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 Oggetto del messaggio: Le tappe obbligate del governo Monti
MessaggioInviato: 08/04/2012, 09:42 
LE TAPPE OBBLIGATE DEL GOVERNO MONTI

In Argentina è stato approvato il nuovo regolamento della Banca centrale che, come vuole anche la Federal Reserve americana, non mira solo a salvaguardare il valore della moneta, ma serve anche a promuovere sviluppo, occupazione e stabilità finanziaria; perciò, diversamente dall’Europa occidentale, Argentina e Sudamerica sono in forte sviluppo, in precedenza, la parità forzata dollaro-peso, senza possibilità di salutazione, aveva determinato la crisi del 2001.

Invece la Banca Centrale Europea, con il trattato di Maastricht e il fiscal compact, mira soprattutto alla stabilità monetaria e alla lotta all’inflazione, il che sta portando alla recessione; l’America Latina si sta riprendendo, fa accordi economici al suo interno e sta conoscendo una nuova stagione keynesiana. Anche gli Usa, nel tentativo di uscire dalla crisi, aiutano l’economia con tasse più basse, maggiori emissioni monetarie, credito alle imprese, lavori pubblici e fanno di tutto per attirare investimenti dall’estero, anche di provenienza mafiosa; la Federal Reserve cerca di contrastare la depressione, stimolando domanda, investimenti e occupazione.

L’America Latina ha adottato come moneta di conto il "sucre", utilizzata per gli scambi commerciali tra paesi aderenti e adottata da Venezuela, Cuba, Ecuador e Bolivia e Nicaragua; i regolamenti tra banche centrali sono fatti in sucre, si punta anche all’equilibrio tra esportazioni e importazioni. Invece in Europa e in Usa il deficit valutario e quello di bilancio è servito a creare liquidità e ad alimentare i debiti verso l’estero.

Greg Smith ex dirigente della banca d’investimento o d’affari, cioè speculativa, Goldman Sachs, che ha sponsorizzato i primi ministri Romano Prodi e Mario Monti, e il governatore della Banca d’Italia e poi della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, afferma che Goldman Sachs è alla deriva criminale, perché non cura l’interesse dei clienti ma, approfittando della crisi, mira solo a massimizzare i suoi profitti, concentrando la ricchezza e restringendo il credito.

Per gli stati e per le banche, che sono la stessa cosa, la crisi sono cicliche, necessarie e alimentate artificialmente, con le tasse e con la restrizione del credito; perché l’inflazione e le insolvenze servono ad azzerare i debiti, che schiacciano l’economia, e a ridurre il costo del lavoro; poi, dopo aver falcidiato il risparmio delle famiglie, come avviene dopo le grandi guerre, che sono pure occasione di grandi guadagni, si riparte da zero. Le banche sanno quando devono favorire la crescita e concedere credito e quando, dopo aver ricevuto gli aiuti dello stato, per favorire austerità e privatizzazioni, devono restringere il credito.

Il fiscal compact e il pareggio di bilancio inseriti nella costituzione europea serviranno anche a ridurre i diritti, condannando lo stato sociale all’estinzione; il fiscal combat, sottoscritto come un trattato internazionale, dopo aver tolto la sovranità monetaria agli stati, che è un grosso business, toglie a essi anche la sovranità fiscale, cioè toglie complessivamente la sovranità finanziaria degli stati. Con questa politica, la sovranità degli stati è devoluta ai procuratori o agenti dei mercati, come Monti, aiutati dalla crisi dei partiti italiani e dall’incapacità dello stato italiano a riformarsi.

Saggiamente, la repubblica Ceca non ha aderito a questo progetto e in Francia il socialista Hollande è contrario; con questo accordo, il controllo sui bilanci degli stati è affidato alla commissione europea e alla corte di giustizia europea, che prevede sanzioni per gli stati che violano il trattato. Monti ha dichiarato che non può aumentare l’Irpef sui redditi più alti, per non provocare una fuga di capitali, con spostamento di produzioni da un paese all’altro.

Però è proprio ciò che sta avvenendo in Europa e nel mondo e l’Europa non ha voluto un’armonizzazione fiscale che avrebbe impedito ciò, ma ha alimentato il dumping fiscale tra paesi aderenti; in Europa il dumping fiscale è la norma, l’Europa non cerca nemmeno di contrastare il dumping commerciale dei paesi terzi, caratterizzati da diversa pressione fiscale, diversi costi di produzioni e diversi prezzi; perciò le imprese si spostano verso i paesi emergenti e di protezionismo non si può parlare perché i produttori europei, associati alle banche, producono a basso costo nel terzo mondo e vedono in Europa.

I paesi votati allo sviluppo cercano di prevenire di debito estero e di avere l’equilibrio dei conti esteri, perseguendo l’industrializzazione, l’autosufficienza alimentare e quella energetica, grazie anche alle energie alternative; gli stati, tenendo le imprese in patria, salvaguardano l’occupazione. Il liberismo speculativo e la globalizzazione stanno indebolendo l’occidente ma stanno riempiendo le tasche di capitalisti occidentali che producono nel terzo mondo.

I costi di produzione non si abbassano solo agendo sul costo del lavoro, ma anche su tasse, energia e costo dei manager, che operano solo a difesa dei profitti, a danno della collettività, dei lavoratori e dell’occupazione. I nostri governi non sono stati capaci di valorizzare la nostra industria, la nostra agricoltura e di valorizzare il nostro turismo; mentre sulla carta l’Italia avrebbe grandi possibilità, ma da trenta anni, come una colonia, è stata soffocata da annuali manovre di bilancio.

Il governo Monti ha aumentato le imposte ai lavoratori, ha aumentato Irpef, Iva e accise sui carburanti, però ha ridotto l’Ires alle grandi imprese e ha introdotto l’imposta patrimoniale Imu sulla casa. Il fatto è che in Italia esistono 33 milioni di alloggi, pagati con il sudore della fronte, ma che fanno venire l’acquolina in bocca al fisco; oggi l’Italia è il paese che sopporta la pressione fiscale più alta nel mondo.

La crisi del debito, spesso alimentata ad arte, è fatta pagare a chi ha sempre pagato, a vantaggio di chi ha fatto grandi profitti o ha speculato; la controriforma del mercato del lavoro di Monti favorisce i licenziamenti, aumenta la precarietà, riduce gli ammortizzatori sociali come la cassa integrazione e riduce il costo del lavoro, a vantaggio dei profitti. L’aumento dell’età pensionabile a 67 anni ha portato l’Italia ad aver l’età pensionabile più alta d’Europa.

Per alcuni la reintegrazione individuale nel posto di lavoro, ex articolo 18, sarebbe un’anomalia nazionale, l’illegittimo licenziamento trovava sanzione con un risarcimento e la reintegrazione nel posto di lavoro da parte del giudice, però le aziende grandi preferiscono pagare senza reintegro, mentre le piccole aziende sarebbero in difficoltà anche con il risarcimento. La legge consente il licenziamento collettivo per motivi economici, mentre il licenziamento individuale dovrebbe essere giustificato, però non è l’articolo 18 che definisce quando il licenziamento individuale è giustificato e quando il licenziamento collettivo è valido, ma impone solo il reintegro del lavoratore illegittimamente licenziato.

I licenziamenti collettivi, per ragioni produttive, si fanno, invece i licenziamenti individuali sono solo disciplinari e sindacabili dal giudice; l’eliminazione dell’articolo favorirebbe maggiore flessibilità in uscita, come in altri paesi, però il reintegro esiste anche in altri paesi. L’articolo serve a combattere abusi e licenziamenti illegittimi e prevede la reintegrazione, perciò non è un feticcio.

L’attacco all’art.18 dello Statuto dei lavoratori, che riguarda le aziende al disopra dei 15 dipendenti, mira a eliminare i licenziamenti individuali senza giusta causa, cioè per motivi disciplinari o politici, negando il diritto al reintegro nel posto di lavoro, ma prevedendo un indennizzo, con intervento di conciliazione da parte del sindacato. Il governo mira anche a modificare la legge 223/91, per snellire le procedure di licenziamento collettivo dovute e ristrutturazioni e crisi, con richiesta di mobilità che coinvolge il sindacato.

Per quando riguarda i contratti di lavoro precari, con il governo Monti, saranno mantenuti i contratti a termine, quelli a progetto e quelli di formazione; però l’apprendistato fino a tre anni consente di risparmiare sul costo del lavoro e l’apprendista non gode degli ammortizzatori sociali per la disoccupazione. Finito l’apprendistato, il lavoratore può essere licenziato o assunto a tempo determinato o a progetto, senza garanzia dell’art.18, né di assunzione finale, e il datore di lavoro può licenziarlo senza obbligo di motivazione.

Rimarrà solo la cassa integrazione ordinaria per contrazione di mercato e sarà abolita quella straordinaria per ristrutturazioni; questa seconda sarà sostituita da un sussidio di disoccupazione che il ministro Fornero vorrebbe estendere a tutti i lavoratori; però, di questi tempi, quando si tratta di diritti per i lavoratori, occorre essere pessimisti e scettici. La cassa integrazione prevedeva la possibilità di reintegro, il sussidio no, la prima arrivava all’80% del salario, il secondo arriva al 60%.

Oggi il costo del lavoro italiano è inferiore alla media dell’eurozona, in teoria, maggiore precarietà e minore costo del lavoro dovrebbero portare a maggiore occupazione, ma fino ad oggi ciò non è avvenuto, mentre è diminuita la produttività del lavoro, che però dipende da valore aggiunto aziendale, alti salari e investimento in capitale. In Italia la controriforma delle pensioni è passata senza reazioni da parte del sindacato, il che è strano perché, bloccando il turnover, aumenta la disoccupazione.

A causa della remissività di partiti e sindacati, il governo, di fronte alle resistenze di CGIL e Fiom, relativamente alla riforma del mercato del lavoro, ha minacciato di procedere anche senza l’assenso del sindacato; fino a che è sostenuto da Alfano, Bersani, Casini e Napolitano, agenti o procuratori dei mercati, lo può fare. Non ci facciamo illusioni, nella moderna democrazia le grandi decisioni politiche ed economiche si prendono senza consultare i rappresentanti del popolo.

Oggi, come avviene negli eserciti, la politica si regge sulla catena di comando e sulla disciplina di partito, ieri sul centralismo democratico della DC, sullo stalinismo del PCI e sull’unità della chiesa; le scelte dell’Europa hanno minato la sovranità degli stati, quella dei parlamenti e la sovranità popolare e oggi, con la globalizzazione, la sovranità economica e l’indipendenza economica sono più difficili da raggiungere di quella politica.

L’Economia mondiale, le relative crisi e gli squilibri sono anche influenzati dallo sviluppo ineguale dei paesi, dalle differenze normative e dai differenti costi di produzione; in occidente gli stati rinunciano a intervenire in campo economico, non fanno grandi infrastrutture e le fanno realizzare dai privati in concessione, il che è occasione di altri profitti; però ci si chiede perché paghiamo tante imposte, ma sappiamo che lo stato usa i soldi dell’Inps per fare cassa.

L’onnipotenza dei mercati finanziari fa si che oggi siamo governati da un’élite finanziaria cosmopolita e irresponsabile, con convergenza d’interessi tra multinazionali e banche, tra loro in osmosi. Anche se in Italia la statalizzazione delle imprese era servita ad arricchire i partiti che le controllavano, in generale, chi controlla lo stato, controlla le sue imprese e s’ingrassa; però il neomercantilismo non si contenta, perciò ha richiesto la restrizione dei diritti sociali e delle garanzie dei lavoratori.

L’èlite può possedere le imprese tramite finanziarie, cioè in economia di mercato, o le può possedere indirettamente, possedendo lo stato; lo scopo è sempre l’anonimato, l’irresponsabilità e l’elusione fiscale. Oggi Mario Monti ha un consenso, non disinteressato, d’informazione ed economisti di corte e gode di una superesposizione mediatica, mentre avevano liberamente accusato Berlusconi di controllare tutta l’informazione e non era vero.

Certa informazione, che alimenta la propaganda del capitale, della chiesa o di stato, fa sentire il cittadino colpevole quando non richiede lo scontrino o la ricevuta fiscale, però lo stato è un grande buco nero che ingoia risorse e dà poco; lo scopo di questa informazione, nella logica corporativa, interclassista o dell’unità della chiesa, è quello di cancellare il lavoro come diritto e di mettere d’accordo padroni e lavoratori.

Perciò si afferma che il lavoro fisso è alienante, che non esiste conflitto tra lavoratore e padrone, ma quello tra lavoratore fisso e lavoratore precario, tra lavoratore e pensionato, tra giovani e vecchi, tra lavoratore privato e lavoratore statale; si vuole aumentare la produttività non con gli investimenti, ma togliendo dalla testa il concetto di sfruttamento dei lavoratori. C’è chi dice che il progresso è dialettico e deriva dai contrasti tra diversi centri d’interesse e chi afferma che bisogna procedere uniti e in armonia, ad esempio, l’asino che tira il carretto deve sentirsi unito e non in contrasto con il suo padrone che è sul carretto.

In Italia ci sono poche società quotate in borsa, gli investimenti produttivi non si fanno, cresce la finanza e si spostano gli impianti produttivi all’estero, le manovre fiscali colpiscono salari e pensioni. Le privatizzazioni non ridurranno i prezzi di acqua, luce e gas, ma daranno fiato alla borsa, riducendo di poco il debito pubblico, con le svendite di imprese pubbliche e beni pubblici a favore di amici; questo scenario lo abbiamo già visto con la privatizzazione del 1990.

Anche la privatizzazione del 1990 fu spinta dall’Europa, nel 2007 le società privatizzate rappresentavano il 59% della capitalizzazione di borsa; in Inghilterra l’operazione era stata già fatta tra il 1979 e il 1991, anche con lo scopo di favorire l’azionariato popolare. In Italia fino agli inizi degli anni 1990 il risparmio privato serviva soprattutto a finanziare il debito pubblico, allora interamente posseduto dagli italiani; dal 1990 al 2007 esplose la borsa, perciò nel 2007 i titoli pubblici posseduti da privati italiani erano il 15%, quelli posseduti da istituzioni finanziarie italiane il 33% e quelli posseduti da istituzioni finanziarie straniere il 52%, tra gli stranieri era incluso anche il Vaticano.

Era stato distrutto il risparmio prudenziale degli italiani, a vantaggio della borsa, che è una bisca che distrugge il risparmio delle famiglie, con i cattivi uffici della Consob, però la mitologia continuava a diffondere la falsa voce di Italia paese di risparmiatori. Fortuna che gli italiani non hanno creduto agli economisti di corte che avevano detto che era sbagliato possedere la casa, invece di prenderla in affitto, perché questo fatto scoraggiava la mobilità del lavoro.

Però con gli immobili gli italiani hanno salvato parte del risparmio, adesso il governo, mai sazio, tassa questi immobili; in Italia, grazie alle privatizzazioni, esplose il mercato azionario, poi ridimensionato con la crisi, con conseguenti perdite dei risparmiatori; poi sarebbe avvenuta l’esplosione dei derivati, mentre l’economia manifatturiera chiudeva o si trasferiva all’estero. Oggi, per superare la crisi, si propone di abbassare i salari, aumentare le tasse ai lavoratori e allungare l’età della pensione.

Le privatizzazioni italiane hanno favorito consorzi privati di controllo delle società, perciò al monopolio pubblico è subentrato quello privato, mentre l’azionariato popolare delle public company non si è diffuso; i piccoli azionisti, predestinati al massacro, sono chiamati “parco buoi” dalle banche. La corte dei conti ha anche insinuato che la vendita ai grandi privati delle aziende nel 1990 sia stata fatta a prezzi molto bassi, aggiungiamo noi, con inevitabili tangenti ai politici.

Le aziende pubbliche furono svendute, la privatizzazione di utilities e banche non abbassarono il costo del servizio alla clientela, rimasto più alto che negli altri paesi europei; perciò l’aumento dei profitti delle aziende coinvolte derivò solo dall’aumento delle tariffe e non dalla riduzione dei costi o dall’aumento dell’efficienza; per chi lavora in regime di monopolio è anche facile aumentare le tariffe.

Con le privatizzazioni hanno fatto affari anche le banche d’intermediazione, tra loro erano Goldman Sachs e Istituto San Paolo, le entrate delle privatizzazioni fecero diminuire il debito pubblico di 132 miliardi di lire, che poi ha ripreso a correre velocemente. I governi tecnici non dovrebbero mai agire come si agì per le privatizzazioni del 1990, però Monti insegna che non esistono tecnici indipendenti, illuminati e con sensibilità sociale.

Le norme permettono che le aziende pubbliche o private possano mantenere l’indebitamento al massimo, in tal modo risparmiano tasse, contengono il costo del lavoro, ricevono aiuti dallo stato e, grazia al rapporto organico con le banche, ricevono credito illimitato, mentre in borsa fanno man bassa del risparmio delle famiglie; per certe imprese, il finanziamento di borsa è stato un reddito e non la partecipazione popolare al capitale. I manager sono super pagati, discreti e obbedienti, sono fedeli ai padroni anonimi e si portano i segreti nella tomba, devono essere cloni dei padroni non devono avere a cuore i lavoratori o fare un servizio pubblico.

In questi giorni il Consiglio d’Europa ha approntato il MES o Meccanismo Europeo di Stabilità che deve essere ratificato dai parlamenti nazionali, senza dibattito pubblico e senza adeguata informazione; il MES dovrebbe essere un fondo di solidarietà o Fondo Salvastati, dovrebbe avere una dotazione di 700 miliardi di euro, dei quali 80 miliardi vanno versati dagli stati in 5 anni, mentre il resto sarebbe versato in seguito, secondo le necessità.

Questo capitale servirà come garanzia per ottenere prestiti dai mercati finanziari, cioè da banche europee e internazionali e dal Fondo Monetario Internazionale, il denaro sarebbe poi prestato agli stati indebitati e in difficoltà. La quota dell’Italia sarebbe di 126 miliardi di euro e, secondo il trattato, governo e parlamento non ne potrebbero controllare o sindacare l’utilizzo; a causa di questo ulteriore esborso, si costringerebbe il governo Monti a proseguire nei piani di austerità.

Naturalmente gli interessi di finanziamento dipenderebbero sempre dalle valutazioni delle famigerate agenzie di rating, ricordando che oggi anche il Fondo Europeo EFSF ha perso la tripla A; perciò il Fondo Salvastati MES potrebbe tradursi in un atro regalo alle banche europee, che prendono denaro in prestito all’1% dalla BCE; un’ulteriore onere per paesi bisognosi di credito deriverebbe dal fatto che il MES presterebbe agli stati in difficoltà a tassi maggiori di quelli ottenuti dai mercati finanziatori; sono tanti i miracoli della finanza, che moltiplica i pani, ma solo per alcuni.

Nunzio Miccoli http://www.viruslibertario.it; numicco@tin.it.


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