra dell’Università dell’Arizona, scettica in merito all’esistenza del pianeta che sta lavorando a una propria stima della sua posizione. Finora gli astronomi hanno scoperto solo un numero ridotto di questi oggetti lontani e senza un censimento più completo del sistema solare esterno è difficile affermare se questi piccoli oggetti ghiacciati si stiano davvero comportando in modo insolito o siano distribuiti in modo casuale.
Nel frattempo, per aiutare i ricercatori, Brown e Batygin hanno usato i loro calcoli rivisti per realizzare una sorta di “mappa del tesoro” che punta a una porzione di cielo dove è più probabile che si possa trovare il Pianeta X. Quell’area attraversa la Via Lattea, luminosa distesa densamente popolata dove il pianeta avrebbe potuto più facilmente nascondersi durante le precedenti ricerche.
“Adesso sappiamo davvero dove guardare e dove non guardare”, prosegue Brown. “In questo modo potremmo farcela, se tutto va come deve andare”.
Pianeti fantasma ai limiti del sistema solare
Brown e Batygin avevano originariamente annunciato la loro previsione sul Pianeta X nel 2016, ma la coppia di studiosi non è certo la prima a suggerire che un mondo ancora ignoto si nasconda nelle retrovie del sistema solare. Da oltre un secolo gli astronomi contemplano l’esistenza di un simile pianeta, ritenendo erroneamente che un corpo pesante stesse interferendo con l’orbita di Nettuno. L’astronomo Percival Lowell aveva già denominato questo corpo Pianeta X ed era così determinato a trovarlo che ha lasciato milioni di dollari in eredità per continuare le ricerche dopo la sua morte avvenuta nel 1916 (nel 1930 l’astronomo Clyde Tombaugh del Lowell Observatory ha trovato invece il piccolo Plutone).
Il team del Caltech ha basato le sue previsioni sull’esistenza del Pianeta X sul modo in cui apparentemente disturba un gruppo di Kuiper Belt Objects, o KBO (in italiano, Oggetti della fascia di Kuiper, NdT). Questi piccoli mondi ghiacciati al di là di Nettuno includono una serie di oggetti con orbite estreme che li portano almeno 150 volte più lontano dal sole rispetto all’orbita terrestre.
Nel 2016 Batygin e Brown hanno studiato sei di questi oggetti, i cui percorsi orbitali oblunghi e inclinati hanno per anni creato confusione tra gli scienziati. Il team ha concluso che un pianeta nascosto con una massa dieci volte superiore a quella della Terra, probabilmente stava influenzando a livello gravitazionale gli oggetti lungo le loro insolite traiettorie. La massa stimata del pianeta si situa a metà strada tra quella della Terra e quella di Nettuno, e ciò lo rende un tipo di corpo celeste piuttosto comune nella galassia, in base alle osservazioni dei pianeti che orbitano attorno alle stelle, eppure risulta evidentemente assente nel nostro sistema solare.
Poco dopo l’annuncio, tuttavia, gli astronomi hanno iniziato a mostrare qualche dubbio sulle ipotesi relative al Pianeta X. Il loro timore principale riguardava la possibilità che l’insolito raggruppamento di orbite potesse non essere reale. Al contrario, nel corso degli ultimi cinque anni, diversi team che utilizzano un’ampia gamma di set di dati sono più volte giunti alla conclusione che le evidenze che riguardano il Pianeta X non sono altro che artefatti osservazionali.
Forse il Pianeta X è un’apparizione, la sua presunta interferenza gravitazionale è una falsa traccia creata da qualche dato fuorviante. Gli astronomi stanno ancora lavorando per risolvere questa controversia e quest’ultima analisi di Brown e Batygin è uno dei tentativi messi in atto.
“Buon per loro se hanno realizzato una previsione dettagliata e l’hanno pubblicata”, spiega Michele Bannister dell’Università di Canterbury, il cui lavoro ha messo in discussione l’ipotesi sul Pianeta X nel 2017. “Sarò contentissimo se ne verrà confermata l’esistenza – sarebbe un interessante componente del sistema solare”.
Raffinare la ricerca
Brown e Batygin hanno basato le loro più recenti previsioni sulle dimensioni e sull’orbita del Pianeta X su una serie leggermente diversa di oggetti. Nel loro set di dati rimangono alcuni dei KBO originali, ma il team ne ha aggiunti di nuovi e ne ha scartati altri la cui orbita sembrava essere influenzata dalla gravità di Nettuno. Alla fine, hanno lavorato con 11 KBO.
“Se si includono quelli di Nettuno, si finisce per confondere il segnale e non si capisce cosa sta succedendo”, spiega Brown.
Secondo lo studio c’è una percentuale del 99,6% che i caratteristici allineamenti orbitali di questi oggetti siano opera di un pianeta nascosto e non un evento casuale. Non male, secondo Malhotra, ma ciò significa che c’è una possibilità su 250 che gli allineamenti siano una coincidenza – una percentuale molto maggiore rispetto all’1 su 10.000 che Brown e Batygin avevano pubblicato nel 2016.
Eppure, Malhotra spiega che la nuova analisi rappresenta un miglioramento rispetto al precedente lavoro, anche se si basa su un numero limitato di oggetti. “È interessante abbastanza da farci indagare ulteriormente, ma non è convincente”, spiega la scienziata.
Batygin inoltre ha condotto una serie di simulazioni per ipotizzare le caratteristiche di qualunque cosa stia influenzando quelle 11 orbite, in particolare, posizione e massa. Il risultato finale è la “mappa del tesoro” che conduce all’orbita del Pianeta X nel cielo, anche se il team non ha ancora idea di dove potrebbe trovarsi il pianeta lungo quel percorso.
Sebbene adesso si stimi che sia più piccolo – all’incirca cinque o sei volte la massa della Terra, invece di dieci volte – il pianeta è anche apparentemente più vicino. Ciò significa che il Pianeta X dovrebbe apparire più luminoso nel cielo, anche se Brown puntualizza che la luminosità stimata del pianeta si basa sulle supposizioni relative alla sua composizione, che potrebbero rivelarsi errate.
Le nuove previsioni rendono questo ipotetico corpo celeste più in linea con un’affermazione simile fatta dagli astronomi Chad Trujillo e Scott Sheppard. Nel 2014, il team ha riportato la scoperta di un oggetto chiamato 2012 VP113, che è stato scherzosamente soprannominato dagli studiosi “Biden” in onore dell’allora vicepresidente degli Stati Uniti Joe Biden. La loro ipotesi era che un pianeta remoto con una massa cinque volte superiore a quella della Terra stesse spingendo Biden e diversi altri oggetti lontani in traiettorie raggruppate.
Tuttavia, nonostante le ipotesi convergenti, gli esperti del campo sono ben lungi dal raggiungere un accordo sull’esistenza del Pianeta X.
“Nel complesso, l’ipotesi ha retto piuttosto bene, considerando che si tratta di qualcosa che non è stato trovato”, conferma Greg Laughlin, astronomo presso l’Università di Yale. “Ritengo che si tratti di un caso interessante, tuttavia rimane un dubbio: perché non l’hanno trovato? E dov’è?”
Trovare il Pianeta X
Il fatto che gli scienziati non abbiano ancora messo gli occhi sul Pianeta X può suggerire che, se esiste, questo corpo celeste è posizionato vicino alle estremità più lontane della sua orbita, diventando così un debole obiettivo in lento movimento nascosto dalla luce delle stelle. Brown e Batygin, oltre a Sheppard e Trujillo, stanno usando il potente telescopio Subaru situato sopra il vulcano Mauna Kea nelle Hawaii, per cercare il fantomatico pianeta. Ma anche con gli strumenti più all’avanguardia a disposizione degli astronomi, la ricerca è tutt’altro che semplice.
Con la sua presunta luminosità e orbita, il Pianeta X si mescola purtroppo con le masse luccicanti delle stelle sullo sfondo, come un pianeta alla deriva nella scia lattiginosa della nostra galassia nel cielo notturno.
“È abbastanza luminoso, vicino e rilevante che sostanzialmente è l’unica posizione in cui potrebbe nascondersi senza farsi trovare”, aggiunge Laughlin. “Ritengo che, se esiste, verrà individuato in tempi relativamente brevi”.
Passare al setaccio la volta celeste utilizzando il telescopio Subaru non è l’unico modo in cui gli astronomi possono individuare il pianeta nell’universo. Anche il telescopio spaziale della NASA TESS (Transiting Exoplanet Survey Satellite), che è impegnato a cercare i pianeti che orbitano attorno ad altre stelle, potrebbe avvistare il Pianeta X, mentre scruta aree che includono la presunta orbita del pianeta.
Nel 2019 gli astronomi hanno suggerito che un’analisi intelligente dei dati potrebbe portare alla luce oggetti del sistema solare lontani dalle osservazioni del telescopio TESS — una tecnica su cui Laughlin e Malena Rice dell’Università di Yale stanno attualmente lavorando.
“Non ci metto le mani sul fuoco, ma non è affatto impossibile che i fotogrammi del telescopio TESS possano rivelare un oggetto, se esiste”, aggiunge Laughlin. “Ogni tanto qualcosa che sembra impossibile, di fatto accade davvero”.
Molti astronomi concordano che la migliore opportunità per gli scienziati di trovare il Pianeta X è il Vera Rubin Observatory attualmente in fase di costruzione in cima a una montagna del Cile. Questo telescopio di 8,4 metri con un campo di osservazione enorme fotograferà l’intero cielo visibile a poche notti di distanza. A partire dal 2023, l’osservatorio permetterà agli astronomi di tracciare i movimenti di milioni di oggetti celesti compresi rottami spaziali, asteroidi, comete, telescopi spia, stelle e magari addirittura il Pianeta X.
“Il telescopio Vera Rubin coprirà circa i due terzi del cielo, ma lo farà in modo uniforme e ripetuto nel tempo”, spiega Malhotra. “Ci aiuterà tantissimo a fare notevoli progressi in casi di questo tipo”.
Brown ritiene che il pianeta possa fare la sua comparsa prima che gli impressionanti telescopi di nuova generazione entrino in gioco: forse, dice, questo mondo è già “nascosto” nei dati di cui gli astronomi dispongono già.
“Sarei pronto a scommettere – e spesso perdo le scommesse – che le immagini di questo pianeta sono già presenti nelle rilevazioni di cui disponiamo”, conclude Brown. “Non penso che sia mai stato scoperto qualcosa che poi non sia stato ritrovato nei dati già esistenti, a partire da Urano fino a Plutone ed Eris”. Brown ha scoperto il pianeta nano Eris presso il Palomar Observatory nel 2005, e successivamente ha scoperto che la primissima immagine di quel corpo si trovava su una lastra fotografica realizzata nel 1955 dallo stesso telescopio. “Ho la sensazione che accadrà di nuovo”.
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