IL POLSO DELLA DEPRESSIONE
La depressione economica in atto è più grave di quella del 1929, è planetaria e globale e ricorda le grandi catastrofi naturali e le grandi carestie climatiche; tuttavia, diversamente da queste, la depressione è stata provocata dalle scelte dei governi in carica e dagli speculatori della finanza. Nel 2011 i debiti delle famiglie americane hanno raggiunto quasi i 12.000 miliardi di dollari, cioè il 90% del pil, mentre il debito complessivo, tra pubblico e privato, è stato pari al 237% del Pil; però senza considerare nel calcolo i derivati, che sono debiti del settore finanziario. In Italia il debito delle famiglie era pari a 503 miliardi di euro, pari al 30% del Pil; in Giappone il debito complessivo era pari al 571% del Pil, nel Regno Unito al 466%, in Spagna del 365%, in Francia del 323% e in Italia del 315%.
Per quanto riguarda il costo dei dipendenti pubblici, ai quali si addebitano in parte il deficit del bilancio dello stato e il debito pubblico, in Francia i dipendenti pubblici sono il 22% di quelli privati, in Italia il 15%, in Spagna il 13%, in Germania l’11% e in Grecia il 7,5%. Se però tra i dipendenti pubblici s’includono anche quelli delle imprese statali, in Francia raggiungono il 25%, in Grecia il 20%, in Italia e in Germania il 15%, in Spagna il 14%.
Dal 1975 in occidente è iniziata la crescita della finanza e si è progressivamente ridotta la produzione di beni; a causa di questo fatto, dal 1980 in Giappone la crescita è stata solo dello 0,52% annuo, dal 1995 in Europa l’incremento medio del Pil è stato pari allo 0,42%, mentre nell’area OCSE, compreso gli Usa, il Pil è diminuito del 5,8%; dal 2007 al 2010 il reddito del Regno Unito è diminuito del 20%, in Italia è diminuito del 3,1%, in Spagna del 2,4% e in Germania dell’1,3%, in Europa la diminuzione è stata complessivamente del 4,3%.
In Usa la disoccupazione è stimata dallo stato all’8,4%, però rilevazioni indipendenti la valutano al 22,7%, perché vi aggiungono quelli che rinunciano a cercare lavoro e i lavoratori part-time costretti; nel 1933, al culmine della crisi, il tasso di disoccupazione raggiunse il 25%. In Giappone nel 2010 la disoccupazione ufficiale è stata del 5,2%, perché colà si considerano occupati anche quelli che lavorano un’ora la settimana o una settimana il mese, ignorando quelli che rinunciano a cercare lavoro perché non lo trovano e i lavoratori part-time costretti, perciò, secondo alcune fonti, il tasso di disoccupazione reale potrebbe essere pari al 12,2%.
Nel 2009 il Giappone, per sostenere l’occupazione, ha ridotto l’orario di lavoro, diminuendo per conseguenza i salari; però, facendo la differenza tra persone in età di lavoro e lavoratori, il tasso di disoccupazione arriva al 25,5%. In Gran Bretagna la disoccupazione propagandata dallo stato è dell’8%, quella reale è del 21%; un dato simile all’Italia, dove non ci s’iscrive all’ufficio collocamento perché non si ricevono sussidi, per conseguenza, la disoccupazione ufficiale, rilevata dall’Istat, è sottostimata.
Con un’esatta rilevazione, in Spagna la disoccupazione raggiunge il 30%, in Germania il 15%, dove però esiste il record di lavori part-time e di lavoratori precari; in generale, in Europa il tasso effettivo di disoccupazione supera il 15%; tasso destinato a crescere con le riforme in cantiere e con il blocco del turnover derivante dalle riforme delle pensioni; quasi sempre, i nuovi lavoratori non sono inquadrati conformemente alla loro specializzazione o al loro titolo di studio, gli italiani, a causa delle tasse, hanno i salari più bassi dell’Europa occidentale.
In Europa la quota di reddito nazionale destinata al salario è decresciuta dal 1977, in Usa ed Europa dal 1980 diminuiscono gli investimenti in capitale fisso in rapporto al Pil; nel 2009 in Germania questi investimenti sono diminuiti del 17,2% rispetto al Pil, in Giappone del 21,2%. Dal 1967 al 2009 in Usa l’utilizzo della capacità produttiva ha subito un declino costante, riscontrabile dalla diminuzione nel consumo di energia elettrica; questo dato è comune ai paesi industrializzati, eccetto la Germania.
Quando la capacità produttiva è sottoutilizzata e un paese non cresce, non aumentano gli investimenti nell’innovazione tecnologica; però in Usa dal 1987 la produttività del lavoro è aumentata, ma non a causa del capitale investito, ma per maggiore sfruttamento della forza lavoro. In generale, negli altri paesi gli incrementi di produttività, sempre richiesti dai governi ai lavoratori, sono poco importanti.
Gli economisti di corte hanno dimenticato, non solo che la produzione dipende dalla domanda, ma che esiste un alto indice di correlazione tra alta produttività, alto valore aggiunto aziendale, alti salari e alti investimenti statali e aziendali; i paesi poveri o decadenti hanno bassi salari e bassa produttività, se valutata in termini monetari, anche perché producono beni a basso valore aggiunto e che richiedono pochi investimenti.
Tra il 2010 e il 2011 in Usa i prezzi sono aumentati del 5.8%, in Grecia del 5,2% e in Gran Bretagna del 3,7%, però l’inflazione media ufficiale europea, rilevata dall’Eurostat, è stata pari al 2,7%, fornita, come al solito, per contrastare gli aumenti salariali; l’inflazione è dovuta all’aumento di tasse indirette, energia, tariffe, grano e materie prime, per queste ultime grazie alle speculazioni delle piazze finanziarie di Chicago e Londra.
Dal 2000 al 2008 gli aumenti dei prezzi delle materie prime sono stati notevolissimi e l’aumento dei generi alimentari ha gettato nella povertà milioni di persone. Nel 2008 in Russia la produzione industriale è diminuita del 19%, nel 2009 la produttività è diminuita dell’8,2%, nel 2010 la disoccupazione è aumentata del 9,3%; dal 2006 al 2010 nelle sue industrie c’è stato un taglio nell’occupazione del 16,9%; ciò malgrado, nel 2010 il tasso ufficiale di disoccupazione dichiarato è stato del 7,5%.
Le statistiche americane taroccate favoriscono la speculazione, sostenendo le quotazioni dei titoli di borsa americani, perciò segnalano spesso aumenti di occupazione in Usa; tuttavia, nell’ultimo periodo hanno perso lavoro 1,2 milioni di americani, mentre i disoccupati arrivano al 20% e i lavoratori sottopagati ammontano al 20% della forza di lavoro; cifre simili esistono anche in Europa, a patto che non si guardi alle statistiche ufficiali. Nel 2011 i poveri di Germania sono arrivati al 15%, negli altri paesi europei arrivano al 20%, intanto i governi, per far ripartire l’economia, progettano tagli allo stato sociale e alle pensioni.
L’economia perversa e usuraia di mercato è nata da questi presupposti: prima nacquero le di società di capitali a responsabilità limitata, poi finanziarie, paradisi fiscali, banche centrali private che emettevano banconote, arricchendosi in signoraggio, mentre le banche ordinarie partecipanti si arricchivano in interesse sui debiti; in questo quadro, il sistema della Banca Centrale Europea è il più sfacciato, perché con esso gli stati non si possono indebitare presso la BCE, che presta alle banche che prestano a loro volta agli stati, guadagnando interessi; insomma, mentre in Usa lo stato si può finanziare all’1%, in Europa si finanzia al 5%; non è un caso che Mario Draghi, Mario Monti e Papademos sono uomini della Goldman Sachs americana.
La ricetta di risanamento del salvatore d’Italia, Mario Monti, può portare l’Italia solo al default o fallimento o, nel caso migliore, alla recessione; secondo Sergio di Cori Modigliani, l’8.1.2012 Mario Monti è andato a Londra, dove si è incontrato con il governatore della banca d’Inghilterra, con il responsabile di Goldman Sachs per l’Europa e con alcuni massoni inglesi, ai quali ha promesso le privatizzazioni italiane, l’ingresso di banche italiane, meno esposte di quelle estere, in fondi a rischio, il controllo di Unicredit da parte di finanzieri arabi che investono a Londra e il controllo di Banca Intesa da parte di un gruppo finanziario anglo-tedesco.
L’accordo prevedeva che le banche italiane avrebbero ottenuto soldi a credito agevolato dalla BCE, da impiegare in parte nell’acquisto di BTP italiani e in parte in derivati suggeriti dagli inglesi; l’Italia è uno stato semisovrano che ha perso la seconda guerra mondiale e la borsa di Londra controlla quella italiana. Per siglare il patto, Monti offrì in garanzia le riserve auree italiane, in cambio, gli inglesi s’impegnavano a ridurre gli spread tra bund e BTP, da 420 a 195 punti, a riprova che questi spread sono influenzati dalla speculazione.
Finita l’infatuazione per Monti da parte di Europa, America e gran parte degli italiani, ma non da parte di Napolitano, Casini e Bersani, forse a causa dei ritardi nelle riforme richieste dai mercati, lo spread ha ripreso a salire. Per andare incontro alle richieste d’inglesi ed Europa, il governo ha previsto di inserire il pareggio di bilancio in costituzione, riformando però in modo ambiguo l’articolo 81.
Bisogna tenere anche conto che in Italia la costituzione, sempre osannata dalla politica, è regolarmente baipassata da leggi ordinarie, promulgate da presidenti della repubblica che, così facendo, attentano alla costituzione. Dopo la riforma delle pensioni e l’aumento delle tasse, il pareggio di bilancio costringe alle privatizzazioni alla riduzione dello stato sociale; però le altre riforme per il risanamento dell’economia, attese da Monti, non arriveranno e invece ritorneranno i vecchi partiti, anche se con nomi diversi, ci saranno la riforma elettorale e la riduzione delle spese della politica.
La crisi economica iniziò prima del crollo di Lehman Brothers, a causa dei debiti e dei deficit pubblici e privati di Usa e Inghilterra, che tengono le fila della finanza internazionale e volevano curarsi a spese dell’Europa; in Usa, il debito privato era stato favorito per sostenere la domanda e favorire l’occupazione, mentre i derivati erano nati per finanziare i debiti pubblici americani; in entrambi i casi, i manager delle banche implicate erano appoggiati tacitamente dal governo americano.
Nel 2008 con la crisi, per rilanciare i consumi, si sono tolti i vincoli a credito e finanza, come quelli che avevano separato le banche commerciali da quelle d’affari e quelle che obbligavano le banche a detenere delle riserve di liquidità in garanzia; con la crisi delle banche, scaturite dalle insolvenze dei loro debitori, gli stati le hanno finanziate a fondo perduto e con lo strumento dell’aumento della liquidità monetaria.
Secondo un rapporto della Banca d’Inghilterra del 2009, questo salvataggio è costato a Usa ed Europa 14.000 miliardi di dollari, pari al Pil Usa, naturalmente a carico dei lavoratori; ora, dopo aver dimenticato Keynes, con l’austerità si vorrebbe combattere la recessione, dando contemporaneamente massima libertà ai mercati e minimo ruolo dello stato nell’economia; prevedendo riduzioni di prestazioni sociali e pensionistiche, privatizzazioni di grandi imprese e d’imprese municipalizzate, naturalmente a prezzi stracciati, per favorire la speculazione, aiutata dalla stessa crisi che svaluta le imprese da privatizzare.
Si spera che la vittoria di Hollande in Francia possa portare a una revisione del trattato di Maastricht e all’abolizione del fiscal compact, che ha peggiorato il vecchio patto di stabilità, imponendo il pareggio di bilancio ai paesi. Nel marzo del 2001 il Consiglio d’Europa ha reso più gravoso il patto di stabilità, accettato dal governo Berlusconi, che avrebbe dovuto porre il veto perché il fiscal compact contiene norme che colpiscono soprattutto l’Italia; infatti, impone all’Italia, oltre il pareggio di bilancio, di ridurre del 5% l’anno il debito pubblico italiano, fino a portarlo al 60% del reddito nazionale.
Intanto però il debito pubblico degli altri paesi, per salvare le loro banche travolte dai derivati e dalle insolvenze, superava quel livello, perciò la richiesta era iniqua e discriminatoria, da applicare solo alle colonie e agli stati sconfitti o semisovrani; per spingere il governo a questa politica, da aprile 2011, sotto il governo Berlusconi, i mercati facevano salire lo spread tra bund e BTP da 120 a 530 punti, all’inizio del 2012, cioè sotto il governo Monti.
Se quel vincolo non sarà abolito, sarà distrutto il poco di Welfare che c’è in Italia, gli investimenti in infrastrutture, che creano occupazione, non si faranno e sarà depressa la crescita; al momento dell’accordo, il debito complessivo italiano, tra pubblico e privato, era minore che negli altri paesi. Oggi in occidente aumenta la concentrazione della ricchezza e aumenta la povertà, dallo stato non si vuole il controllo dell’economia, le misure di Monti, invece di contrastare la crisi, la peggioreranno; occorrerebbe denunciare il fiscal compact, regolamentare mercato, finanza, società di capitali, movimenti di capitale, fare una politica fiscale dei redditi e abolire i paradisi fiscali.
Nunzio Miccoli
http://www.viruslibertario.it; numicco@tin.itFonti:
- Antonio Pagliarone: “La più grande depressione della storia”,
- Lameduck: “Fail Monty”,
- Vladimiro Giacchè: “Titanic Europa”.