IN ATTESA CHE FINISCA LA CRISI
La tassa sulle transazioni finanziarie, approvata recentemente da parlamento e commissione europea, oltre a costituire un’altra entrata fiscale, che si aggiungerebbe alle altre, senza prevedere l’eliminazione di altre imposte, dovrebbe avere il merito di contrastare le speculazioni sui mercati finanziari; il relativo gettito di 55 miliardi di euro annui, dovrebbe servire ad aiutare lo sviluppo, uso il condizionale perché le promesse degli stati e della politica raramente coincidono con i fatti.
Questa tassa sarebbe applicata solo al mercato secondario, con eccezione dei fondi pensione, sarebbe dello 0,1% sulle transazioni azionarie e dello 0,01% sui derivati, non si capisce il diverso trattamento, visto che questi secondi sono più speculativi dei primi. E’ previsto che la nuova imposta entri in vigore, all’interno dei singoli stati, entro il 31/12/2014, quando la crisi finanziaria potrebbe essere passata e i bilanci di alcuni stati come l’Italia, stando alle promesse del governo Monti, potrebbero essere in pareggio; si spera che l’imposta, teoricamente giusta come quella patrimoniale, serva almeno a ridurre le altre imposte.
Germania e Gran Bretagna sono contrarie a questa tassa, perché temono che possa disincentivare gli investimenti nella UE provenienti dall’esterno della comunità, in realtà, un’imposta del genere già esiste in Svizzera; comunque, per evitare distorsioni finanziarie, fughe di capitali e concorrenza sleale, sarebbe meglio che la tassa fosse applicata in tutto ilo mondo. Si potrebbero tassare anche le azioni emesse fuori aria euro, ma commercializzati in area euro; per contrastare l’evasione della nuova imposta, si pensa di collegare la tassa alla proprietà del titolo, cioè il trasferimento del titolo avverrebbe solo con il pagamento della tassa.
Nel 2008 in Usa a causa della bolla immobiliare o crisi dei subprime, cioè dell’insolvenza dei debitori privati ai quali era stato concesso credito con troppa facilità, il salvataggio pubblico delle banche costò al governo americano 1.000 miliardi di dollari; la crisi immobiliare si estese alla Gran Bretagna, dove fece fallire la banca Union Jack, con 21 miliardi di perdite di sterline accollate allo stato.
Le banche inglesi investivano anche nel mercato immobiliare spagnolo, che
ora è fermo, le banche della Gran Bretagna hanno notevoli crediti insoluti verso l’Irlanda, le banche di Francia e Germania hanno notevoli crediti insoluti verso la Grecia, da ripianarsi da parte della Banca Centrale Europea, cioè a spese anche degli italiani; ciò malgrado, fino a ieri, l’Europa si era limitata a sottolineare solo il pericolo del debito pubblico italiano, aiutata dagli echi degli agenti dei mercati annidati nel panorama politico italiano. Quando si afferma che la crisi è nata nel 2008 in Usa ed è poi rimbalzata in Gran Bretagna e in Europa, si dice il giusto, però bisogna avere presente che oggi le grandi imprese, dopo aver delocalizzato impianti nel terzo mondo, con i maggiori profitti si sono date agli impieghi finanziari, concorrendo alla creazione di questa situazione.
In caso di necessità, gli Usa possono aumentare i dollari in circolazione, costa poco stamparli e servono a finanziarie il deficit di bilancio federale, invece l’Italia, avendo perduto la sovranità monetaria, non lo può fare, ma lo fa la Banca Centrale Europea, ma solo a vantaggio delle banche in sofferenza e non degli stati; con il denaro ricevuto, queste banche acquistano titoli pubblici, guadagnandoci.
L’euro è diventato una camicia di forza per le economie più deboli, la crisi è crisi di sovrapproduzione, per carenza di domanda, a causa di tasse alte, bassi salari e mancanza di lavoro; intanto i capitalisti spostano impianti produttivi all’estero che creano ricchezza e occupazione in altri lidi. Poiché, fino a che non arrivano le insolvenze, la speculazione è diventato il modo normale di fare soldi, anche le valute si spostano per ragioni speculative, oltre che per movimenti delle merci.
Tanti paesi indebitati, per potersi riprendere, dovrebbero rinegoziare il debito estero, rinegoziare i tassi usurai, chiedere una riduzione del debito estero, come ha fatto l’Argentina; anche lo stato può fare una conversione forzosa, al ribasso, degli interessi dei titoli pubblici emessi; occorrerebbe anche riformare la BCE e i trattati europei, emettere eurobond, chiudere i paradisi fiscali e ridurre le spese militari.
Come accade nei prestiti alle imprese, si dice che i mercati chiedono interessi più elevati dagli stati più indebitati, ma chi paga interessi più alti non è detto che alla fine paghi; comunque, Giappone e Usa hanno elevati debiti pubblici ma, diversamente dall’Italia, pagano interessi vicini al 2%, Gran Bretagna e Germania, con meno debiti, pagano ugualmente interessi vicini al 2%; l’Italia pagando interessi al 6%, con la metà del debito pubblico detenuto da banche estere, sta concorrendo con la BCE al risanamento di queste banche, scottate dai derivati nel loro portafoglio.
Alla fine del 1990 il debito pubblico giapponese era pagato al 6,7%, il paese aumentò la spesa pubblica, aumentò il deficit di bilancio e il debito pubblico, e il tasso s ridusse, perciò questo tasso, diversamente da quanto sostenuto da informazione ed economisti di corte, non sembra dipendere dal debito pubblico. Gli Usa, pur avendo la tripla A dalle agenzie di rating, che avevano dato la tripla A anche a imprese e banche fallite, in rapporto al reddito, hanno con il Giappone il più alto debito pubblico.
Gli Usa hanno anche un deficit di bilancio del 10,8%, perciò non sono in grado di dare lezioni a nessun paese, non è questione di antiamericanismo o filoamericanismo, sugli Usa incombe il rischio di fallimento, che non significa però la fine degli Usa, anche se il paese si potrebbe spaccare come l’Italia, ma significa solo la cancellazione dei loro debiti, è accaduto ad altri paesi nella storia; intanto in nord Europa, per soccorrere le banche, il debito pubblico sta aumentando più velocemente che in Italia.
L’origine della crisi europea risale alla crisi del debito privato Usa del 2008 e allo sviluppo dei derivati nati, non solo per speculare, ma anche per ripianare i vari deficit americani; però la Banca Centrale Europea ha l’ossessione del deficit di bilancio e del debito pubblico degli stati europei e non permette l’acquisto di titoli di stato da parte della Banca Centrale e l’emissione di eurobond, ma la banca finanzia all’1% le banche ordinarie che li acquistano e, con la differenza dei tassi, coprono le perdite sui derivati o sui crediti insoluti in genere.
A causa dei ritardi nelle riforme e dell’ignoranza della classe politica, in Italia è diventato un dogma l’euro e il patto di stabilità, quasi che fosse più morale salvare l’euro che l’Italia; a proposito del patto di stabilità, è da ricordare che anche Germania e Francia hanno infranto più volte i parametri di Maastricht, è da ricordare anche che nel 1993 l’Italia abbandonò il Sistema monetario Europeo e poi, per volere stare in Europa, che doveva essere la nostra ancora di salvezza, fece seguire manovre di bilancio durissime.
Oggi, per superare la crisi, si punta a precarizzare il lavoro, a deregolamentare e a privatizzare; negli anni 1970 ci fu la crisi economica, legata alla crisi petrolifera, alla caduta dei profitti e allo sgancio del dollaro dall’oro, che fece diventare il dollaro carta straccia inconvertibile, come la lira, ma accettata con fiducia dai mercati; erano finiti gli anni del boom del 1950 e 1960 e cominciò l’esternalizzazione della produzione e dell’occupazione.
Questa situazione ha portato gli stati a ridurre i servizi e le prestazioni pensionistiche, non è solo una questione di razionalizzazione delle spese e di riduzione degli sprechi, peraltro auspicabili; è accaduto tutto ciò perché la finanza speculativa ha tolto risorse allo stato, ai risparmiatori e alle imprese e ora, dopo aver trascurato la produzione di beni, con le insolvenze chiede di essere salvata.
Le crisi bancarie e degli stati si sono sempre risolte con bancarotte a carico dei sudditi contribuenti, in Italia dall’unità è accaduto con Banca di Sconto, Banca Romana, Banco Ambrosiano, Banco di Napoli, Banco di Sicilia; all’estero è accaduto, per fare solo alcuni esempi, con la banca BCCI internazionale, con la Banca Nugan e con tante banche americane. A proposito d’insolvenze degli stati, determinate anche da spese belliche, gli stati insolventi hanno sempre denunciato i debiti esteri, nel rinascimento lo fece anche l’Inghilterra con i banchieri fiorentini.
Oggi, poiché nel terzo mondo il lavoro costa meno, ignorando che la struttura dei prezzi europea è diversa, cioè il costo della vita è maggiore, si vuole uscire dalla crisi aumentando lo sfruttamento dei lavoratori; per la riduzione degli sprechi dovremo invece aspettare, spreco è un eufemismo e certi sprechi sono fatti a favore di amici, perciò non si possono ridurre facilmente. La domanda Usa è stata alimentata aumentando artificialmente il debito d’imprese e famiglie e sfruttando la posizione privilegiata del dollaro; la Cina è diventata il maggiore creditore degli Usa e con l’eccedenza commerciale fa investimenti all’estero, compra terra in Africa, materie prime e tecnologia, però, diversamente che in Usa, il sistema bancario cinese è per lo più statale.
Il capitale finanziario è un parassita che divora l’ospite cioè cittadini e lavoratori, i trasferimenti e cambiamenti produttivi espellono lavoratori e fanno cadere la domanda, l’occupazione e le tasse; perciò il capitalismo passa periodicamente dai boom alle depressioni. Oggi i giovani sono più qualificati e più disoccupati e sottopagati della generazione precedente, perciò nascono movimenti di protesta, come gli Indignados del mondo spagnolo, il movimento cinque stelle dell’Italia e il movimento Occupy degli Usa; questi movimenti sono estranei al sindacato, spesso compromesso con il sistema.
La Federal Reserve mantiene a zero i tassi per le banche, mentre il debito pubblico Usa aumenta di 1.500 miliardi di dollari l’anno; con tassi d’interesse inferiori al tasso d’inflazione, gli Usa hanno salvato le banche. Le rimesse dall’estero, prima transitate nei paradisi fiscali, hanno aiutato questa situazione deficitaria, questi capitali sono di provenienza mafiosa, delle classi dirigenti e dei capitalisti dei vari paesi; le instabilità politiche regionali, alimentate ad arte, hanno aiutato quest’afflusso, incoraggiato anche da consolati e ambasciate americane all’estero. Invece in Italia, che è una colonia, per legge non si può riciclare e lo stato, a vantaggio di altre potenze concorrenti, non paga i crediti delle imprese, forse per costringerle a spostarsi all’estero.
In Usa il mercato, dopo la delusione del mercato immobiliare e della borsa, si dirige verso le obbligazioni del tesoro perché il mercato di borsa, in tutto il mondo, è stato trasformato in un casinò, in Italia con il benestare della Consob; le imprese d’investimento e di trading, non investono a lungo temine, ma, aiutate dall’informazione da loro pagata, comprano e vendono in giornata e influenzato speculativamente il corso dei titoli; oggi quest’attività rappresenta la maggioranza di tutti gli scambi azionari.
Perciò gli investitori istituzionali preferiscono comprare titoli del Tesoro, che rendono solo il 2%, invece delle azioni, mentre, a causa di un’informazione drogata, in Europa le banche preferiscono comprare titoli tedeschi, che rendono molto meno di quelli italiani; non tutti sono convinti della solvibilità dell’Italia, che dalla fine della seconda guerra ha sempre pagato i suoi debiti esteri. In Usa il Tesoro chiede alla Federal Reserve di stampare i soldi per pagare le sue obbligazioni, il debito americano complessivo, tra pubblico e privato, cresce e nessuno lo potrà mai pagare mai, il default degli Usa si avvicina, ma le società di rating non se ne accorgono.
A differenza del Giappone, gli americani non possiedono il proprio debito pubblico, che è detenuto in gran parte da Cina, Giappone e Opec; non ci facciamo suggestionare dalle fluttuazioni valutarie dell’euro, con l’aumento dell’offerta di dollari, il tasso del cambio del dollaro è destinato a scendere, perciò la Cina sta facendo altri impieghi con le sue eccedenze; per il momento non si libera di dollari e titoli americani per non favorirne il deprezzamento, danneggiando il suo stesso portafoglio.
Cina, Giappone, Russia ed Europa stanno uscendo lentamente dagli investimenti in dollari Usa, anche se la rivalutazione del dollaro rispetto all’euro, frutto di speculazione, tenta di far credere il contrario e orienta diversamente il parco buoi dei piccoli investitori, mentre economisti di corte vaneggiano affermando che, per aiutare le esportazioni europee, il dollaro dovrebbe valere un euro; non ci dicono però come in questo modo si aiuterebbero le esportazioni americane che languono.
Si stanno ritirando dal dollaro Brasile, Russia, Cina, India e Sud Africa, questi paesi sono intenzionati a creare una loro banca centrale e una loro moneta internazionale, rinunciando al dollaro come riserva; il Giappone stato semisovrano, come l’Italia e la Germania, perché ha perso la guerra, è meno libero e, per il momento ha fatto solo un accordo con la Cina, per rendere yen giapponese e yuan cinese liberamente convertibili e quotati, in tal modo il commercio tra i due paesi sarà regolato dalle loro valute e non dal dollaro; anche questo sarò un colpo per il dollaro, perché il valore di una moneta è determinato dalla sua domanda.
In Usa le banche prendono dollari in prestito dalla Fed a tasso zero e comprano titoli del Tesoro al 2%, comprendo le loro perdite, però anche i dollari circolanti sono debito dello stato americano, che aumenta inesorabilmente. I banchieri di Wall Street non sono stati perseguiti perché la loro invenzioni finanziarie, appoggiate dal governo, servivano a finanziare i debiti e a sostenere la domanda.
In Usa si fanno vendite di oro e argento allo scoperto, una speculazione autorizzata dallo stato, perciò, fino al 2011, i loro prezzi sono aumentati costantemente, dal 2012, con le vendite, il loro prezzo ha cominciato a scendere, passando per l’oro da 1.900 a 1.550 dollari l’oncia. Probabilmente, oltre JP Morgan, anche la Federal Reserve fa vendite allo scoperto di oro e argento, la vendita allo scoperto può superare la quantità esistente e spinge i prezzi al ribasso.
Perciò il mercato di oro e argento può essere manipolato come il mercato delle obbligazioni del Tesoro e i relativi tassi d’interesse, come il mercato del petrolio, del grano e delle materie prime. Se dovesse scoppiare la guerra con l’Iran, sarebbe la crisi petrolifera e l’inflazione, ma ne guadagnerebbero debitori, produttori di armi, società petrolifere e stati produttori di petrolio; aumenterebbe ancora la concentrazione delle ricchezze non monetarie, mentre i lavoratori e i pensionati ne soffrirebbero ancora di più; per vedere se la guerra conviene, lor signori stanno facendo le loro simulazioni matematiche.
Nei moderni mercati finanziari, con l’autorizzazione dello stato, le scommesse fatte dalle banche non sono coperte, cioè le banche operano allo scoperto; a causa di questo sistema economico, in America aumentano i poveri, si concentra la ricchezza e si distrugge il risparmio privato; con l’esportazione delle aziende produttive, oggi gli Usa dipendono dalle importazioni dall’estero. Quando il dollaro si svaluterà, aumenteranno i prezzi e si ridurrà ulteriormente il livello di vita degli americani, mentre il debito continuerà a crescere, anche se svalutato al cambio con le altre monete.
Quando c’è l’inflazione, si restringe il credito e si tolgono soldi al sistema commerciale bancario, vendendo alle banche obbligazioni del Tesoro, infatti le banche non fanno più credito alle imprese quando gran parte dei risparmi sono drenati dallo stato. Lo stato è il più grande distruttore netto di ricchezza, perché utilizza due terzi dei risparmi e fa solo il 10% degli investimenti complessivi. Inoltre, l’aumento dei tassi nei debiti pubblici americani o europei determina il deprezzamento dei vecchi titoli, con danni per risparmiatori e investitori.
Per risanare il sistema, nell’anno del giubileo, occorrerebbe denunciare i debiti, soprattutto quelli speculativi in derivati, cercando di salvare e richiamare le imprese produttive e di salvare il piccolo risparmio e gli investimenti in attività produttive; occorrerebbe anche tornare al protezionismo e alle monete locali, fonti di entrate per gli stati. I derivati americani arrivano a 230.000 miliardi di dollari, pari a 15 volte il PIL americano, le cinque maggiori banche americane possiedono la maggior parte di questi derivati, però Europa li possiede anche la Deutsche Bank e in derivati hanno investito anche enti pubblici europei e italiani.
Al 31.12.2011 JPMorganChase aveva derivati pari a 516 volte il proprio capitale di rischio, per Goldman Sachs il rapporto era uno a 2.295, perciò questa banca ha deciso di porre la sua attenzione sull’economia italiana, aiutata da Monti. E’ difficile pensare che la Merkel e i politici italiani capiscono queste cose, la maggior parte dei politici è solo al servizio pagato delle lobby o agli ordini delle élite; i politici incassano tangenti per fare qualche cosa che spesso non capiscono e intanto gli italiani pagano, la stessa cosa va detta per i giornalisti prezzolati e per gli economisti di corte.
A causa dell’insicurezza del quadro politico, i capitalisti greci hanno esportato miliardi di euro in Olanda, quelli italiani lo hanno fatto da decenni in Svizzera. Vista l’incapacità delle banche di recuperare crediti, concessi spesso a imprese amiche, anche se in difficoltà, queste sono intanto costrette a mettere tra le perdite i derivati; per le insolvenze private provvedono i prestiti di favore di Federal Reserve e Banca Centrale Europea. Perciò oggi i finanziamenti agevolati alle banche ordinarie della banca centrale europea, si risolvono in finanziamento a privati insolventi, che non pagheranno più.
Poiché il debito italiano, diversamente dagli altri paesi, è fatto soprattutto di debito pubblico, per equità, la banca centrale europea dovrebbe accollarsi il debito degli stati oltre il’80% del PIL; l’Italia ha sbagliato a non riformarsi, ma l’Europa ha sbagliato a tenere sotto osservazione solo l’Italia e a fare osservazioni solo all’Italia, viste le insolvenze delle banche dei paesi del nord Europa, messe peggio delle banche italiane. Fino adesso i finanziamenti europei sono andati solo a vantaggio delle banche, travolte da insolvenze private e da investimenti demenziali nei derivati, questi investimenti sono irrecuperabili.
Se l’America dovesse ripudiare il dollaro, per la maggior parte posseduto all’estero e che costituisce un debito, e dovesse denunciare il debito pubblico, che per la maggior parte è detenuto all’estero, come hanno fatto altri paesi nella storia, risorgerebbe; farebbe come fece nel rinascimento l’Inghilterra con i banchieri fiorentini e come hanno fatto gli europei dopo la prima e la seconda guerra mondiale verso gli Usa, perché la storia della finanza, nei rapporti tra stati, è una storia d’insolvenze. Reintroducendo il protezionismo sui manufatti, l’America risorgerebbe, l’America ci guadagnerebbe anche svalutando fortemente il dollaro.
Bisogna dire però che l’America ha stabilimenti all’estero e ha comprato con denaro di carta, prossimo a scadere, industrie straniere, ad esempio Ford e Opel in Germania, Ducati in Italia, presto in Italia Ansaldo, Breda, parte di Fiat e di Finmeccanica; i paesi creditori degli Usa, perché possessori di dollari o di titoli del tesoro americano, se non sono colonie, avrebbero almeno il diritto di nazionalizzare senza indennizzo queste imprese.
Così, con la nazionalizzazione delle banche e quella delle imprese, a causa della crisi, sarebbe messa una pietra sul liberismo e ricomincerebbe il ciclo, cioè si ricomincerebbe da capo, in attesa della prossima crisi. Però sarà molto dura per alcune persone che vivono di fede, prima in Cristo, poi nell’Unione Sovietica, in Stalin, Mao, ora a favore di Europa, Euro, Onu, costituzione, papa, risorgimento e resistenza.
Nunzio Miccoli
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