23/07/2013, 20:27
27/07/2013, 14:44
15/04/2014, 08:11
16/04/2014, 09:42
Sismi e fracking: la rivista "Science" conferma le conclusioni di Tanker Enemy
BOLOGNA - Repubblica.it - La Regione pubblica per intero la relazione della commissione Ichese sul terremoto, che ha sollevato polemiche e scalpore perché i risultati che mettono in relazione il sisma con le trivellazioni sono stati divulgati prima dalla rivista scientifica "Science" che dalla giunta regionale emiliana. La Regione dispone quindi "la sospensione in tutta Emilia-Romagna di qualsiasi nuova attività di ricerca e coltivazione" di idrocarburi, "come abbiamo fatto sin qui nel cratere" del sisma. Lo annuncia l'assessore regionale alla difesa del suolo, Paola Gazzolo, che questa mattina in assemblea legislativa ha riferito circa i risultati della commissione istituita all'indomani del terremoto de maggio 2012 in Emilia, sui legami fra le trivellazioni e il sisma. Da parte della Regione "non c'è nessuna inerzia o volontà di nascondere la verità - assicura Gazzolo- né abbiamo pensato di tenere il rapporto ichese nel cassetto, perché sarebbe una sciocchezza e sarebbe incoerente con l'azione che la regione ha portato avanti finora".
Sabato 2 giugno 2012, a seguito del devastante sisma che interessò l'Emilia, il 20 maggio 2012, pubblicammo questo articolo. Lo studio suscitò subito l'ilarità e lo scherno di decine di disinformatori tra cui il geologo Massimo Della Schiava alias "Il Fioba", attivo da anni sulla Rete in quello che egli definisce in modo improprio "debunking". L'esperto mira a stroncare sul nascere le "bufale" propalate da fuffari truffatori ciarlatani come Rosario Marcianò e fratello. Ovviamente il Fioba è uno specialista, uno che merita onore e rispetto. Per questo motivo la magistratura imperiese sguinzagliò prontamente gli agenti della Polizia postale per tutelare la rispettabilità di codesto scienziato che ha pure lavorato per il C.N.R.
Nel nostro articolo scrivevamo:
Si può ipotizzare che i sismi siano le conseguenze di attività umane, quali le seguenti:
- trivellazioni del sottosuolo per estarrre gas naturale
- stoccaggio di gas e di biossido di carbonio nelle viscere della terra
- frantumazione delle rocce, il cosiddetto fracking, tecnica che consiste nell’iniettare ad alta pressione delle sostanze chimiche e tonnellate d'acqua negli strati litici per favorire il rilascio di gas. Il pozzo può correre orizzontalmente, in profondità, per svariate centinaia di metri. Si scatenano dei microterremoti, spaccando la roccia da cui si sprigiona il gas. Qualche volta la roccia triturata finisce nelle falde idriche, talora le acque di scarto si iniettano di nuovo sotto terra deliberatamente, in alcuni casi il gas risale fin negli impianti domestici, uscendo dai rubinetti delle abitazioni, come spiega Josh Fox nel suo documentario di denuncia “Gasland”. Il fracking o hydraulic fracturing è una tecnica che è stata ideata dalla Halliburton, la società che appartiene allo spaventoso DicK Cheney, ex vicepresidente degli Stati Uniti.
Ora uno studio referato statunitense ci dà ragione, mentre si scopre che le autorità hanno tentato di nascondere ai cittadini i risultati della ricerca apparsa sulla rivista "Science". Infatti la notizia si è avuta direttamente da "Science" e non dalle istituzioni italiane. Possiamo immaginare che, se le conclusioni non fossero state divulgate dai media, la giunta regionale avrebbe certamente finto di non saperne nulla.
Ricordiamo che all'epoca il geologo Massimo Della Schiava, tra gli ispiratori del sequestro hardware nonché della perquisizione personale, provedimenti illegali ed illegittimi attuati a nostro danno il 30 ottobre 2013, negò che potessero essere individuati collegamenti tra il sisma in Emilia e le perforazioni alla ricerca di gas e petrolio. Egli, infatti, sul suo blog scriveva nel suo italiano abborracciato:“Il terremoto è stato provocato dal fracking: falso
Il fracking è una tecnica che serve ad aumentare il grado di fratturazione delle rocce poco permeabili tramite l'iniezione di fluidi in pressione, al fine di aumentare e facilitare l'estrazione di petrolio, gas, ecc. In primis non ci sono fracking attivi in italia ne tantomeno in pianura padana, in quanto le rocce sono già fratturate (calcari, torbiditi con caratteristiche quindi per l'estrazione tradizionale) e non a bassa permeabilità tale da necessitare tale tecnica. Poi se anche fosse stata effettuata una perforazione non autorizzata e fosse stata messa in atto tale pratica i segnali sismici sarebbero stati facilmente riconoscibili (sia in frequenza che in magnitudo) in quanto studiati nei campi geotermici di tutto il mondo sin dagli anni '70. Inoltre tutte le perforazione per idrocarburi e similari vengono autorizzate dal Ministero dell'Ambiente. Come si può vedere sul sito, le uniche perforazioni autorizzate sono ormai datate e ultimamente sono stati autorizzati i permessi di ricerca (tipo AleAnna) per i quali non si fanno tramite perforazioni ma tramite prospezioni geofisiche che, per i profani, si svolgono in superficie tramite l'analisi delle onde rifratte e riflesse registrate da un lungo stendimento di sismometri e prodotte da una sorgente [chiaramente per arrivare a 2/3 Km di profondità ci vuole un po (sic!) di esplosivo come sorgente sismica], ma è la tecnica che si usa da sempre e non fa danni".
Insomma, Massimo Della Schiava è smentito dalla stessa comunità scientifica cui si gloria di appartenere e non dimentichiamo che egli nega, in modo pervicace, anche l'esistenza delle cosidddette scie chimiche. Verità è sinonimo di onestà intellettuale o di laurea?
http://straker-61.blogspot.it/2014/04/s ... 04yBlV_vIc
16/04/2014, 10:24
16/04/2014, 13:45
16/04/2014, 14:02
MaxpoweR ha scritto:
si ma inb tutto ciò chi paga? Ad effettuare quelle trivellazioni sono delle società private a quanto ho capito dunque perchè lo stato non le cita per danni o i privati cittadini?
07/08/2014, 15:52
08/10/2018, 15:54
Eni, scoperto in Adriatico mega giacimento di metano
Sorpresa. Sotto la tavola di sabbia che forma il fondale dell’Adriatico c’è molto più metano di quanto si potesse sperare. Due numeri per fare il raffronto: oggi dai giacimenti sotto il fondo dell’Adriatico si estraggono 2,8 miliardi di metri cubi l’anno; le riserve individuate in questi mesi fanno pensare che invece si possano estrarre 4 miliardi di metri cubi l’anno. Tantissimo, rispetto ai 5,5 miliardi di metri cubi di gas estratti da tutti i giacimenti italiani nel 2017. Un soffio impercettibile, rispetto ai 75 miliardi di metri cubi che l’Italia ha bruciato nel 2017, dei quali 70 miliardi arrivati da lontano attraverso migliaia di chilometri di condotte.
Metabolizzare i dati
Ma ecco che cosa è accaduto. Mesi fa l’Eni aveva annunciato 2 miliardi di investimenti sull’Adriatico, che in Europa è una delle aree più ricche di metano e che viene sfruttato con intensità dagli anni 70. Nella raffineria pavese di Sannazzaro Ferrera Erbognone è stato realizzato un colossale centro di elaborazione dei dati geologici, il Green Data Center, il cui cervellone in questi mesi ha metabolizzato un’infinità di numeri che erano stati raccolti dal sottosuolo 25 anni fa. E dall’esame dei dati geologici sono emerse le nuove riserve. Riserve, beninteso, ancora tutte da raggiungere ed estrarre.
Lavori in corso
I giacimenti in Adriatico parevano sempre più sfiatati. Le ultime piattaforme sembravano gli impianti Bonaccia e Clara, installati al largo della costa marchigiana. In queste settimane l’attività è ripartita in tutto il distretto petrolifero emiliano-romagnolo, come gli ordinativi ricevuti dalla Rosetti&Marino, dalla Cmit, dalla Righini e dalla Bonatti, con il ritorno dell’occupazione e delle assunzioni per centinaia di tecnici ed esperti. ma si sta muovendo soprattutto l’attività di ricerca e studio. Ora sono in attività davanti alle coste romagnole e marchigiane due piattaforme mobili assoldate dall’Eni, la Super Sundowner della Nabors e la Key Manhattan della Shelf. Una terza piattaforma mobile di ricerca è in fase di allestimento ed entrerà in servizio in inverno. Inoltre è in programma un aggiornamento della piattaforma Bianca Luisella, nel mare al largo di Cattolica, Pesaro e Fano.
Giacimenti abbandonati
Gli italiani bruciano metano e petrolio con convinzione ma le riserve nazionali sono usate sempre meno. Di conseguenza cresce l’import. Qualche numero. Nel 2017 sono stati usati 71,1 miliardi di metri cubi di gas (+6%) mentre dai giacimenti italiani sono stati estratti 5,5 miliardi di metri cubi (-4,3%). Nei primi sette mesi del 2018, cioè dal 1° gennaio al 31 agosto scorsi, l’Italia ha consumato 3,6 miliardi di metri cubi di gas nazionale (in lievissima crescita) su 47,1 miliardi di domanda complessiva (in leggero calo).
Il costo elettrico
Rimanendo nel comparto dell’energia, ma allargando lo sguardo al segmento delle bollette elettriche, ieri l’autorità dell’energia Arera è stata ascoltata dalla commissione Industria del Senato. Il problema è quello dei rincari delle tariffe: per frenarne la crescita l’autorità indipendente di regolazione ha limato una voce della bolletta, gli “oneri di sistema”. Ma questa voce comunque rappresenta un costo da sostenere, un minore gettito stimato in quasi un miliardi nel secondo semestre del 2018, e quindi dovrà essere ricuperata attraverso le bollette successive. Il percorso di ricupero di questo gettito mancante sarà «su un arco di tempo che, al momento, si stima dell’ordine di quattro trimestri», ha detto ieri ai senatori il presidente dell’Arera, Stefano Besseghini. Il presidente della commissione parlamentare, Gianni Girotto (Cinque Stelle), ricorda che il sistema tariffario «ha generato distorsioni sul prezzo che vanno superate», tra le quali «l’enorme quantità di oneri». Una conferma viene dal mondo delle imprese di vendita di elettricità con Marco Bernardi, presidente di Illumia, secondo il quale il peso degli oneri ha «un valore complessivo di 15 miliardi di euro» con un credito che, propone Bernardi, potrebbe essere ceduto a una centrale d’acquisto dai venditori di elettricità.
03/09/2019, 19:12
Groningen, l’estrazione del gas è un terremoto continuo
Nella calma Olanda l’odissea dei cittadini, alle prese con una serie infinita di terremoti collegati all’estrazione di una immensa riserva di gas da parte di una joint venture tra Royal Dutch Shell e dalla statunitense ExxonMobil
“La mia famiglia ha vissuto in questa casa dal 1873. Con il passare degli anni l'abbiamo ingrandita e non abbiamo mai pensato di andarcene. Ma poi sono iniziati i terremoti...”. Liefke Bos è una donna molto determinata e combattiva, nonostante abbia ormai superato i settanta e sia reduce da un incidente che le limita di parecchio la mobilità. Con suo marito Jan ci mostra la sua fattoria alle porte del villaggio di Krewerd, profondo nord dell'Olanda a 35 chilometri dalla città universitaria di Groningen. Il vasto fienile è puntellato da vari sostegni di ferro, la cucina, il salone e le altre camere recano le pesanti cicatrici inferte dai movimenti tellurici che dalla fine degli anni Ottanta hanno iniziato a colpire la zona. Non per un dispetto della natura, ma per colpa dell'uomo. Nel sottosuolo c'è infatti una immensa riserva di gas, scoperta nel 1959, e alla lunga gli effetti dell'attività estrattiva che va avanti senza sosta dal 1963 si sono palesati proprio tramite una serie infinita di terremoti. Quanto sia stata importante questa risorsa per l'economia olandese lo dimostra il fatto che i proventi del gas – esportato in Belgio, Germania e Francia – negli anni Ottanta incidevano per il 15% sulle entrate statali. Si calcola che abbiano fin qui fruttato allo Stato 417 miliardi di euro. La Nederlandse Aardolie Maatschappij (NAM), la joint venture composta dal campione nazionale Royal Dutch Shell e dalla statunitense ExxonMobil che è impegnata a tirar fuori dalla terra quello che rimane pur sempre un combustibile fossile, ha incamerato oltre 30 miliardi di euro. Tuttora poco meno del 90 per cento delle famiglie olandesi impiega il gas di Groningen per uso domestico.
Di terremoti se ne sono registrati nel decennio passato, ma è stato il sisma di 3,6 gradi della scala Richter del 16 agosto del 2012 a cambiare tutto. Dal quel momento sono iniziate la paura e la conta dei danni, da aggiornare di continuo a causa dello stillicidio di scosse, tutte non molto profonde – tre chilometri – e per questa ragione percepite in maniera più netta. L'ultima, di 3,4 gradi della scala Richter, è datata lo scorso 22 maggio. L'area interessata va dai confini di Groningen fino alla costa del Mare del Nord ed è abitata da circa 170mila persone.
“Nel 2016 ci siamo dovuti trasferire ad Appingedam, perché la fattoria non era più sicura e poi bisognava aspettare che facessero la stima danni”, racconta Liefke. “Per il momento hanno compiuto qualche lavoro di contenimento all'esterno, ma dentro un bel niente. Sappiamo già che una parte della casa va abbattuta, però è un anno che non procedono e a noi tocca solo aspettare”.
Che la burocrazia costituisca una parte tutt'altro che trascurabile del problema ce lo conferma Nienke Busscher, coordinatrice del Kennisplatform Leefbaar en Kansrijk Groningen (un progetto di analisi e condivisione di informazioni). “Mentre si battono per rivendicare i loro diritti, in tanti temono di perdere la loro eredità culturale. Il tipico modello architettonico della regione potrebbe essere cancellato per sempre”, ci spiega.
Krewerd, il villaggio di Liefke e Jan, è un esempio molto calzante. Rischia di dover essere rifatto da capo, perché la maggior parte delle abitazioni è seriamente danneggiata. Non a caso i proprietari sfoggiano la bandiera olandese recante la scritta “Broken Krewerd”.
Katherine Stroebe, docente presso la facoltà di scienze sociali dell'Università di Groningen, che dal 2016 sta conducendo uno studio sugli impatti patiti dalla popolazione locale, ci dipinge un quadro a tinte fosche della vita di tanti abitanti della regione. “Molte persone soffrono di palpitazioni, mal di testa e insonnia. Chiaramente più danni si sono sofferti, più incertezza per il futuro si prova e più si sta male, con alcuni che vanno letteralmente in burn out, come un vero e proprio lavoro aggiuntivo. I bambini sono tra i più colpiti, perché in tanti hanno paura che si possa verificare una vera e propria catastrofe”. È facile immaginare che il mercato immobiliare è crollato. “Le persone qui sono molto attaccate alla loro terra, al tipo di vita che conducevano fino a pochi anni fa, per cui sono in pochi ad andare via, anche se visto l'alto livello di incertezza non sono rari i malumori e i litigi sul tema delle compensazioni”, aggiunge la professoressa Stroebe. “In generale c'è tantissima rabbia per come è stata affrontata la questione”.
“Le istituzioni locali hanno avuto pochissima voce in capitolo sul problema, abbiamo solo potuto fare molta pressione sul governo, ma senza grande successo”, si lamenta Eelco Eikenaar, fino a pochi mesi fa membro della giunta provinciale. “Lo Stato è intervenuto con forte ritardo, così in tanti hanno perso la speranza”. Vari indicatori economici, compreso il tasso di disoccupazione di un paio di punti più alto della media nazionale (3,3 per cento) sono lì a dimostrarlo. “Anche grazie alla presenza dell'università, Groningen è una città ricca, ma basta spostarsi pochi chilometri verso nord e ci si ritrova in una delle zone meno abbienti dell'Olanda, sebbene ironicamente le statistiche dell'UE dicano l'esatto inverso, perché mettono in conto anche i proventi del gas estratto lì!”
La mole di ricorsi e richieste di risarcimenti è enorme, i dati ufficiali parlano di 30mila ricorsi, oltre 22mila case danneggiate e un centinaio per cui è già stato necessario l'abbattimento (vedi sito con tutte le case abbattute). Per la verità negli ultimi mesi qualche passo in avanti è stato fatto. Nel 2018 il governo ha costituito la Tijdelijke Commissie Mijnbouwschade Groningen, l'ente indipendente che deve far fronte all'emergenza in atto in questa parte dei Paesi Bassi. Nei corridoi della Commissie, situata nei sobborghi di Groningen, si ammira anche una foto di una delle tante manifestazioni organizzate dalla popolazione locale. Una sorta di dichiarazione di intenti: noi (ben 300 unità di staff) siamo qui per aiutare.
“Ieri qui c'era il ministro delle attività economiche Eric Wiebes, che ha ribadito la volontà dell'esecutivo di velocizzare il più possibile le procedure”, ci dice Jouke Schaafsma, alto funzionario dell'ente, ammettendo che la gestione precedente era a dir poco deficitaria. Se fino al 2012 i problemi erano pochi e li affrontava direttamente il consorzio composto da Shell ed ExxonMobil, da quando è scoppiata la vera e propria crisi, dopo il terremoto dell'inizio gennaio di quell'anno, è stato necessario gestire una mole impressionante richieste di danni. Così nel 2015 è stata costituita una società di natura privata (con azionisti società del settore ingegneristico e assicurativo) che tuttavia ha fatto poco e male per risolvere il problema, scatenando solo ancor di più l'ira dei residenti. “Non era realmente indipendente, le decisioni le prendeva ancora il consorzio NAM”, specifica Schaafsma. La transizione dal privato al pubblico ha fatto perdere oltre un anno, creando un arretrato di 12.500 ricorsi. “Per far fronte alle istanze del passato abbiamo dovuto allungare i tempi per l'esame dei nuovi ricorsi, però al momento abbiamo chiuso 9mila casi e già erogato 33 milioni di euro”, chiosa Schaafsma.
Da Groningen servono solo una ventina di minuti di treno per arrivare a Loppersum, tra le località più colpite dall'attività sismica. Appena usciti dalla piccola stazione scorgiamo subito la prima delle case circondate da ponteggi o recinti perché danneggiate dalla lunga litania di terremoti verificatisi nel corso degli anni. Poco più in là c'è l'albergo che doveva chiudere per un anno ma per ora è rimasto aperto, in attesa si dipani il guazzabuglio amministrativo. Nonostante le “ferite”, Loppersum rimane un vero e proprio idillio agreste, punteggiato da case in mattoncini rosso scuro di massimo due piani con i tetti ricoperti da tegole nere o grigie.
Ma basta girare un po' per la campagna per imbattersi nell'ottantina di punti d'estrazione del gas, un complesso intrico di condotte, tubature e valvole che deturpano il paesaggio di campagna. Lo Stato, oltre ad ammettere che i terremoti sono causati dall'attività estrattiva, ha deciso di mettere un limite alle attività di Shell ed ExxonMobil. “A marzo del 2018 le autorità hanno deciso di fissare uno stop definitivo per il 2030. Io non escludo ci possano essere dei ritardi perché prima bisogna sostituire le esistenti infrastrutture per far passare il gas russo, che ha una percentuale più bassa di azoto rispetto a quello olandese”, ci illustra l'economista George De Kam, co-autore dello studio condotto dall'Università di Groningen “Gas Production and Earthquakes in Groningen”. Si stima che il gas lasciato nel sottosuolo sia il 20 per cento dei 2.740 miliardi di metri cubici (bcm) stimati alla fine degli anni cinquanta, per un valore che oscilla tra i 50 e i 120 miliardi di euro. Dopo ogni terremoto di forte intensità la soglia di bcm da estrarre viene abbassata, ora è 19, ma nel 2013 era ancora 59. Ora il ministro Wiebes ha ventilato la possibilità di portarla a 12. Questo “attacco” a una terra già di per sé delicata, perché di composizione in parte sabbiosa e argillosa, ha provocato un ulteriore abbassamento del livello del suolo in un'area già notoriamente al di sotto livello del mare. Sulla costa, nello specifico a Delfzijl, andiamo in una ventosa ma soleggiata domenica di metà giugno. Ci appare estremamente antropizzata, vista la presenza di numerose fabbriche (chimica e acciaio in primis). Per un lungo tratto c'è il cartello dei lavori in corso e una teoria di macchinari oggi a riposo. “Stanno rafforzando le barriere che devono evitare che il mare allaghi tutta l'area, anche perché con la minaccia dei terremoti non si può certo stare tranquilli”, chiarisce Bram Reinders, attivista che da queste parti abitava, ma ha dovuto vendere la sua casa per la metà della cifra pagata qualche anno prima.
In questo panorama che non richiama di certo alla memoria la “Veduta di Delft” di Jan Vermeer, spiccano anche numerose pale eoliche. Un ulteriore problema. L'opposizione alla prevista costruzione di altre wind farm sembra confermare come il processo di transizione energetica si stia sviluppando senza consultare la popolazione locale. Quasi tutti i nostri interlocutori ci parlano addirittura di minacce di morte nei confronti dei responsabili del progetto. Al di là di questi gesti estremi, la sensazione è che qui le persone siano stufe che tutto sia calato dall'alto. L'esperienza del gas, visto prima come una benedizione, ma successivamente vissuto come una tragica condanna, ha radicalmente cambiato l'atteggiamento nei confronti delle autorità.
Dopo l'ultima forte scossa di terremoto il primo ministro Mark Rutte ha chiesto ufficialmente scusa per quanto sta accadendo nella regione e il ministro Wiebes ha paventato l'idea di anticipare la scadenza del 2030 per lo stop all'estrazione, che però come visto comporta dei passaggi preliminari e non è certo auspicata dalla Shell, pronta a far valere i contratti in essere. Difficilmente la multinazionale anglo-olandese, profitti netti per 23,4 miliardi di dollari nel 2018 e una sorta di Stato nello Stato, mollerà la presa. È improbabile che se ne parli in termini negativi sui media, sebbene qualche articolo inizi a raccontare come sia pesantemente coinvolta nella vicenda OPL 245 (la licenza petrolifera nigeriana per cui è a processo per corruzione a Milano insieme all'Eni) e sia accusata di eludere la pressione fiscale in Olanda. Nonostante questo parziale silenzio, la società civile è sempre più battagliera. L'organizzazione Code Rood ha lanciato una campagna del titolo molto esplicativo “Shell must fall, Shell deve cadere”, ma è tutto il fronte ambientalista che chiede conto all'azienda degli impatti delle sue attività in Olanda e nel resto del mondo. Ormai le assemblee degli azionisti di Shell, la più grande multinazionale europea per capitalizzazione, sono sempre più movimentate e chissà che prima o poi, con la montante urgenza della crisi climatica, qualche risultato concreto si possa cominciare a vedere.
26/06/2021, 17:44
26/06/2021, 21:49
19/10/2022, 19:46
25/03/2024, 18:06