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 Oggetto del messaggio: Plinio e la testimonianza sui cristiani
MessaggioInviato: 08/05/2011, 19:06 
Su suggerimento di barionu apro anche qui un topic per affrontare la controversa testimonianza di Plinio sui Cristiani:

la lettera di Plinio il Giovane a Traiano con la risposta dell’imperatore scritta dalla Bitinia tra il 111 e il 113 d.C., quando Plinio era legatus pro praetore Ponti et Bythiniae.

Un’analisi di questo tipo non può prescindere da uno studio preliminare sulla trasmissione del testo della lettera ed è questo lo scopo che ci si prefigge in questa prima parte del topic.

La trasmissione del testo.

L’epistolario di Plinio il Giovane viene generalmente classificato in tre gruppi:

1) La famiglia degli 8 libri (gamma)
2) La famiglia dei 9 libri (alfa)
3) La famiglia dei 10 libri (beta)

La corrispondenza tra Plinio e Traiano (e quindi le famose lettere 96-97 concernenti i cristiani) si trovano nel decimo libro ed appartiene quindi alla terza famiglia.

Che sia stato Plinio stesso a curare l’edizione del X libro del suo epistolario (come ha quasi certamente fatto per i primi 9 libri) appare oggi poco probabile, anche se non c’è consensus nella critica riguardo il periodo in cui il libro X sia stato aggiunto ai primi nove.

Quello che è certo (e unanimemente riconosciuto dalla critica) è che lo stile e il tono di questo decimo libro risultano differenti da quelli dei primi nove.

Già Mommsen (6) nel 1873 scriveva:

La corrispondenza di Plinio con l’imperatore Traiano è, come sappiamo, indipendente dalla collezione principale, non avendo quest’ultima mai contato più di nove libri.

Sidone Apollinare ancora al V secolo raccoglie le sue epistole imitando il maestro Plinio e raccogliendole come lui in nove libri.
Libro IX,1

Exigis, domine fili, ut epistolarum priorum limite irrupto, stylus noster in ulteriora procurrat, numeri supra dicti privilegio non contentus includi. Addis et causas, quibus hic liber nonus octo superiorum voluminibus accrescat: eo quod C. Secundus, cujus nos orbitas sequi hoc opere pronuntias, paribus titulis opus epistolare determinet.

Tu esigi, o signore figlio, che oltrepassando i limiti nei quali sono racchiuse le mie lettere precedenti, la mia penna vada oltre e non si accontenti di questo numero. Il motivo che tu adduci, per il quale io dovrei aggiungere un libro nono agli otto precedenti è che C. Secundus di cui tu dici che io seguo le tracce nella mia opera, dà lo stesso limite alla sua opera epistolare.


In questa sede si concentrerà l’attenzione sulla storia testuale della terza famiglia (beta) che è quella che, ovviamente, interessa più specificatamente le testimonianze sul cristianesimo primitivo ed in particolar modo proprio su questo decimo libro tanto importante considerata l’esiguità delle testimonianze pagane sul cristianesimo nei primi secoli dell’era cristiana.

Conviene subito affermare in maniera netta un dato molto importante: nessun manoscritto contenente il decimo libro dell’epistolario di Plinio e quindi anche le lettere 96-97 riguardanti i cristiani ci è pervenuto.

Gli unici testimoni manoscritti per la famiglia dei 10 libri (oltre a quello conservato alla Pierpont Morgan Library di cui parleremo in seguito) sono due manoscritti derivanti da un archetipo mutilo contenente solo i libri I-V.6 (con una lacuna in IV.26), i codici B ed F.

Il più importante è il Bellovacensis (codice B, conosciuto anche con il nome Ashburnhamensis, R 98) conservato alla Biblioteca Laurenziana di Firenze. Risale al IX o X secolo e riporta il titolo:

C. PLINI SECUNDI EPISTULARUM LIBRI NUMERO DECEM

Il codice B contiene inoltre, per i primi 5 libri, i nomi dei destinatari e l’incipit di ogni lettera, elenco che doveva comparire anche nell’antenato comune ma che il copista dell’altro manoscritto, F, ha omesso.

Del codice si sa che è stato utilizzato nel XIII secolo da Vincent di Beauvais (1190-1260), frate domenicano e priore del convento di Beauvais (il primo folio del manoscritto contiene l’iscrizione di una mano del XII secolo “S.Petri Beluacensis”).

Successivamente ritroviamo il codice nella biblioteca riccardiana di Firenze dove fu collazionato da Anton Francesco Gori (1691-1757). Il manoscritto fu quindi sottratto alla biblioteca dal famoso bibliofilo e storico della matematica (nonché ladro di manoscritti), Guglielmo Libri (intorno al 1830) che lo vendette a Lord Ashburnham che raccolse tra il 1830 e il 1860 una delle più importanti collezioni di manoscritti del secolo (molti dei quali procurati in maniera illecita). Alla sua morte la collezione fu acquisita dal governo italiano e il Bellovacensis tornò a Firenze nella Biblioteca Laurenziana dove si trova tuttora.

Il codice manoscritto F risale invece all’XI-XII secolo e si trova anch’esso nella Biblioteca Laurenziana di Firenze. Questo manoscritto fu ripetutamente copiato nei secoli immediatamente successivi e ha costituito fino al XV secolo la ‘source’ unica per gli italiani sulla corrispondenza di Plinio il Giovane (utilizzato dal celebre Guarino).

Per quanto riguarda le edizioni di stampa dell’epistolario di Plinio va detto che fino alla seconda metà del XV secolo esse contenevano solo i primi 8 libri (in verità con l’ottavo mancante e il nono preso per l’ottavo). Nel 1474 un editore romano, Shurener, diede alle stampe un’edizione dell’epistolario di Plinio per la prima volta contenente nove libri (ma ancora con i libri XIII e IX invertiti).

Su quale manoscritto si sia basato Schurener è ancora oggi un mistero, ma sicuramente non si tratta del famoso (a causa di Tacito) manoscritto Mediceo I il cui epistolario di Plinio appartiene sì alla famiglia dei 9 libri (con i libri XIII e IX nell’ordine corretto) ma che in quel periodo si trovava come è noto a Corvey in Westphalia e che giunse in Italia solo nel 1508.

Fino al 1502, non erano state pubblicate in Italia meno di cinque edizioni delle lettere di Plinio e tuttavia la corrispondenza con Traiano restava sconosciuta e con essa quindi la capitale testimonianza sui cristiani.

Fu nel maggio 1502 che Gerolamo Avantius, di Verona pubblicò:

C. Plinii Iunioris ad Traianum Epistole 46, nuper reperte cum eiusdem responsis

Quarantasei lettere di Plinio il Giovane a Traiano, recentemente scoperte, con le sue risposte.


Si trattava delle lettere numerate 41-121 nelle edizioni moderne.

Nella sua dedica al cardinal Bembo, Avantius scriveva:

Petri Leandri industria ex Gallia Plinii iunioris ad Traianum epistolas licet mancas depravatasque habuimus.

E’ attraverso le cure di Pietro Leandro che queste lettere di Plinio il Giovane a Traiano ci sono pervenute dalla Francia, incomplete ed alterate.


Veniamo a sapere dunque che la Francia è la source di queste lettere e che il tramite è stato un certo Pietro Leandro, di cui avremo modo di parlare in seguito.

L’edizione veronese era stata fatta senza molta cura e abbondava in errori persino d’ortografia. Ad una data successiva di quello stesso anno 1502, le medesime quarantasei lettere furono pubblicate a Bologna da Beroaldo e poi ancora nel 1506 a Milano da Cataneus. In queste edizioni, venivano corretti numerosi errori di Avantius. Tuttavia tali correzioni erano basate su sagaci congetture e non derivavano dalla consultazione di un originale.

Nel 1508 comparve la prima edizione aldina delle lettere di Plinio, l’ editio princeps del Libro X completo dell’epistolario di Plinio, comprendente, oltre alle quarantasei lettere, le ventisei prime lettere della corrispondenza Plinio Traiano.

Vale la pena riportare le note di Aldo a riguardo, nella sua dedica ad Aloisius Mocenigo, ambasciatore di Venezia a Parigi.

Ex quo tu e gallia...has Plinii epistolas in Italiam reportasti, in membrana scriptas, atque adeo diversis a nostris characteribus ut, nisi quis diu assueverit, non queat legere coepi sperare fore aetate nostra ut plurimi ex bonis auctoribus, quos non extare credimus, inveniantur

Quando voi avete portato dalla Francia in Italia queste lettere di Plinio scritte su pergamena con dei caratteri così differenti dai nostri che senza una lunga esperienza essi sarebbero stati indecifrabili, io cominciai a sperare, per la nostra epoca, la scoperta di molti bravi autori che noi crediamo perduti.
...
Sed tibi in primis habenda est plurima gratia, inclite Aloisi, qui exemplar ipsum epistolarum reportasti in Italiam, mihique dedisti ut excusum publicarem. Deinde Iucundo Veronesi, viro singolari ingenio ac bonarum literarum studiosissimo, quod et easdem Secundi epistolas ab eo ipso esemplari a se descriptas diligenter, ut facit omnia…ad me ipse sua sponte…adportaverit, idque biennio antequam tu ipsum mihi exemplar publicandum tradidisses.

Ma, innanzitutto, io devo, illustre Aloisio, esprimervi tutta la mia riconoscenza per aver portato in Italia il manoscritto stesso delle lettere e di avermelo dato a stampare. In secondo luogo, io manifesto la mia gratitudine verso Giocondo, di Verona, spirito eminente, fervente letterato, che due anni prima che voi mi portaste il manoscritto, mi aveva spontaneamente portato queste stesse lettere di Plinio da lui copiate con la cura che egli mette in tutte le cose.


Queste note ci rivelano che Aldo aveva potuto consultare il manoscritto completo dell’epistolario di Plinio, quello che oggi è comunemente conosciuto come il Parisinus, e che questo codice era caratterizzato da caratteri differenti da quelli comunemente repertoriati dall’editore veneziano.

A concedergli il manoscritto per la pubblicazione era stato Aloisio Mocenigo che lo aveva portato dalla Francia dove in effetti il nobile veneziano era stato ambasciatore nel 1505 e 1506.

Apprendiamo ancora che prima di Mocenigo, fra Giocondo aveva portato ad Aldo una copia del prezioso manoscritto.
Ma chi era questo fra Giocondo da Verona?

Carlo Vecce (9) a proposito dei rapporti culturali tra Italia e Francia alla fine del XV secolo.

In questa prospettiva, ad esempio va intesa l’attività di un personaggio singolare, e a volte sfuggente, fra Giocondo da Verona, architetto, ingegnere, filologo, epigrafista e ricercatore di antichità. Il frate giunse in Francia nel 1495, al seguito di Carlo VIII, e direttamente dal regno di Napoli, dov’era sotto il servizio degli Aragonesi, in relazione con i massimi umanisti napoletani, Pontano e Sannazzaro; ed attese negli anni francesi a varie opere ingegneristiche ed architettoniche, principalmente a Parigi, per la ricostruzione del Ponte di Notre-Dame, e a Blois dove sovrintendeva ai lavori di canalizzazione dei giardini.
...
Molti altri testi classici Giovanni Giocondo portò dalla Francia, quando nel 1506 tornò a Venezia, ed il loro comune approdo alla medesima tipografia rivela il nome di chi, fin dall’inizio, avrebbe potuto suggerirne la ricerca; e cioè del principe degli editori, di Aldo Manuzio.

Com’è noto Aldo, aveva avviato, tra il 1495 e il 1500, un programma filosofico-scientifico d’edizione dei testi greci, per la maggior parte ancora inediti, cui si affiancò tra il 1501 e il 1505 una serie di stampe latine e volgari fortemente innovative nell’idea nonché nella forma tipografica, fondata sull’introduzione del formato in ottavo e dei caratteri cosiddetti aldini. E’ l’ideale costituzione di un’ideale biblioteca di classici, antichi e moderni, presentati nel solo testo privo di commento, ed anche se non sempre vi si avverte il ricorso a fonti manifestatamente superiori alla vulgata, molte delle lettere prefatorie esprimono la richiesta costante di nuovi manoscritti e nuovi testi.

E difatti la terza fase dell’editoria aldina, quella che culmina poi con il provvido arrivo di Erasmo a Venezia nel 1508, raccoglie proprio i frutti migliori delle ricerche di Giocondo: innanzitutto la prima edizione completa dell’epistolario di Plinio il Giovane nel 1508.


Il codex Parisinus, copiato da fra Giocondo, doveva trovarsi nell’abbazia di San Vittore a Parigi, infatti il catalogo di quel fondo (repertoriato da Claude de Grandrue) denunciava la scomparsa del codice nel 1514, desumendone alcuni dati da un catalogo più antico:

GAII PLINII MANLI in antiquissima littera epistolarum libri decem: primus 1, sextus 131, nonus 201, huius noni deficiunt ultima tria folia, decimus 239.

E proprio Parigi ritroviamo nel periodo di nostro interesse fra Giocondo impegnato nella ricostruzione del ponte di Notre-Dame e forse anche di quello dell’Hotel-Dieu, da cui il distico:

Iocundus geminum imposuit tibi, Sequana, pontem
Hunc tu iure potes dicere pontificem


L’ipotesi più accreditata dagli studiosi che si sono occupati del problema vuole che Pietro Leandro prima e frate Giocondo poi abbiano copiato il Parisinus nella biblioteca di San Vittore, prima che Aloisio Mocenigo, probabilmente grazie ai suoi importanti mezzi finanziari, riuscisse ad accaparrarsi il codice e a portarlo ad Aldo Manuzio.

Si suppone cioè che l’unico testimone manoscritto del libro X delle epistole sia il codex Parisinus, originariamente conservato a San Vittore a Parigi e scomparso nel nulla dopo l’edizione aldina delle epistole di Plinio del 1508.

Tuttavia se l’ipotesi è più che verosimile per ciò che riguarda Giocondo, altrettanto non può dirsi per Pietro Leandro che, come sappiamo, copiò solo parzialmente il decimo libro. Per quale motivo, visto che il Parisinus conteneva il decimo libro per intero?

Perché invece non supporre l’esistenza di un secondo manoscritto appartenente alla terza famiglia, ma contenente un libro X mutilo e quindi solo le lettere da 46 a 121 contenute nell’edizione del 1502 di Avantius?

Sono i recenti lavori del professor Stagni (Università di Pisa), che hanno portato importanti elementi in favore di questa ipotesi.

Chi era Pietro Leandro?

Sentiamo ancora Carlo Vecce.

Petrus Leander era in realtà Pietro Marino Aleandro, un cugino di secondo grado del più noto Girolamo Aleandro, appartenente per parte di madre alla nobile famiglia Aleandro di Motta di Livenza, ma nato verso il 1480 a Conegliano, da Chiara degli Aleandri e Cristoforo Marino. E passò in Francia ancor giovane dal momento che se ne ritrova un’autografa sottoscrizione in un incunabolo di Persio, stampato a Parigi da Michel Tholoze tra il 1496 e il 1500:

Emendatum ex antiquo codice Blesis in Gallia in abbatia Sancti Launomari Blesis 1500 per me Petrum Aliandrum.

L’Aleandro aveva insomma collazionato un antico codice di Saint Laumer a Blois, che conservava anche il commento di Cornuto: e sui margini della stampa si raccolsero diversi scolii cornutiani, ed alcune varianti al testo di Persio.

Da Blois l’Aleandro, che con ogni probabilità era in Francia al seguito dell’oratore veneto, Francesco Foscari, si spostò a Lione.


Pietro Leandro negli anni 1500-1501 (il periodo nel quale dovette copiare il manoscritto di Plinio per Avantius) era dunque al servizio di Francesco Foscari, che a sua volta era al servizio del re di Francia. Ci dice giustamente Stagni:

Si dimentica però che in quel periodo il re, seguito dagli ambasciatori, non fu mai a Parigi, e che passò il grosso del tempo nell’amata valle della Loira, e soprattutto a Blois, dove fra Giocondo ed altri artisti, in gran parte italiani, stavano ricostruendo il magnifico palazzo che oggi conosciamo.
...
E di nuovo la valle della Loira appare come la scena più verosimile per le attività umanistiche di Pietro Leandro, che proprio a Blois, nell’abbazia di Saint-Laumer, dichiarò di aver collazionato un codice di Persio con scolii attribuiti a Cornuto… Nel 1500-1501 il segretario di Foscari, di cui possiamo ricostruire gli spostamenti al seguito del re giorno per giorno o quasi, dovette risiedere a lungo esclusivamente in quella città, mentre in altre, al limite con una brevissima deviazione anche a Parigi, poté passare solo fugacemente: non quanto serviva per copiare testi piuttosto estesi.


Blois dunque, splendida cittadina nella valle della Loira, ci appare come il probabile luogo di residenza di un manoscritto mutilo contenente in parte il libro X dell’epistolario di Plinio.

Acquista a questo punto un’importanza tutta diversa la lettera che proprio da Blois, il 24 dicembre 1501, il grande grecista Giano Lascaris scrisse proprio ad Aldo Manuzio e nella quale si mostra (come in futuro lo sarà fra Giocondo) come ricercatore di manoscritti per conto di Aldo.

Alle altre parte delle vostre lettere, lo Terentio manuscripto vi mandarò come trovo commodità. Delo Plynio non vi prometto anchora, perché bisognaria revederlo meglio, non so come haremo ocio.

Così mentre Giano Lascaris per conto di Aldo prendeva tempo per la copia del manoscritto di Plinio, Pietro Leandro per conto di Avantius assolveva rapidamente il suo compito e consentiva all’editore veronese di battere tutti sul tempo.

Terzo elemento probante a favore dell’ipotesi dell’esistenza (e successiva scomparsa, come il Parisinus) di un secondo manoscritto contenente almeno in parte il libro X delle Lettere di Plinio sono due annotazioni nel Papia Bernense 276 da parte di Guido de Grana, un oscuro magister vissuto nel XIII secolo, rese note dal professor Ernesto Stagni.

Bern. 276, f. 36r: «Plinius/ in libro. epistularum./ post .librum. 9m.» in margine a Papia CATARACTE celi fenestre vel tonitrua.

Bern. 276, f. 61r: «a diple forte dicitur diploma. Genus est/ scripti de quo loquitur plinius in IX. epistularum .scilicet./ in epistula. 29a. aliqui libri habent duploma/ et (?) dicitur a diple. quod est nota quam scriptores/huiusmodi scriptis apponebant pro sigillis sicut fit/ adhuc in quibus locis ut in Italia et/ provincia in quibus notariorum carte/ absque sigillo; fidem faciunt».

Per quanto riguarda la prima annotazione, il riferimento di Guido de Grana è all’epistola 61 contenuta nel decimo libro in cui si legge: quorum si nihil nobis loci natura praestaret, expeditum tamen erat cataractis aquae cursum temperare

Curiosamente però Guido non chiama il libro in questione ‘decimum’ bensì ‘post librum 9m.’

Ancora più strana la seconda annotazione. Guido infatti pur parlando di IX epistularum si sta in realtà riferendo al libro X, infatti la parola diploma è attestata soltanto nel libro decimo (non nel nono), e afferma Stagni:

Guido sta certamente alludendo a 10.45 (diplomata, domine, quorum dies praeterît, an omnino observari et quam diu velis, rogo scribas...) e alla risposta di Traiano (10.46: Diplomata, quorum praeteritus est dies, non debent esse in usu. Ideo inter prima iniungo mihi, ut per omnes provincias ante mittam nova diplomata, quam desiderari possint): l’ordinale 29a corrisponde infatti alla numerazione delle epistole per coppie (quando si conserva la replica dell’imperatore) accolta dai primi editori e certa-mente trasmessa ab antiquo: ma, lo ripetiamo, per il decimo libro e non per il nono. Una semplice distrazione, in chi mostra altrove di conoscere un librum post nonum?

L’ipotesi di Stagni è cioè che Guido de Grana abbia consultato a Blois alla fine del XIII secolo lo stesso manoscritto mutilo delle epistole di Plinio che quasi tre secoli dopo Pietro Leandro avrebbe copiato per Avantius.

La spiegazione più plausibile, in altre parole, è che Guido abbia avuto a disposizione un codice mutilo fra il nono e il decimo libro, in cui ogni lettera era numerata, e che solo in un secondo tempo si sia accorto del guasto.

Al momento di annotare il f. 61r, l’ultima inscriptio che aveva visto nello sfogliare il manoscritto pliniano doveva essere quella del libro nono; più tardi deve aver capito che una parte del testo era caduta, insieme all’explicit del nono, e, con ragionamento ineccepibile, non potendo sapere quanto fosse estesa la lacuna, preferì parlare di un libro dopo il nono, che non necessariamente era il decimo.

L’impressione, almeno la più superficiale, è che Guido, non trovando in Papia alcun lemma per diploma, abbia postillato il f. 61r, o comunque preso appunti, «a caldo», mentre leggeva Plinio per la prima volta.

Ad avvalorare questa sensazione interviene la sorpresa per il fatto che è citato uno solo, il primo, dei passi del decimo libro relativi ai diplomata; anzi, andando avanti Guido si sarebbe accorto che proprio sulla funzione dei diplomata verte il breve scambio epistolare testimoniato dalle lettere 120 e 121, a tal punto che anch’esse, come 10.45-46, sono comprese sotto il titolo de diplomatibus nelle edizioni più antiche (e quasi certamente già nei manoscritti perduti); la parola compare pure nell’inscriptio di 10.64 (diploma commodasse).


D’altra parte a contenere il decimo libro delle epistole di Plinio, potrebbe essere esistito nel periodo in questione anche un terzo manoscritto ed ancora nella valle della Loira a Saint-Aubin di Angers, dove due inventari annoveravano un codice completo di dieci libri.

Il più antico è del XII secolo e non contiene indicazioni circa il numero di libri ma che questi potessero essere dieci si può intuire dal secondo documento, del secolo XVII, copia di un antico inventario, probabilmente quattrocentesco che riporta invece: Galpini Secundi epistolarium numero decem.

Quello che è certo tuttavia è che dopo la pubblicazione di Aldo nel 1508, nessun manoscritto di Plinio contenente in tutto o in parte il decimo libro dell’epistolario sarebbe più ricomparso.

La storia del Parisinus, copiato da fra Giocondo e consultato da Aldo, si arricchì nei secoli successivi da alcuni episodi notevoli, di capitale importanza per la ricostruzione della storia testuale dei manoscritti appartenenti alla terza famiglia.

Nel 1888 George Hardy portò all’attenzione degli eruditi in un articolo pubblicato nel Journal of Philology, un libro conservato alla biblioteca Bodleiana appartenuto all’erudito Thomas Hearne, il quale lo aveva acquistato nel 1708 ad un’asta.
Il volume (Merrill) racchiude in un’unica rilegatura tre differenti libri.

Il primo è un’ edizione delle lettere di Plinio contenente 9 libri pubblicata da Beroaldus a Bologna nel 1498.

Il secondo è costituito dalle 46 epistole del libro X pubblicate da Avantius nel 1502.

Il terzo è un’opera di Beroaldus aggiunta però ai primi due volumi in un periodo successivo.

Le prime due parti contengono una numerazione consecutiva aggiunta da una mano pressoché contemporanea alla stampa, la stessa mano che ha aggiunto nei testi stampati una serie di annotazioni a margine e interlineari con riferimenti ai numeri di pagina scritti a mano.

Ma soprattutto quello che è sorprendente è che nel secondo libro, subito dopo la prefazione di Avantius, sono state allegate al libro una serie di pagine scritte a mano (la stessa mano autrice delle annotazioni) contenenti le lettere mancanti del X libro (e che saranno poi pubblicate da Aldo nel 1508) aggiungendo alla fine del libro di Avantius la seguente straordinaria nota:

He Plinii iunioris epistolae ex vetustissimo esemplari Parisiensi et restitutae et emendatae sunt opera et industria Ioannis Iucundi praestantissimi architecti hominis imprimis antiquarii.

Tratte da un antico manoscritto parigino, queste lettere di Plinio il Giovane sono ricostruite e corrette grazie alla cura e al lavoro di Giovanni Jucundus, personaggio molto notevole come architetto e soprattutto come paleografo.


La copia conservata alla Bodleiana andava dunque a costituire quanto di più vicino dovesse esserci al Parisinus andando a superare in importanza la prima edizione aldina.

George Hardy aveva creduto che quello conservato alla Bodleiana fosse proprio la copia base appartenuta ad Aldo ed utilizzata per la sua edizione del 1508, ma Elmer Truesdell Merrill ha dimostrato senza alcuna possibilità di errore che il volume era appartenuto a Guillaume Budée, grecista di fama e allievo ed amico di fra Giocondo.

Budée in effetti nelle sue Annotationes in Pandectas, la cui edizione è del novembre 1508 (contemporanea cioè alla prima edizione aldina) andava a citare sorprendentemente alcune lettere di Plinio appartenenti al libro X e non ancora pubblicate, esplicando le citazioni con una nota:

Verum haec epistola et aliae non paucae in codicibus impressis non leguntur; nos integrum ferme Plinium habemus, primum apud Parisios repertum opera Iucundi sacerdotis, hominis antiquarii architectique famigerati.

Tale lettera, come pure altre molto numerose, non si trova nelle raccolte stampate; il primo Plinio, pressoché integrale che noi possediamo proviene dalla scoperta fatta a Parigi dal sacerdote Jucundus, celebre come paleografo e come architetto.


La copia del Parisinus, effettuata da Giocando nell’abbazia di San Vittore a Parigi, prima di raggiungere Aldo era stata utilizzata da Budée che era andato ad integrare le copie dell’epistolario di Plinio più aggiornate ai suoi tempi ovvero l’edizione dei 9 libri di Beroaldus del 1498 e quella di Avantius del 1502 contenente in maniera parziale le lettere del libro X.

Il fatto che il volume conservato alla Bodleiana contenga numerose note a margine e interlineari anche nella parte relativa ad Avantius (note di Budée copiate da Giocondo e quindi dal Parisinus) testimonia una differenza testuale tra il testo copiato da Pietro Leandro (per Avantius) e quello del Parisinus e rende pertanto ancora più probabile l’esistenza di due manoscritti differenti, uno conservato a Parigi e l’altro a Blois, entrambi scomparsi negli anni successivi.

Nulla vieta inoltre di pensare che Giocondo possa aver conosciuto entrambi i manoscritti (considerate le sue frequentazioni sia a Blois e a Parigi e il fatto che anche Giano Lascaris era verosimilmente al corrente nel 1501 del manoscritto di Plinio conservato a Blois) e che possa aver procurato ad Aldo, intorno al 1506, le copie di entrambi i manoscritti (essendo ovviamente il più importante e l’unico inedito, il Parisinus).

Sul Parisinus resta ancora qualcosa di importante da dire.

Nel Dicembre del 1910 Pierpont Morgan acquistò a Roma dal mercante d’arte Imbert sei pagine di un antico manoscritto in onciale contenente la fine del II libro delle Epistole di Plinio e l’inizio del III. Pagine che Lowe e Rand hanno dimostrato (2) appartenere con ogni probabilità al perduto Parisinus.

Il manoscritto che tanto aveva colpito Aldo perché scritto in caratteri differenti dal solito era in effetti scritto in onciale e pervetustus, datato da Lowe e Rand tra la fine del V e l’inizio del VI secolo (in Italia), un antichità davvero eccezionale essendo piuttosto rari i codici di autori classici anteriori alla traslitterazione carolingia.

L’analisi paleografica colloca il Parisinus tra il frammento di Berlino contenente il Computus Paschalis (che evidenze interne suggeriscono essere stato scritto intorno al 450 d.C) e il Codex Fuldensis (scritto non oltre il 546 d.C. in quanto letto in quell’anno dal vescovo Vittorio di Capua).

Appartenente alla terza famiglia, il codice è l’archetipo dei manoscritti incompleti B (Beluacensis) ed F e presenta straordinaria somiglianza con l’edizione aldina del 1508.

Due note a margine delle pagine consentono di sapere ancora qualcosa sulle vicissitudini del Parisinus. Una mano del IX secolo in caratteri carolingi (utilizzati tanto in Francia quanto nel nord dell’Italia) ha scritto uir erat in terra (Giobbe 1, Vulgata) e soprattutto una mano notarile del XIV o XV secolo consente di stabilire con certezza che la residenza del manoscritto era in quel periodo la Francia e più precisamente Meaux, non distante da Parigi.

A tous ceulz qui ces presentes lettres verront et orront Jehan de Sauvenieres, garde du scel de la provosté de Meaulx, et Francois Belon, clerc juré de par le Roy nostre sire à ce faire, salut. Sachient tuit que par...

Nel periodo carolingio dunque, intorno al IX secolo con ogni probabilità il Parisinus fu portato dall’Italia alla Francia, (fatto per nulla strano considerata la storia della trasmissione dei testi classici) e, sempre in Francia, ne furono tratte copie (Beluancesis e codice F). Ancora in Francia (a Parigi, nell’abbazia di san Vittore) il Parisinus si trovava prima che Aloisio Mocenigo lo prendesse e portasse ad Aldo per la prima stampa completa delle epistole di Plinio del 1508.

E dopo?

Sappiamo oggi con certezza che il Parisinus non fu distrutto da Aldo e anzi, il frammento conservato al Pierpont Morgan Museum, dimostra che il codice è stato smembrato in tempi recenti.

D’altronde Aldo non era nemmeno il proprietario del codice in quanto Mocenigo glielo aveva prestato ut excusum publicarem.

Probabilmente è nella biblioteca veneziana del Mocenigo (citata da Firmin-Didot come una delle più ricche biblioteche di manoscritti dell’epoca) che il codice ritornò dopo la pubblicazione dell’edizione aldina.

Per tornare all’acquisto di inizio XX secolo di Pierpont Morgan del frammento del Parisinus, sappiamo che a vendere le pagine del codice fu un mercante d’arte a Roma di nome Imbert.

Questi lo aveva ottenuto dal bibliofilo fiorentino De Marinis il quale a sua volta lo aveva acquistato dagli eredi del marchese Francesco Taccone. E proprio su Francesco Taccone conviene soffermarsi un secondo.

Il marchese di Sitizano, vissuto a cavallo tra i secoli XVIII-XIX, fu un fine letterato e bibliofilo, proprietario di una delle biblioteche più ricche dei suoi tempi. La sua biblioteca fu regalata nel 1811 alla città di Napoli, ma oltre 300 manoscritti in pergamena (tra i quali dunque il Parisinus o il frammento del Parisinus) furono lasciati in eredità al cugino Giuseppe Taccone ed è dagli eredi di quest’ultimo che De Marinis acquistò il frammento.

Sulla maniera con la quale Francesco Taccone sia venuto in possesso del frammento resta il mistero.

Significativi sono tuttavia i rapporti epistolari che l’erudito napoletano intratteneva con i letterati di tutta Italia ai quali non esitava a prestare i propri preziosi codici per arricchire nuove edizioni. Colpiscono in particolare, per i possibili legami con la biblioteca veneziana del Mocenigo e quindi con il Parisinus, gli scambi epistolari con Jacopo Morelli storico bibliotecario della marciana di Venezia e bibliofilo al quale Taccone prestò due rarissimi opuscoli di Aldo Manuzio.

In questa direzione bisognerebbe indagare per sperare in quella che sarebbe una riscoperta di importanza capitale: il ritrovamento della parte restante del Parisinus ed in particolare del Libro X delle Epistole di Plinio.

Bibliografia essenziale

1.HARDY, E. G., Epistulae ad Traianum imperatorem cum eiusdem cum eiusdem responsis, London, 1889.
2.LOWE, E.A. e RAND, E.K., Letters of Pliny the Younger, Washington, 1922
3.MARTUSCIELLI, D.; Bibliografia degli uomini illustri del Regno di Napoli, Tomo VI, Napoli, 1819.
4.MERRILL, E.T., On a Bodleian copy of Pliny’s Letter, Classical Philology, vol II, 1907.
5.MERRILL, E.T., Selected letter of the younger Pliny, London, 1907.
6.MOMMSEN, T., Etude sur Pline le Jeune, Parigi, 1873.
7.SANDY, G., The classical heritage in France, Leiden, 2002
8.STAGNI, E., Testi latini e biblioteche tra Parigi e la valle della Loira (secoli XII-XIII): I manoscritti di Guido de Grana, Atti del convegno internazionale "Boccaccio e la Francia": Firenze-Certaldo, 19-20 maggio 2003, Firenze,vol. 1,2006 .
9.VECCE, C., Iacopo Sannazzaro in Francia, scoperte di codiici all’inizio del XVI secolo, Padova, 1988.
10.VOGT, J., Aufstieg und Niedergang der römischen Welt , Berlino, 1989.



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MessaggioInviato: 09/05/2011, 23:15 

Seguite con attenzione questo straordinario midrash ( studio ) di Saulnier.



E il dibattito che si sta sviluppando qui :

http://cristianesimoprimitivo.forumfree.it/?t=55546225


Prevedo scintille . ( eufemismo )

zio ot [;)]


Ultima modifica di barionu il 09/05/2011, 23:16, modificato 1 volta in totale.


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MessaggioInviato: 25/05/2012, 11:48 
...eeehmmmm, Saulnier, stiamo aspettando la parte 2 ....

( mi avevi in effetti anticipato che è titanica .... )


zio ot [;)]


Ultima modifica di barionu il 25/05/2012, 11:49, modificato 1 volta in totale.


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MessaggioInviato: 26/05/2012, 17:49 
Caro barionu in effetti ormai più che le dimensioni di un articolo questa questione potrà essere affrontata in maniera esaustiva soltanto in un volume...comunque non disperare prima o poi troverò il tempo di completare questo studio, essenziale perché strettamente correlato alla testimonianza di Tacito sui cristiani.


Ultima modifica di Saulnier il 26/05/2012, 17:52, modificato 1 volta in totale.


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 Oggetto del messaggio: Re: Plinio e la testimonianza sui cristiani
MessaggioInviato: 08/02/2016, 14:18 
Cip di attenzione.

Ragazzi preparatevi a clamorose novita !




zio ot [:305]



CIT DA SAULNIER

Cita:
CITAZIONE
Ma soprattutto quello che è sorprendente è che nel secondo libro, subito dopo la prefazione di Avantius, sono state allegate al libro una serie di pagine scritte a mano (la stessa mano autrice delle annotazioni) contenenti le lettere mancanti del X libro (e che saranno poi pubblicate da Aldo nel 1508) aggiungendo alla fine del libro di Avantius la seguente straordinaria nota:

He Plinii iunioris epistolae ex vetustissimo esemplari Parisiensi et restitutae et emendatae sunt opera et industria Ioannis Iucundi praestantissimi architecti hominis imprimis antiquarii.

Tratte da un antico manoscritto parigino, queste lettere di Plinio il Giovane sono ricostruite e corrette grazie alla cura e al lavoro di Giovanni Jucundus, personaggio molto notevole come architetto e soprattutto come paleografo.

Questo di Jucundus è solo l'ultimo episodio che rende altamente probabile l' ipotesi di interpolazione per quanto riguarda Plinio.

Interpolazione effettiva avvenuta quando ?

Immagino che Saulnier affronterà la questione tra breve.

Ricordo che Hard Rain ha parlato di Plinio il giovane qui :

http://digilander.libero.it/Hard_Rain/s ... iovane.htm



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 Oggetto del messaggio: Re: Plinio e la testimonianza sui cristiani
MessaggioInviato: 17/02/2016, 13:08 
IL GRANDE SAULNIER !




An Application of a Profile-Based Method for Authorship Verification:

Investigating the Authenticity of Pliny the Younger’s Letter to Trajan Concerning the Christians



https://www.academia.edu/22012268/An_Ap ... Christians



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 Oggetto del messaggio: Re: Plinio e la testimonianza sui cristiani
MessaggioInviato: 24/06/2016, 09:47 
Il parere di Hurtado vs Saulnier

https://larryhurtado.wordpress.com/2016 ... hristians/

e qui avrete l' anteprima della risposta di Saulnier


zio ot [:305]



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 Oggetto del messaggio: Re: Plinio e la testimonianza sui cristiani
MessaggioInviato: 28/10/2016, 14:32 
IN ITALIANO


https://www.academia.edu/29478996/Appli ... _et_Ratio_


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