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Astronave
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MessaggioInviato: 31/05/2012, 14:47 
Caro Massimo,
ogni volta che leggo la tua rubrica (che ammetto, lo faccio raramente, purtroppo c'è talmente tanta roba che non riesco a seguire tutto) mi incollo sullo schermo come un nerd a leggere tutte le notizie che mi sono perso.

Cita:
Ufologo 555 ha scritto:

Cita:
Raziel ha scritto:

ma lazar non era stato sbugiardato da tempo? pare non abbia nemmeno fatto l'università altro che fisico...


Il fatto è che in Ufologia, appena qualcuno parla, rivela qualche cosa è immediatamente sbugiardato ... Perciò non si sa mai cosa a credere; quindi prendere e mettere .... da parte!
Per quello che mi riguarda gli do una certa credibilità.
Tanto, amche i nostri Ufologi si lasciano prendere la mano e cominciano a distorcere e travisare (se non inventare) tutto ...
Sembra che con questo Argomento (specialmente quando c'è una "tregua") molti fanno di tutto per seguitare a far parlare di loro ...


Ma lo sai che alla fine, ogni tanto penso proprio a questo?
Bob Lazar, intendo.
Nel senso che tutti gli sbugiardamenti sulla sua persona valgono a conti fatti quanto le "notizie" che finora ci ha propinato: a patto di non essermi informato troppo su di lui credo che non ci siano stati finora riscontri ufficiali e/o particolarmente veritieri e/o autenticamente verificabili riguardo la sua mancata laurea e la sua effettiva assenza dalle scene della famigerata Area 51.
Da quando in qua poi i militari a loro dire aventi a che fare con Area 51, dovrebbero dichiarare che qualcuno non ha lavorato nelle loro fila?
Ma da quando in qua i militari che dicono la verità dei fatti?
E poi questa fantomatica Area 51 non era del tutto segretissima ed innominabile per tante ragioni a loro dire si competenza segreta?
Ma che razza di paradossi sono mai questi?
Ma solo a me viene da ridere per non piangere??

Bob Lazar rimane tuttora un mistero irrisolto, al contrario di fuffologi come Meier ed Adamski.
Si è inventato tutto ma proprio tutto?
Mi sembra improbabile, a che pro poi rilasciare bufale se poi sai che queste non hanno una minima base di credibilità?
Si è inventato qualcosa?
Oltre che probabile è effettivo.
Ha avuto magagne personali sul suo conto non strettamente legate alle sue "teorie"?
E' indubbio, ma allora perchè usare queste come strumento di convincimento riguardo ciò che Lazar disse di conoscere anni prima che questo accadesse?
Perchè riguardo le parole di Bob Lazar si sono scatenate subito furie e tempeste di insulti e sbugiardamenti da parte dei "soliti noti" in maniera sin troppo rumorosa?
Perchè costoro avrebbero dovuto alzare così tanto la voce, metaforicamente parlando?
Parlare con tranquillità non era possibile?

Il problema non è tanto se Lazar sta dicendo più o meno verità all'interno dei suoi presunti discorsi di tecnologie finora mai verificate, bensì quello, secondo me ancora peggiore, che chi cerca di sbugiardare certe notizie come false lo fa sempre tramite i soliti personaggi.
E nei soliti modi, ovviamente si intende: o urlando oppure optando per il silenzio agghiacciante.
In entrambi i casi il risultato finale è univoco: lasciare presupporre la pazzia di chi rilascia tali dichiarazioni.
Così non si fa chiarezza, si alimentano solo ulteriori sospetti, più grandi delle probabili (anche se non ci spero molto) semi-verità di Lazar.

Come al solito, tante domande ma nessuna risposta.
Ed ovviamente, come al solito, opinione mia.


Ultima modifica di Pegasus il 31/05/2012, 14:51, modificato 1 volta in totale.


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MessaggioInviato: 31/05/2012, 17:31 
Bel discorso ...
Infatti così "funziona" l'Ufologia! nella prima paggina di questo topic scrissi subito, all'inizio, " Il mio motto è: "ascoltare, ma non credere a tutto".
Insomma occorre l'indagine! Non è giusto credere a qualsiasi cosa...
Nello stesso tempo, non si deve scartare nulla...
Archiviare, confrontare ed essere preparati un po su tutto. "

Ecco, è riassunto quale deve essere il comportamento riguardo simile "materia". E non si può far altro in effetti.
E' vero, certi personaggi vengono smentitti con veemenza e frettolosamente, come se si fosse costretti a "tappare una falla"! E credo che tra questi ci sia proprio "Bob" Lazar ... Come pure P. Corso e tanti altri nel passato. Quindi, orecchie dritte e vagliare bene!



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MessaggioInviato: 12/06/2012, 19:53 



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MessaggioInviato: 12/06/2012, 19:55 
...ecco il motivo del metano su marte....... [:245] [:246] [:255] [:261]


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MessaggioInviato: 21/06/2012, 17:03 
Vita da pilota ...

(Da guardare a pieno schermo) [:)]





Ricordo quando ci andavano i nostri equipaggi a Nellis per la "Red Flag" ... (E lì, durante una di queste esercitazioni che un nostro pilota con il suo compagno navigatore, tentarono di avvicinarsi l'Area - 51)
L'ho postato non per esaltare la guerra (caso mai la difesa!) ma per la mia passione per il volo, e perché no, anche per i caccia! [^]


Ultima modifica di Ufologo 555 il 21/06/2012, 17:22, modificato 1 volta in totale.


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MessaggioInviato: 28/06/2012, 18:38 
ROSWELL: I TESTIMONI DIMENTICATI


Immagine

Molte persone, stando ai loro racconti, hanno avuto la vita segnata dai fatti di Roswell, e molte di queste persone sono state in parte dimenticate, messe in disparte rispetto ai vari articoli sensazionalistici e alle innumerevoli rivelazioni, o pseudo tali, che hanno caratterizzato questa vicenda. Due di loro sono Dee Proctor e Vernon Brazel, la terza è George Wilcox, sceriffo di Roswell, la cui vicenda, come vedremo, è particolarmente intrigante. Dee Proctor era quel bambino di circa sette anni che si trovava in compagnia di Mac-Brazel al momento della scoperta dei resti, mentre Vernon viene citato raramente nelle cronache dell’incidente di Roswell, e più precisamente soltanto in un articolo del Roswell Daily Record che ricorda come il ragazzo, nel luglio 1947, avesse appena otto anni e fosse presente al momento del ritrovamento. Non appena compì la maggiore età Vernon lasciò il New Mexico trasferendosi di stato in stato, cambiando addirittura nome, fino a quando, ancora giovane, non si suicidò sparandosi un colpo di pistola alla testa. Vernon in quel periodo aveva un amico, quasi coetaneo, con il quale condivideva gli anni spensierati della gioventù; insieme svolgevano piccole mansioni settimanali e qualche lavoro estivo nel ranch; anche quella estate del 1947 erano impegnati in una di queste attività…l’amico di Vernon si chiamava Dee Proctor.

Quello che oggi sappiamo di Vernon, insieme ad altre notizie sui fatti del ’47 e su quello che accadde ai due piccoli testimoni, lo dobbiamo alle dichiarazioni rilasciate qualche anno fa da Loretta Proctor, matrigna di Dee. Loretta era presente quando portarono a casa alcuni pezzi recuperati dal campo di detriti, e riferendosi a quello recuperato da Mac Brazel lo descrive di colore marrone chiaro, molto leggero, simile al legno di Balsa e di non più di quattro centimetri di lunghezza, liscio come la plastica. Secondo il racconto di Loretta, i due ragazzi si trovavano sul posto quando venne scoperto il campo di detriti, ed erano sempre insieme a Mac Brazel quando quest’ultimo, in un sito a circa due miglia e mezzo di distanza, scoprì qualcos’altro. Dee non rivelò mai quale fosse stata la scoperta; ne fece un breve accenno soltanto nel 1994; in seguito si sottrasse a qualsiasi intervista e morì nel 2006. Nonostante il “silenzio stampa”, Dee accennò qualcosa sia a Loretta che alla sorellastra, raccontando che non soltanto lui e Vernon erano stati testimoni di quanto avvenne a Roswell ma anche altri ragazzi tra i quali i figli di Thomas Edington (proprietario di un ranch poco lontano), una delle figlie di Truman Pierce, altro proprietario di una fattoria poco distante e Sydney Jack Wright. Quest’ultimo, nel 1998, parlò di corpi di piccole dimensioni, con grandi teste e occhi minuscoli.

Loretta Proctor vive adesso con la figlia a Comanche (Texas) e nonostante la veneranda età sembra abbia ancora molto da dire in merito ai fatti accaduti a Roswell. Uno degli scenari che la donna ricorda con grande precisione è quello che descrive il clima di estrema confusione sorto intorno al ranch, insieme all’immagine di Dee con in mano i pezzi raccolti e la sua titubanza nel confidarsi con l’Esercito, nonostante la promessa di quest’ultimo in merito ad una lauta ricompensa da devolvere a chiunque fosse stato in grado di fornire notizie e prove riguardanti il “disco volante”. Il giovane Proctor non si fidava dei militari, e questa sua diffidenza era condivisa da molta altra gente che abitava nella zona; d’altra parte non si era ancora sopita la rabbia per la confisca, avvenuta pochi anni prima, di un tratto di terra proprio nelle vicinanze, il lotto era stato utilizzato per creare un sito da destinare ad una deflagrazione di prova. Dee e Vernon erano quindi presenti nel campo di detriti, la loro presenza può essere registrata ancora prima che arrivassero i militari, e nulla ci porta ad escludere che uno dei due o entrambi raccolsero qualcosa e lo portarono via; d’altra parte considerando la loro giovane età, la forte curiosità che tipicamente caratterizza questo periodo della vita e l’assoluta unicità dell’evento, questa ipotesi diventa altamente probabile.

Vernon rimase profondamente sconvolto, e questo non tanto per la scena che si ritrovò ad osservare, quanto per le conseguenze che ebbe nella sua vita; ebbe molti problemi di adattamento e divenne il bersaglio delle battute dei suoi coetanei, almeno fino a quando non decise di lasciare quel luogo che tanto negativamente stava pesando sulla sua vita. Cambiò spesso cognome; lo ritroviamo registrato come Tannehill o Tunnecliffe, e visse in vari paesi spostandosi di continuo tra il Montana, la California e la Virginia, in ogni caso non ritornò mai più in New Mexico e mise fine ai suoi tormenti suicidandosi in completa solitudine. Questa tragica fuga è documentata da vari documenti appartenenti alle registrazioni militari; Vernon Brazel era presente a bordo della USS Hassayampa e il suo nome risulta nei database civili della California e della Virginia. L’unica cosa che accomunò la vita di Vernon a quella di Dee Proctor fu l’estrema riluttanza nel parlare dei fatti accaduti a Roswell. Dee rifiutò sistematicamente di condividere i suoi ricordi, fuggendo addirittura quando si presentava qualche giornalista o qualche ricercatore; una di queste fughe avvenne proprio in presenza di Loretta, quando, nel 1980, mentre quest’ultima era impegnata in salotto a discutere proprio del crash di Roswell, Dee fuggì utilizzando una porta sul retro.

Questa sua forma di grande riservatezza, quasi a livello maniacale, si acutizzò ancora di più quando cadde preda dell’acool, e il suo istinto di fuga venne sostituito da una reazione di grande collera che scoppiava istantaneamente al solo udire il nome Roswell. Dee Proctor morì a 66 anni in seguito ad un attacco cardiaco, portandosi dietro non pochi segreti, oltre che la risposta ad un quesito che ha sempre solleticato la fantasia dei ricercatori: perché Mac Brazel non dissi mai che si trovavano insieme al momento del ritrovamento? Chiaramente voleva proteggere il ragazzo, ma proteggerlo da cosa? Era soltanto un modo per tenerlo lontano dai riflettori e dalle illazioni della gente, oppure avevano trovato e condiviso qualcosa di particolare? Erano forse stati testimoni di uno scenario completamente differente da quello che venne poi reso dai militari? Questo atteggiamento “protettivo” è stato in seguito portato avanti anche da Loretta; la donna non ha mai risposto direttamente alle domande riguardanti Dee e quello che avrebbe visto o portato via dal sito, in queste occasioni Loretta ha sempre detto di non ricordare esattamente quei particolari, eppure, e per sua stessa ammissione, era a casa quando Dee ritornò dal campo di detriti, così come ha spesso confermato che fu proprio Dee a trovare per primo il sito e avvertire Mac Brazel.

Addentrandosi ancora di più in questa complicata vicenda, aumentano in maniera esponenziale i dubbi; Dee Proctor, infatti, non soltanto scoprì per primo il sito ma, sempre sulla scorta delle affermazioni di Loretta, ne visitò anche un altro, a circa due miglia e mezzo di distanza, e fu proprio questa seconda scoperta che lo traumatizzò per il resto della sua vita. Cosa vide nel secondo sito? Anche questa informazione non avrà mai una risposta; Dee non parlò mai di questo avvenimento e l’unica volta che vi accennò non fece altro che complicare involontariamente le cose; nel 1994, infatti, indicando la posizione su una mappa, gli sfuggì questa frase: “…qui è dove Mac ha trovato qualcos’altro…” Una “confessione” meno laconica avvenne però qualche anno prima, nel 1990, quando il ricercatore Kevin Randle, avendo telefonato a Loretta Proctor per una intervista, sentì dall’altro lato dell’apparecchio la voce di Dee. Si trattava ovviamente di una occasione più unica che rara, una di quelle che nessun ricercatore si sarebbe fatto sfuggire facilmente; Randle cercò di trattenere Dee al telefono e le risposte che ottenne, sia pure molto poche e tirate fuori quasi a malincuore, furono davvero stupefacenti. Questo quanto confermò il giovane testimone:

- Si trovava insieme a Mac Brazel sul luogo dello schianto e lo ricordava perfettamente.

- Le autorità militari erano venute a Roswell e si erano intrattenute a lungo con lui in merito all’incidente.

- Insieme a Mac Brazel erano rimasti per alcuni minuti ad osservare una vasta area cosparsa di detriti metallici.

- Successivamente si recò ancora una volta nel sito insieme ad altri suoi amici.

Quest’ultima affermazione venne in seguito confermata dalle ricerche effettuate da Tom Carey e Don Schmitt, i quali appurarono che gli amici citati da Dee erano due ragazzi e una ragazza; i primi due erano i figli di Thomas Edington, mentre la ragazza era la figlia di Truman Pierce. Questa breve confessione non contempla però la “sottrazione” di alcuni detriti e neanche lo scenario del quale fu testimone; ritorna quindi la domanda posta precedentemente: cosa vide Dee Proctor? Doveva sicuramente trattarsi di qualcosa di estremamente particolare, e non tanto in riferimento alla fantasia di un adolescente, visto che non furono pochi gli agenti dei servizi segreti che si recarono in New Mexico, in vari periodi, per tenere d’occhio il giovane testimone. Quest’ultima circostanza ci viene ricordata dallo scrittore e ricercatore Nick Redfern il quale, nel 1980, raccolse la testimonianza di un ex agente dell’Intelligence che si dichiarava “letteralmente disgustato” dal trattamento che i militari e i servizi segreti avevano riservato al giovane Dee Proctor. L’uomo si riferiva a continue vessazioni psicologiche che andarono avanti negli anni, tanto da infondere quella profonda paura manifestata da Dee ogni volta che si accennava a Roswell.

I militari, continuava il testimone di Redfern, consideravano Dee Proctor come soggetto profondamente coinvolto nel caso Roswell, a tal punto da costituire una vera e propria preoccupazione. Ancora una volta ritorna prepotente il quesito posto poco prima: cosa aveva visto Dee Proctor? Se da una parte è vero che non riusciremo mai ad avere una risposta, è altrettanto vero che potremmo almeno provare a restringere il campo delle nostre ricerche e, di conseguenza, quello delle ipotesi; per muoverci in queste due direzioni abbiamo ancora bisogno dell’aiuto di Loretta Proctor. Durante l’estate del 2011, Loretta si reca a far visita alla nipote e in quell’occasione registra i ricordi del crash, aggiungendo alcuni particolari molto significativi, compreso il fatto che Dee mantenne per tutta la vita il segreto su quanto aveva trovato e nascose alcuni frammenti che non riuscì più a riprendere visto che si trovava sempre sotto stretta sorveglianza e non poteva fidarsi di nessuno. Due storie misteriose, costellate da innumerevoli dubbi, inserite in uno scenario nel quale si trovano in buone compagnia, visto che gli avvenimenti dei quali si rese protagonista il terzo personaggio citato in apertura non si presentano certo meno enigmatici di quelli appena raccontati.

La persona in questione è George Wilcox, che in quel periodo ricopriva il ruolo di sceriffo e che effettuò la famosa chiamata con la quale avvisava l’esercito locale della scoperta effettuata da Mac Brazel. Per quanto la figura di Wilcox sia stata sempre dipinta come di marginale importanza, in realtà il suo ruolo richiede una più attenta analisi, trattandosi di un coinvolgimento molto più profondo e nascondendo forse un altro segreto da aggiungere ai molteplici enigmi di quel luglio 1947. I personaggi coinvolti in questo scenario sono le due figlie di Wilcox, la nipote, il suo vicino di casa e i suoi collaboratori; ultima, ma non certo in ordine di importanza, la moglie dello sceriffo la quale scrisse un dettagliato racconto di quanto accadde a Roswell, una testimonianza poco nota conservata negli archivi di una altrettanto sconosciuta società storica; sarà quindi necessario riprendere gli avvenimenti per meglio focalizzare i punti oscuri di questa nuova vicenda. George A. Wilcox era lo sceriffo di Chaves County nel 1947; nel luglio di quello stesso anno Mac Brazel si presentò nel suo ufficio portandosi dietro alcuni detriti alquanto insoliti che disse di aver ritrovato nei pressi del suo ranch. Wilcox non si rese subito conto di quanto stava accadendo e neanche riuscì a capire cosa fossero quei frammenti in mano a Mac Brazel, ma rimase abbastanza perplesso da decidere di andare in fono alla questione.

Di certo giudicò abbastanza grave la vicenda, tanto che decise di avvertire i militari, decisione che prese dopo aver visionato il materiale portato da Brazel e che certo non avrebbe preso qualora si fosse trattato dei resti di un pallone o di carta a fiori. Questa circostanza ci porta a pensare che anche Wilcox vide di persona i veri resti contenuti nel campo di detriti, particolare che giustificherebbe la sua repentina estromissione dal caso; all’arrivo dei militari, infatti, venne “consigliato” allo sceriffo di non recarsi nel sito, consiglio dato anche ai suoi collaboratori. Il resto della vicenda è abbastanza noto, così come sono note le successive dichiarazioni che però si scontrano con quanto raccontato dalla moglie e dalle due figlie. Geoge e Inez Wilcox avevano due figlie, Phyllis e Elizabeth, oggi in pensione ed entrambe convinte che il padre fu testimone, nel 1947, di un evento di connotazione extraterrestre. Phyllis (sposata McGuire) è delle due quella che ha maggiormente divulgato i suoi ricordi in merito alla vicenda; è stata proprio lei a parlare del coinvolgimento del padre, del fatto che fosse stato in possesso di materiale proveniente dal campo di detriti, di come avesse mandato alcuni suoi aiutanti nella zona e di come avesse visto una macchia di bruciato nell’erba dalle dimensioni di un campo di calcio, concludendo che qualcosa di molto grande e circolare avesse toccato terra.

Non appena aver appreso la notizia, Phyllis si recò dal padre chiedendo informazioni sul caso e, soprattutto, per capire se veramente credeva a quanto riportato dai vari quotidiani. Wilcox tentennò, confermando che Brazel gli aveva portato alcuni pezzi e aggiungendo un particolare: i resti visionati sembravano carta stagnola ma quando venivano toccati, piegati o manipolati ritornavano sempre alla loro forma originale. Fu proprio questo particolare che convinse lo sceriffo a telefonare ai militari. Non sappiamo esattamente a cosa si riferisse Wilcox, potremmo ipotizzare che si trattasse di un particolare materiale di origine metallica “a memoria”, qualcosa che sembrava conservare un “ricordo” della sua forma originale, qualcosa che di certo in quel periodo non esisteva sulla Terra. Di contro, la madre di Phyllis non è mai stata molto prodiga di informazioni; soltanto una volta, agli inizi degli anni ’70, rispose ad alcune domande della figlia pronunciando il termine “alieni” e confermando la presenza di corpi, dei quali uno ancora in vita ma deceduto dopo poco tempo. Lo scenario disegnato dalla signora Wilcox differisce da quello del marito, soprattutto quando accenna ad esseri con una testa sproporzionata rispetto al corpo molto piccolo e occhi minuscoli, oppure quando fa riferimento alla paura del marito per le ritorsioni che avrebbe potuto subire l’intera famiglia nel caso avesse parlato dei fatti di Roswell in termini diversi da quelli ufficiali. Anche in questo caso si innesca un meccanismo di protezione che porta al silenzio; Mac Brazel tenta di proteggere Dee, Wilcox teme per la sua famiglia, Loretta Proctor si comporta allo stesso modo; tutta una serie di coincidenze che disegnano il quadro delle forti pressioni subite da questi personaggi.

Continuiamo con il racconto di Phyllis: Wilcox si recò sul posto prima dell’arrivo dei militari ma non riuscì a trovare subito il luogo dell’incidente; quella che trovò lungo il percorso e prima di arrivare al campo di detriti, fu invece una vasta area caratterizzata da un enorme cerchio annerito; quando più tardi i militari arrivarono in quella zona delimitarono ogni via di accesso e nessuno riuscì ad evitare lo sbarramento. Questo particolare di una zona bruciata risulta abbastanza interessante perché non riguarda soltanto la testimonianza della famiglia Wilcox; altre persone, infatti, compresi gli ufficiali della Roswel Army Air Field (RAAF) Chester Barton e Lewis Rickett, parlarono separatamente di una vasta area all’apparenza bruciata; lo stesse fece un militare, Glenn Dennis, il quale dichiarò di aver visto la stessa area sporgendosi dal camion che lo portava nel luogo dell’incidente. A sostenere la tesi di Phyllis interviene anche Barbara Wilcox Dugger, nipote di George e figlia di Elizabeth Wilcox. Per un certo periodo di tempo Barbara visse insieme alla moglie dello sceriffo; Wilcox era morto da poco e la nipote rimase a dare conforto alla vedova. Una sera, trovandosi insieme a guardare la Tv, si imbatterono in un documentario che accennava al tema degli Ufo, e proprio da questo scaturì un dialogo del quale riportiamo un breve riassunto.

Barbara chiese a Inez se credeva ci fosse vita nello spazio, questa rispose affermativamente, poi, dopo una breve pausa, gli disse che voleva raccontarle qualcosa, raccomandandole di non parlarne in giro. Quando avvennero i fatti di Roswell, i militari arrivarono nell’ufficio del marito, minacciando di morte lui e la sua famiglia qualora avesse parlato in merito all’accaduto fornendo la prima versione resa e che aveva confidato alla moglie. Cosa non avrebbe dovuto raccontare Wilcox? Non avrebbe dovuto parlare dell’area bruciata, del fatto che nel campo di detriti giacevano quattro corpi, di cui uno ancora vivo. Un giorno Wilcox confidò alla moglie che dopo quell’avvenimento aveva tanto desiderato non essere lo sceriffo, non essere mai stato in quel luogo; da onesto e leale cittadino americano non poteva fare altro che l’interesse del suo paese, e se questo interesse coincideva con quanto detto dai militari non aveva altra scelta che uniformarsi alla versione ufficiale. A supporto di quanto appena riportato, riprendiamo adesso il discorso interrotto poco prima, quello riguardante il famoso documento manoscritto stilato dalla moglie di Wilcox. La memoria si trova presso la Historical Roswell Society; si tratta di un racconto autobiografico dal titolo “Four Years in the County Jail” e include una menzione dell’incidente occorso al marito che vale la pena citare integralmente: “…un giorno un allevatore mi portò a nord della città per vedere quello che diceva essere un disco volante. C’erano stati molti rapporti in tutti gli Stati Uniti da parte di persone che sostenevano di aver visto dei dischi volanti; le voci erano contrastanti, alcuni pensavano che provenissero da un altro pianeta, altri che fossero un’arma segreta dei tedeschi. Dal momento che nessuno aveva mai visto un disco volante, Mister Wilcox decise di chiamare il quartier generale presso la ex RAAF per segnalare il ritrovamento. Si presentò un ufficiale comunicando che aveva l’ordine di portare via l’oggetto affinché venisse studiato attentamente.

Contemporaneamente il telefono iniziò a squillare e fu così per tutta la giornata; l’ufficiale intimò a WIlcox di mantenere il silenzio più totale e di smistare tutte le chiamate verso la base militare”. Risulta evidente che Inez sapesse molto di più di quanto riportò nel suo racconto; chi altri poteva essere al corrente degli avvenimenti che si svolsero nell’ufficio dello sceriffo? Non possiamo non ricordare i suoi collaboratori, ma anche loro sembrano aver risentito di quel clima di terrore che si riuscì a spargere tra i testimoni. Il vice sceriffo Bernie Clark, che tra l’altro fu il primo a stilare la relazione in merito al racconto di Mac Brazel, non accettò mai di rispondere ai giornalisti e, a quanto sembra, mantenne lo stesso atteggiamento anche con la famiglia. Tommy Thompson, l’altro vice, ha da sempre dichiarato di non voler essere coinvolto in questo caso, testimoniando di essere stato assente quel giorno dal proprio ufficio, notizia in seguito smentita dai suoi figli. In che modo si riuscì a mettere a tacere questi uomini di legge e per così tanto tempo?
A rendere sempre più plausibile l’idea di una coercizione nei confronti dei testimoni concorre il racconto fatto da Rogene Cordes, in quel periodo cassiere presso una banca di Roswell e vicino di casa di George Wilcox. Anche se non molto convinto nel divulgare la sua versione, Cordes disse esplicitamente che sia George che Inez erano stati pesantemente minacciati e avevano paura; dopo quanto era accaduto erano completamente cambiati.

Il coinvolgimento dello sceriffo era quindi totale e una ulteriore testimonianza ce ne offre la prova; tra i residenti a Roswell nel 1947 c’era anche Ruben Anaya, collaboratore volontario del Governatore del New Mexico Joseph Montoya. In un racconto datato 1990, Anaya parla della visita effettuata da Montoya presso la base militare e di come questi fosse particolarmente agitato quando, al ritorno, raccontò di aver visto dei corpi e l’imbarcazione che si era schiantata nel deserto. La parte interessante di questo racconto, che in qualche modo lo lega a Wilcox, arriva quando si descrive il ritorno di Montoya in albergo e lo sceriffo che lo aspetta proprio all’ingresso. Non si trovava certo lì per una visita di cortesia, in realtà portava un messaggio da parte dei militari, una esortazione a non dire nulla di quanto aveva visto e sentito. Altra storia molto simile a questa, che descrive la figura dello sceriffo come ormai completamente in mano ai militari, è quella narrata da Glenn Dennis, all’epoca impresario di pompe funebri presso la Ballard Funeral di Roswell. Wilcox e il padre di Dennis erano molto amici, ma quando lo sceriffo lo andò a trovare non era certo in nome di questa amicizia. Wilcox raccomandò al padre di Dennis di controllare attentamente ogni dichiarazione del figlio; non avrebbe mai dovuto parlare di quello che aveva visto o sentito perché questo avrebbe potuto causare gravi ripercussioni sull’intera famiglia. Perché lo sceriffo Wilcox agiva in tal modo? Era veramente convinto del proprio operato o stava soltanto portando avanti un copione scritto da altri, una recita alla quale non aveva modo di sottrarsi?

Molto verosimilmente la figura di Wilcox è quella di un uomo preso tra due fuochi, estremamente scosso per quello che ha visto e altrettanto spaventato per le dure minacce subite; non può mettersi contro i militari e non può neanche sperare che qualcuno creda alla storia che potrebbe raccontare. Schiacciato tra l’incudine e il martello decide di proteggere la sua famiglia, anche al costo di diventare impopolare, di mentire anche e soprattutto a se stesso. Lo sceriffo venne sopraffatto dagli eventi, schiacciato dal peso della conoscenza e da una piccola città che in quel momento era diventata il centro del mondo, una cassaforte da proteggere a tutti i costi poiché conteneva e continua a custodire uno dei più grandi segreti della storia.

http://www.altrogiornale.org/news.php?extend.7851



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MessaggioInviato: 04/07/2012, 18:03 
La scoperta di vita extraterrestre distruggerebbe la religione?



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La scoperta della vita oltre la Terra produrrebbe una scossa nella nostra visione del posto dell'umanità nell'Universo, ma probabilmente non metterebbe seriamente in pericolo la religione organizzata, dicono gli esperti.


La fede religiosa rimane forte in gran parte del mondo, nonostante i progressi scientifici dimostrino che la Terra non sia il centro dell'Universo e che gli organismi del nostro pianeta non sono stati creati nella loro forma attuale, ma piuttosto si sono evoluti nel corso di miliardi di anni. Quindi è probabile che la religione supererebbe, anche, le tempeste provocate dal rilevamento degli extraterrestri, affermano i ricercatori.


“Penso che ci siano delle ragioni per cui, inizialmente, potremmo pensare che ci saranno dei problemi”, ha dichiarato Doug Vakock, direttore dello Interstellar Message Composition presso l'istituto SETI (Search for Extraterrestrial Intelligence) di Mountain View, California. “La mia impressione è che, probabilmente, non sarà così grave come inizialmente si potrebbe pensare”.


Vakock ha parlato di ciò il 24 giugno 2012 in occasione della conferenza SETICon2, in una tavola rotonda denominata “Would Discovering ET Destroy Earth's Religions?”.


NON SIAMO AL CENTRO DELL'UNIVERSO

La Bibbia, il Corano e altri sacri testi delle maggiori religioni del mondo sottolineano la speciale sollecitudine di Dio per l'umanità e per la Terra. Quindi la scoperta di alieni, per esempio microbi su Marte o segnali provenienti da una civiltà intelligente in un altro sistema solare, può sembrare minacciosa, ma implica che noi e il nostro pianeta non siamo totalmente speciali.


La nostra specie ha avuto molto tempo per abituarsi a questa idea. Nicolaus Copernico fu, forse, il primo forte caso per ciò nell'anno 1543 dopo Cristo, quando il suo embrionale lavoro “Sulle Rivoluzioni delle Sfere Celesti” dimostrò che la Terra gira intorno al Sole, piuttosto che il contrario.



“Da quattro secoli, non siamo più il centro dell'Universo”, ha dichiarato Seth Shostak, astronomo presso il SETI Institute.



E recenti scoperte di pianeti alieni continuano a ricordarci di questo fatto. Gli scienziati hanno già individuato più di 700 pianeti oltre il nostro Sistema Solare e molti altri migliaia attendono conferma da parte di osservazioni che seguiranno. Alcuni di questi pianeti extrasolari sono piccoli e rocciosi, come la Terra, e alcuni orbitano nella zona abitabile delle loro stelle e dove potrebbe esistere acqua allo stato liquido.


“Abbiamo anche effettuato un giro di prove storiche che hanno fatto luce su come la gente potesse reagire se avessimo mai scoperto ET”, ha aggiunto Shostak.


Nel XX° secolo, ad esempio, molte persone considerarono i cosiddetti “canali di Marte” come una forte evidenza di una civiltà intelligente sul Pianeta Rosso. E a metà degli anno 90 del secolo scorso , gli scienziati annunciarono la scoperta di possibili microfossili nel meteorite marziano noto come ALH 84001.


In entrambi i casi le pareti delle chiese, moschee e templi cominciarono a sgretolarsi.


“Questo esperimento fu eseguito più volte, e la gente non impazzì”, ha detto Shostak. (Il dibattito su ALH 84001 continua ancora oggi, ma la maggior parte degli scienziati che si occupano di Marte sono dubbiosi sul fatto che esso contenga forti indicazioni della vita).


ALTRI FIGLI DI DIO?

Inoltre, la notizia che non siamo soli nell'Universo probabilmente non porterà ad uno shock enorme, perchè un gran numero di persone negli Stati Uniti e all'estero è già convinta che ET è là fuori da qualche parte.



“Se chiedete alla maggior parte della gente se esiste la vita aliena, la maggior parte delle persone risponderebbe di sì”, ha detto l'autore di fantascienza Robert Sawyer, che era presente anche alla tavola rotonda. “E' l'opinione prevalente. Almeno, l'ultimo sondaggio che ho visto negli Stati Uniti diceva che la maggior parte degli americani crede che ci sia vita extraterrestre”.


Quindi, piuttosto che essere scossa alle fondamenta dalla conferma della vita su un altro pianeta o su una luna, la religione organizzata può accettare la notizia, adattarsi e andare avanti.


Vakoch ha citato l'esempio del teologo Battista Hal Ostrander, che è un vice parroco in una chiesa in Georgia.


“Il Dr. Ostrander è fermamente contrario all'evoluzione, e tuttavia egli non ha alcun problema con l'idea che vi siano extraterrestri”, ha dichiarato Vakoch. “Dice che è come se una coppia ha un bambino, e poi decidono di avere un secondo figlio. Questo secondo bambino è meno speciale? Così, Dio decide anche di avere la vita sul nostro pianeta, e poi su un altro pianeta, e un altro pianeta ancora. E ciò non ci rende meno speciali”.

Traduzione a cura di Antonio De Comite

http://ufoedintorni.blogspot.it/2012/06 ... estre.html



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che non siamo al centro dell'universo si sa da un bel pezzo [8D]



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C'è solo da riflettere!
Se Qualcuno non avesse "caricato" quest'orologio" non credo sarebbe potuto esistere ...[:)]

La nostra Terra, seppur bellissima e forse unica nell'Universo, appare insignificante; un po come l'Uomo: quasi una nullità, ma grande di spirito, infinito, direi!


Ultima modifica di Ufologo 555 il 05/07/2012, 11:13, modificato 1 volta in totale.


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in realtà anche "l'universo" (termine linguisticamente poco corretto per l'uso che se ne fa), è un nulla rispetto all'immensità del multiverso che lo contiene...



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Dio! [:D]



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L'acqua su Marte c'era veramente e scorreva in profondità ...




I dati elaborati dalla sonda Mars Express dell'Esa riguardano i crateri da impatto sulla superficie marziana che sono finestre naturali nella storia del pianeta

Su Marte l'acqua scorreva in profondità, tra le rocce del sottosuolo, durante il primo miliardo di anni dell'esistenza del pianeta.

Lo testimoniano i dati inviati a Terra dalla sonda Mars Express, dell'Agenzia spaziale europea (Esa), basati sull'analisi delle rocce riemerse nei crateri causati dall'impatto con degli asteroidi.

I crateri da impatto sono finestre naturali nella storia delle superfici planetarie: più profondo è il cratere, più a ritroso nel tempo si può andare con le ricerche.

Pertanto le rocce scavate durante l'impatto offrono la possibilità di studiare quel materiale che una volta era nascosto sotto la superficie.

In un nuovo studio con l'intento di completare nuovi tasselli sulla storia dell'acqua su Marte, Mars Express e la sonda Mars Reconnaissance Orbiter della NASA si sono concentrate sui crateri della vasta regione degli altopiani meridionali, chiamata Tyrrhena Terra.

Tramite le analisi effettuate sulla chimica delle rocce incorporate nelle pareti dei crateri e nelle zone circostanti, gli scienziati sono riusciti ad identificare 175 siti con minerali formati in presenza di acqua.

"La vasta gamma di formati dei crateri studiati, da meno di 1 chilometro a 84 chilometri di larghezza, indica che questi silicati idrati sono emersi da decine di metri fino a chilometri di profondità", commenta Damien Loizeau dell'Esa e principale autore dello studio.

"La composizione delle rocce è tale che l'acqua sotterranea deve esserci stata per un lungo periodo di tempo, tanto da aver alterato la loro chimica".

La circolazione dell'acqua si è verificata a diversi chilometri di profondità della crosta, circa 3,7 miliardi di anni fa, prima che si formasse la maggior parte dei crateri dell'area sotto osservazione. Ad ogni modo, mentre il materiale di scavo sembra essere stato in stretto contatto con l'acqua, sono scarse le prove che le rocce sulla superficie compresa tra i crateri di questa regione abbiano subito modifiche a causa dell'acqua.

fonte ansa

http://mysterium.blogosfere.it/2012/07/ ... marte.html



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MessaggioInviato: 05/07/2012, 17:40 
Il Multiverso per come la vedo io, è ciò che "esaurisce le possibilità di esistenza". Ogni cosa che sia concepibile, non solo sulla base di leggi fisiche, ma anche considerando le leggi stesse come "variabili" nelle loro manifestazioni, nel multiverso c'è, esiste, da qualche parte, ed esiste infinite volte, forse.
Ciò che è al di là della "possibilità" di esistenza, non esiste in quanto "non può" (scusate il continuo virgolettato, potrei grassettare o sottolineare o corsivare, ma faccio prima così) esistere, quindi non c'è, nel vero senso della parola lì è Nulla.



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Bèh, io la penso totalmente all'opposto; dal Nulla non credo si possa creare niente ...



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ma non è una questione di "creare". la parola creare significa già in nuce una concezione temporale, che nell'universo non esiste, ma solo nella nostra percezione umana. La differenza esiziale è quella tra "qualcosa" e "nulla"



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