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 Oggetto del messaggio: La crisi finanziaria dell'eurozona
MessaggioInviato: 28/10/2011, 09:28 
LA CRISI FINANZIARIA DELL’EUROZONA

Il 18 ottobre 2011 il FMI ha detto che occorrono 300 miliardi di euro per ricapitalizzare le banche europee e metterle al riparo dalle insolvenze, come quella della banca franco-belga Dexia, nata dal fatto che in Francia e Belgio i comuni insolventi hanno attinto ampiamente alle casse della Dexia. In Europa ci sono sempre stati forti legami tra banche e governi, mentre l’Italia ha privatizzato le banche, in Grecia sono proprietà dello stato che, con queste ha finanziato il governo.

Le banche regionali spagnole hanno finanziato i governi locali e in Italia le banche possiedono la metà del debito pubblico italiano, un terzo è posseduto da banche dell’Europa del nord e la parte rimanente minoritaria è in mano agli italiani. Metà del debito pubblico dei paesi più indebitati è nelle mani dei paesi del nord Europa e le banche più esposte su questi crediti difficili sono quelle francesi e quelle belghe, perciò ne è nato l’isterismo francese sul debito pubblico italiano.

Con la nascita dell’eurozona, a causa dei bassi tassi d’interesse, si è espanso il credito al consumo, il che ha favorito i deficit commerciali dei vari paesi; al di fuori dell’eurozona, sono stati contratti debiti in euro e franchi svizzeri poi, a causa della svalutazione delle monete locali, sono aumentate le rate e i debitori non riescono a pagarle. Le banche europee hanno esteso la loro rete di filiali all’estero, la Svezia nei paesi baltici, l’Austria all’est, la Spagna si è estesa finanziariamente in America Latina e la Grecia nei Balcani (Fonte: Fondazione CDF 26.10.2011).

La Spagna ha alimentato la sua crescita finanziando il mercato immobiliare per 400 miliardi di euro, ora il valore degli immobili ipotecati o vuoti è crollato e i debitori sono insolventi, stessa cosa è accaduta in Irlanda; l’insolvenza americana nel settore immobiliare e dei consumi si è ripetuta in Europa. L’Europa strabica faceva sempre lezioni solo all’Italia e non si accorgeva del resto; come la Banca d’Italia, la BCE non ha controllato le banche; ora la situazione dell’Italia, checché ne dicano le società di rating e la Francia, a parte il debito pubblico e la cancrena della sua politica e della sua amnministrazione, considerati debiti pubblici e privati, pare migliore di quella della maggior parte dei paesi d’Europa.

Per assicurare alle banche un muro di protezione, la BCE ha proposto di aumentare la riserva obbligatoria delle banche dal 5 al 9%, le banche, con poca liquidità, si sono opposte a questa misura e alla valutazione degli attivi di bilancio ai prezzi di mercato, che rileverebbero una forte perdita da ammortizzare, in grado di fare apparire tutti i bilanci delle banche in perdita; in data 27.10.2011 un vertice dell’eurozona ha portato la riserva al 9%.

Ha svalutato i crediti verso la Grecia e ha elevato il fondi do garanzia europeo a 2.000 miliardi di euro, le banche, dopo le trombature subite dai risparmiatori in borsa, non riescono a ricapitalizzarsi con emissioni di azioni; dovrebbero intervenire gli stati che però sono in difficoltà. L’Europa potrebbe utilizzare il fondo europeo di stabilità finanziaria o IFSF per ricapitalizzare le banche, questo fondo, prima dell’aumento di cui sopra, era pari a 440 miliardi di euro, dei quali, 268 sono stati impegnati per il salvataggio di Grecia, Irlanda e Portogallo; ma i tedeschi chiedono prima riforme strutturali, per mettere le banche al riparo da future crisi.

La Germania, dopo le svalutazioni rovinose della sua moneta, dopo la prima e la seconda guerra, con la ricostruzione, ha difeso il valore del marco e valorizzato produzione industriale ed esportazioni, la Francia è gelosa della sua capacità di esportazione; comunque, come la Cina, la Germania è costretta a intervenire per risanare il sistema finanziario europeo perché la sua industria dipende soprattutto dai mercati esteri; i tedeschi sono memori che la crisi del 1929 scoppiò in Usa, ma poi si è sentì più in Germania che in Italia.

Con la crisi del dollaro, iniziata nel 1971, quando ne fu sospesa la convertibilità in oro, e il declino successivo di altre valute cartacee, con il momentaneo successo dell’euro, in tutto il mondo si è iniziato a parlare di valute regionali alternative, che dovrebbero fungere da monete di riserva e per gli scambi internazionali. A fianco degli strumenti monetari tradizionali, è stata proposta una nuova moneta globale di conto, cioè la Carbon Currency (moneta carbone) che dovrebbe essere basata sull’energia prodotta e consumata e non sui prezzi.

Un’autorità provvederebbe ad assegnare l’energia a ogni paese, che assegnerà delle quote ai cittadini, se queste non saranno utilizzate entro una certa scadenza, scadranno e ci sarà una nuova assegnazione di quota; le moneti locali dovrebbero rimanere per un periodo transitorio. L’idea della nuova moneta nacque negli anni 1930, dopo la grande depressione, in un circolo di tecnocrati, fatto di scienziati e ingegneri, si pensava di creare un sistema monetario e di contabilità nazionale basato sull’energia (Rivista Nexus – Edizione Italiana – n.94).

Nel 1933 animatori di questa proposta furono King Hubbart, dell’università di Chicago e Howard Scott, questi negli anni 1950 furono i primi a parlare di tecnocrazia e di governo dei tecnici. Hubbart non era socialista o comunista, però voleva superare l’economia basata sui prezzi e considerava incompetenti politici e burocrati; riteneva che le riserve energetiche fossili fossero in via di esaurimento e voleva ridurre le emissioni di CO2, perciò propose di sostituire la moneta tradizionale con crediti energetici. Per questi tecnocrati, per aumentare l’efficienza dell’economia, occorreva un’attenta distribuzione dell’energia disponibile.

Il nuovo sistema prevedeva la consegna ai cittadini di certificati energetici per le operazioni economiche, i quali dovevano servire ad acquistare beni e servizi, mentre, come in Unione Sovietica, una sola organizzazione centralizzata doveva provvedere a produrre e a distribuire beni e servizi. Bisogna dire che, come il Carbon Currency, tutte le banconote sono nate come certificati, prima nominativi e a scadenza, e poi al portatore e trasferibili senza scadenza, prima con interesse poi senza interessi, prima garantiti con copertura, poi senza copertura e a corso forzoso.
Comunque, la nuova moneta prevedrebbe anche un controllo autoritario e centralizzato del pianeta.

Con il nuovo strumento di pagamento, le vecchie banconote dovrebbero essere gradualmente ritirate dal mercato e chi se ne trova molte in mano o in conto corrente, non vorrebbe perderci, pare che la metà dei dollari circolanti sia detenuta all’estero; finché si tratta di calpestare i poveri, il potere ci riesce, ma non riesce mai ad andare contro l’interesse dei potenti, che sono gli stessi che sostengono il potere.

I nuovi certificati dovrebbero essere nominativi, senza interessi e con una scadenza, perciò dovrebbero impedire l’accumulo di ricchezza. Il movimento tecnocratico è nato in America e poi si è diffuso anche in Europa, ha due siti: http://www.technocracy.org e http://www.technocracyvan.ca, in Europa è rappresentato dal NET, nato del 2005, (Network of European Technocrats); questo movimento ha anche un’impronta ecologista e lotta contro il riscaldamento globale, è legato al movimento ambientalista.

L’intento è fissare una quota annuale di consumo di combustibili fossili e di dividerlo equamente tra paesi e famiglie, creando un mercato in cui si scambiano emissioni carbonio; le carte di pagamento dovrebbero avere un credito sia in valuta che in punti carbonio, con i quali si acquisterebbe energia. Con questo sistema ogni persona sarebbe attentamente monitorata, per sapere come produce e quanta energia consuma.

Le persone sarebbero dotate di codice per gli acquisti e riceverebbero un estratto conto contenente la contabilità dei consumi; il meccanismo non è sempre chiaro, comunque nel 1937 Howard Scott scriveva che il certificato individuale non era negoziabile o cedibile, ma scambiabile con energia, merci e servizi. Successivamente, i tecnocrati hanno aggiunto che la carta di debito avrebbe contenuto un microchip, sarebbe stata anche una carta d’identità e, praticamente, sarebbe servita per monitorare e controllare le persone.

Questa filosofia ha avuto impulso con il protocollo di Kyoto del 2002, sotto egida ONU, emanato per combattere il riscaldamento globale e ridurre l’effetto serra, l’accordo impegnava i paesi industriali a ridurre le emissioni, sotto la pena di sanzioni economiche a vantaggio dei paesi virtuosi; le banche si dissero pronte a creare derivati e prodotti finanziari correlati al carbonio, tra loro spiccano Morgan Chase, Goldman Sachs e Morgan Stanley, coinvolte nei recenti crac della finanza creativa.

Con il sistema monetario denominato Carbona Currency, il mercato del carbonio dovrebbe superare il mercato delle altre merci; è un fatto, che chi controlla la valuta controlla l’economia, lo stato e la legislazione, lo ha detto anche Rotschild; senza produrre, con il controlle della valuta ci si può arricchire, è per questo che l’Europa e chi sta a essa dietro ha preferito prima l’unione monetaria che l’unione fiscale e l’unione dei sistemi scolastici; il sistema proposto dovrebbe registrare i consumi di ciascun individuo e controllare i kw di energia forniti a consumatori e aziende, aiutato da una rete digitale di contatori intelligenti per elettricità e poi per gas e acqua.

Con questo sistema cambieranno mondo economico e sistemi politici, i contatori saranno senza fili, costituiranno una rete intelligente o Smart Grid e dovrebbero comunicare tra loro; nei momenti di maggiore consumo, per mantenere stabile la rete e prevenire i blackout, si spegnerebbero; sarà un risparmio energetico accompagnato da disagio per le famiglie e le imprese. L’Italia ha già una rete di Smart Grid elettriche e il sistema si sta estendendo ad altri paesi, l’Europa punta anche all’interconnessione delle reti elettriche, in mode da creare una rete elettrica globale come internet.

Per alcuni sapienti, grazie alle altre fonti energetiche, oltre i combustibili fossili, non esiste un problema di scorte energetiche nel mondo, ma solo di distribuzione energetica; teoricamente, con il nuovo sistema dovrebbe ribassare il costo dell’energia, ma è difficile che lor signori facciano dei regali al popolo. I costi di produzione industriale saranno espressi in kilowattori, le reti intelligenti dovrebbero divenire fattori chiave per l’economia, favorendo gli scambi, e si dovrebbero avere minori emissioni di carbonio.

La rete energetica globale o Smart Grid dovrebbe sostituire il sistema economico basato sui prezzi con uno basato sull’energia e sul kilowattore; il movimento dei tecnocrati che sostiene la riforma è collegato con l’agenda 21 dell’ONU (1992), nata in una conferenza per lo sviluppo sostenibile, la conservazione delle risorse e la tutela dell’ambiente (Rivista Nexus – Edizione Italiana n.94).

Nunzio Miccoli http://www.viruslibertario.it; numicco@tin.it


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