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Astronave
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 Oggetto del messaggio: Il mito dell'immortalità e l'ideologia transumanista
MessaggioInviato: 10/06/2023, 18:54 
IL MITO DELL'IMMORTALITA' E L'IDEOLOGIA TRANSUMANISTA
Adriano Segatori

O si cambia o si muore
Non c’è un diritto di natura, né un torto di natura1 — Friedrich Nietzsche

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Che l’uomo sia stato da sempre un animale pre­disposto all’esplorazione dello spazio e al miglio­ramento dell’ambiente circostante è un dato oggettivo oltre che - na­turalmente - per una sua esigenza di sopravvivenza. Essendo privo di istinti, quindi di un comportamento immodificabile e predestinato, ha dovuto conquistarsi un posto nel suo contesto di nascita e di appartenen­za, e certamente non è stato facile realizzarlo nei due-trecentomila anni trascorsi dalla sua apparizione sul pianeta. Tuttavia, qualcosa è pure rimasto come residuato ance­strale, come dispositivo basilare di conservazione in quella piccola par­te encefalica che il neuroscienziato Paul MacLean ha chiamato “cervello rettile”. Qualcuno negli ultimi tempi ha contestato tale impostazione, ma resta il fatto che l’attacco o la fuga, ad esempio, l’accudimento o la pre­dazione, lo stesso accoppiamento, siano stati e restino indicatori precisi di un passato tuttora presente. Certi intellettuali progressisti arric­ciano il naso davanti a tali imposta­zioni, pretendendo che il condiziona­mento culturale abbia - negativamente - influenzato le società che hanno prece­duto questa discutibile post-modernità. Devono, necessariamente, farsene una ragione. Se il cavernicolo non fosse stato predisposto all’aggres­sione o alla ritirata di fronte agli animali feroci, se l’energumeno non avesse procurato il cibo e difeso la caverna e la prole, se lo stesso non si fosse accoppiato con la femmina a disposizione, noi non saremmo qui. Se nei tempi preistorici i nostri ante­nati si fossero dimostrati impotenti, paurosi e gay o lesbiche, l’umanità non avrebbe avuto storia. Questo è un dato oggettivo, fattuale. Per altro, le distorsioni dei presupposti di base che riguardano l’aggressività, la de­dizione e la sessualità - come la vio­lenza, l’indifferenza e la perversione - queste sì rientrano nei costrutti so­cio-culturali che la Natura nella sua feroce innocenza non conosce. Ovviamente, tali istinti minimali di sussistenza dovevano fare i conti con l’ambiente circostante, e qui l’uomo dimostrò quella competenza che può essere definita come autocoscien­za, consapevolezza, intuito, intelligenza. L’ambiente doveva essere modificato, il nucleo primario doveva trovare un sistema di aggregazione, gli stru­menti dovevo essere perfezionati, il contesto doveva diventare stabile, la terra doveva essere trattata, la stessa esistenza doveva essere organizzata. Quindi il cambiamento è insito nella ricerca dell’Uomo. Esso è il mo­tore della sua volontà di migliora­mento delle condizioni di vita, di superamento delle sue ristrettezze zoologiche, delle sue insufficienze biologiche. L’uomo, animale sociale e politico, come tale è in costante rapporto con l’Altro e con l’ambien­te circostante, per cui sarebbe sterile e fatale un suo appiattimento su ciò che è dato per scontato e invaria­bile. Peter Sloterdijk parla di “tendenza cinetica di fondo della Vita”, e cita un commento di Goethe che disse “Noi uomini siamo destinati all’espansione e al movimento”, ma su queste condivisi­bili osservazioni devono essere posti due fermi interrogativi: Verso dove? Per quanto2? Qualità e quantità, dunque, para­digmi indispensabili per dare un significato ed un valore non solo alla pulsione innata di cambiamento, ma allo stesso senso dell’esistenza. A questo proposito è giusto precisare ai cantori del progressismo relati­vista e dell’accelerazione post-mo­dernista che citano a sproposito la famosa terzina dell’Inferno dantesco “fatti non foste a viver come bruti ma per se­guir virtute e canoscenza”, che conoscenza è intesa con l’accezione di interiorità, e virtù nel senso di valore, di forza d’a­nimo, di coraggio, di virilità, per niente collegabile all’uomo naturalistico e pulsionale della contemporaneità. Quindi, si può dire che la necessità umana del cambiamento va di pari passo con la necessità di libertà, ma a questo punto, per una ineludibile discriminante di scelta, ci viene in soccorso Zarathustra: “Libero, ti chiami? Voglio sentire il tuo pensiero dominante e non che sei sfuggito a un giogo. […] Libero per che cosa?”. Ecco il punto cruciale. Un cambiamento lecito per liberar­si dalle costrizioni intrinseche alla limitatezza umana, ma con quale finalità rispetto all’umano che indis­solubilmente è in noi? Perché anche di cambiamento si può morire, e sotto diversi punti di vista.

La tentazione è dietro l’angolo
“Ma questo progresso non è vera gloria, per­ché arte e tecniche innescano un circolo vi­zioso, fino a creare una proporzione inversa tra progresso esteriore e regresso interiore”4

La Natura - per il pensiero greco e riassumibile nella nota sintesi di Eraclito - è come un ambiente, un sistema, uno scenario perenne e inalterabile “che nessun dio e nessun uomo fece”. L’Uomo, perciò, doveva considerarsi ospite della Natura, e ubbidire alle sue leggi dettate da una necessità trascendente. La notte e il giorno, il sole e la pioggia, l’eterno ritorno delle stagioni, la vita e la morte: tutto aveva un senso seguendo il ritmo iscritto in un cosmo inteso proprio nella sua accezione etimologica - kosmos - da cui cosmesi, come simmetria, equilibrio, ordine e bellezza. Ospite illustre, senza dubbio, ma il destino dell’Uomo, la sua finalità, era inscritta sul frontone del tempio di Apollo a Delfi - “Conosci te stesso” - e agisci “secondo misura”. Due princìpi fondamentali per dare il giusto inquadramento ad una mentalità e ad un tempo intrisi di armonia e di sacro. L’Uomo, quindi, come erede di un patrimonio trascendente, sovraumano, da custodire e da preservare, mentre contemporaneamente aveva il compito di perseguire il suo daimon, la sua vocazione, sempre all’interno di ciò che in Natura gli era stato stabilito e, in un certo senso, affidato. Tanto per esser chiari, non è vero che gli antichi non si affidassero alla tecnica per le creazioni materiali, meccaniche, ma la stessa era inserita all’interno di un ordine cosmico da rispettare e da salvaguardare. Da questo punto di vista ha perfettamente ragione Galimberti quando afferma che “la tecnica avanzata dell’Occidente non è una variante della tecnica antica, ma la sua antitesi”5, perché estranea all’idea di misura, del limite, della proporzione, fattori ontologici alla Natura. Inoltre, questa stortura semantica ed epistemologica riguarda anche, ad esempio, l’alchimia, che non è la precorritrice della chimica come l’astrologia non lo è dell’astronomia, in quanto le prime inserite in un ordine simbolico completamente estraneo alle seconde. Ad un certo momento, questo criterio di intendere l’Uomo e la Natura è cambiato: un evento straordinario ha completamente messo fuori uso ogni concezione determinata, ribaltando radicalmente i termini del discorso e l’intera sceneggiatura storica e culturale. Questa sovversione - e il termine è volutamente scandaloso - è esplicitata nella Genesi (1,26-28) quando Jahvé, riferendosi alla terra, mandò un messaggio esplicito agli uomini, al maschio e alla femmina: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra”. Il termine “soggiogare” non lascia adito a dubbi: da ospite e custode a dominatore e sfruttatore, il passo è stato breve. Se poi, a supporto della delega divina di potere e di egemonia, ci aggiungiamo la rivelazione massima di Dio che disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza”, la gratificazione dell’Uomo trovava terreno fertile per far germogliare ed espandere quel seme di narcisismo e di onnipotenza che grandemente si è esplicitato e si esplicita in apparati tecnici, un sistema che il filosofo Andrea Zhok ha chiamato “Tecnarchia”, ovvero la tecnica come dominio dei mezzi posta a principio guida di tutte le decisioni finanziarie e politiche. Se, come ritengo giusto e rigoroso, partiamo dalla considerazione di Aristotele per cui “Verum scire est scire per causas”, non possiamo trascurare le ragioni originarie, primordiali, e simboliche, per conoscere realmente la questione transumanista, magari riconoscendo - con tutto il rispetto dovuto - una malriposta fiducia di Jahvé nell’Uomo e nella sua capacità di autocontrollo e autodisciplina. Una volta dato all’Uomo il potere sulla Natura, lasciandolo libero di agire su una terra oggettivata e in un mondo desacralizzato, la tecnica ha perduto ogni limite previsto dall’antico riconoscimento, e la sua azione diventava automaticamente soggetta solo a parametri di possesso e calcolo. Da quel momento, lo stupore per l’Universo è stato soppiantato dalla curiosità, lo sguardo innocente dall’osservazione calcolante, il sentimento di meraviglia dall’ossessione raziocinante. È stata un’accelerazione incontrollata a fondare la scienza moderna e, con essa, a determinare il potere altrettanto ingovernabile della tecnocrazia. Dietro alla tentazione dell’albero della conoscenza era acquattata la trappola della superbia umana e, oltre al mancato riconoscimento del bene e del male, anche la negazione e il rigetto di ogni regola. Il Nihil nimis, il non eccedere dei saggi antichi, è stato svenduto al miraggio allucinato di Ray Kurzweil, di Elon Musk, di Steve Wozniak, di Frank Tipler che arrivò a individuare un “Punto Omega, un momento in cui la vita intelligente pervaderà tutta la materia dell’universo, sfociando in una singolarità cosmologica che consentirà alle società future di resuscitare i morti”6. Dall’irrealtà orripilante di Frankenstein, è tutto.

Non di sola ragione vive l’uomo
“L’intelletto permette all’essere umano di liberarsi dalle costrizioni organiche a cui devono sottostare gli animali, e lo mette in grado di trasformare la Natura secondo le sue necessità”7 – Arnold Gehlen

Diceva, scherzando, un mio docente di psicoterapia: “Se bastasse l’intelligenza, la cultura e la buona volontà per superare i problemi psichici, a noi chi ci pagherebbe il mutuo?” È proprio partendo da questa veritiera ed efficace battuta che è bene focalizzare due termini su cui Gehlen imposta la sua concezione positiva dell’Uomo quale essere essenzialmente tecnico: “intelligenza” e “necessità”. Due termini in sé innocui, neutri, ma che nascondono delle pericolose ambiguità, soprattutto emergenti in maniera lampante nella cosiddetta post-modernità e nei fondamenti pratici dell’ideologia transumanista. Le equivocità derivano dalla mancata considerazione di un dispositivo inconscio e incontrollabile che fa capo alla psiche umana. Facciamo degli esempi. È intelligente l’omicida seriale che pianifica l’agguato alla sua vittima predestinata? Certamente sì. È intelligente lo psicopatico che seduce la preda per intrappolarla nella rete di violenza? Certamente sì. È intelligente il politico che affascina gli elettori per ottenere degli obiettivi disonesti? Certamente sì. È intelligente l’esperto finanziario che lusinga i clienti per poi depredarli degli averi? Certamente sì. Tutti questi personaggi hanno la prerogativa dell’intelligenza, ma tutti anche spregiudicatezza, egocentrismo, determinazione, assenza di etica, efficacia ed efficienza nel raggiungere i propri obiettivi. E poi, la necessità. Termine altrettanto ambivalente ed equivoco. È necessario il sensore per il controllo della glicemia? Certamente sì. È necessario l’innesto cerebrale di un neurotrasmettitore per governare i sintomi del Parkinson? Certamente sì. È necessario il pacemaker per mantenere regolare la frequenza cardiaca? Certamente sì. Questi, e molti altri dispositivi tecnologici che hanno radicalmente migliorato la vita dei pazienti, rispondono alla necessità. Niente da eccepire, tranne che da diversi anni si sta confondendo il termine di necessità vitale con quello di voglia futile. Per rifarsi sempre all’origine, torniamo all’ammonimento di Pindaro, vicino all’altro famoso citato: “Diventa ciò che sei”, sempre congiunto all’avviso: “katà métron” secondo la giusta misura. E qui sta il trabocchetto della contemporaneità, che attraverso la pseudo religiosità dei diritti ha trasformato il principio delfico in “hai diritto di diventare ciò che vuoi” o, peggio ancora, “diventa ciò che gli altri vogliono che tu sia”: e il gioco dell’esagerazione onnipotente è fatto. In sostanza, quello che è venuto a mancare è il senso del limite, quel margine invalicabile che divide la realtà dalla fantasia, il lecito dall’interdetto, l’indispensabile dal superfluo, il ragionevole dallo sproporzionato. Si potrebbe (anche) riassumere, con il bene dal male. Come ha osservato giustamente Galimberti, l’uomo pre-tecnologico agiva all’interno di un orizzonte di senso, mentre la “tecnica ha abolito questo scenario umanistico [e risponde solo in considerazione] di funzionalità ed efficienza”8. Essa condiziona l’uomo ai suoi scopi, trasformandolo a proprio oggetto di manipolazione. Quindi, ritornando alla facezia iniziale, possiamo dire che la tecnica è ben attrezzata in intelligenza, cultura e buona volontà ma, come nella struttura caratteriale e personologica del serial killer, dello psicopatico e del pedofilo, essa è sganciata da ogni vincolo morale, da ogni imperativo etico, da ogni inibizione comportamentale: essa deve semplicemente porsi degli obiettivi da raggiungere ad ogni costo e con qualunque mezzo. “La tecnica dispone solo di una ragione strumentale” - specifica Galimberti - “che l’identità di un mezzo ad un fine”9, e quindi risponde solo ai parametri di efficacia ed efficienza, non delle conseguenze delle sue sperimentazioni. La stessa deriva etica del buon uso dell’intelligenza ha interessato la distorsione non solo linguistica tra necessità e voglia. In questo caso con una aggravante complicità: quella del capitale. Massimo Fini ha magistralmente inquadrato il problema con una brillante predizione: il liberal-capitalismo ha bisogno del bisogno, e quindi lo crea. E a supporto della sua convalidata teoria c’è pure l’intervento dello psicanalista Jacques Lacan: il capitalista “produce l’insoddisfazione solo per animare compulsivamente la domanda di godimento sulla quale si regge il potere del mercato. [È il fenomeno della] proletarizzazione delle voglie”10, e con esso la perdita completa della distinzione tra necessità e superfluità, tra desiderio e capriccio, tra riflessione e pulsione. Colette Soler si è inventata un neologismo - Narcinismo: narcisismo+cinismo - per inquadrare un nuovo stile comportamentale. E non è forse questa perversione che supera l’ambito umano per invadere quello della scientocrazia? Massimo godimento del proprio potere unito alla minima empatia per le conseguenze prodotte. Del resto, tecnica e capitale sono andate e stanno andando a braccetto per creare una nuova realtà, infiltrando ogni aspetto dell’umanità, dal lavoro allo sport, dall’informatica all’educazione, dalla procreazione all’estetica e via via elencando11. Perché, allora, non intervenire eugeneticamente sulla vita e sulla morte?

Il millenarismo tecnocratico genera mostri
“Si sostiene che l’evoluzione degli esseri vada continuamente crescendo. Ma è un’affermazione infondata. Ogni tipo ha i suoi confini: di là da questi non c’è alcuna evoluzione”12 – Friedrich Nietzsche

Che Nietzsche non sia stato un precursore del “pensiero debole” o il rispolveratore di un Illuminismo residuale - come pretendono i manipolatori progressisti e i mistificatori dall’anima sfibrata - lo hanno confermato studiosi di varie provenienze, ed è perfettamente sottolineato nell’ultimo saggio di Luca Leonello Rimbotti13. Nietzsche fu il cantore della corporeità, il celebrante del differenzialismo ereditario, il propugnatore della gerarchia dei benriusciti, il fautore della selezione biologica, il sostenitore dell’eugenetica. Insomma, un materialismo dionisiaco intriso di vitalismo, una celebrazione fisica alla salute, alla gioia, all’eros. Fu questo, ma anche molto altro e molto di più quando creò la metafora dell’Uomo quale corda tesa tra la bestia e il Superuomo. La bestia, rappresentata dai “tisici dell’anima”14, dalla “lussuria mascherata da compassione”15, dagli impigriti “dei loro vizi”16, dalla viltà spacciata per virtù e dalla mediocrità smerciata per moderazione: quindi, un terreno psichico, immateriale su quale lavorare. Un mondo interiore dal quale estirpare le debolezze caratteriali, le miserie morali, le meschinità disoneste. Il Superuomo che potrebbe trovare - sicuramente con forzature non confacenti al filosofo di Lützen - delle figure di riferimento come il Ribelle, o l’Anarca, o ancora l’Operaio di Jünger, soggetti che sono attori protagonisti della propria esistenza, negatori dell’armento addomesticato denunciato da Nietzsche, lottatori titanici che attraverso la tecnica promuovono la Mobilitazione Totale. Oppure l’Individuo Differenziato di Evola, immerso nella modernità ma ad essa distante e autonomo rispetto alla sua opera di livellamento e di omologazione. Infine, magari, come il Soggetto Radicale di Dugin, un purificato dalle scorie della civiltà morente e, insieme, contemplatore e ricercatore di un’apertura verso l’alto. Solo ipotesi di comparazione, con tutti i limiti del paragone, ma che comunque servono a stabilire cosa non sia - e con cosa non debba essere inteso - il Superuomo: né con il macho della propaganda decadente della contemporaneità, ma neppure con il cyborg dell’incubo transumanista - entrambe le opzioni promotrici del conformismo, dell’omologazione e del consumismo. La peculiarità del Superuomo non è la ricerca dell’immortalità o dell’indistruttibilità, ma la volontà di potenza nell’esigere il massimo dalla vita che ci è concesso di trascorrere. Altro è l’“androide” descritto da Diderot e d’Alembert nell’“Enciclopedia” o l’“Uomo macchina” di La Mettrie - meccanismi organizzati in termini di codificate operazioni tecniche - oppure la simulazione del cervello umano in base alla potenza di calcolo e all’elaborazione del massimo numero di dati a disposizione. Non esiste similitudine tra la metafora del superamento dell’uomo da bestia a Superuomo di Nietzsche con quanto profetizza Eliezer Yudkowsky: “[…] ad un certo punto la freccia dell’Intelligenza Artificiale colmerà il minuscolo divario esistente fra l’infra-idiota e l’ultra-Einstein nel giro di un mese, o in un periodo di tempo comparabilmente breve”17. Qui siamo alla semplice manipolazione tecnologica dentro alla quale l’Uomo è solo l’oggetto della sperimentazione. La sua volontà di potenza è letteralmente esclusa dalle sue decisioni, e tutta l’operazione si gioca - al massimo - sulla sua parte narcisistica e sulla sua passività accomodante. “Dio è morto” annuncia il folle - non a caso - in mercato, e a questo punto arriva, con la post-modernità un surrogato, la sua scimmia: “[…] la tecnologia prenderà il posto del Dio di Abramo. […] il culmine della fusione fra il nostro pensiero e la nostra esistenza biologica [farà in modo che] non ci sarà distinzione fra umano e macchina o fra realtà fisica e virtuale”18. Quest’ultima dichiarazione sfata ogni dubbio, e ci permette di affermare che Superuomo e Transumanesimo sono esattamente agli antipodi: il primo esige un Uomo grande, integrale. Il secondo mira all’annullamento di ogni Uomo Differenziato e alla sua stessa umanità.

La cera si sta liquefacendo
“Una fine del mondo priva di aspetti trascendentali, metafisici, senza la potente luce che da essi promana e annienta la paura: ecco un’immagine ben triste. Essa sorge da un’epoca di impoverimento, da una fantasia già atrofizzata”19 – Ernst Jünger

Si è partiti dalla necessità innata di cambiamento, mantenendo i presupposti impliciti delle leggi di Natura, e si è arrivati al tempo della manipolazione, sovvertendo ogni ordine naturale del cosmo. E a questo punto parlare di transumanesimo diventa piuttosto complicato, un argomento a volte ambivalente, altre volte scivoloso, comunque conflittuale tra le diverse impostazioni e visioni del mondo. Innanzitutto, dovremmo rispondere che cosa sia il vivente. Se partiamo dal fatto che la vita per l’Uomo non ha una finalità predefinita, se non un democratico esito infausto, allora la questione diventa più chiara. Già chiarendo che la vita supera il dato biologico di esistenza attraverso un progetto individuale, noi ci distinguiamo dalla macchina intelligente che si accende e si spegne in attesa di essere utilizzata, senza un programma proprio autocosciente e autodeterminato. La coscienza dell’Uomo è attiva - in altre modalità e sotto altre forme - anche durante il sonno, e solo la fine delle funzioni vitali può porre fine al suo flusso costante. Poi, l’Uomo è dotato del linguaggio, che grazie alla parola stabilisce il senso e la significazione del dire, riuscendo a definire in una comprensione condivisa anche l’invisibile. Una cosa è affermare “Sono depresso”, e così attivare il sentimento e l’empatia dell’interlocutore, altro è riempire dei moduli digitali per inquadrare e attivare gli algoritmi della depressione. In altre parole, l’Uomo comunica stati psichici mentre la macchina elabora dati tecnici. Ancora, l’Uomo è un animale precario, fragile, certamente delicato, ma queste sue mancanze diventano anche fattori di stimolo per rinforzarsi, migliorarsi, soprattutto sul piano psichico. La macchina, invece, è uno strumento solido, resistente, che quando si inceppa è per un difetto. E qui sta l’inghippo. Se si parte dal presupposto che l’Uomo sia di fatto difettoso, è chiaro che ogni soluzione tecnica - in una mentalità sovrumanista - diventa valida e persino auspicabile. Allora, tutta l’ideologia transumanista prevede molto semplicemente - si fa per dire - una presa di posizione netta e radicale che non può essere oggetto di negoziazione: o l’Uomo viene assiomaticamente riconosciuto come un organismo unico, geneticamente definito, fornito di un dispositivo psichico personale e di una competenza sovra-razionale, oppure una meccanica organizzazione di organi sui quali agire per manipolare i singoli apparati e per potenziare le specifiche funzioni, fino al punto in cui - quando ogni rimaneggiamento risultasse tecnicamente inutile - si decida per la rottamazione. Ci sono esperimenti di neuroscienziati che hanno documentato l’atrofizzazione di precise aree cerebrali preposte all’orientamento temporo-spaziale in tassisti francesi dopo l’uso del navigatore per tre anni di attività. Altrettanta dimostrazione esiste per la diminuita capacità attentiva a causa dell’eccesso delle informazioni provenienti e visualizzate nei social media: tanto per essere chiari, dagli otto secondi dei pesci rossi, ai tre-quattro secondi nei ragazzi testati. Insomma, arrivare senza sforzi alla meta è comodo, come gratificante può essere l’attivazione continua nelle comunicazioni, ma quanto corrompe l’Uomo nelle sue facoltà e competenze la funzionale delega alla macchina? Fino a qui la questione potrebbe risultare ancora sotto controllo. Ma cosa dire della tentazione eugene tica per stroncare un’ereditarietà tarata o una familiarità patologica? O dell’esclusione delle fasce meno abbienti anche alle biotecnologie salvavita? O del privilegio finanziario di chi affitta l’utero di una bisognosa usandola come gestante e incubatrice per la voglia tortuosa di un neonato? O della proposta di una filosofa nordica di usufruire dell’utero di una donna in stato vegetativo in cambio di gratifiche economiche ai familiari? Queste ed altre domande potrebbero essere poste agli ideologi transumanisti, che però risponderebbero con assoluta sicurezza: “Il prevedibile scatenamento delle biotecnologie non potrà certo essere arrestato a livello planetario da qualche comitato di bioetica. È perciò vano opporvisi. […] Tutta la nostra percezione del reale, ereditata dal cristianesimo e dall’aristotelismo, sta per essere sconvolta. […] la biologia a venire introduce il ritorno della magia”20. Poco da aggiungere, in conclusione, se non alcune considerazioni di cornice. Il transumanesimo non è il concetto di Nietzsche che profetizzava il Superuomo come filosofo gerarchicamente superiore per volontà e potenza all’armento plebeo, ma lo stravolgimento dell’Uomo e della sua umanità in una inconsistenza identitaria e psichica, in una meccanizzazione dell’esistenza di molti “ultimi uomini”, nella ibridazione, quella sì subumana e plebea. Non c’è più niente da fare per impedire questa progressione da incubo, si dice, e Stefano Vaj cita una frase di Ian Malcolm in “Jurassic Park”: “Dio ha creato i dinosauri. Dio ha ucciso i dinosauri. Dio ha creato l’uomo. L’uomo ha ucciso Dio. L’uomo ha ricreato i dinosauri. I dinosauri hanno ucciso l’uomo”. Non essendo dotato né dell’ottimismo cristiano, né del pessimismo schopenhaueriano, sono razionalmente convinto che la crescita esponenziale matematica non corrisponde all’ordine di Natura. Per cui, in questa fine ingloriosa di un ciclo, come nelle crisi di ogni civiltà, ci sarà la comparsa - e forse c’è già - di una nuova figura apocalittica e messianica - proprio intesa etimologicamente come comparsa profetica e rivelatrice del nuovo - che sbaraglierà le carte dei negromanti e sarà il tramite, la guida, per una nuova fondazione dell’umano. Nel frattempo, è già tanto se ci poniamo in una posizione di ascolto attivo e di avvertimento ad Icaro della fragilità della cera e della temperatura del Sole. Dire “te lo avevo detto” suona fastidioso e maleducato, ma i maghi del neocreazionismo almeno questo spunto di orgoglio e di immodestia ce lo devono concedere.

Note
1. TZSCHE, Umano, troppo umano, trad. it., Mondadori, Milano 1970, II, 31, p. 143.
2. P. SLOTERDIJK, Devi cambiare la tua vita, trad. it., Raffaello Cortina, Milano 2010, p. 215.
3. F. NIETZSCHE, Così parlò Zarathustra, trad. it. Adelphi, Milano 1976, p. 72.
4. I. DIONIGI, Segui il tuo demone, Laterza, Bari-Roma 2020, p. 86.
5. U. GALIMBERTI, Psiche e techne, Feltrinelli, Milano 1999, p. 56.
6.
M. O’CONNELL, Essere una macchina, trad. it., Adelphi, Milano 2018, p. 32.
7. A, GEHLEN, L’uomo nell’era della tecnica, trad. it., Armando, Roma 2003, p. 33.
8. U. GALIMBERTI, Psiche e techne, cit., pp. 33-4.
9. Ivi, p. 253.
10. M. RECALCATI, L’uomo senza inconscio, Raffaello Cortina, Milano 2010, p. 33.
11. A. SEGATORI, Società tossica e sistema spacciatore, Settimo Sigillo, Roma 2021.
12. F. NIETZSCHE, La volontà di potenza, trad. it., Bompiani, Milano 1995, 684, p. 372.
13. L.L. RIMBOTTI, L’uomo in rivolta, Passaggio al bosco, Italia 2022.
14. F. NIETZSCHE, Così parlò Zarathustra, cit., p. 48.
15. Ivi, p. 62.
16. Ivi, p. 112.
17. M. O’CONNELL, Essere una macchina, cit., p. 96.
18. Ivi, p. 87.
19. E. Jünger, Al muro del tempo, trad. it., Adelphi, Milano 2000, pp. 152-3.
20. S. VAJ, Biopolitica. Il nuovo paradigma, Società Editrice Barbarossa, Milano 2005, pp. 267-8.


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