Gli articoli provengono tutti da fonti non controllate.
Chiediti perchè nessuno ha eseguito un controllo che io ho fatto in due secondi.
Bliz, ma tu hai letto e ascoltato sui casi che proponi?
Leggi e ascolta con molta attenzione,
Gnosel è un criminale che praticava aborti illegali.
Chiediti come è possibile che un uomo come questo lavorasse.
E sappi che è in centinaia di uomini come questo che andrebbero a finire donne di ogni tipo se venisse abrogata la legge 194.
Planned Parenthood è questa:
http://www.plannedparenthoodaction.org/Nel video si parla di di aborti legali che avvengono entro il terzo mese di gravidanza...Quindi non è tra far sopravvivere oppure no il feto. Non c'è possibilità di sopravvivenza.
La planned Parenthood in America è costantemente sotto attacco dei media e degli integralisti contrari all'aborto. Impossibile almeno di non andarsi a spulciare bene il caso capire cosa c'è di vero e cosa c'è di propagandistico.
Però questo è vero:
È giusto morire per un aborto negato?http://www.uaar.it/news/2013/04/23/gius ... to-negato/Si parla molto di femminicidio. I numeri sono impressionanti. Ma c’è un altro femminicidio di cui si parla poco, se non nulla: quello delle donne che rischiano di morire, e talvolta muoiono, perché la criminalizzazione dell’interruzione di gravidanza impedisce loro di salvarsi abortendo.
Una donna incinta, gravemente malata, rischia il carcere
L’ultimo caso di una lunga e tristissima serie è quello è quello avvenuto a El Salvador. Una donna incinta, gravemente malata, rischia il carcere se deciderà di interrompere una gravidanza per potersi curare: nel paese infatti l’aborto è del tutto illegale. Questa è la storia di Beatriz, ventiduenne già madre di un bimbo e con una gravidanza di 4 mesi e mezzo, portata all’attenzione dell’opinione pubblica da Amnesty International. Non è un caso che la nota organizzazione internazionale che si oppone alla tortura e alla condanna a morte denunci la storia della giovane. Beatriz infatti è di fatto condannata a morte, se non riuscirà ad abortire.
I medici hanno riscontrato che il feto purtroppo è anencefalico: ha una grave malformazione a causa della quale non si sviluppano il cervello e parti della testa, quindi è destinato a morire subito. La giovane è inoltre affetta da lupus e problemi renali. Da almeno un mese la donna ha chiesto il permesso di poter abortire, viste le gravi condizioni personali e del feto, ma non è stato dato il consenso. La questione è stata sottoposta alla Corte suprema, ma i tempi per una decisione appaiono troppo lunghi.
Gli stessi medici, sotto la scure della rigidità delle autorità e dell’influenza ideologica della Chiesa, temono di finire sotto processo se dovessero intervenire per salvare la donna. Ancora oggi infatti il codice penale salvadoregno condanna a una lunga pena detentiva chi permette o attua un aborto, a prescindere dalle motivazioni. Da qui l’appello di Amnesty International al governo affinché permetta l’interruzione di gravidanza per gravi motivi medici.
In un altro paese tradizionalmente cattolico ma sulla via della secolarizzazione, l’Irlanda, il caso di una giovane donna di origine indiana ha destato grande dibattito nell’opinione pubblica, dove sempre più voci si alzano per rendere più aperta la legislazione sull’aborto. È la storia di Savita Halappanavar, che come Beatriz si è vista negare un aborto terapeutico nonostante il feto stesse morendo. I medici, alle insistenze della stessa donna sofferente per interrompere la gravidanza, avevano risposto che l’Irlanda era “un paese cattolico” e quindi non si facevano aborti. È andata a finire che il ritardato intervento ha causato una setticemia e ciò ha portato alla morte di Savita. Come ricostruito da inchieste mediche, che hanno riconosciuto come proprio il mancato intervento abbia compromesso irrimediabilmente la salute della donna, causandone la morte.
Un circuito della sofferenza che contribuiscono ad alimentare proprio gli integralisti
Le limitazioni di legge che si vanno diffondendo negli Usa e la propaganda intimidatoria degli integralisti, anche con presidi e preghiere davanti alle cliniche dove si praticano interruzione di gravidanza, porta alla chiusura di tante strutture dove le donne possono accedere in sicurezza e al proliferare di converso degli aborti clandestini. Con una serie di leggi negli Stati Uniti si sta riportando la situazione indietro di anni, se non di decenni: in Mississippi, per esempio, ora c’è un solo ospedale che pratica aborti, rimasto aperto solo dopo essersi rivolto a un tribunale federale. E peggiorano le condizioni delle donne, costrette a rivolgersi a dottori che intervengono anche mettendone a rischio la vita. Recente è il caso di Kermitt Gosnell, arrestato per aver messo su in Pennsylvania una ‘clinica’ abusiva dove si praticano in maniera illegale rischiosissimi aborti in condizioni igienico-sanitarie pessime, tanto che aveva causato la morte di una rifugiata del Bhutan per eccessive dosi di sedativi e diversi infanticidi. Come scrive Tanya Gold sul Guardian, il suo caso è stato prontamente strumentalizzato dai no-choice più integralisti per denunciare la disumanità e gli orrori dell’aborto, con il consueto stile granguignolesco. Ma quello che rivela è purtroppo quanto la retorica anti-abortista più estrema sia contro le donne, perché porta alla scomparsa di cliniche e centri in regola — che fanno informazione sul family planning, distribuiscono contraccettivi e praticano anche aborti sicuri — rimpiazzati da aguzzini che attuano artigianalmente aborti. Un circuito della sofferenza che contribuiscono ad alimentare proprio gli integralisti nel nome della “difesa della vita”.
Esaltazione (con tanto di beatificazione) di donne che invece hanno preferito morire
D’altronde non c’è da stupirsi, visto che la legge che criminalizza gli aborti è perfettamente in linea con la dottrina cattolica. Le speculazioni teologiche dei secoli scorsi, con le quali alcuni dotti in teoria consentivano l’interruzione di gravidanza in limitatissimi casi, sono state tacitate da una linea rigidamente no-choice dei papi. Non va dimenticata la tendenza dal Settecento a battezzare il feto, con rischio per la vita della madre. Si è quindi imposta nella Chiesa — e soprattutto fuori, visto che i suoi membri non hanno in teoria problemi di maternità o paternità — l’idea secondo cui l’aborto sia tout court un omicidio. Con conseguente demonizzazione di chi sostiene la possibilità di interrompere una gravidanza lasciando autonomia alla donna, giudicata frivola o inumana se abortisce. E con l’esaltazione (con tanto di beatificazione) di donne che invece hanno preferito morire per portare a termine una gravidanza.
Anche nei paesi in via di sviluppo l’accesso alla contraccezione e all’interruzione di gravidanza permette ogni anno di salvare centinaia di migliaia di donne. Noto è anche l’attivismo trasversale di Vaticano e paesi islamici in sede internazionale in una ’santa alleanza’ contro i diritti riproduttivi delle donne nei paesi più poveri. Nel clima di restaurazione che si vive negli stati a maggioranza islamica si assiste anche alla negazione della libertà delle donne, che in particolare demonizza l’autonomia nella sfera sessuale e riproduttiva. Anche nella “laica” Turchia il governo islamista di Recep Tayyip Erdogan sta spingendo, in nome del natalismo nazionalista e della religione musulmana, per restringere la possibilità di abortire.
Le conseguenze di una dottrina religiosa anche in questo caso sono politiche e sociali e colpiscono tutti i cittadini a prescindere dal credo, vista l’influenza della Chiesa e di altre confessioni religiose organizzate. Prova ne è la situazione italiana dove l’obiezione di coscienza ha raggiunto percentuali bulgare impedendo di fatto in certe zone di interrompere la gravidanza. La Cassazione ha recentemente sanzionato l’ennesima pretesa di un medico obiettore, che non voleva soccorrere una donna a rischio emorragia che aveva già praticato un aborto. Ma c’è anche il tentativo in Spagna del governo del popolare Mariano Rajoy di di imporre limitazioni alla legislazione sull’aborto voluta dal socialista José Luis Zapatero. Seguendo ovviamente la linea tracciata dalla conferenza episcopale di Spagna e con il beneplacito del Vaticano. Anche un papa apparentemente più aperto come Francesco su certi temi si mantiene rigido senza lasciarsi andare in dichiarazioni che ora sarebbero incaute e tali da rovinarne l’immagine mediatica, come dimostrato dal suo solerte attivismo no-choice in Argentina, fin quando è stato a capo dei vescovi locali.
Sembra proprio che per loro una donna che vuole abortire meriti una punizione
La sensazione è che questo andazzo soddisfi gli integralisti e le gerarchie ecclesiastiche, e in generale non turbi più di tanto i no-choice. Sembra proprio che per loro una donna che vuole abortire meriti una punizione esemplare, fatta di sofferenza psicologica e fisica, anche spinta alle estreme conseguenze. Non a caso combattono la possibilità di scegliere la pillola abortiva, preferendo che l’unica strada sia quella di passare sotto i ferri chirurgici. Non a caso si registrano casi di obiezione di coscienza nei confronti di donne che hanno già abortito, anche se in preda a sofferenze e anche se in pericolo di vita.
Sono purtroppo tanti i paesi in cui i diritti delle donne sono pesantemente compressi dall’applicazione della dottrina cattolica. A rischio della loro stessa vita. Eppure sono proprio le donne, che nella Chiesa non possono accedere ai vertici della gerarchia, a costituire la maggioranza delle truppe cattoliche. Forse dovrebbero cominciare a far sentire più frequentemente la loro voce. O cominciare ad abbandonare in massa un club che le discrimina costantemente.
La redazione