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Astronave
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 Oggetto del messaggio: La copia nelle abductions
MessaggioInviato: 27/09/2022, 18:29 
LA COPIA NELLE ABDUCTIONS
Articolo di Corrado Malanga

Gli addotti ricordano la creazione di un corpo uguale al loro, che li sostituisce mentre si trovano in ambiente alieno. La dinamica e le conseguenze di una sinistra interferenza vengono esposte nella lucida disamina dello studioso che l'ha compresa.
Sono anni che, studiando il fenomeno delle interferenze aliene con l’ausilio di tecniche di ipnosi regressiva, ci siamo fatti un’idea di come vadano le cose, sotto ipnosi. Da anni ripetiamo che, in una determinata situazione, l’addotto descrive la costruzione della propria copia fisica. Il soggetto viene prelevato da specie aliene e introdotto, in ambiente alieno, all’interno di una macchina cilindrica, che “copia” il suo aspetto fisico. La scena si svolge sempre nello stesso modo e sembra seguire, ogni volta, le stesse modalità procedurali. In ipnosi, il soggetto riferisce di trovarsi in una stanza con particolari macchinari. L’alieno, o gli alieni che lo accompagnano, lo invitano ad entrare in un cilindro trasparente, simile alle moderne docce con idromassaggio. La luce della stanza è soffusa e spesso di colore blu intenso. Il soggetto, in posizione verticale, è nudo in quella specie di grossa provetta trasparente, quando, d’un tratto, da una grata sul pavimento comincia a uscire un liquido viscoso che sale fino a sommergere totalmente l’addotto. In ipnosi, questo è l’istante più drammatico. L’addotto racconta di avere difficoltà a respirare. Emette forti colpi di tosse ma poi si accorge che, pur essendo immerso nello strano liquido, può respirare. In quel momento, se invitato a guardare alla propria sinistra, il soggetto descrive un altro cilindro trasparente, contenente un liquido nel quale si sta formando qualcosa... qualcosa che è uguale a lui: una copia. A questo punto, il soggetto viene colto da crisi di panico e di personalità. «Chi sono io?», si chiede, «e chi è lui… ma l’io vero sono io o è lui?». Chiediamo al soggetto: «Ma è proprio uguale a te?». «No lui non ha i piercing ... » ci rispose un addotto. «No, lui non è vivo…», rispose un altro.

LA COPIA PRENDE IL NOSTRO POSTO
In molti racconti, espressioni di ipnosi regressive, ci troviamo di fronte a scene in cui una “nostra copia” prende il nostro posto. Questo si verifica in due importanti momenti dell’adduzione: quando veniamo presi e quando veniamo riportati. Il soggetto, in ipnosi, così descrive quanto succede: «Siamo in macchina e guida lui ma ad un certo punto sembra tutto fermo. Lui non si muove più e attorno a noi non si muove più niente. Io esco dall’automobile attraverso il soffitto e, mentre salgo, vedo scendere degli alieni grigi, quelli piccoli con il cranio grande che portano un’altra persona e la mettono al mio posto. È uguale a me ... e io salgo verso l’alto…». In un’altra ipnosi abbiamo registrato quello che accade al termine del rapimento alieno, quando l’originale viene riportato a casa. La scena è la seguente. Il soggetto torna nella propria camera passando attraverso il soffitto, accompagnato dai soliti piccoli grigi. Dall’alto vede che c’è un “suo” corpo a letto che dorme ed un “suo” corpo accanto al letto, in attesa. Il corpo a letto è una copia, mentre quello entrato in camera, attraverso il soffitto, è l’originale, che ritorna. La coscienza, che sta descrivendo la scena, è al di fuori di entrambi i corpi e spiega di essere la parte vitale, che chiamiamo anima. Anima dice di non voler entrare nel corpo a letto, perché è buio, non è vivo. Poi scorge l’altro contenitore. «È quello il mio corpo!» esclama, «quello è colorato, l’altro è buio, non è vivo! ». Subito dopo, la scena cambia di prospettiva. Siamo nel corpo “colorato” che vede l’alter ego, a letto, che si alza. A questo punto, il soggetto che dormiva con indosso un pigiama, si spoglia e consegna il pigiama al corpo originale. L’originale, che indossa una tuta verde, la porge al corpo che portava il pigiama. Dopo lo scambio di vestiti, il soggetto che prima era a letto con il pigiama ed ora indossa la tuta verde, viene portato su, attraverso il soffitto, dagli esseri “grigi” nella stanza. Il contenitore “colorato”, che ha nuovamente indossato il suo pigiama, va a letto a dormire. Le nostre sedute di ipnosi sono piene di racconti in cui il soggetto vede se stesso fare cose strane. Ultimamente abbiamo assistito alla ricostruzione di una scena in cui il soggetto ad dotto vede se stesso, di notte, vicino alla propria abitazione, correre verso la «macchina volante» che lo porterà via. Ben presto, però, si rende conto di essere lui l’originale e che l’altro è solo la copia che lo aveva sostituito. Può capitare che questi soggetti non vengano riconosciuti dai loro più stretti parenti. Una figlia al telefono non viene riconosciuta dalla madre che esclama, «sei senza emozioni, non ti riconosco ». Un addotto non riconosce se stesso. È fisicamente differente, non ha più alcune cicatrici sul corpo che aveva fino al giorno prima e non ricorda determinati momenti della propria vita.

IL MITO DEL DOPPIO
Trovarsi di fronte ad una copia di se stessi produce un forte pavento. Il soggetto perde l’identità di sé, e questo, in casi estremi, può portarlo al suicidio. Ancora una volta ci siamo domandati se, nello studio dei racconti degli addotti ottenuti con tecniche ipnotiche, potevamo trovarci di fronte a soggetti schizofrenici con deliri di personalità, oppure se quello che gli addotti raccontavano fosse un ricordo di vita vissuta. In altre parole, era vero che gli alieni costruivano copie dei nostri addotti e se lo era, perché? A cosa servivano queste copie? La psiche umana è ancora oggi qualcosa di molto difficilmente catalogabile. Lo strumento più utile a scoprire cosa essa celi è lo studio dei miti. Il mito, secondo C. G. Jung, raccoglie tutto ciò che è dentro di noi. Esso non è la storia, non è la favola, ma qualcosa di precedente, è la costruzione archetipica del nostro sentire interiore che dà origine alla fiaba, alla narrazione dell’intreccio e alla comprensione del mondo che ci circonda. Nel mito, la realtà dell’universo è nascosta nelle descrizioni, sovente confuse, scaturite dall’inconscio, che la mente non è in grado di decifrare correttamente (J. Hillman). Il mito è la favola che nasconde la realtà!(1). Potevamo supporre che le descrizioni fatte dagli addotti riguardo alla presenza di copie di se stessi, fossero la rappresentazione di un aspetto paranoico della loro personalità. Ma era un aspetto che mal si conciliava con la totale sanità mentale dei soggetti. «Nel terzo libro delle Metamorfosi di Ovidio viene narrato il mito di Narciso, un fanciullo bellissimo che, a causa di una maledizione, si innamora della sua immagine riflessa in una fonte. All’inizio crede che si tratti di un’altra persona, poi si rende conto che quella di cui si è innamorato non è altro che l’immagine di se stesso. Sopraffatto dalla passione, si strugge per questo amore irrealizzabile fino a morirne. In questo racconto il tema del doppio riveste un ruolo di grande importanza, come avviene nella commedia di Plauto, l’Anfitrione, ma tra le due opere vi sono enormi differenze. Nel Narciso, il doppio non è una persona distinta dal protagonista, ma è la persona stessa o meglio, è la sua immagine riflessa nella fonte che funge da specchio (nell’antichità si credeva che avesse il potere di sottrarre una parte dell’anima alle persone che vi si riflettevano, rubando così la loro identità e il loro aspetto). Invece nell’Anfitrione, il doppio (rappresentato da Mercurio) è un’entità completamente distinta dall’originale (Sosia) con cui ha in comune solo l’aspetto fisico, ma non il carattere e gli atteggiamenti. In un primo momento è terrorizzato dalla presenza di un altro se stesso, perché teme che possa rubargli l’identità (l’anima, nda), a meno che non l’abbia già fatto. Anche quando, in seguito, si rallegra di fronte alla possibilità di avere un’altra vita, sa comunque che queste due entità, che sono la stessa persona, non possono coesistere. Narciso, invece, non rifugge dall’immagine di se stesso, e non ne è spaventato. Essendo innamorato del proprio riflesso, vuole vivere con lui, rendendosi conto che non è possibile. Il doppio passa quasi in secondo piano davanti allo struggimento d’amore. A Narciso, in fondo, non importa se la persona da lui amata sia in realtà solo un’immagine. L’unica cosa che conta è il desiderio di possedere quest’altro io, desiderio che lo porta alla morte. Sosia, invece, si interroga sull’origine del suo doppio. Pensa di essere impazzito, di essere vittima di una malia o di avere incontrato il proprio fantasma. A questo punto viene introdotto il tema della morte, spesso legato a quello del doppio. Anche in questo caso però, si riscontra una differenza fondamentale: nel Narciso, la morte è causata dall’impossibilità della coesistenza dei due Narcisi, mentre nell’Anfitrione la morte è vista come possibile causa del doppio e quindi Sosia la fugge spaventato ».(2). Narciso ha un rapporto con la propria copia - la sua immagine speculare - simile a quello che i nostri addotti, sovente, hanno con la loro parte animica. Mentre Sosia ha paura della sua copia, che vede come un nemico usurpatore della sua identità, Narciso vede nello specchio la sua anima e se ne innamora, ma nel modo sbagliato, percependone solo l’aspetto esteriore. Narciso vede la sua anima attraverso lo specchio dell’acqua, cioè attraverso il dialogo con Mente. La mente infatti è legata archetipicamente all’elemento acqua. Se “spirito” è legato al fuoco, “anima” lo è all’aria come “corpo” alla terra. Narciso si specchia nella propria mente e in essa cerca il dialogo con anima, ma ne vede solo l’aspetto esteriore, cioè virtuale e non quello reale ed immutabile. Narciso affoga nell’acqua e nei suoi pensieri alla ricerca di quello che non troverà mai dentro di sé, perché incapace di dialogare sia con anima, che con mente. Sosia vede un altro e ne ha paura. Ma chi è l’altro nascosto dentro le sembianze di Sosia? Nell’ “Anfitrione”, Plauto tratta il tema del doppio raccontando le movimentate avventure di Anfitrione e del suo schiavo Sosia. Tornati dalla guerra contro i Teleboi, Anfitrione e Sosia si trovano davanti due uomini perfettamente identici a loro. Giove infatti, innamoratosi di Alcmena, moglie di Anfitrione, per poterle stare accanto, assume le sembianze del condottiero, con la complicità del figlio Mercurio, che si trasforma in Sosia. Vi sono dunque gli Dei dietro le copie, secondo il mito, e se diamo ascolto a Jung, al mito bisogna credere fino in fondo. Gli Dei del mito sono gli alieni della realtà oggettiva di oggi.

MA IN IPNOSI…
In anni di pratica non mi era mai capitato di mettere in ipnosi una copia. Vi ero quasi riuscito anni fa, quando un soggetto, che doveva venire da me per un’ipnosi, non si presentò, e telefonò dicendo che stava male. Parlava con una voce non sua, priva di espressione e di emotività. Qualche giorno dopo capimmo che a telefonarmi non era stato l’originale ma la copia. Il soggetto vero non ricordava di avermi telefonato. Questo accadeva spesso con altri addotti, che si “dimenticavano” dell’appuntamento con me e, dopo qualche giorno, sembrava che si risvegliassero da una specie di torpore, ricordandosi dell’appuntamento. In quel periodo, notai che i soggetti addotti assumevano, talvolta, atteggiamenti differenti dalla loro personalità, ma non riuscivo a descrivere in modo completo tale fenomenologia. Solo di recente, in un paio di occasioni del tutto fortunose, ho potuto mettere in ipnosi una copia. Il soggetto in questione, che aveva ormai quasi risolto il problema adduttivo, era ancora perseguitato da militari e da una specie di alieno che noi identifichiamo come “Horus”. Sembra una specie di uccello, con tanto di becco, descritto in altri nostri articoli. Per quanto possa sembrare assurdo tutto ciò, ci trovavamo di fronte una situazione particolare. Il soggetto andava in ipnosi in modo differente dalle altre volte. L’ipnosi risultava più facile ma il soggetto manifestava movimenti inconsulti del corpo, come contrazioni muscolari, che non aveva mai manifestato in altre occasioni. Con l’ipnosi di quel pomeriggio volevamo verificare l’ultima volta che questi strani esseri avevano prelevato il soggetto, utilizzando una metodologia che, di solito, elimina il problema alieno alla radice. Questa tecnica consiste nel far regredire la parte inconscia animica fino all’inizio dei tempi. In questo modo è possibile mostrare alla parte animica, che acquisisce una visione più completa della vita del suo contenitore (il corpo), che è necessario cambiare atteggiamento, ovvero è necessario decidere se vuole ancora far esperienze con questi alieni oppure resistere all’adduzione. La resistenza, con la parte animica consenziente, permetterà all’addotto di non esserlo mai più. Anzi, per rifarci alla teoria di Bohm sulla fisica degli ologrammi, essa permetterà all’addotto di non esserlo mai stato. Avevamo sperimentato più volte questo metodo, con successo. In altri casi sembrava aver dato esiti positivi nella risoluzione definitiva del problema adduttivo. Quel giorno, la parte inconscia della “cosa”, regredì fino al suo primo ricordo di esistenza, ma quando arrivò il momento di rispondere alle domande di controllo, non fu in grado di farlo. Il soggetto non vedeva e non sentiva niente. Non aveva ricordi, e alla domanda «come ti chiami», rispose: «vuoi sapere la mia sigla?». Alla mia risposta affermativa, formulò un numero, preceduto da due lettere dell’alfabeto (ad es: aj127). Quando disse di voler tornare a casa chiesi quale fosse la sua casa. Il soggetto rispose che la sua casa era un armadio e che lui abita tra il aj126 a sinistra e il aj128 posto sulla sua destra! Gli chiesi se era maschio o femmina. Lui disse che lì c’erano solo femmine. Gli chiesi se c’era qualche modello superiore e lui disse di non saperlo, ma forse c’era. Gli chiesi chi gli dava gli ordini e lui rispose: «uno come te» (un umano, un militare, nda). Gli domandai della sua ultima missione, ma non la ricordava. Gli chiesi di fornirmi i suoi dati interni ma lui voleva una password. Cercai di fargli ricordare la password con un trucco ipnotico, ma lui risponde con la frase: «accesso vocale non riconosciuto». Durante quell’ipnosi accaddero altre cose che lo stato attuale delle nostre indagini non ci permette di svelare, ma che spero di rendere pubbliche il prima possibile. Al risveglio dall’ipnosi chiesi al soggetto se avesse il microchip dietro l’orecchio, nella forma del solito pallino di due millimetri posizionato all’attaccatura dell’orecchio esterno con la parete del cranio. Lui si toccò dietro l’orecchio ma non sentì niente. Domandai allora com’era andata la visita dal dentista. Il soggetto aveva una barra metallica dentro il palato, che il dentista aveva scoperto con una panoramica dentale. Nel tentativo di toglierla aveva rotto tre punte al vidia del trapano, e la barretta era rimasta lì. Il soggetto rispose di essere stato dal dentista il giorno prima, e che questi non gli aveva detto niente sulla sua barra metallica perché sembrava che non ci fosse più. In quella sede riuscii comunque ad introdurre un ordine post ipnotico all’interno della copia, ordinandole di telefonarmi non appena l’originale fosse rientrato, cosa che accade una settimana dopo. Il soggetto rientrato mi telefonò, e mostrò di avere al loro posto sia la pallina dietro l’orecchio che l’impianto palatale. Al termine dalla seduta ipnotica, il soggetto “copia” non ricordava nulla, e sembrava completamente stordito dall’ipnosi, cosa mai accaduta in precedenza. In quella sede non gli venne detto che era una copia. In circostanze successive ho notato che, pur avvertendo il soggetto della sua natura di copia, egli non reagisce emotivamente, e continua a giocare con le dita, in modo ripetitivo e distratto, come se parlassi di acqua distillata... L’originale non ricordava nemmeno di essere venuto da me per un’ipnosi. Tutto si svolse alla presenza di testimoni attendibili che hanno tenuto sotto controllo la copia, nel periodo in cui è rimasta nel nostro mondo.

NON È IL PRIMO CASO DOCUMENTATO
Il primo caso documentato di ipnosi di una copia è relativo alla vicenda del guardiano notturno di Genova, Fortunato Zanfretta. Nonostante questo caso sia, sotto molti aspetti, controverso, almeno nelle sue prime manifestazioni, a mio parere, è autentico. Col passare del tempo, tuttavia, eventi nella vita del testimone lo hanno reso inattendibile ai nostri occhi. Ma per quanto concerne la parte genuina, possiamo considerare Zanfretta il primo addotto italiano alle prese con la specie aliena che noi chiamiamo il Serpente. In tempi insospettabili, le descrizioni di Zanfretta si sono dimostrate identiche alle centinaia di descrizioni fatte dai nostri addotti in ipnosi e non. Il giornalista Rino Di Stefano ha raccolto i fatti salienti della storia di Zanfretta in un libro. Ecco cosa si legge in un passo dell’opera: «L’ultima scomparsa "ufficiale" di Zanfretta risale al 13 agosto 1980. Ma anche questa volta era talmente guardato a vista che non riuscì ad "incontrare" i suoi interlocutori. Interrogato in continuazione dal dottor Moretti, Zanfretta rispose in questo modo: Domanda con risposta negativa, Tixel. Ed inutile si rivelò ogni sforzo di andare oltre: la guardia giurata era ormai assolutamente fuori da ogni controllo ipnotico». (3) Alla luce delle conoscenze odierne siamo in grado di interpretare quella non risposta e il termine “Tixel”. Zanfretta non era l’originale ma una copia. Allora come oggi, nessuno è in grado di razionalizzare quel particolare comportamento che Zanfretta ha solo in quella determinata ipnosi, condotta dal Dottor Moretti, a Genova. Nessuno tranne noi che oggi, grazie ai numerosi dati ottenuti da centinaia di ipnosi, possiamo postulare un’ipotesi interpretativa. Le copie esistono veramente e vengono utilizzate da alieni e militari. Più andiamo avanti nel comprendere la fenomenologia delle adduzioni, più ci rendiamo conto che descrivere ciò che accade non è facile come un tempo. La fenomenologia è talmente complicata da renderci quasi impossibile, oggi, risultare credibili nel descriverla. Siamo tuttavia consapevoli che questo “non essere credibili” è anche la nostra ancora di salvezza. Nessuno farebbe fuori un pazzo che va in giro a raccontare tutte queste “fesserie”. E così noi continuiamo a vivere, ma di copie e di cloni, nell’ambito delle fenomenologie di adduzione, torneremo a parlare presto.

Note:
(1) www.violettanet.it/poesiealtro_autori/HILLMAN. Htm
(2) www.sperimentaleleonardo.it/itinerari/ipertestodoppio/ il_tema_del_doppio_nel_narciso. Htm
(3) www.nonapritequelportale.com/?q=node/ 186


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