JOHN MACK, LE UFO ABDUCTIONS E L'ESPERIENZA DI TRASFORMAZIONE
Budd Hopkins
Chi, meglio di Hopkins, poteva dirci tutto dell’indimenticabile professore che ha sfidato Harvard, per aiutare tante persone a superare una realtà così dolorosamente straordinaria?
In un recente intervento, Will Bueche del PEER (Program for Extraordinary Experience Research) ha sollevato alcune domande riguardo la mia visione della natura trasformativa delle esperienze di UFO abduction. Quanto sto per esporre è una spiegazione esaustiva della mia posizione, come anche un’opportunità per aggiungere alcune riflessioni personali sul mio amico e collega, il compianto John Mack. È risaputo nella comunità ufologica che il Dr. Mack, fondatore del PEER, aveva una visione alquanto diversa del fenomeno abduction rispetto alla mia. In parole povere, sono sempre stato del parere che gli occupanti degli UFO - gli abductors - stiano portando avanti un piano egoistico che ho illustrato in varie pubblicazioni, e che il loro comportamento non sembri né deliberatamente malevolo né benevolo. Nelle nostre molte conversazioni nel corso degli anni, era chiaro che John Mack preferisse credere che ci fosse un lato benevolo nel programma alieno. In una meno astratta differenza tra noi, io interpretavo la trasformazione positiva nelle vite degli addotti che entrambi conoscevamo e con cui lavoravamo, come unicamente dovuta a fattori umani, piuttosto che a qualche tipo di trasmissione spirituale da parte degli alieni. Mi sembra ovvio che, presi assieme, le risorse personali degli individui, l’amore e il sostegno delle loro famiglie ed amici, la sensibilità e abilità del terapeuta/ricercatore con cui lavoravano, siano gli agenti che provocano tali positive trasformazioni.
ESPLORANDO LE ESPERIENZE
Nella visione di John Mack, comunque, gli alieni avrebbero appositamente trasmesso a molti addotti un senso di profondo amore trans-personale, come anche un forte desiderio di impegnarsi per il miglioramento del nostro ecosistema minacciato. Se ciò fosse vero, sarebbe un esito felice a bilanciamento dell’inevitabile trauma delle abduction, ma sfortunatamente le prove indicano decisamente il contrario. Il primo e più negativo elemento è dato dai modelli di abduction rilevati in tanto tempo, che mostrano chiaramente che tali incontri hanno inizio nell’infanzia e continuano a intervalli irregolari nel corso dei decenni, per quanto non vi sia di fatto alcuna prova che gli addotti, durante la vita, siano più consapevoli da un punto di vista ambientale rispetto ai non-addotti. (Infatti, nei primi gruppi che coadiuvavo, restavo sempre deluso da quanti partecipanti fossero grandi fumatori o mostrassero segni di abuso di altre, insalubri sostanze). I fattori che sembravano, in seguito, suscitare sensibilità ecologica erano la completa esplorazione da parte dell’individuo delle esperienze di rapimento, spesso con l’utilizzo dell’ipnosi e, sfortunatamente, l’input ideologico del terapeuta/investigatore. Ad esempio, anni fa, John Mack mi informò di aver lavorato con tre addotti che si erano rivolti a lui in stato di infelicità, depressione e svolgevano lavori privi d’interesse. Aggiunse che, dopo tre mesi di aiuto nell’esplorazione delle loro esperienze di abduction, tutti e tre si erano convinti che gli alieni volessero sensibilizzarli ai temi ambientali. Con grande entusiasmo mi raccontò che tutti e tre avevano lasciato il loro lavoro e avevano trovato un nuovo impiego in ambiti importanti dal punto di vista ambientale. «Ma John – risposi - se gli alieni li hanno presi per venti o trent’anni e tutti e tre erano depressi e mantenevano i loro lavori senza prospettive, e tu li hai avuti per tre o quattro mesi e le loro vite sono cambiate in meglio, di chi è il merito?»
AGGRAPPARSI A INVISIBILI FATTORI ESTERNI
Il mio punto di vista riguardo la differenza fondamentale tra la visione di John di queste trasformazioni, in parole povere è la seguente: la sua era una visione alquanto mistica - alcuni potrebbero definirla addirittura “religiosa”, nel senso lato del termine - mentre la mia era la più tradizionalmente umanistica. Penso che le trasformazioni negli addotti che vorremmo constatare, scaturiscano da meccanismi puramente umani, senza benevoli interventi esterni da parte dei rapitori. Per arrivare al punto, propongo una semplice analogia. Supponiamo vi siano due negozi di hardware (ferramenta, N.d.R.) in concorrenza, nella stessa cittadina, quello di maggior successo di proprietà di un cristiano fondamentalista e quello di minor successo di proprietà di un onesto lavoratore buddista. Il cristiano è convinto che il suo negozio vada meglio perché il Dio Cristiano risponde alle sue preghiere e lo aiuta, mentre il Buddista è del tutto consapevole che il negozio del suo concorrente va meglio per tre ragioni molto terrene: gode di una posizione più centrale, di un più ampio parcheggio e di un migliore carico e scarico merci. È lapalissiano, spesso scegliamo di attribuire la cattiva e la buona sorte a “invisibili” fattori esterni, mentre dovrebbe essere ovvio che stiamo aggrappandoci ai nostri sistemi di pensiero, alla religione, o ad altro. Di conseguenza, se ci atteniamo all’esempio da me proposto, John Mack preferì ascrivere il successo del suo stesso lavoro e la crescita spirituale del suoi pazienti in gran parte all’intervento alieno esterno, a un “dono da altrove”, mentre avrebbe dovuto considerare una combinazione fra le sue innegabili capacità terapeutiche e le personalità, le risorse spirituali e le opportunità degli addotti con cui lavorava.
L’INGANNO DEGLI ALIENI
Un altro elemento inficia ulteriormente l’idea che gli alieni abbiano il merito di queste trasformazioni. Questo fattore straordinariamente importante non è altro che l’onnipresenza dell’inganno alieno: il metodico blocco delle memorie degli addotti, la creazione di screen memories (memorie schermo) - false immagini inculcate a forza negli innocenti soggetti in modo da occultare aspetti inquietanti delle abduction - e forse, peggio di tutti, ripetute affermazioni da parte degli alieni che «siamo i tuoi veri genitori, vieni dalle stelle, appartieni a noi», e via dicendo. Tutto questo dovrebbe mettere in guardia ognuno di noi dal credere automaticamente alle promesse degli alieni, dai proclami di “profondo amore spirituale”, o persino dalla semplice rassicurazione «non preoccuparti, non farà male». Ciononostante ci sono addotti che scelgono di fidarsi di queste lusinghe, una tendenza probabilmente imputabile alla nostra necessità umana di credere al meglio, oltre che all’efficace manipolare le emozioni umane dimostrato dagli alieni. Detto questo, ritengo che una tale serie di drammatici incontri personali, come le abduction, che a intermittenza accompagnano il soggetto per tutta la vita, ricordate consciamente o meno, causino inevitabilmente genuine trasformazioni nel procedere di qualsiasi esistenza, e a questo riguardo ho scritto ampiamente. Chiunque lavori con addotti - a partire da John Mack - è diventato anche consapevole di questo lato negativo delle esperienze: disordini post traumatici, depressione, scarsa autostima, elevati livelli di diffidenza, e altro ancora. In oltre trent’anni di esperienza lavorativa con molte centinaia di addotti, sono venuto a conoscenza di diversi tentativi di suicidio - alcuni riusciti - e di una serie di esaurimenti nervosi e ricoveri, nulla di tutto ciò rappresenta un fatto straordinario. Ma, come detto prima, una volta che gli addotti hanno cominciato a esplorare le proprie esperienze con terapeuti/ricercatori obiettivi e a interagire con altri addotti attraverso amicizia e partecipazione a gruppi di sostegno, spesso viene alla luce un lato positivo dei loro incontri. Molti sentono che, accanto ai traumi sofferti, le loro vite si sono in qualche modo ampliate, il loro senso di connessione con tutte le forme di vita si è acuito, e il loro rispetto per il nostro splendido e fragile pianeta si è risvegliato. Ancora una volta, però, la domanda fondamentale è se questi risultati positivi siano un deliberato dono degli alieni o semplicemente un aspetto dell’innata generosità e capacità di recupero dello spirito umano di fronte a esperienze straordinarie.
ADDOTTI E ASTRONAUTI
Mi sembra ovvio che per chiunque si trovasse temporaneamente trasportato dalla familiare sicurezza del proprio pianeta in un ambiente non terrestre, l’esperienza sarebbe necessariamente trasformativa da un punto di vista emotivo. Fortunatamente, abbiamo registrato una serie di reazioni a tali esperienze, in cui soggetti, nel tornare al proprio pianeta, esprimevano i loro sentimenti verso la bellezza della Terra e la sua situazione in pericolo e rinnovavano il proprio impegno verso i temi ambientalisti. Alcuni hanno eloquentemente descritto i cambiamenti spirituali e intellettuali ad ampio raggio che le proprie esperienze non terrestri hanno prodotto. Non sto parlando di addotti dagli UFO, mi riferisco agli astronauti della NASA, a uomini e donne che hanno volontariamente lasciato la prossimità della Terra, temporaneamente, rinunciando alla loro consueta autonomia per guardare indietro con tristezza e preoccupazione al nostro povero pianeta. Questi “addotti NASA” forniscono quello che uno scienziato sperimentale descriverebbe come un controllo, un modo di misurare le innate reazioni delle persone che si spingono lontano dalla familiarità della loro casa terrestre. Possono essere paragonati, in qualche modo, alle reazioni di coloro che sono stati sequestrati contro la propria volontà e temporaneamente portati via dagli occupanti degli UFO. Quindi, se qualcuno dovesse chiedere «Cosa potrebbe pensare l’essere umano medio dopo una simile esperienza», l’astronauta della NASA fornisce, almeno, una risposta parziale: un simile viaggiatore spaziale tornerà probabilmente più attento verso i temi ambientali e lo stato di salute in pericolo del pianeta, non a causa della trasmissione emotiva degli alieni, ma grazie alle insite speranze e preoccupazioni dell’essere umano. Alla luce di tutte queste motivazioni, mi sembra che la visione di John Mack degli alieni come benevoli rappresentanti di un arricchimento spirituale e di preoccupazioni ecologiste, per gli addotti costituisca essenzialmente materia di fede mistica, senza alcuna prova convincente a sostegno. Peggio, fornisce una sorta di rassicurante alibi per il prelievo da parte degli alieni di uomini, donne e bambini innocenti da sottoporre a una serie di fredde procedure traumatizzanti che apparentemente vanno a beneficio degli alieni, ma inevitabilmente causano profonde cicatrici emotive negli umani.
LE ASSURDITÀ DEI DEBUNKERS
Infine - la cosa forse più demoralizzante - questa “benevola” visione degli alieni manipolatori attribuisce loro risorse spirituali che di tutto diritto appartengono, in realtà, ai traumatizzati, persino eroici addotti. Ricordo una discussione che ebbi alcuni anni fa con la moglie di un addotto con cui John lavorava molto. Suo marito, spiegò, era letteralmente incantato dalla sua “famiglia aliena”, al punto da farla sentire scoraggiata e un po’ emarginata. Le chiesi se pensasse che la profonda relazione affettiva che suo marito affermava di avere con i suoi rapitori, la crescita spirituale e la sensibilizzazione ambientale che secondo lui essi avessero stimolato, fossero “doni” degli alieni, o se invece suo marito, di per sé, ne fosse la fonte. Con una scrollata di spalle disse di credere che tutto derivava dalla natura spirituale e fiduciosa del marito e che gli alieni, in realtà, non gli avevano dato niente. Anzi, pensava che lo stessero freddamente usando per i loro propositi. Da un’altra prospettiva, ai debunker piace affermare che alcuni o persino tutti gli addotti siano “felici” di avere queste esperienze, perché questa idea rappresenta un baluardo dell’idea scettica secondo la quale il fenomeno abduction non è niente più che un culto della New Age. Teorizzano che molte persone temono che “Dio sia morto”, così i debunker descrivono gli addotti semplicemente come un altro gruppo che ha dovuto inventare nuovi dèi - gli occupanti degli UFO - per dare un senso alle loro vite. Questo assurdo concetto ignora non solo le prove fisiche del fenomeno, ma anche l’enorme numero di addotti che, avendo sofferto traumi emotivi e fisici, nutre un profondo risentimento verso i rapitori. Sorprendentemente però, molti di questi stessi addotti traumatizzati sostengono, come ho accennato, che la loro consapevolezza spirituale è stata aumentata, oltre la sfera di consapevolezza dei non addotti e che non potrebbero immaginare di vivere senza queste esperienze di incontri alieni. Una breve riflessione ne spiega il perché. Sostituiamo, per un momento, l’esperienza della guerra a quella di abduction da UFO durante il corso di una vita. E immaginiamo anche due giovani amici cresciuti insieme, uno dei quali ha combattuto durante l’occupazione dell’Iraq e l’altro che lavora in un fast food a New York. Passa un anno, il reduce dall’Iraq torna a casa e riprende a frequentare il vecchio amico. Durante il servizio oltremare ha vissuto esperienze indicibili, ha visto eroismo e coraggio, morte e distruzione, intenso cameratismo e codardia, paura e sacrificio personale, mentre il suo amico lavorava da McDonald’s. C’è qualche dubbio su chi dei due sia cresciuto emotivamente e spiritualmente? Quale dei due sia davvero cambiato? Il veterano di guerra può sentirsi più vicino al suo vecchio amico di quanto si senta vicino agli uomini della sua compagnia, alcuni dei quali hanno rischiato la propria vita per salvarsi a vicenda? Gli addotti dagli UFO hanno conosciuto un mondo sconosciuto al resto di noi nei suoi orrori e nella sua magia, la sua grandiosità di espansione e il suo impotente dolore. Come gli astronauti della NASA, gli addotti si sono avventurati (involontariamente) fuori dal mondo conosciuto verso la vasta estraneità dell’Universo. Hanno incontrato e interagito con un’intelligenza aliena assolutamente sconosciuta, che ha il controllo di una tecnologia straordinariamente nuova. Come il reduce di guerra, gli addotti hanno dovuto affrontare una varietà immensa di emozioni, questioni emotive e spirituali, tanto trasformative nell’animo e indimenticabili che né il soldato di fanteria né l’addotto possono immaginare la propria vita senza.
LA PAURA DEL FUTURO
Alla fine, si arriva a un punto: se si chiede a qualcuno dei sopravvissuti da una violenta battaglia in Iraq se vorrebbero che i loro figli vivessero le stesse esperienze, pochi, forse nessuno, risponderebbero di sì. E nel mio lavoro decennale con gli addotti, non ho mai incontrato nessuno che mi abbia detto che avrebbe desiderato che i propri figli vivessero le medesime esperienze di abduction. Infatti, temono l’idea che i loro discendenti possano un giorno diventare addotti e soffrire come hanno sofferto loro. A mio avviso questo rappresenta un giudizio finale, non solo sulla “gloria” della “guerra”, ma anche sulla cosiddetta “natura benevola” delle abduction.
ALCUNE RIFLESSIONI PERSONALI SU JOHN MACK
La nostra amicizia cominciò nel 1990, e nel giro di poche settimane era diventata intima e immensamente gratificante per entrambi. Sebbene John vivesse nell’area di Boston e io a New York, ci tenevamo in stretto contatto, tramite lettere, telefonate e visite. Era uno degli uomini più carismatici che io abbia mai conosciuto, ed era impossibile resistere al suo fascino di persona positiva e ottimista. Per quanto fosse un bell’uomo, alto, slanciato ed elegante, camminava a piccoli passi, veloci e strascicati e con una postura lievemente curva, come se le preoccupazioni per i suoi pazienti addotti lo appesantissero inconsciamente. Pur trovando tali questioni sconvolgenti, non sembrava però disposto a lasciare che queste disturbassero il suo atteggiamento ottimistico e, infatti, il contagioso calore del suo sorriso è rimasto sempre uno dei suoi tratti più affascinanti. Tuttavia, chiunque lavori con gli addotti - John incluso - ha dovuto inventarsi dei modi per mantenere alto il proprio umore, perché il nostro lavoro ci fa assistere a molto dolore psichico. Per superare la giornata, il mio caro amico David Jacobs ricorre al creativo insegnamento della Soria Americana, al suo meraviglioso senso dell’umorismo e all’autoironia. Io trovo sollievo nella mia arte e facendo visita al Metropolitan Museum quasi settimanalmente, per bearmi tra i Cezanne e i Van Gogh. Diversamente da David e me, che siamo talvolta incapaci di rimuginare in compagnia, John è sempre stato determinatamente ottimista, dietro un sorriso quasi evasivo, anche se le sue spalle erano inarcate e la sua schiena dolorosamente curva. E mai, in mia presenza, mi è sembrato giù di morale, o non fiducioso sulle intenzioni degli alieni. La voce di John era meravigliosamente profonda e risonante, e sapeva usarla efficacemente nelle sue frequenti conferenze. Una voce calma e intelligente che aiutava a rendere le sue complesse presentazioni eloquenti e deduttive. Come inevitabili tic nervosi, ognuno di noi ha le sue parole ed espressioni preferite, e la sua era “ontologico”. Potevi essere certo che l’avrebbe pronunciata durante uno dei suoi discorsi, un indice di un certo livello di astrattismo nel suo modo di parlare.
LE DUE FACCE DELLA MEDAGLIA
Sorseggiando un caffè o un drink, John e io spesso discutevamo sul fatto che sebbene fossimo entrambi laureati all’Oberlin College (a distanza di due anni), i nostri anni college erano stati radicalmente diversi e lo stesso poi è accaduto nel nostro coinvolgimento con il fenomeno UFO. Diversamente da me, John, originario di New York, era cresciuto in un ambiente intellettualmente privilegiato in cui, spiegò, ateismo e freddo razionalismo scientifico prevalevano. Aveva frequentato la facoltà di Medicina, era diventato psichiatra, con una spiccata predilezione per gli insegnamenti di Freud. A Medicina, John, aveva ovviamente seguito diversi corsi scientifici, anche se, per un ortodosso come l’astronomo Carl Sagan, la psichiatria non fosse da qualificare tra le branche della scienza. Una volta, conversando con Sagan, accennai al fatto che diversi psichiatri di mia conoscenza si erano interessati al fenomeno abduction e avevano dovuto ammettere di non avere spiegazioni adeguate per i dettagliati e straordinariamente simili racconti degli addotti. Sagan rispose, con la sua voce alta, leggermente stridula e nasale, «Beh, uno scienziato direbbe… » a cui fece seguito una meccanica denigrazione dei metodi e degli standard di chi appartiene al campo della psicologia. Quindi, con una condiscendente ostentazione verbale, il famoso astronomo sembrò non solo aver scomunicato John Mack e tutti i suoi colleghi dalle aule della scienza, ma aver reso anche le loro opinioni sulle abduction prive di qualunque spessore. Nei primi anni, discutendo con John, cercai di fargli capire come la mia vita avesse preso una direzione praticamente opposta alla sua. A differenza dell’ambiente iper razionalista nel quale era cresciuto lui, la mia famiglia, molto borghese, repubblicana della middle-class, prestava ancora un po’ di attenzione alla fede protestante. Non una famiglia di gente pia, comunque, prova ne sia che in chiesa, da piccolo, ci andavo di tanto in tanto. Fino al college, crebbi sulla base di acritici princìpi conservatori, non solo sul piano politico, poi mi immersi sempre più avidamente nella lettura, per giungere a un mio livello di maturità etica e intellettuale. L’arte, non la scienza, è sempre stata il mio campo. Cominciai a dipingere, mi trasferii a New York nel 1953 e presi a lavorare e ad esporre. Spiegai a John che, come tutti i pittori astratti, vivevo la mia vita in un territorio magico dove tessuti e pigmenti, segni e tratti personali venivano trasformati in pura emozione, in un processo creativo che ha in sé più di un tratto mistico. E con lo svilupparsi della vita, John, gradualmente si allontanò dalle sue convenzionali radici scientifiche, iniziando a esplorare quelle che si potrebbero descrivere come più arcane, persino mistiche realtà. Diventò un seguace di Werner Erhard e del suo sistema di studi parapsicologici EST (Erhard Seminar Training) e sperimentò presto diversi metodi di espansione della coscienza, attraverso droghe allucinogene e le tecniche di respirazione profonda di Stanislof Grof. In seguito, nel 1990, quando ci incontrammo, lo introdussi alla complessità e la confusione del fenomeno abduction e la sua vita prese un’ulteriore, nuova direzione.
«LA MIA NUOVA ARTE»
Dal mio canto, dopo aver avuto un avvistamento UFO nel 1964 e aver cominciato a leggere a riguardo, mi resi conto che avevo bisogno di integrare un tipo di curiosità più scientifica alla mia normale... vita artistica. Poi, nel 1975, trovandomi a indagare su un caso di atterraggio UFO con occupanti, mi resi conto di essere divenuto, ipso facto, un inquirente part-time, che lavorava un po’ come un detective di polizia, sebbene il mio lavoro quotidiano fosse ancora immerso nella più eccitante atmosfera della creatività artistica. Poco tempo dopo, quando scoprii una quantità di resoconti di abduction e cominciai a esplorarli, dovetti completamente inventarmi una nuova serie di tecniche di indagine e di interviste. Qualche anno dopo essere stato introdotto all’argomento, John Mack cominciò a vedere meno il fenomeno abduction attraverso la fredda luce del giorno - come aveva fatto all’inizio - e più secondo le più confortanti lenti di un nuovo sistema di espansione spirituale. Mentre io, l’artista, raccoglievo foto di cicatrici e marchi a cucchiaio sugli addotti, e raccoglievo campioni di terreno per le analisi, John, lo scienziato, stava diventando sempre più interessato alle implicazioni filosofiche della realtà aliena e a una considerazione quasi mistica per le testimonianze. Dunque, in qualche modo sembrava che io e lui ci stessimo gradualmente scambiando l’un l’altro le originarie forme di pensiero. A quanto ne so, John non hai mai scattato una sola foto alle cicatrici degli addotti, né ha mai sottoposto un soggetto ad analisi scientifiche, considerando inutili, come ebbe a dichiarare, simili riscontri. Da parte mia, non ho mai interpellato una facoltà universitaria sulle implicazioni filosofiche dell’esistenza aliena o speculato ampiamente su ciò che questo possa significare per noi terrestri. Posso immaginare perché John non abbia mai voluto fare delle fotografie ai segni fisici sugli addotti: non gli piaceva che gli si ricordassero le ferite subite dagli addotti. Io, nel contempo, ero cosciente di non avere l’istruzione necessaria per ricorrere con cognizione alle complesse questioni ontologiche di cui John era solito parlare nelle maggiori università. Senza dubbio, comunque, una delle sue qualità più accattivanti era un tipo speciale di innocenza, una caratteristica che non si trova abitualmente tra i professori universitari ed esperti psichiatri. Accanto a John mi sentivo un po’ cinico, nel senso che la mia visione sull’innata affidabilità dei miei simili era sempre di qualche grado inferiore alla sua. E fu proprio la sua innocenza, sfruttata da una donna nel suo gruppo di sostegno, a causargli enormi difficoltà con le autorità di Harvard, restando vittima di uno spietato raggiro. Ma John aveva un’incrollabile fiducia e, dopo la crisi ad Harvard, accettò un invito per un incontro con lo CSICOP, il gruppo degli scettici di professione. A quanto pare, vi andò con l’ingenua idea di poter cambiare qualche mente ottusa, solo per scoprire che i trogloditi CSICOppini avevano portato con loro la stessa donna infida per lanciare un vile attacco contro di lui. Nei quasi quindici anni di nostra amicizia John non sembrò mai perdere né la sua innata, fiduciosa innocenza, né la sua ottimistica, cronicamente speranzosa forma mentale. Queste qualità, insieme, lo rendevano irresistibile, ed era adorato da moltissime persone. Un addotto che aveva lavorato sia con me che con John, una volta ammise di andare da John per sentirsi sollevato e ispirato, e da me per scoprire ciò che succedeva realmente durante le sue esperienze di abduction. A malincuore, mi sono reso conto che, sebbene possa fornire verità e accuratezza, non potrò mai offrire abbastanza sollievo o speranza per riuscire a soddisfare completamente questo bisogno dell’uomo.
I GRUPPI DI SOSTEGNO
Un ultimo esempio per chiarire le nostre diverse visioni sul fenomeno abduction. Nei primi anni ’90 mi trovavo a Boston e presi parte a uno dei gruppi di sostegno di John. Dal momento che il gruppo non poteva autogestirsi, alla riunione vi erano diversi membri del PEER. Proprio all’inizio, un’infelice donna di mezza età cominciò a parlare. Quello era il secondo gruppo di sostegno del PEER a cui partecipava, spiegò, e sperava che sarebbe stato migliore del primo. Aveva frequentato l’incontro con un senso di disperazione, come «una persona che annega mentre nuota verso una zattera», disse. Era venuta con molti problemi per i quali aveva bisogno di aiuto, ma invece di ricevere aiuto, ci disse, «tutto quello di cui tutti volevano discutere a quell’incontro erano le belle cose che gli alieni avevano fatto per loro» durante le prime settimane. «Gli alieni non hanno fatto niente di buono per me» affermò con una certa veemenza. «Per tutta la vita non mi hanno causato altro che un sacco di problemi». Ancor peggio, si era sentita disprezzata dagli altri durante il primo incontro e ne era uscita sconfortata, con tutti i suoi problemi ancora irrisolti. Ora voleva solo essere aiutata davvero. Ci raccontò che per lei era quasi impossibile andare dal medico per controlli di routine, perché aveva una terribile fobia dei tavoli da esame e gli ambienti medici sterili. Era sicura che queste paure fossero legate alle sue esperienze di abduction. Per via del suo palpabile senso di disperazione, suggerii di cominciare a fare il giro, affinché ognuno, a turno, potesse parlare delle proprie esperienze con medici, dentisti, ginecologi e così via. In questo modo, forse, qualcuno poteva avere qualcosa di utile e concreto da consigliarle, per affrontare le sue paure. Sorprendentemente, tutti tranne uno riferirono simili problemi di fobie mediche, ma nessuno aveva mai collegato quei rovinosi problemi di vita reale alle proprie esperienze di abduction. L’unica eccezione era una donna che disse, senza la minima ironia, di non aver mai avuto problemi con i dottori perché non ne aveva mai visto uno per più di vent’anni! Non aveva fiducia in loro e da tempo si era affidata ai guaritori alternativi, con i quali si sentiva a suo agio. Fu una serata per me edificante e si rivelò enormemente utile per ogni partecipante, in particolare per la signora che aveva dato inizio al tutto. (Fatto interessante, una volta condussi un gruppo di sostegno a Rio de Janeiro sullo stesso argomento e ottenni gli stessi risultati). Ma il punto a cui vorrei arrivare è che dedicare una seduta di un gruppo di sostegno a simili questioni “mondane”, quali le fobie mediche, non è né confortante né d’ispirazione - né filosoficamente rilevante - ma è, indiscutibilmente, efficace da un punto di vista terapeutico. Agli addotti dei miei gruppi di sostegno ho sempre cercato di evitare interminabili discussioni filosofiche e girotondi verbali, mentre mi sono concentrato sulle questioni più immediatamente psicologiche. E dunque, John Mack e io, amici e colleghi negli ultimi quindici anni della sua vita, abbiamo percorso sentieri separati, in un certo senso divergenti. Il suo era il più metafisico e fiducioso mentre il mio, credo, il più terreno e realistico. A ogni modo, nonostante le nostre opposte visioni del fenomeno UFO, sento terribilmente la sua mancanza, e trovo quasi impossibile credere che non lo rivedrò mai più… che qualcuno così reale, vivido, se ne sia andato. Le nostre opinioni discordanti, una volta tanto critiche, ora sembrano vicine, perché la vita, la vita umana, è molto più importante dell’interpretazione di intrusioni aliene che, comunque, non siamo in grado di impedire.