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 Oggetto del messaggio: Re: Le Religioni Misteriche
MessaggioInviato: 27/12/2015, 00:16 
Commento postato da un utente del mio gruppo facebook "Il Salotto di Atlanticus"

Pitagora (VI sec. a.C.) fu il primo uomo a usare il termine “filosofia”(= amore per la conoscenza), intendendola come un'aspirazione verso la verità o meglio la tendenza profonda di ogni essere verso la contemplazione.

Tale contemplazione, intesa come scoperta e assimilazione al divino, è l'ideale della vita e della vita filosofica in particolare.
La filosofia perciò deve coincidere con una scelta esistenziale, con la ricerca della verità e dell'illuminazione e non può ridursi a semplice attività intellettuale.

Pitagora, nato nell'isola di Samo, ha partecipato ai “misteri” eleusini, dionisiaci e orfici, ha compiuto viaggi in Persia, Babilonia ed Egitto.

Infine approdò in Italia, insediandosi a Crotone dove fondò una scuola che ebbe grande influenza sulla spiritualità occidentale. La scuola pitagorica comportava un'iniziazione e un'intensa vita comunitaria. Ad essa potevano accedere anche le donne, sempre che ne avessero l'attitudine. Ricollegandosi alle concezioni orfiche e orientali, Pitagora riteneva che l'uomo avesse un'anima immortale, oscurata però dalle passioni, dagli impulsi irrazionali e dai falsi valori. Per sfuggire al ciclo delle rinascite era necessario dedicarsi ad una vita integralmente contemplativa.

Quindi Pitagora alla via dionisiaca dello sfrenamento dei sensi contrapponeva la via apollinea delle virtù, della conoscenza e della meditazione. Nella sua scuola vi era distinzione tra iniziati veri e propri e semplici aspiranti. I primi avevano già superato delle prove e vivevano in comunità dividendo con gli altri i loro beni; i secondi stazionavano in attesa di essere accolti o respinti.

L'educazione impartita nella scuola pitagorica era fisica, intellettuale, religiosa e mistica. Quindi si passava dagli esercizi ginnici (che ricordano lo hatha yoga indiano) allo studio della matematica, astronomia, medicina, musica e le opere di Omero e di Esiodo, cercando di non trascurare nessun aspetto dell'attività umana, anche per questo ci si occupava di problemi politici. Infatti alcuni pitagorici furono ottimi governanti delle città italiane.

Gli studi comunque avevano lo scopo di contribuire alla purificazione (kátharsis) dell'anima, poiché la conoscenza era considerata un importante mezzo di elevazione spirituale. Fra le virtù perseguite importanti erano la pietas religiosa, ovvero il rispetto verso gli dei, e l'amicizia verso il prossimo, un principio questo che ritroveremo nel cristianesimo. Secondo la dottrina della metempsicosi tutti gli uomini dovevano considerarsi fratelli e rispettare le altre forme di vita, da qui la pratica del vegetarismo.

I mezzi per purificarsi comprendevano la dieta che escludeva la carne e il vino, la riduzione del sonno, la ginnastica, l'educazione (paideia) e l'ascesi spirituale. Tra le varie pratiche quella del silenzio era intesa a favorire la concentrazione e la contemplazione. Giamblico riferisce che Pitagora imponeva cinque anni di silenzio agli aspiranti, i quali dovevano affidare i loro beni a degli amministratori.

Al termine dei cinque anni se erano considerati degni di essere iniziati diventavano “esoterici” e potevano ricevere l'insegnamento diretto del maestro, in caso contrario riprendevano i loro beni raddoppiati e venivano considerati come morti. Anche la musica era utilizzata come mezzo catartico di elevazione spirituale.

Certe melodie avevano il potere di combattere gli stati depressivi, mentre altre contrastavano gli stati d'ira e di eccitazione. In genere lo studio e la pratica della musica avevano lo scopo di creare quell'armonia universale che è espressione diretta del divino. Lo studio delle scienze mirava anch'esso ad un avvicinamento alla trascendenza, poiché studiare con la mente rivolta al divino porta alla purezza di spirito e alla acutezza mentale.

Attraverso la realizzazione di una sintesi delle conoscenze ( conoscenza metafisica e scienze naturali) si combatte il primo dei mali che è l'ignoranza e si arriva alla contemplazione dei misteri divini. Interessante era lo studio che Pitagora faceva degli aspiranti discepoli, osservando, da una parte, la fisionomia, l'andatura, il modo di muoversi, i desideri e le tendenze e, dall'altra, i loro rapporti interfamiliari.

Si trattava insomma di una indagine psicologica in quanto per una completa purificazione è necessario prendere coscienza dell'io psicologico, perché se è vero che il sé divino, l'anima, prescinde da ogni psicologia, l'individuo che vuole ad esso accostarsi deve invece tenerne conto.

La conoscenza del proprio ego è importante e rappresenta già una forma di catarsi. Per Pitagora la cosa più difficile era conoscere se stessi, mentre era facile seguire le abitudini fisiche e mentali, le convenzioni e i luoghi comuni. La conoscenza di sé implicava, in ultima analisi, la conoscenza del sé divino ossia della nostra anima immortale e di Dio come Signore di tutto.

Pitagora impartiva spesso il suo insegnamento sotto forma esoterica, imponendo il segreto ai suoi discepoli, non per nascondere la verità, ma per preservarla da coloro che avrebbero potuto abusarne. Per Pitagora il valore più alto dell'armonia era espresso dal numero, un archetipo trascendente dotato di virtù sacra ed esoterica. Così la verità immobile era rappresentata dal numero uno, l'opinione che muta dal numero due, il matrimonio dal numero cinque perchè nasce dall'incontro del primo pari con il primo dispari, e così via.

Ogni cosa è rappresentata da un numero che ne esprime l'essenza, quindi la conoscenza scientifica diventava in realtà una introduzione al mondo della trascendenza. Purtroppo, già ai suoi tempi, si delineò fra i suoi stessi discepoli la distinzione tra quelli che seguivano la via più mistica (acusmatici) e quelli che seguivano la via più speculativa e scientifica (matematici), che segnò la rottura tra sapienza-contemplazione e razionalità discorsiva. Questo favorì lo sviluppo di quella mentalità scientifica che alienava l'uomo dal suo nucleo più profondo e spirituale e segnò l'inizio della divisione fra civiltà occidentale e civiltà orientale, che ancora oggi condiziona l'uomo.

https://www.facebook.com/groups/salotto ... 808166984/



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 Oggetto del messaggio: Re: Le Religioni Misteriche
MessaggioInviato: 01/01/2016, 17:59 
ORFISMO

L'Orfismo è da considerarsi uno dei fenomeni religiosi misterici più importanti della
Grecia antica del VI secolo a.C.; in esso va rinvenuta la radice dei Misteri eleusini (riti
religiosi misterici che si celebravano nel santuario di Demetra, nella città greca di Eleusi) e
degli Oracoli di Delfi. Elemento interiore di una religione esteriore che aveva i suoi dei nei
rappresentanti planetari - Zeus, Giove, ecc. - l'Orfismo dimostra stretti collegamenti con
radici anteriori e antichissime, che ne collegano la dottrina a fonti egizie e mesopotamiche.

La conoscenza dell'Orfismo è molto migliorata in tempi recenti, grazie alle scoperte
archeologiche succedutesi nel corso del XIX - XX secolo, che ne rivalutano l'interesse
registrato in età umanistica presso l'Accademia Platonica Fiorentina (e, in particolare, da
Pico della Mirandola). Spesso frainteso e contestato, l'Orfismo rappresenta un filo
conduttore della cultura europea, la cui traccia più evidente è data dall'influenza
sull'immaginario e sulla letteratura. L'Orfismo si caratterizza anche per una geografia
mitica del mondo ctonio sotterraneo, tra cui i fiumi dell' Ade (Flegetonte, Cocito,
Acheronte, Stige).

Il nome deriva da Orfeo, in quanto sacerdote del culto di Dioniso. Sotto il profilo estetico,
molta parte esteriore è assorbita dal mito come narrato da Ovidio, di Orfeo e Euridice.

Caratteristiche del culto

Essenziale per l'orfismo è la concezione del corpo e della sua necessità di trasmigrare
finché non raggiunge la perfezione secondo le regole di vita rese comprensibili dal culto
orfico. L'anima, che risiedeva nei cieli, compie un peccato e cade dal regno dei cieli sulla
terra reincarnandosi in un corpo, che utilizza per espiare la propria colpa. Con la morte,
l'anima (il daimon dei greci) trasmigra e si ricompone, non sulla base di un principio
individuale ma su nuova aggregazione per qualità magnetiche, in un altro corpo che può
anche non essere quello di una persona (questo dipendeva anche dal comportamento che
il daimon aveva tenuto nella vita precedente).

L'Orfismo addolcisce gli aspetti più cruenti del culto di Dioniso e sostituisce le danze
orgiastiche, il vino e la carne, con offerte vegetali e d'incenso, accompagnate da danze e
canti liturgici. Di questi canti sono presenti attestazioni ritrovate in lamine di rame, a
scopo cerimoniale, largamente diffuse nell'Italia meridionale, la Magna Grecia.

Contesto storico

Il culto orfico non ha un'età definita. Si può individuare in esso la fonte più autorevole ed
evidente della connessione tra dottrina arcaica greca e sapienza egizia e mesopotamica. Il
suo sviluppo e diffusione toccano un apogeo in un periodo di forte contrasto politicosociale,
in quanto molte delle oligarchie e delle monarchie del mondo greco cadono, in
favore, prima, delle democrazie e, in seguito, delle tirannidi. Si tratta di un'epoca di forte
trasformazione sociale, dove il popolo acquista una forte coscienza dei propri diritti.
L'orfismo dunque rappresenta il desiderio della liberazione da regimi sanguinari, il sacro
rifugio degli spiriti migliori, dove è promesso agli adepti conforto nel presente, libertà nel
futuro.

Questo movimento dunque trova molta simpatia presso il popolo (nelle democrazie) e
presso le tirannidi più illuminate, poiché si appoggiano al popolo per rovesciare il potere
oligarchico-aristocratico nelle loro mani. È nota infatti la presenza di molti teologi orfici
presso le corti delle tirannidi. La tradizione poetica che riguarda l'orfismo è stata
considerata lungamente perduta. I ritrovamenti archeologici più recenti rendono possibile
un suo inquadramento storico e dottrinale compiuto.

Influenze dell'Orfismo

L'Orfismo è una corrente artistica che trova le sue radici nella dottrina greca, con
ascendenze che sono chiaramente egizie e mesopotamiche e con discendenze che ne
proiettano il cono di influenza su tutto il Mediterraneo e, per il tramite di adattamenti e
trasposizioni, in tutta l'Europa continentale.

Questi influssi sono rintracciabili in letteratura con l’evidente continuità dottrinale che
intreccia l’Enuma Elish mesopotamico con il Papiro di Ani egizio, e li congiunge con il
poema “Teogonia” di Esiodo, la cui trama si ripercuote sull’”Eneide” di Virgilio, la “Divina
Commedia” di Dante, il “Paradise Lost” di John Milton, le “Illuminations” di William Blake.

L’elenco potrebbe continuare, ma questo può bastare ad identificare l’Orfismo come matrice
della cultura illuministica europea.

Il Rinascimento ha conosciuto soprattutto gli Inni Orfici. Questi Inni, nelle attuali edizioni,
sono in numero di ottantasette, più un proemio. Sono dedicati a varie divinità, e risultano
distribuiti secondo un preciso ordine concettuale. Accanto a dottrine risalenti all'Orfismo
originario, contengono dottrine stoiche e dottrine provenienti dall'ambiente filosoficoteologico
alessandrino, quindi sono sicuramente di tarda composizione, scritti con ogni
probabilità fra il II e il III secolo dopo Cristo.

Forse gli Inni, singolarmente o per gruppi, sono stati composti in tempi differenti, ma, in
ogni caso, colui che li ha riuniti insieme ha seguito un certo criterio coerente, tanto è vero
che si comincia con l'inno Profumo di Prothyraia, soccorritrice nelle doglie, ossia nelle
nascite, e si termina con l'inno Profumo di morte, e dunque inizia con l'immagine
simbolica del principio della vita e finisce con l'immagine simbolica della morte.

La struttura formale-letteraria non è sempre uniforme: gli inni autenticamente orfici e
cultuali sono costituiti pressoché integralmente da una serie di epiteti che alludono o alle
caratteristiche essenziali della divinità o alle vicende storiche della sua vita divina;
assumono insomma quella forma,sia pure ridotta e dissimulata,di litania,che è frequente
nell’innografia liturgica.

In altri invece è presente un certo compiacimento letterario che si indugia in descrizioni
naturalistiche o in brevi considerazioni morali che denotano nei loro autori un impegno
non immediatamente religioso. Non soltanto appartengono a mano diversa, ma hanno
avuto un origine extraorfica e sono passati più tardi,in un tempo imprecisabile,a far parte
della raccolta che possediamo – e con tanta maggior facilità quanto più accoglienti erano il
sincretismo dell’ Orfismo e quello ambientale.

Gli inni orfici erano molto apprezzati nel Rinascimento; Marsilio Ficino e i suoi
contemporanei credevano che fossero stati scritti dallo stesso Orfeo. Pico della Mirandola
in una delle sue “Conclusiones Orphicae” afferma: “ Nell’ambito della magia spirituale
non c’è niente di più efficace degli Inni di Orfeo, se si eseguono con il consenso di una
musica adatta, di un’opportuna disposizione dell’animo e delle altre circostanze ben note
al saggio”.

http://www.portalefilosofico.com/portal ... _testo.pdf



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 Oggetto del messaggio: Re: Le Religioni Misteriche
MessaggioInviato: 13/01/2016, 10:31 
Pitagora: scienza e filosofia per spiegare la Natura con la Musica

Pitagora, scienza e musicaPitagora è stato un grande scienziato e filosofo, il cui pensiero è ancora profondamente influente, soprattutto per i suoi studi sulla geometria. Non tutti sanno che si è ampiamente occupato di musica e di frequenze musicali, arrivando ad ipotizzare una Musica delle Sfere propria dell’Universo.

La musica e la medicina erano fortemente collegate nell’antica Grecia, tanto che il Dio Apollo era protettore di entrambe queste conoscenze. C’erano anche templi che utilizzavano la musica per curare le persone armonizzandone il corpo e lo spirito. In questo contesto si colloca la figura di Pitagora: il primo che chiarì i rapporti armonici tra le note, già nel VI secolo a.C.

Per i suoi esperimenti si serviva del Monocorde, un semplice strumento costituito da una cassa armonica in legno sulla quale era fissata una sola corda. Tramite esso Pitagora scoprì che le note corrispondono a porzioni della corda e che gli armonici seguono rapporti numerici come 2/1, 3/2, 4/3, tipici anche dello spazio che ci circonda.

La nostra comprensione delle proporzioni armoniche viene da Pitagora, e non è propria solo della musica. Molti studiosi sono concordi nel ritenere che le stesse considerazioni che valgono per gli armonici musicali, valgono anche in molti altri campi di applicazione, da cui la frase: “Studiate il monocorde e scoprirete i segreti dell’Universo”.

Nella visione pitagorica, l’Universo intero (che allora era il sistema solare) è un immenso monocorde e, attraverso lo studio della musica come una scienza esatta, Pitagora riteneva di poter spiegare le relazioni esistenti anche in elementi come pianeti e costellazioni. Non solo, ma pensava anche che i movimenti astrali generassero una musica che lui chiamava “Musica delle Sfere” e questa non era una metafora per Pitagora. Forse un giorno si potrà sentire davvero questa musica, che credo non rientri nel nostro campo uditivo solo per una troppo differente scala di valori.

Tutto ciò che esiste vibra e tutto ciò che vibra genera armonici, allo stesso modo della corda del monocorde. Questo vale per l’atomo e vale anche per il sistema solare, solo che il primo è un sistema troppo piccolo per noi, e l’altro è troppo grande per rientrare nel nostro campo uditivo.

Sull’isola di Crotone, Pitagora aveva una scuola nella quale insegnava i suoi principi e spiegava l’Universo. Vi erano tre livelli per gli allievi: acustici era il primo, in cui si lavorava principalmente col monocorde, gli allievi matematici approfondivano la conoscenza dei numeri, ma anche il controllo della mente e la purificazione, il terzo e più alto livello era quello degli electi in cui si apprendevano i procedimenti di guarigione con il suono e con la musica.

Dei suoi insegnamenti non molto è sopravvissuto: le teorie geometriche che tutti conosciamo e i concetti filosofici della Musica delle Sfere, ma il corpo più importante delle sue opere è andato distrutto dopo la sua morte con l’incendio della sua scuola sull’isola di Crotone. Si dice che alcuni insegnamenti siano stati trasferiti oralmente e che anche oggi siano tramandati da poche scuole misteriche.

http://www.musica-spirito.it/musica-2/p ... la-musica/



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 Oggetto del messaggio: Re: Le Religioni Misteriche
MessaggioInviato: 13/01/2016, 11:38 
Parlare di musica é abbastanza riduttivo. Cos'è la musica? Io parlerei di SUONO anzi ancora meglio di frequenze e vibrazioni quindi onde. In fondo siamo tutti delle frequenze delle vibrazioni la realtà che percepiamo é lanconcretizzazione che i nostri sensi ne danno.

Se pensiamo alla teoria delle stringhe il nostro universo altro non é che il frutto della vobrazione di questi enti primitivi.

La musica é solo un esercizio di stile.



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 Oggetto del messaggio: Re: Le Religioni Misteriche
MessaggioInviato: 19/01/2016, 13:02 
La concezione degli dei nei poemi omerici

In questo articolo cercheremo di chiarire qual è la concezione degli dei riscontrabile nei due poemi omerici. In estrema sintesi possiamo dire che il concetto degli dei presente nell’Iliade e nell’Odissea coincide con la concezione degli dei presente nella religione olimpica (dobbiamo tenere presente che nell’universo religioso greco non esisteva solo la religione olimpica ma anche le religioni ctonie-misteriche delle quali parleremo più avanti).

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Prima di descrivere la condizione degli dei presente nei poemi omerici riteniamo opportuno fare alcune considerazioni di carattere generale sui poemi omerici. Per prima cosa dobbiamo tenere presente che i poemi di Omero insieme a quelli di Esiodo costituivano il testo base per l’apprendimento della lingua ed erano anche il fondamento principale di ogni forma di educazione. Attraverso di essi l’uomo greco apprendeva i valori generali e le norme etiche a cui fare riferimento e imparava altresì a conoscere il complicato universo religioso esistente nel mondo greco.

L’Iliade e l’Odissea risalgono con tutta probabilità al IX secolo a.C.: il mondo che essi descrivono è la civiltà minoico-micenea fiorita circa tre secoli prima ma il loro valore documentario non è limitato a quel periodo perché non sono infrequenti gli accenni anacronistici a costumi e concezioni tipici dell’epoca in cui i poemi furono scritti.

L’Iliade sembra riferirsi a un’epoca più arcaica in cui l’organizzazione politica della società era ancora rigidamente monarchica mentre nell’Odissea già emergono i tentativi di conquista del potere da parte delle classe aristocratica.

Anche l’immagine dell’uomo che si ricava dalle due opere appare costruita secondo una prospettiva diversa. Nell’Iliade essa trova la sua massima espressione nella figura di Achille, l’eroe per eccellenza. La virtù che viene attribuita ad Achille è indicata dalla parola greca “areté” consistente nel coraggio in battaglia, nella volontà di difendere gli amici e l’onore, nella capacità di ottenere il riconoscimento pubblico del proprio eroismo. Molto importante nell’Iliade è anche la figura altrettanto eroica di Ettore, il più valoroso tra i guerrieri troiani: Ettore è l’eroe umano e morale che va incontro al fatale duello con Achille non per orgoglio ma per compiere sino in fondo il suo dovere di figlio, marito, padre e cittadino.

Molto significativo e commovente nell’Iliade è anche il colloquio tra Achille e il vecchio Priamo che va alla tenda dell’eroe greco per chiedergli di restituirgli il corpo di Ettore: il poeta fa capire in tale colloquio che al di sopra dell’odio, della guerra e della vendetta tutti gli uomini, compreso l’apparentemente invincibile Achille sono accomunati da un identico destino di infelicità e di morte. Significativo a questo proposito è l’incontro negli Inferi descritto nell’Odissea tra Achille e Ulisse. Quest’ultimo saluta l’amico come il più felice degli uomini per la fama e la gloria che lo accompagnano anche dopo la morte avvenuta durante la guerra di Troia. Ma Achille lo rimprovera tristemente dicendo che nella morte non c’è nulla da lodare tanto che Achille afferma che preferirebbe vivere come il più oscuro degli uomini piuttosto che trovarsi nell’Ade.

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Il mondo descritto nell’Odissea se da un lato mantiene gli stessi contorni di quello dell’Iliade dall’altro lato appare più variegato tanto che in tale poema omerico è presente una nuova concezione della vita e della virtù. Il personaggio principale di tale poema ovvero Ulisse è un uomo dal multiforme ingegno che senza dubbio è molto diverso dall’invincibile eroe Achille. In sintesi possiamo dire che nell’Odissea viene maggiormente valorizzata l’intelligenza umana e la giustizia che alla fine riescono ad avere ragione sia del destino avverso sia della malvagità degli uomini. Ulisse è anche un fabbricatore di inganni che segue spesso le vie dell’astuzia, vie che erano del tutto sconosciute all’eroico coraggio di Achille che ben sapeva che se fosse partito per la guerra di Troia non avrebbe più rivisto la propria patria ma sarebbe morto durante la guerra di Troia. D’altra parte non dobbiamo dimenticarci che l’astuzia di Ulisse è messa in evidenza anche nell’Iliade in quanto Ulisse è l’ideatore del cavallo di Troia mediante il quale i Greci riescono a conquistare Troia.

Si può dire che le vicende narrate nell’Iliade sono più tragiche di quelle narrate nell’Odissea in quanto la storia di Ulisse è caratterizzata da un “lieto fine” (l’eroe greco dopo dieci anni riesce a tornare in patria). Al contrario nell’Iliade i personaggi più nobili ed eroici quali Achille, Ettore, Patroclo, Priamo vanno incontro ad un destino tragico.

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Dopo tali considerazioni di carattere generale sui poemi omerici cercheremo di mostrare che la concezione degli dei presente nei poemi omerici coincide con la concezione degli dei riscontrabile nella religione olimpica. A tale scopo esporremo le principali caratteristiche della religione olimpica per poi mettere in evidenza come tali caratteristiche sono presenti nella concezione degli dei riscontrabile nell’Iliade e nell’Odissea.
In primo luogo nella religione olimpica è presente una complicata costruzione politeistica nella quale accanto alle divinità principali quali Zeus, Era, Apollo, Atena, Marte, Poseidone si profilano numerose divinità minori. Anche nei poemi omerici è riscontrabile tale complicata costruzione politeistica del mondo divino tanto che in questi due poemi rivestono grande importanza non solo le divinità principali ma anche un certo numero di divinità minori (vedasi ad esempio l’importante ruolo che la ninfa Calipso riveste nell’Odissea).

In secondo luogo nella religione olimpica esiste una concezione chiaramente antropomorfica degli dei che pur essendo immortali e beati appaiono tuttavia assai simili agli uomini essendo dotati sia delle migliori virtù umane sia delle peggiori passioni e dei peggiori vizi riscontrabili nel mondo degli uomini. Tale concezione antropomorfica degli dei è riscontrabile senza nessun dubbio nei poemi omerici: basti pensare ad esempio che alcune divinità combattono a fianco dei greci mentre altre combattono a fianco dei troiani. Inoltre nell’Odissea alcune divinità cercano di favorire il ritorno a casa di Ulisse mentre altre cercano di impedire il ritorno ad Itaca dell’eroe greco.

In terzo luogo la religione olimpica era una religione pubblica nel duplice senso che non dava importanza ai rapporti privati dell’individuo con la divinità e che era in sintonia con la vita politica e civile dello stato: non aveva per tema dunque alcun tipo di problematica personale e non accennava a un senso nascosto e profondo dell’esistenza. Anche la concezione della religione riscontrabile nei poemi omerici è senza dubbio un concetto di religione pubblica in quanto gli dei omerici sono in gran parte una proiezione ed anche una giustificazione degli ideali di vita e dei valori degli aristocratici achei. Di conseguenza la concezione della religione presente nei poemi omerici è in perfetta sintonia con la concezione dello stato che era propria degli aristocratici achei.

In quarto luogo nella religione olimpica avevano una grandissima importanza i concetti di “nemesis” (vendetta divina) e “iubris” (superbia umana). Uno dei punti fondamentali della religione olimpica era la credenza che la vendetta divina colpisse inevitabilmente gli uomini che diventavano troppo superbi mancando di rispetto agli dei o comunque provando un’esaltazione eccessiva per le loro vittorie e per il loro potere. Nei poemi omerici lo schema “iubris-nemesis” è senza dubbio presente e riveste una grande importanza. Riteniamo opportuno fare un esempio concreto di “nemesis” divina conseguente a “iubris” umana prendendo tale esempio dai poemi omerici. Nell’Iliade il dio Apollo scatena una violentissima pestilenza nel campo dei greci causando un grande numero di morti tra i soldati greci che assediavano Troia. Tale pestilenza altro non è che la “nemesis” del dio Apollo che punisce i greci per aver mancato gravemente di rispetto al dio (“iubris” umana).

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In quinto luogo nella religione olimpica il problema della morte non riceveva nessuna vera spiegazione. I morti indipendentemente da come si erano comportati in vita finivano nell’Ade, che altro non era che un mondo molto triste dove non esisteva una vera sopravvivenza ma solamente una vita infinitamente scolorita, pallida e sbiadita. Tale vita che i morti conducevano nell’Ade in fondo non era altro che la proiezione in immagini concrete del ricordo che i morti avevano della loro vita terrena. In ogni caso nella religione olimpica la morte non instaurava nessun tipo di giustizia perché ciò che distribuiva era uguale per tutti, buoni e cattivi. Di conseguenza non esisteva nell’Ade né un premio per i buoni né una punizione per i malvagi. Anche nei poemi omerici si sostiene che nell’Ade i morti conducono una vita assolutamente sbiadita, scolorita, pallida ed infelice. Infatti nell’Odissea viene significativamente descritto a tale proposito l’incontro nell’Ade tra Achille ed Ulisse. In tale incontro Achille afferma con grande tristezza che nell’Ade non c’è niente di piacevole poiché i morti conducono un’esistenza molto triste. Achille giunge al punto di affermare che preferirebbe vivere sulla Terra come il più oscuro degli uomini piuttosto che regnare nell’Ade.

In sesto luogo nella religione olimpica al di sopra di tutte le divinità, più potente dello stesso Zeus, esisteva il Fato. Esso era una forza cosmica neutra ed impersonale che dominava sia sugli uomini sia sugli dei in maniera assoluta e che né gli dei né gli uomini potevano comprendere in quanto incarnava la necessità cosmica ed oltrepassava i limiti di qualsiasi riflessione umana e divina. Nei poemi omerici viene messa in grande evidenza l’incontrastabile potenza del Fato davanti al quale si inchinano sia gli dei sia gli eroi più valorosi come Ettore ed Achille. Per fare un esempio concreto neppure Achille che era figlio di Tetide (una divinità marina) può sfuggire al Fato nonostante che la madre faccia di tutto per salvarlo. Il Fato ha infatti deciso che Achille deve morire giovane pur essendo il più valoroso tra gli eroi greci e che egli non debba tornare vivo dalla guerra di Troia. Anche la sorte di Ettore il più valoroso tra gli eroi troiani è decisa dal Fato. In sintesi possiamo dire che la potenza del Fato è fortemente messa in evidenza nei poemi omerici sia a livello dei singoli eroi sia a livello dell’intero genere umano.

In estrema sintesi possiamo dire che nella religione olimpica la dimensione soteriologica è totalmente assente. Al contrario tale dimensione riveste una grande importanza nelle religioni misteriche che proprio per questa loro caratteristica rivestirono una loro importanza nell’universo religioso dell’antica Grecia. Riteniamo opportuno chiudere tale articolo dicendo qualcosa sulle due religioni misteriche a nostro avviso più importanti esistenti nell’antica Grecia ovvero i misteri eleusini e i misteri orfici. Per quanto riguarda i misteri eleusini dobbiamo dire che in essi la dimensione soteriologica è importante perché vi è il riferimento a un destino di rinascita oltre la morte. In tali misteri il mondo degli Inferi è rappresentato come una realtà dolorosa e dove l’anima doveva sopportare un tormentoso vagabondaggio in attesa di ritornare a una sorte migliore. Di conseguenza l’Ade non era più come nella religione olimpica la copia sbiadita dell’esistenza terrena ma al contrario era un diverso modo di essere complementare alla vita stessa alla quale era legato secondo un rapporto di reversibilità reciproca. Nei misteri eleusini l’adepto veniva a conoscenza dei misteri e delle formule segrete che gli permettevano di assicurarsi negli Inferi una sorte migliore di quella che toccava agli altri uomini. Tuttavia bisogna mettere in evidenza che tutte le fonti che parlano dei misteri eleusini sono concordi nell’affermare che la condizione per ottenere questa sorte migliore negli Inferi era solo la conoscenza di tali formule e di tali misteri ai quali non andava collegata l’osservanza di alcuna precisa norma morale.

Ben diversa era la concezione soteriologica esistente nei misteri orfici, una tradizione misterica che ebbe grande influenza sulla filosofia. Anche se l’interpretazione globale dell’orfismo è un problema non risolto possiamo dire che gli adepti di tali misteri non potevano conquistarsi una sorte migliore dopo la morte solamente con le conoscenze che acquisivano o con le pratiche rituali ma dovevano anche osservare se volevano ottenere la salvezza precise norme etiche. A questo fine gli orfici usavano riunirsi in comunità impegnate nella realizzazione di un determinato stile di vita che era la condizione essenziale per ottenere la salvezza dopo la morte ovvero una situazione migliore di quella che aspettava gli altri uomini dopo la morte. Come si vede da quanto abbiamo detto i caratteri e i contenuti delle religioni misteriche erano diversi dai caratteri e dai contenuti della religione olimpica ed anche dalla concezione degli dei e del destino esistenziale degli uomini presenti nei poemi omerici.

http://www.centrostudilaruna.it/la-conc ... erici.html



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Il percorso di iniziazione attraverso la comprensione dei cicli naturali di morte e rinascita nel mito di Inanna.

Inanna e la discesa interiore
http://anticamadre.altervista.org/blog/ ... interiore/



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 Oggetto del messaggio: Re: Le Religioni Misteriche
MessaggioInviato: 08/02/2016, 17:42 
Le lamine d’Oro – Orfismo popolare ed iniziatico in Grecia di Giovanni Sessa

Le radici culturali europee sono, senza ombra di dubbio, greche. Conoscere la Grecia antica, la sua storia, la sua letteratura, la sua filosofia, ci mette in condizioni di conoscere una parte significativa di noi stessi e del nostro presente. In realtà, come nel suo breve ma intenso magistero ha mostrato Giorgio Colli, le espressioni propriamente culturali, ora elencate, non sono che l’esito tardo della civiltà elleniche, per capire la quale è indispensabile recuperare uno sguardo ancor più a ritroso. Il luogo d’lezione del mondo greco va individuato nelle sue religioni misteriche, che così profondamente hanno inciso sulle mentalità, sulla nascita del sapere filo-sofico e, soprattutto, sul sapere tragico, di cui quel popolo fu maestro. A riaprire il dibattito attorno ai Misteri greci è un recente libro, scritto a due mani da due docenti dell’ Università dell’Ohio, Fritz Graf e Sarah Iles Johnston. Si tratta del volume, Orfeo e le lamine d’oro. Testi rituali per l’oltretomba, meritoriamente edito da poco dalle Edizioni Mediterranee, con una introduzione di Marisa Tortorelli Ghidini (per ordini: ordinipv@edizionimediterranee.net 06/3235433, euro 25,00).SAVE0003

La “questione orfica” ebbe i suoi primi sviluppi nel secolo XIX, grazie agli studi pionieristici di Hermann e Lobeck, ma divenne centrale nel dibattito antichistico con la scoperta delle lamine d’oro, rinvenute in sepolcri e poste sulla bocca o sul petto dei defunti. La storiografia specialistica, intorno alla metà del Novecento, tese a ridimensionare la portata effettiva dell’orfismo, fondando tale sua convinzione sulla mancanza di fonti attendibili e certa documentazione; ma anche, sul fatto che comunque, quanto si sapeva di tale religione misterica, la faceva porre in posizione subordinata visto il suo limitato numero di adepti a confronto di quello dei culti eleusini. A partire dal 1969, si sono registrati una serie di ritrovamenti archeologici significativi, ricorda Tortorelli Ghidini nella Introduzione, che hanno consentito di “dimostrare che quelle credenze poste dalla tradizione sotto il nome di Orfeo non solo erano ampiamente diffuse, ma avevano esercitato la loro influenza anche sulla letteratura e sulla filosofia tradizionale” (p. 9). Fondamentalmente nelle lamine si leggeva o la speranza in una nuova nascita o l’auspicio del conseguimento di uno stato di beatitudine perenne dopo la morte. Nel 1974 Pugliese Carratelli individuò in tali tendenze le espressioni di due diverse Vie nell’Orfismo: un orfismo tellurico-popolare ed un orfismo iniziatico ed aristocratico.

Il contributo italiano all’esegesi delle lamine d’oro è stato d’eccezione. A partire dall’inizio del XX secolo, periodo nel quale alle lamine lavorò Comparetti che mise a confronto i ritrovamenti ottocenteschi: la lamina di Petelia e quelle di Thurii, rilevandone il carattere orfico-dionisiaco. Le lamine presentavano una visione del post-mortem in cui l’anima era ammessa a bere l’acqua del lago di Mnemosyne, oppure di fronte alla Regina degli Inferi mostrava la propria purezza per essere inviata alla sede dei beati. Il dibattito in tema proseguì ed in esso si distinsero i sostenitori di un orfismo escatologico pre-cristiano come Vittorio Macchioro e gli scettici anti-orfici, il cui capo scuola può essere identificato nel filologo Wilamowitz, che giunse a negare l’esistenza stessa dell’orfismo. Una svolta la si ebbe con gli studi di Zuntz, il quale stabilì le lamine essere “una sorta di “missa pro defunctis” pitagorica” (p. 10). La sua linea interpretativa fu proseguita e approfondita dal già ricordato Pugliese Carratelli. Si giunge così al 2013, anno in cui Graf-Johnston pubblicarono in inglese il libro che ora presentiamo nella sua edizione italiana.

Merito principale del lavoro è di aver inserito le lamine all’interno dei Misteri di Dioniso (Graf). Il volume vuole fornire una risposta all’atteggiamento meramente polemico che ha caratterizzato tanta storiografia contemporanea “opponendosi sia ai tentativi di negare che le lamine siano orfiche, sia di ricostruire un artificioso archetipo dell’ Orfismo”. (p. 11). Gli autori fondano le loro argomentazioni attorno ad alcuni nuclei tematici: 1) Il mito di Dioniso e il suo smembramento da parte dei Titani; 2) L’escatologia presente nelle lamine: un confronto tra i testi delle lamine e l’escatologia in Pindaro e Platone; 3) la comparazione tra culti misterici dionisiaci e lamine; 4) Le funzioni molteplici di Orfeo rispetto all’iniziazione. Rileggendo le fonti, inoltre, in termini metodologici fanno riferimento all’antropologia per superare e/o integrare le incertezze sulle quali la filologia, lasciata a se stessa, si era arenata. La Johnston, in particolare, attualizzando posizioni sostenute da Lévi-Strauss, indaga le diverse stratificazioni del mito dionisiaco e collega lo smembramento del corpo del dio, alla nascita degli uomini. Vuole mostrare, per tal via, che l’antropogonia è fondamento dell’escatologia e rinvia, altresì, alla dottrina della salvezza orfica.

Documento essenziale di tale esegesi è rappresentato dal Commento al Fedone di Olimpiodoro, unanimemente considerato la sintesi delle diverse tradizioni inerenti l’origine dell’uomo maturate nell’ambito orfico-dionisiaco in Grecia. Più tardi, il cristiano Clemente Alessandrino, nel suo Protrepticon, esasperò la funzione sacrificale del mito “per proporre e negare il confronto tra il sacrificio cristiano dell’uccisione del figlio di dio,…e il sacrificio pagano del figlio di Zeus…che turba l’ordine cosmico” (p. 13). Inoltre, la studiosa, mostra come le lamine manifestino una visione tripartita dell’Ade e del destino delle anime. Nonostante ciò la visione del post-mortem resta bipolare, di origine pitagorica. Solo la sete spirituale, che impedisce all’anima di soddisfare la propria sete terrena, le permette di accedere all’acqua della memoria. Ecco, come già rilevato da Pugliese Carratelli, è Memoria il discrimine tra l’orfismo popolare e quello iniziatico. Solo quest’ultimo dà modo all’adepto del culto di tornare all’origine divina. “…le anime degli iniziati s’avviano per la via sacra…verso una dimora beata, comune a dei e a eroi” (p. 13). Con il che non solo l’Orfismo è sottratto alla passività ctonia, ma lo stesso dionisismo, ormai accettato quale culto ellenico e non orientale.

Pertanto, il lettore di Orfeo e le lamine d’oro, ha uno sguardo d’insieme, filologicamente corretto, sulle prospettive più rilevanti delle religioni misteriche greche.

http://www.ereticamente.net/2016/02/le- ... sessa.html



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 Oggetto del messaggio: Re: Le Religioni Misteriche
MessaggioInviato: 09/02/2016, 10:03 
Da leggere pensando sempre a chi siano i "Titani", gli "Elohim" (secondo la chiave di lettura proposta dal Progetto Atlanticus) contemporanei.

Il mito ci offre una chiave di lettura per comprendere la società contemporanea... il suo valore 'didattico' è immenso

Seneca, l’iniziazione orfico-dionisiaca e l’importanza di liberarsi dall’ombra dei Titani antichi e contemporanei

Ieri erano le Kalendae di febbraio, giorno sacro a Iuno Seispes Mater Regina, la Giunone lanuvina e romana che con elmo caprino e scudo e asta difende i sacri connubii e la costanza nell’agire secondo giustizia. Cose un po’ anacronistiche, insomma, tuttavia meritevoli di sforzi e attenzioni. Sulla mia agenda, l’Agenda romana curata dagli amici della casa editrice Victrix (Forlì) per l’anno dell’Urbe MMDCCLXIX, al primo di febbraio compare un brano molto interessante tratto dal De Providentia di Seneca. Lo copio qui:

“Dunque, quando vedrai uomini buoni e accetti agli Dèi soffrire, sudare, inerpicarsi per ardue vie, mentre i cattivi si danno all’allegria e grondano di piaceri, pensa che noi siamo compiaciuti dalla modestia dei figli e dalla licenza dei giovani schiavi: quelli sono tenuti a freno da una disciplina alquanto severa, di questi si alimenta l’impudenza. Lo stesso ti sia chiaro di Dio: egli non mantiene l’uomo buono in mezzo alle delizie, lo mette alla prova, lo tempra, lo prepara per sé”.

E’ abbastanza confortante leggere il punto di vista stoico, che in questo caso richiama alla mia memoria una poetica parafrasi di Pindaro ascoltata in un saggio canto italico: “Vane speranze non errano mai, lungo il sentiero che porta agli Dèi”. Perché l’ardua via è il destino di chi reca in sé la possibilità di una elevazione, ed è logico che si venga messi alla prova nella maniera più severa. Da chi? dagli Dèi… dal Fato… da se stessi… Poco importa.

E’ assai più importante non cedere al punto di vista sbagliato, quello delle termiti. Osservato da un angolo visuale alto e celeste, quel che rasoterra sembra ingiustizia lancinante non è che ordine.

Un ordine nel quale le anime nere sembrano avere il sopravvento, ma in realtà sono miseri e utili strumenti per affinare la saldezza di chi quelle anime nere deve affrontare. Non c’è quietismo o rassegnazione, sia chiaro, la lotta è una dimensione consustanziale al Vir, come ci insegna Eraclito. Dopodiché l’ordine si compone anche e sopra tutto di premi e ricompense. I mulini degli Dèi macinano lentamente, ci piace ricordare, epperò non si fermano mai.

Perciò ho accolto con piacere l’ultimo dono delle Edizioni Mediterranee, una raccolta intitolata “Orfeo e le lamine d’oro. Testi rituali per l’oltretomba”. Si tratta di un volume che è già un classico nel suo genere, scritto da Fritz Graf e Sarah Iles Johnston, con una introduzione di Maria Tortorelli Ghidini. Chi conosca gli autori sa già che si trova al cospetto di uno studio serio, accademico ma non polveroso.

In poche parole, è una summa sulle celebri lamine d’oro ritrovate nei corredi tombali degli iniziati al dionisismo sulla base delle dottrine orfiche, un inventario di precetti per l’aldilà sparsi per il Mediterraneo (la maggioranza in Italia, area magnogreca) nei quali ricorrono formule precise, concise e poetiche (in versi, perché fauni, vati e sapienti in principio cantarono la parola esatta secondo una metrica comune agli esseri luminosi e non soltanto umani).

Da queste lamine preziose, accartocciate accanto ai resti degli iniziati, si può dedurre una specie di mappa oltretombale in cui – grazie anche ai testi pervenutici tramite i pitagorici come Platone e Pindaro – all’uomo comune che non ha commesso fatti immorali o indecenti viene riservato un percorso stabilito: va verso destra, cammina nell’oscurità pencolante e sitibondo, finché non trova una fonte che lo ristora ma al tempo stesso lo rende dimentico dell’esistenza appena conclusa. Quest’uomo rinascerà in sembianze umane e quindi mortali, conoscerà una vita nuova, proseguirà nel cerchio delle incarnazioni fino a purificarsi completamente.

Chi invece ha già realizzato la propria palingenesi nell’esistenza, mediante riti che cancellano le macchie pregresse accompagnati da una condotta adeguata, dovrà resistere alla sete e andare oltre: a un certo punto vedrà la fonte di Mnemosine e allora sì, potrà bere e ricevere ristoro senza cancellare il passato. Potrà anch’egli reincarnarsi, se necessario, ma la successiva esistenza sarà l’ultima e verrà punteggiata dalla consapevolezza delle esperienze trascorse: è il sentiero del ricordo, conduce di fronte ai Guardiani della soglia, i custodi dei Campi Elisi. Per procedere oltre, si dovrà dimostrare l’avvenuta trasformazione con la semplice e nuda presenza del proprio essere profondo, e bisognerà recitare parole di passo e poi procedere su su fino alla divinizzazione completa. Gli empi e i malvagi? Scivolano in basso a sinistra, nel precipizio dell’Ade.

Mi hanno insegnato a non sopravvalutare il concetto di iniziazione, poiché l’obiettivo non è essere “iniziati” ma “compiuti”. E tuttavia l’iniziazione orfico-dionisiaca aiuta a comprendere che cosa significa liberarsi di una ipoteca sgradevole. Il mito insegna che Dioniso nacque due volte: la prima come figlio di Giove e Proserpina, poi i Titani lo smembrarono e lui rinacque per volontà gioviale, affidato a Semele prima che lo stesso re dei numi lo conservasse nella sua coscia…

I Titani vennero fulminati, dal loro sangue mescolato all’icore dionisiaco nacque l’ultima generazione degli umani, quella dell’età del ferro, la nostra (almeno in apparenza, non ne sono più così sicuro guardando a certa sedicente umanità in circolazione oggi). L’obiettivo dell’iniziazione è appunto saldare quel conto titanico, liberarsi di un residuo oscuro e infine farsi simili agli Dèi.

Qualcuno avrebbe poi copiato a modo suo il segreto dionisiaco, costruendoci una dottrina del peccato e dell’eguaglianza coatta. Nuove ipoteche da cui liberarsi?

Comincerei con Seneca, che fa sempre bene perché aiuta a fortificarsi e ad assumere su di sé il privilegio della fatica, il nostro sforzo continuo che per legge di analogia ripete quello luminescente del Sole, il quale a sua volta simbolizza la suprema intelligenza da cui discende la manifestazione del mondo sensibile. Poi verrà non l’ortodossia, allucinazione totalitaria, ma l’ortoprassi, il ritus (equivalente del sanscrito Rta, che significa “ordine cosmico”): l’atto che libera dal titanismo desertico propagato come un Tifone dai nemici del divino e dell’uomo.

http://www.ilfoglio.it/cosmopolis/2016/ ... e_c269.htm



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 Oggetto del messaggio: Re: Le Religioni Misteriche
MessaggioInviato: 15/02/2016, 15:53 
Presentare con una definizione unitaria i misteri del Mediterraneo antico è un’operazione difficile anche perché, nonostante una tipologia ricorrente, gli elementi costitutivi non sempre coincidono.

Per riprendere e per chiarire comunque la definizione data all’inizio, si può dire che si raccolgono in questa categoria quei complessi mitico-rituali qualificati da una struttura esoterico-iniziatica, cioè da un cerimoniale di ammissione, a carattere volontario e personale, con il quale agli iniziandi veniva concessa la rivelazione di alcuni segreti, in riferimento al culto di particolari divinità, solitamente concepite come protagoniste di una dolorosa vicenda.

La rivelazione, poi, sosteneva la speranza di una salvezza, che tali culti promettevano, insieme alla fiducia di un più stretto rapporto personale con l’essere divino.

Sergio Ribichini
IL RITO SEGRETO. ANTICHI CULTI MISTERICI

https://www.academia.edu/4405647/Culti_ ... ndo_antico



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 Oggetto del messaggio: Re: Le Religioni Misteriche
MessaggioInviato: 01/03/2016, 23:05 
I MISTERI MITRAICI E IL CULTO DELL'IMPERO

Il generale romano era orgoglioso dei suoi comandanti e del suo seguito mentre i selvaggi uomini delle colline, ancora vestiti con gli abiti laceri, ma fiammeggianti di corsari, gli cadevano ai piedi, implorando clemenza. Era circa l’anno 75 a.C., sulle aspre colline vicino a Coracesium in Cilicia, una regione selvaggia lungo la costa sud–occidentale dell’Asia Minore, e i pirati cilici, forse i più feroci briganti che il mondo abbia mai visto, si stavano arrendendo al generale romano Pompeo.

Pompeo Magno, come egli fu poi chiamato, avrebbe continuato a conquistare il Levante e a contendere a Giulio Cesare la supremazia nel nascente impero romano, ma la sua campagna fulminea contro i pirati cilici era forse il suo momento più bello e glorioso. I pirati, approfittando della debolezza navale romana durante un arco di decenni, che aveva visto Roma devastata dalla guerra civile, avevano assunto il controllo di gran parte del Mediterraneo, ad ovest, fino alle Isole Baleari.

Ora, grazie alla magistrale azione di Pompeo, che combinava una risoluta azione militare e una clemenza incondizionata per tutti i pirati che si arrendessero a lui in persona, i temuti Cilici erano ammessi all’Impero Romano e si guadagnavano la possibilità di vivere una vita rispettabile. La maggior parte, secondo il racconto di Plutarco, accettò l’offerta di Pompeo. Essi furono reinsediati in varie parti del dominio romano, portando le loro famiglie e beni con loro. Inoltre, secondo Plutarco, portarono con loro un sistema peculiare di credenze e pratiche religiose, uno dei cosiddetti "culti misterici" tipici della religione pre–cristiana del Mediterraneo.

Il culto di Mitra fu senza dubbio considerato in un primo momento come un altro dei molti d’importazione orientale, un prodotto del multiculturalismo mediterraneo. Invece crebbe e si sviluppò nella più formidabile società occulta segreta nel mondo antico, sostenendo con i propri aderenti imperatori e legionari. Al culmine del suo potere e influenza – quando prese in ostaggio la macchina stessa dell’impero – minacciò di respingere indietro il mondo romano, alle sue radici pagane, e debellare la giovane fede cristiana.

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Nessuno conosce l’origine precisa del culto dedicato al dio persiano Mitra, che divenne noto come i misteri di Mitra o Mitraismo. Plutarco dice soltanto che i pirati cilici "offrivano strani sacrifici sul monte Olimpo, e compivano riti segreti o misteri religiosi, tra i quali quelli di Mitra si sono tramandati sino al nostro tempo (il secondo secolo d.C., circa due secoli dopo il tempo di Pompeo), dopo essere stati introdotti da loro. "E’ anche possibile che i misteri di Mitra, come certi altri culti misterici praticati nei domini romani, fossero stati diffusi dai misteriosi maghi "Caldei", provenienti da est, che eranoi periodicamente espulsi dal territorio romano perché favorivano la formazione di società cultuali segrete sovversive.

Dall’antichità persiana

Il nome di Mitra indicava una divinità importante nello zoroastrismo persiano. Questo dio era venerato sin dalla remota antichità dagli antenati dei persiani e dagli indiani (negli inni vedici dell’antica India egli è noto come Mitra ‘l’amico’). Per i Persiani, era il dio dei giuramenti e dei patti, e fu adorato lungo e in largo in tutta l’Asia centrale e il Medio Oriente, dall’Armenia all’impero di Kushan nell’attuale Afghanistan.

Il culto misterico, tuttavia, era una forma tipicamente mediterranea di culto religioso, un culto all’interno di un culto, per così dire, in cui le credenze esoteriche conosciute dalla gran parte della popolazione erano insegnati e si celebravano riti segreti. Presso gli antichi greci, i misteri di Eleusi o Demetra furono i più duraturi e popolari, mentre in Egitto i misteri di Iside regnavano sovrani. In Asia Minore fiorirono i misteri di Cibele, la popolare dea frigia.

Un culto misterico particolare – quello di Bacco, il dio del vino e della baldoria – acquisì una fama sinistra a Roma nel secondo secolo a.C. Introdotto da un misterioso immigrato greco, si diceva che il culto di Bacco praticasse sacrifici umani e ogni sorta di dissolutezza in segrete orge notturne. Il suo culto non solo cercò di corrompere la morale romana, ma anche di prendere il controllo del governo romano. "Mai", disse Spurio Postumio, il console romano che per primo espose il culto di Bacco al Senato romano nel 186 a.C., "vi è stata tanta malvagità in questa repubblica, mai cattiveria che riguardasse tante persone, né si manifestasse in tanti modi... L’empia cospirazione dei devoti baccanti ancora si limita a violenze private, perché non ha ancora abbastanza forza per rovesciare lo stato. Ma il male cresce di giorno in giorno... Il suo obiettivo è il potere supremo dello stato". Fortunatamente per Roma, il Senato diede ascolto all’avvertimento di Postumio e soppresse il culto di Bacco. Ma l’episodio mostrò la potenza dei culti delle società segrete, e le loro potenzialità, almeno nel mondo antico mediterraneo, d’intaccare il tessuto morale e addirittura minacciare l’integrità dello Stato.

Il culto misterico di Mitra sembra essere stato strutturalmente un’innovazione romana, con l’intreccio di alcuni aspetti della religione e della mitologia persiana. Purtroppo sappiamo poco del suo sviluppo o delle sue azioni sino a più d’un secolo dopo Pompeo. Solo con l’ascesa di Nerone vediamo il nome di Mitra riapparire a Roma.

Una delle realizzazioni dell’imperatore Nerone fu quella di portare il re armeno Tiridate a Roma per la propria incoronazione. Quando Tiridate si prostrò dinanzi all’imperatore romano, Nerone l’informò che voleva essere adorato come veniva adorato il grande dio Mitra (in un tratto d’ironia della storia, più tardi un re armeno con lo stesso nome, Tiridate il Grande, si convertì al cristianesimo e fu responsabile del fatto che l’Armenia diventasse il primo stato ad abbracciare la nuova religione).

Si suppone che Nerone a sua volta esprimesse un grande interesse ad essere inserito nei misteri dello Zoroastrismo, dai Magi che avevano accompagnato Tiridate a Roma. È impossibile dimostrare se il re armeno fosse un seguace del culto misterico, o se Nerone stesso ne fosse diventato un devoto, ma la storia suggerisce che, come minimo, il culto di Mitra era un concetto familiare a Roma a metà del primo secolo d.C. L’archeologia permette di accertare che il Mitraismo si stava diffondendo nell’impero romano alla fine del primo secolo della nostra era. I primi templi mitraici, o mitrei, di cui conosciamo la data, risalgono intorno al 90–110 d.C., nelle province tedesche. I misteri di Mitra dovevano essere bene stabiliti in quel momento nel cuore di Roma, la penisola italiana. A metà del secondo secolo, il culto era diffuso in tutto il territorio romano, dal Medio Oriente alle isole britanniche, mostrando una vitalità che solo la giovane fede cristiana poteva eguagliare.

Sponsor imperiali


Il culto di Mitra sembra essere iniziato nel mondo militare romano, divenendo un culto non solo di legionari, ma di commercianti e funzionari di governo. Nerone fu il primo imperatore romano il cui nome sia stato associato con il dio Mitra, ma non fu certo l’ultimo.

Il punto di svolta per il Mitraismo, che a quanto pare godeva almeno d’un regime di tolleranza da parte del governo romano sin dal suo inizio, fu l’amministrazione dell’imperatore Commodo, il figlio bestiale di Marco Aurelio, che regnò dal 180 al 190 d.C, Commodo è ricordato soprattutto per la sua ferocia e le sue molte perversioni, eccezionali anche per gli standard degli imperatori romani.

Totalmente privo dell’equanimità e della saggezza di suo padre, come delle virtù del santo suo nonno, il giustamente chiamato Antonino Pio, Commodo riuscì ad annullare, in pochi anni intrisi di sangue, buona parte dei progressi registrati dalla civiltà romana nel corso delle precedenti diverse generazioni di relativa pace e di progresso. Fu anche il primo imperatore romano del quale si sia certi che fu iniziato a pieno titolo nei misteri di Mitra. Commodo – dice Franz Cumont, un pioniere dei moderni studi mitraici – "fu ammesso tra i loro adepti e partecipò alle loro cerimonie segrete, e la scoperta di numerose iscrizioni votive, per il benessere di questo principe o con la data del suo regno, ci fornisce alcuni indizi dello slancio che questa conversione imperiale impartì alla propaganda mitraica. Dopo che l’ultimo degli imperatori Antonini aveva così rotto con l’antico pregiudizio, la tutela dei suoi successori sembra essere stata definitivamente assicurata alla nuova religione".

Mentre non abbiamo dettagli di come il coinvolgimento di Commodo nel culto segreto può aver influenzato il suo processo decisionale, la sua associazione con Mitra stabilì un precedente inquietante – e cioè che la maggior parte degli imperatori associati con tale culto espresse oltre i livelli normali di brutalità e depravazione, e un odio peculiare per la cristianità.

Delle credenze e dei rituali del Mitraismo sappiamo molto poco, nonostante le abbondanti prove archeologiche. Il Mitraismo non ci ha lasciato testi religiosi paragonabili, per così dire, alle epistole di Paolo, al Talmud o agli scritti patristici. Sappiamo che si trattava di una società segreta religiosa alle quali sono stati ammessi solo gli uomini. Secondo san Girolamo, c’erano sette gradi iniziatici nel Mitraismo, a cominciare da Corax (corvo). Gli altri, dal più basso al più alto, erano Nymphus (sposo), Miles (soldato), Leo (leone), Perses (persiano), Heliodromus (conduttore del sole) e Pater (padre). Di questi i primi due sembrano essere stati i livelli di preparazione, e l’assunzione al grado di Miles era il vero punto di partenza per la progressione all’interno della gerarchia mitraica.

Il Mitraismo aveva un sistema di credenze caratterizzato da vivaci miti e da un esasperato simbolismo oscuro. Un mitreo tipico, una casa di culto sotterranea usata dai devoti di Mitra, era costruito per somigliare ad una caverna–mondo, una metafora del cosmo favorita nell’antico Medio Oriente. La caratteristica dominante d’ogni mitreo era una rappresentazione centrale, di solito scolpita nella pietra, del mito di Mitra: la tauroctonia o uccisione del toro del cielo. Mitra è raffigurato come un eroe giovane con il caratteristico berretto frigio, che uccide il toro con un pugnale. Intorno, a molestare il toro sfortunato, sono un cane, uno scorpione, attaccato ai suoi testicoli, il corvo imperiale e il serpente, mentre ai lati della scena stanno altri due giovani in piedi, con torce (dadophori), Cautes e Cautopates, di cui quest’ultimo impugnava la torcia con la punta aguzza verso terra.

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Dettagli demoniaci

Il significato preciso di questo tableau notevole è ancora controverso, in nessuna parte del canone persiano zoroastriano che abbiamo ricevuto è lì ogni riferimento a Mitra che uccide un toro. Cumont percepita in Cautes e Cautopates, con le loro torce in conflitto, un’allusione al dualismo radicale della fede zoroastriana, l’idea che il bene e il male debbano essere considerati come forze opposte e completamente uguali.

Nei quadri vivaci sulle pareti del mitreo ben conservato a Dura–Europos, in Siria, ci sono anche le immagini di Mitra, come un cacciatore equestre – il famoso motivo del "potente cacciatore", associato ai sovrani mesopotamici e agli dei da tempo immemorabile – e di Mitra che forgia il suo patto con il dio del sole Sol, da cui l’epiteto più famoso di Mitra, "Sol Invictus", o "Invincibile Sole".

L’altra caratteristica dell’iconografia mitraica, la divinità cosiddetto leontocephalos o testa di leone con serpenti intrecciati, è più facile da interpretare. Questa figura terrificante, esposta in molti mitrei superstiti, è stata identificata con il dio greco Kronos e quello egizio Kore, il dio del tempo, ma in diversi mitrei questo idolo è intitolato "Deus Arimanius". Arimanius è la forma latina del persiano Ahriman, che significa "spirito maligno". Ahriman era il Satana dello zoroastrismo, e la sua presenza nel sancta sanctorum mitraico la dice lunga sulla reale natura di questo culto misterico. Inoltre, nella religione tradizionale zoroastriana, è Ahriman – non Mithra – che, secondo lo storico delle religioni Yuri Stoyanov, "porta a morte il toro ‘unico creato’ con l’atto violento del primo ‘omicidio creatore’, che ha innescato il ciclo di essere e di generazione".

Secondo Stoyanov:

Il Dio mitraico Arimanius mostrava quindi che il Mitraismo romano derivava dal pre–zoroastriano e da forme tardive diaboliche e proibite [daevic] del culto di Mitra, che erano associate con il temuto ‘mistero degli stregoni’ e che erano praticate in Mesopotamia e nell’Asia Minore.

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Dei riti e osservanze del Mitraismo si sa relativamente poco. Dalle immagini in una grotta mitraica presso la moderna Capua, si apprende che sono gli iniziati erano bendati e sottoposti a varie prove da un severo mystagogus in tunica bianca. Sembra, dalla testimonianza di Tertulliano, che iniziassero subito varie cerimonie di purificazione, giuramenti di segretezza, e ricevessero i marchi sulle mani o sulla fronte della loro appartenenza all’Ordine. Secondo M.J. Vermaseren, "in [vari antichi] ritratti, anche in ritratti di imperatori, questi tatuaggi sono chiaramente visibili, ma sulla fronte, piuttosto che sulle mani".

Anche una pratica molto più abominevole, sacrifici umani, può essere stata associata al Mitraismo, ma alcuni studiosi moderni, a parte la scrupolosa Vermaseren, rifiutano di riconoscerlo. Lo storico cristiano Socrate, nel IV–V secolo, sosteneva che i greci di Alessandria "uccidevano gli uomini", mentre celebravano i misteri, nonostante il fatto che il sacrificio umano fosse stato espressamente vietato nei domini romani, almeno dal tempo di Tiberio. In un mitreo in Saarburg, lo scheletro di un uomo tra i 30 e i 40 anni è stato scoperto. Giaceva a faccia in giù con i polsi ammanettati dietro la schiena con una catena di ferro, ed era molto probabilmente una vittima d’un sacrificio mitraico. I sacrifici umani a Mitra sono stati attribuiti – anche se il fatto non è dimostrato – a due imperatori romani e devoti di Mitra, Commodo e Giuliano.

Figlio di Dio contro "Dio Sole"

Sembra che, dal tempo di Commodo in poi, quasi ogni imperatore romano sia stato associato al culto di Mitra in qualche modo. Agli inizi del terzo secolo, un santuario di Mitra fu costruito alla base del palazzo degli Augusti. Eliogabalo, un altro eccezionale depravato sovrano nella tradizione di Nerone e Commodo, sostituì Giove con il Sole Invincibile, Deus Sol Invictus, come capo del pantheon romano, mentre Aureliano istituì un culto imperiale dedicato al dio stesso. Diocleziano, Licinio e Galerio dedicarono un tempio a Mitra a Carnuntum nel 307 d.C. Fu ancora Galerio ad avviare una delle più grandi persecuzioni contro i cristiani, a causa del suo zelo ben documentato per la tradizione e il culto pagano. Costantino il Grande, anche, era almeno associato al culto del Sole Invincibile / Mitra, anche se non è chiaro se fosse un iniziato ai suoi misteri. L’ultimo imperatore pagano di Roma, Giuliano, fu introdotto ai misteri di Mitra, mentre era ancora nella sua adolescenza, da Massimo di Efeso, e, nei suoi sforzi per sopprimere il cristianesimo e restaurare il paganesimo alla sua piena fioritura, costrinse i cittadini di Costantinopoli – allora capitale del l’impero – al culto di Mitra.

La chiesa paleocristiana considerava il culto di Mitra come il suo nemico mortale. La mitologia e la liturgia del Mitraismo vennero descritte come deliberate derisioni della dottrina cristiana e dei sacramenti. Il giovane eroe–dio Mitra era ritenuto una caricatura di Gesù Cristo, mentre i riti mitraici iniziatici erano considerati battesimi contraffatti. Forse è proprio il Mitraismo che l’autore del Libro della Rivelazione aveva in mente di associare alla meretrice di Babilonia con il "mistero", e l’Anticristo con il "marchio infame della bestia" (segno che, in analogia con i marchi inflitti agli iniziati mitraici, doveva essere posto sulla mano destra o sulla fronte). In ogni caso, ci sono tutte le probabilità che, se Costantino e tutti i suoi successori, salvo Giuliano, non avessero scelto di adottare il cristianesimo, il mondo occidentale potrebbe benissimo essere diventato mitraico.

La fine del Mitraismo è rimasta avvolta nell’oscurità, come le sue origini. Dopo la morte di Giuliano durante la sua fallimentare campagna in Persia, i misteri di Mitra furono rapidamente repressi. Massimo, il precettore mitraico di Giuliano, fu messo a morte insieme ad altri devoti di Mitra impenitenti, ma non si sa se il culto persistesse nascosto o comunque riuscisse a reinventarsi in altra guisa. Alcuni hanno suggerito una continuità di tradizione tra il Mitraismo e il manicheismo, la cosiddetta "religione di luce" fondata dall’eretico persiano Mani e propagatosi in gran parte dell’Oriente. Altri hanno trovato nel mondo sotterraneo delle eresie medievali europee, in particolare i Pauliciani e bogomili, una successione lineare del Mitraismo e d’altri culti misterici.

Qualunque sia stato il suo destino finale, il culto di Mitra è forse l’esempio meglio documentato di un culto imperiale, una società segreta legata da un giuramento di élite che, per diversi secoli, è stata dietro il potere e dietro il trono del regno più potente che il mondo avesse mai visto. Furono apparentemente i misteri di Mitra che fornirono la coesione di legioni lontane da Roma e il fondamento ideologico per il comportamento autocratico dei suoi imperatori. Se l’imperatore era l’incarnazione del Sole Invincibile, chi poteva tentare di erigersi contro di lui? Da quel poco che siamo stati in grado di raccogliere, la religione di Mitra e dei suoi seguaci più importanti nell’Impero Romano, abbiamo la fortuna che questo, l’ultimo e il più grande dei culti misterici antichi, non abbia vinto la sua epica lotta contro il cristianesimo nei cuori e nelle menti di Roma.

* Vedere "Fear & Fatal Power" di Joe Wolverton nell’edizione del 24 maggio 2010 della TNA.

http://www.liutprand.it/articoliMondo.asp?id=325



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 Oggetto del messaggio: Re: Le Religioni Misteriche
MessaggioInviato: 05/03/2016, 10:50 
Asclepio (Esculapio), il dio della medicina

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Una statua di Asclepio. Glypotek, Copenhagen

Asclepio, che i Romani conobbero col nome di Esculapio, nell’antica Grecia era il dio della medicina. Figlio di Apollo e di Coronide, fu affidato dal padre al centauro Chirone che gli insegnò l’arte medica. Avendo poi osato richiamare in vita i morti, fu fulminato da Zeus.

Gli attributi di Asclepio erano il bastone, il rotolo di libro, il fascio di papaveri, ma soprattutto il serpente; secondo una leggenda un serpente gli avrebbe portato l’erba miracolosa che servì per risuscitare Ippolito, il figlio di Teseo, e dopo la sua morte Asclepio e il serpente furono posti in cielo, raffigurati nelle costellazione di Ofiuco o Serpentario e del Serpente. La moglie di Asclepio era Salute e la sua sacerdotessa era Panacea, “colei che tutto guarisce”.

Asclepio in Grecia, Esculapio a Roma, dio patrono della medicina, non appartiene alla schiera degli dèi prettamente olimpici. Non è chiaro se in origine fosse una divinità sotterranea (ossia demoniaca) della Tracia oppure, analogamente a quanto successo con Imhotep in Egitto, un uomo realmente vissuto che per le benemerenze acquisite nel guarire le malattie sia stato in seguito divinizzato.

Secondo Pindaro, Asclepio era stato generato da Apollo nel grembo di Coronide, figlia di Flegia, re dei Tessali, allorchè Coronide, prima di aver partorito, s’innamorò di un comune mortale di nome Ischi. Apollo, furioso per il tradimento, fece trafiggere l’infedele da Artemide con una delle sue frecce infallibili. Quando però la salma di Coronide si stava già consumando nelle fiamme del rogo, Apollo le strappò dal grembo il frutto del loro amore, Asclepio.

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Statua di Esculapio – Musei Capitolini di Roma

Secondo Esiodo, invece, la madre sarebbe stata Arsinoe, una delle figlie di Leucippo.

Salvato il figlio, Apollo lo affida al centauro Chirone, che lo alleverà e lo istruirà nella medicina.

Si racconta che, a ricordo della sua nascita fra le fiamme, un alone di luce avrebbe circondato il corpo del ragazzo, suscitando lo sgomento dei rozzi pastori vaganti sul monte Pelio, regno di Chirone.

Fattosi adulto, Asclepio, a differenza di tanti altri eroi educati da Chirone, non sceglie il mestiere delle armi, ma mette a profitto le lezioni di Chirone per alleviare le sofferenze del genere umano.

La leggenda narra che Asclepio avrebbe guarito dalla pazzia le Pretidi, dalla cecità i Fineidi, dalle ferite Ercole.

Ma poi cresce la sua ambizione: vuole sconfiggere la morte che sovrasta la vita. Si mette a risuscitare i morti: Orione, Capaneo, Ippolito, Tindareo ed altri. Con ciò, però, sorpassa la misura imposta da Zeus ai mortali, crea uno squilibrio, e Zeus lo fulmina. La fine del figlio suscitò però la collera di Apollo: in un impeto di rabbia uccise i Ciclopi, che avevano forgiato le folgori di Zeus, e poi abbandonò per molto tempo l’Olimpo.

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Asclepio su uno statere da Epidauro. Monaco, Staatliche Münzsammlung

Il primo luogo di culto di Asclepio era una grotta presso Tricca, dove sotto il simbolo del suo attributo principale, il serpente, dava oracoli.

Poi il culto si estese ad Epidauro, che ne doveva diventare il centro principale, a Coo, ad Atene e a tutto il mondo ellenico. A lui furono dedicate le feste Asclepiee o Asclepiadee; a lui fece risalire la propria origine la gente degli Asclepiadi, che esercitarono tutti l’arte medica, fra i quali lo stesso Ippocrate, il più famoso medico dell’antichità.

I santuari dedicati ad Asclepio, i cosiddetti Asclepiei, erano costituiti da una fonte o un pozzo, circondati da un bosco sacro, e dalla clinica, chiamata adyton. Sappiamo poco sulla prassi medica seguita in quei luoghi, anche a causa dei misteri che la circondavano. I malati passavano una notte nell’adyton; dopo un sogno, ottenuto probabilmente con mezzi artificiali, seguiva la guarigione. Essa però sicuramente non era effetto della potenza taumaturgica del luogo sacro o soltanto frutto della suggestione, ma anche di interventi chirurgici e di medicine propinate. Dalla moglie Lampezia – secondo altri, da Epiona – Asclepio avrebbe avuto quattro figlie (Igea, cui furono dedicati altari, quale personificazione della salute; Panacea, che guariva tutte le malattie; Iaso, la quale, invece, le provocava; Egle, che fu ritenuta madre delle Grazie) e due figli (Macaone, che fu ucciso da Euripilo all’assedio di Troia, e Podalirio che, per la sua singolare perizia medica, fu fatto signore del Chersoneso e ascritto nel novero degli dei).

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Bassorilievo raffigurante Esculapio e sua figlia Igea. Da Therme, Grecia, V secolo A.C.. Musei archeologici di Istanbul.

All’inizio, Asclepio venne raffigurato giovane e imberbe, ma poi si passò a rappresentarlo come un uomo nel pieno vigore, il viso circondato da una folta barba e soffuso di un’espressione di mitezza e bontà. I suoi attributi sono lo scettro, la verga e il rotolo di libro. Gli erano sacri il serpente che lambisce le ferite e, per lo stesso motivo, il cane e le oche. Sacro gli era anche il gallo, simbolo del giorno e della vita che rinascono.

Con una sublime identificazione della morte con la guarigione dal male della vita, Socrate morente, come ci riferisce Platone nel Fedone, pregò gli amici che si sacrificasse un gallo ad Asclepio: “E già la parte inferiore del ventre veniva ormai raffreddandosi, quando si scoperse il volto che già era stato coperto e disse ancora queste parole (le ultime da lui pronunciate): 0 Critone, dobbiamo un gallo ad Asclepio; dateglielo, e cercate di non dimenticarvene”.

In Roma il culto di Asclepio-Esculapio fu introdotto ufficialmente dopo la pestilenza del 293 a. C. Allora si consultarono i libri sibillini, i quali diedero come responso che la peste sarebbe scomparsa soltanto se fosse venuto Asclepio da Epidauro. Il Senato mandò dunque una legazione, ma quelli di Epidauro erano incerti sulla decisione da prendere.

Nella notte, però, Asclepio apparve al capo della legazione romana, assicurandolo che il giorno dopo sarebbe partito con lui. E difatti, quando i legati si furono raccolti nel tempio del dio, un serpente uscì da un sotterraneo e li seguì fin sulla nave per venire in Italia. Quando, al termine del viaggio, la nave, risalendo il Tevere, giunse all’altezza dell’isola Tiberina, il serpente abbandonò la nave e si rifugiò su quell’isoletta. Interpretando il fenomeno come desiderio di Asclepio che colà dovesse sorgere il suo santuario romano, il Senato romano lo fece costruire nel punto dell’isola Tiberina dove oggi si trova la chiesa di S. Bartolomeo.

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Questo bassorilievo è una specie di ex voto: queste offerte votive solitamente rappresentavano la parte del corpo che era stata guarita. Atene, Museo Archeologico Nazionale

Affermatosi il culto di Asclepio anche a Roma (si sa, i medici stranieri sono sempre reputati migliori!!), furono trascurate le quattro divinità indigene che prima presiedevano alla salute: Strenua, Cardea, Febris e Salus; quest’ultima finiva per essere identificata con Igea, figlia di Asclepio.

http://tanogabo.com/asclepio-esculapio- ... -medicina/



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 Oggetto del messaggio: Re: Le Religioni Misteriche
MessaggioInviato: 08/03/2016, 11:32 
La madre, la figlia e la morte iniziatica nei Misteri Eleusini

Molto spesso il tema archetipico che sottende sia al rituale iniziatico che le mitologie della morte, presuppone l’inghiottimento da parte di un mostro. Il simbolismo dell’inghiottimento e del penetrare nel ventre equivale ad una regressione psichica nell’indistinto primordiale, psichicamente è la discesa agli Inferi fra le tenebre ed i morti, la regressione sia nella notte cosmica sia nelle tenebre della follia in cui l’individuo si dissolve. Se teniamo conto dei suggerimenti di Eliade sulla corrispondenza tra morte, notte cosmica, caos, follia e regressione alla condizione primaria, si comprenderà facilmente perché la morte è sinonimo di saggezza; il futuro iniziato deve conoscere la follia e calarsi in quelle tenebre portatrici (anche per Jung) di una reviviscenza ed un contatto con la ricchezza dell’inconscio collettivo.

La creatività, sappiamo, è sempre in relazione con certe follie, certe oscurità ed orge, inseparabili dal simbolismo della morte e delle tenebre. Gli storici delle religioni ci indicano che lo stesso schema iniziatico lo ritroviamo in tutti i misteri, poiché generazione, morte e rigenerazione sono stati compresi come tre momenti di uno stesso mistero.

Da ciò che gli storici delle religioni ci indicano, se ne deduce dunque che la morte nei contesti iniziatici non ha il significato che comunemente le si darebbe, ma significa: liberazione dal passato, fine di una esistenza e avvio a un’altra esistenza rigenerata e più evoluta. La morte iniziatica dunque non è mai fine ma condizione di passaggio ad un « altro modo » di essere e quindi di inizio. La conoscenza e l’iniziazione a cui introducono i misteri, la cui esperienza prevalentemente era inconscia ed emotiva, comporta la rivelazione della morte, della sessualità e del sacro.

Nell’interpretazione psichica di queste profonde esperienze archetipiche l’iniziato non solo rinasce, ma è colui che partecipando e conoscendo i misteri non solo è portatore di una conoscenza nuova, ma è colui che supera la condizione profana dell’individuo che fino a quel momento ha ignorato il sacro. Nell’isolamento e nella separazione in cui si acquista la conoscenza è già implicita la morte, ed i luoghi stessi ove l’insegnamento verrà appreso, foreste o tenebre che siano, psichicamente ci rappresentano simbolicamente l’aldilà e gli inferi e quell’inghiottimento da parte del mostro nel cui ventre, scrive Eliade, regna la notte cosmica. Questo è quel momento intenso e numinoso in cui l’individuo è sul punto di dissolversi per la nascita di una nuova personalità.

Addentrandoci più profondamente nel significato dei misteri femminili, incontriamo il culto dei Misteri Eleusini; considerando le principali dee del culto di Eleusi, Demetra e sua figlia Kore, la «Vergine » Persefone, tralasceremo le altre divinità di Eleusi tranne Plutone re del mondo dell’aldilà che ha rapito Persefone e l’ha fatta sua compagna. Il mito ci narra che mentre Kore coglie i narcisi giocando con altre divine vergini, il dio dell’Ade emerge subitaneamente dalla profondità della terra e la rapisce sul suo carro portandola con se nell’Ade.

Il mito racconta ancora che per intercessione degli dei alle preghiere di Demetra, Plutone sarà poi costretto a rilasciare Persefone per alcuni mesi dell’anno rimandandola sulla terra. Persefone, la dea greca chiamata Kore, esprime due diverse forme di esistenza, l’una ci appare come vita (la fanciulla nel rapporto con la madre), l’altra ci appare come morte (la fanciulla presso il maschile) e Madre e Figlia rappresentano una unità psichica; infatti le due dee vanno considerate come facenti parte di una unica figura archetipica psichicamente doppia; in questa unità Persefone simbolicamente rappresenta la fanciulla, la Kore della madre Demetra.

Poiché Persefone è completamente passiva, ella infatti sta cogliendo i fiori quando sopraggiunge Ade a rapirla, Kerenyi ci suggerisce che Persefone essenzialmente significhi: « stare sul limite dell’Ade », ma insiste Kerenyi « qui tutto è allegoria, allegoria del destino della donna: il limite dell’Ade allegoria della linea divisoria fra la vita di fanciulla e l’altra vita… » quella del rapporto col maschile in cui il ratto ed il frutto del melograno la introducono. Per Kerenyi dunque, poiché Kore-Persefone viene venerata quale regina degli inferi, « il ratto della sposa è su questo piano allegoria della morte ». La descrizione più antica del ratto di Kore, ci proviene dall’inizio dell’inno omerico a Demetra: il poeta ci racconta del ratto subito dalla fanciulla, successivamente la sua opera è piena non solo del dolore e della ricerca della madre divina, ma anche del suo lutto, durante il quale Demetra non permette la crescita delle messi e con ciò, ella costringerà poi gli dei a restituirle la figlia.

II ricongiungimento è comunque colmo di amarezza e poiché Persefone ha già assaporato, anche se di nascosto, il frutto del melograno, ella dovrà dunque passare con Ade un terzo di ogni anno. Fin dai tempi antichi questa storia venne associata con la vegetazione e particolarmente con i cereali, il grano macinato, a simboleggiare poeticamente la dea sotto la cui protezione ne avveniva la crescita, si chiamava infatti Kore.

Demetra arrivò ad Eleusi mentre era alla ricerca della figlia rapita, ad Eleusi ella ritrovo Kore e qui, nella sua riappacificazione dette agli uomini i misteri e l’agricoltura . Demetra fu venerata non solo come dea che aveva fatto dono della coltivazione del grano, ma come dispensatrice di altri doni più misteriosi.

In realtà anche per Kerenyi la dea non insegna come bisogna trattare il frumento, ciò che essa insegna, dopo il ritrovamento di Kore, sono i misteri di Eleusi; ella insegnerà agli iniziati segreti che non dovranno tradire ed ella inoltre darà la possibilità di una sorte diversa nella oscurità della morte. Il frumento cui allude il poema omerico è solamente il dono evidente della dea il cui simbolo, una spiga, veniva mostrato nei misteri. Kerenyi ci precisa che tale dono serve a simbolizzare ciò che essa manifesterà solamente agli iniziati, per cui frumento e maternità non sono che « veli e vesti naturali ».

L’inno omerico allude al fatto che tra i doni di Demetra fa parte anche una particolare specie di immortalità simile a quella del frumento, che proprio nella sua specificità dell’essere tagliato e ricrescere, appare come immortale. « La forma del frumento », scrive Kerenyi, « è la forma dell’origine e in pari tempo del risultato, della madre e in pari tempo della figlia ed è per questo che tale forma accenna di là del caso singolo a ciò che è universale ed eterno. E’ sempre il ‘frumento’ che scompare nella terra e ritorna che nella sua aurea abbondanza viene falciato e tuttavia rimane seme pieno e scuro, madre e figlia tutt’insieme ».

La fertilità e la crescita dei cereali divengono dunque legate indissolubilmente alla morte, senza la quale non vi è procreazione; l’elemento centrale dei misteri di Eleusi, di cui il mito di Persefone rappresenta il momento fondamentale, ci propone il tema archetipico che la morte è l’inizio di ogni nuova vita, che l’uomo riceve proprio dalla Regina dei Morti la fertilità necessaria alla sua vita. Ciò avveniva ad Eleusi, poiché in quel luogo divenuto sacro, la madre divina ha pianto il ratto e la discesa di Kore nel regno dei morti, ma lì ad Eleusi, ella ritorna a sua madre che donerà agli uomini l’agricoltura. II punto culminante dei misteri, secondo i testimoni dell’epoca, non consisteva in un rituale per la fertilità agricola, il segreto del mistero non si risolve nella descrizione del rituale, l’esperienza di fronte alla quale l’iniziato si trovava era una situazione emotiva di grande intensità e di passaggio da una condizione di totale oscurità, alla luce più intensa in un processo di trasfigurazione.

La passività del fedele, condizione indispensabile dell’esperienza, si spiega in quella affermazione di Aristotele, quando egli espressamente dice che i fedeli non dovevano apprendere niente nel senso di una conoscenza razionale, ma dovevano venire coinvolti e mossi emotivamente, per cui la verità veniva rivelata solo tramite immagini e segni. Riguardo al mondo in cui questi eventi sono stati rappresentati si sono fatte innumerevoli speculazioni; il racconto più autorevole di quella notte rituale ci viene da Apollodoro di Atene. Al rito supremo, al suono del gong colpito dal gerofante gli dei si rivelano, Kore stessa viene evocata e riappare dal regno dei morti.

La situazione emozionale evocata dal rituale, dal suono incessante dei tamburi, dalla stessa preparazione al rito col digiuno e dall’aver bevuto la pozione magica, metteva il partecipante in una situazione di partecipazione totale all’evento, per cui il mito veniva, colla sua rappresentazione, completamente rivissuto divenendo realtà. Ad Eleusi, l’iniziato partecipava di una sorta di intimità con le dee, venendo trasportato in una dimensione psichica transpersonale e divina. L’identificazione psichica e simbolica con Demetra, nel suo perdere la figlia, nel suo lutto per poi «ritrovare » e « rinascere », ci indica che il concetto che è alla base del mitologema di Eleusi rendeva tale luogo come spazio di rievocazione simbolica della rinascita e che i misteri che ad Eleusi si celebravano, per la presenza di Persefone, esprimevano il mistero della vita che sorge dalla morte. Il femminile, nel suo particolare rapporto con la morte, assumeva un valore centrale nel rito e nella realizzazione del mistero.

La via iniziatica che ad Eleusi si acquisiva era una via priva di parole, che si condensava in una conoscenza non esprimibile verbalmente e razionalmente, ad Eleusi l’iniziato, uomo o donna indifferentemente che fosse, partecipava piuttosto ad una visione; nel suo chiudere gli occhi e penetrare nell’oscurità del rito, veniva rivissuto l’abbandono di Persefone avvenendo ciò che Kerenyi ha chiamato « un atto interiore, anche se si tratta di un atto di dedizione », che in realtà assumeva il senso di un atto psichico numinoso e trasformativo. Kerenyi ci racconta che ad Eleusi si metteva in atto un processo che trovava il suo culmine massimo nei grandi misteri; egli ci riferisce che gli iniziati lungo il cammino verso Eleusi si adornavano di rami di mirto: il mirto è di Afrodite e nello stesso tempo dei morti.

Possiamo pensare, a livello psicologico, che Demetra la dea madre si adira e si rattrista per quell’aspetto Kore di se stessa che viene rapito dal suo proprio essere, quella stessa Kore che poi riavrà e nella quale rigenererà se stessa. Il mitologema della madre-figlia come molti hanno sostenuto, rappresenta essenzialmente l’idea della Rinascita. Nell’aspetto più segreto del Mito, quale momento centrale del Mistero, riappare il tema archetipico delle nozze violente, o nozze di morte dove il rapitore è Ade, il dio della morte; acqua e oscurità nel mito rappresentavano sempre elementi significativi, nell’oscurità si celebravano le nozze violente di Demetra e nell’oscurità si abbandonava l’iniziato.

Sono molti i miti ed i racconti nei quali ritroviamo il tema della fanciulla sacrificata a un mostro, a un drago o a uno spirito maligno, unione che esprime un hieros gamos, dove il matrimonio è sempre un mistero ma anche un mistero di morte. Da questo punto di vista ogni matrimonio, come sostiene Neumann nel suo commento al mito di Amore e Psiche, è un essere esposti sulla sommità della montagna, in solitudine mortale, un aspettare il mostro, il maschile a cui la sposa si arrende. A questo proposito scrive Neumann: « il velare la sposa è sempre velare il mistero e le nozze come nozze di morte rappresentano un archetipo centrale dei misteri femminili »

http://www.visionaire.org/la-madre-la-f ... i-eleusini



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 Oggetto del messaggio: Re: Le Religioni Misteriche
MessaggioInviato: 12/03/2016, 17:17 
Finché ci limitiamo a leggere miti e testi sacri secondo la chiave di lettura evemerizzata, ovvero esclusivamente letterale, perdiamo di vista il grosso che questi testi vogliono raccontarci.

E, a mio parere, ciò che rischiamo di perdere è, oltre che estremamente affascinante, anche altrettanto importante per meglio comprendere la nostra natura, la nostra essenza.

LA DEA MADRE – QUANDO DIO ERA FEMMINA

Fino a circa 30.000 anni fa Dio non esisteva. Erano ormai quasi due milioni di anni che l’essere umano calpestava il suolo del pianeta Terra, vivendo e morendo da solo. La prima idea della possibilità di “un qualcosa dopo la morte” appare solamente 90.000 anni fa, e ce ne vollero altri 60.000 perché il concetto di “Dio” apparisse nella cultura umana, ma attenzione: quel Dio era femmina!

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Dea Madre- Turchia, Museo di Ankara

Come mai l’essere supremo ci ha lasciati per quasi due milioni di anni, cioè dall’evoluzione dell’ Australopitecus, del tutto soli? Senza il conforto di poterci rivolgere a Lui, senza i riti e le direttive morali che più tardi le varie religioni hanno affermato essere indispensabili per la salvezza eterna? E poi ancora, a quale dio rivolgerci? Forse al buon vecchio di barba bianca della tradizione classica cattolica? O forse al non rappresentabile di ebraica ed islamica tradizione? O magari ai rissosi ed umanissimi dei della classicità greco-romana?

Una cosa è certa, questo supposto essere superiore è rimasto muto ed assente per più del 90% della nostra presenza sulla Terra. Quando, poi, il concetto di “Dio” cominciò ad apparire tra gli umani, esso era ben diverso dall’attuale: il primo dio era femmina; questo è abbastanza naturale da comprendere perché se Dio è il creatore di tutto, chi meglio di una donna può rappresentare la creazione della vita ed assurgere a simbolo creativo per eccellenza? Chi meglio di lei può prendersi cura delle sue creature, cosi come una madre allatta e si prende cura della sua prole?

Fu solo successivamente, con l’avvento dell’agricoltura e l’abbandono della vita nomade che il concetto di Dio iniziò a cambiare. Ci fu quasi un colpo di stato da parte del dio maschile contro la sua antagonista femminile, cosa che relegò le donne, da allora sino ad oggi, in posizione soggiogata e socialmente inferiore rispetto agli uomini. All’inizio del Tempo non c’erano Eroi, ma solo Lei.

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Gozo- Museo archeologico

Eva/Serpente, la Dea Madre generatrice del mondo e del cielo, del giorno e della notte. Madre del Creato, concedeva la vita e portava la morte, e nessuno si sorprendeva se, ogni tanto, divorava i suoi figli e beveva il loro sangue. Era fatta così, Eva. Nessuno si sognava di dire che fosse cattiva – anche se, ne sono certa, qualcuno l’avrà maledetta e bestemmiata nel suo idioma preistorico di fronte all’ennesima sciagura che la Natura gli infliggeva.

Eva governava il ciclo della vita e della morte senza né saggezza né crudeltà, secondo un ordine cosmico che dalla Terra ci faceva nascere e alla terra ci faceva tornare, in un ciclo senza fine. L’uomo era parte dello spirito della Terra. Proprio perché Madre Terra – per questo chiamata Gea dai Greci – la Dea Madre è stata simboleggiata con il Serpente, l’animale che sulla Terra è adagiato, quasi compenetrato in essa.

Eva era multiforme: donna e serpente, dunque, materna e assassina, solare e lunare allo stesso tempo. Le popolazioni di tutto il globo che la veneravano, con una sorprendente similitudine da un estremo all’altro del pianeta – andate a vedere ancora oggi la simbologia della Dea Madre e del serpente tra i nativi dell’isola di Pasqua – erano fondamentalmente pacifiche, tolleranti, basate su sistemi matriarcali. La religione maschilista c’impone di conquistare le cose con il sudore, il dolore, il sangue.

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La forma dei templi preistorici di Malta era espressamente intesa a rappresentare il corpo della Dea Madre.


LA DEA MADRE NON È MAI STATA SCONFITTA

La Dea Madre tuttavia non è mai stata sconfitta modo permanente.

Nonostante le ferree leggi imposte dal Dio Padre ai suoi seguaci, immutabili da millenni. Eppure, anche nelle nostre culture patriarcali, la Dea Madre non è stata sconfitta del tutto. Il Vecchio Testamento ce la presenta proprio nella sua forma originaria, Eva/Serpente. Più tardi, Iside ha trasportato in sé miti e forme dell’antica Madre, inclusa la sua bivalenza solare/lunare anche se modificata dalla solo apparente dicotomia Iside (luna)/ Osiride (sole). E Iside a sua volta ha influenzato la mitologia della Madonna, sublime Madre, punto di contatto tra il divino e l’umano (è donna, ma il frutto del ventre suo è l’umanità tutta.

Le prime vestigia della divinità femminile per eccellenza, la Dea Madre, appaiono già 25.000 anni fa, in ogni angolo del globo. Con il passare dei secoli, ogni civiltà le attribuì nomi diversi, glorificandola come unica fonte di vita dell’intero Universo. Era la triplice Morrigan per i Celti, Isis per gli egiziani, Maka per gli antichi popoli Maya e Atzechi, Kali per gli Indiani, Lilith per gli Ebrei, Ishtar per i Sumeri e i popoli accadici; e la lista potrebbe continuare all’infinito. Con l’avvento del Cristianesimo, i padri della chiesa si sono adoperati (senza peraltro riuscirci appieno) per cancellare traccia della presenza della Dea Madre, quando una società matriarcale risultava scomoda e faceva paura.

La storia ci dice che il culto cristiano si è impossessato di tutti i nomi della Dea Madre, dei suoi attributi, le cerimonie, i riti e le festività, i suoi templi e, con il passare del tempo, i suoi archetipi sono stati rimodellati sulla figura di una sola entità femminile, la Vergine Maria. Durante il Medioevo migliaia di donne innocenti vennero arse vive sui roghi dell’Inquisizione con l’accusa di stregoneria, semplicemente per aver seguito le vie della Dea, o per aver messo a frutto le loro doti di guaritrici e druide. In verità, l’adorazione dell’elemento femminile possiede radici molto antiche.

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La Venere di Laussel (Dordogna, Francia, 43 cm), del Gravettiano circa 23.000 aC, trovata all’entrata di una grotta cerimoniale. Originariamente era dipinta in rosso, colore sacro del sangue e della vita. Nella mano destra regge un corno di bisonte a forma di falce di luna, con 13 segni incisi a simboleggiare i giorni della luna crescente e calante (più un giorno di luna piena e uno di luna nuova) ed i 13 mesi dell’anno lunare. La mano sinistra poggiata sul ventre indica la relazione fra il ciclo lunare e quello della fecondità femminile

“Quanto all’ordine che ci hai comunicato in nome del Signore, noi non ti vogliamo dare ascolto; anzi decisamente eseguiremo tutto ciò che abbiamo promesso, cioè bruceremo incenso alla Regina del cielo e le offriremo libagioni come abbiamo già fatto noi, i nostri padri, i nostri re e i nostri capi nelle città di Giuda e per le strade di Gerusalemme. Allora avevamo pane in abbondanza, eravamo felici e non vedemmo alcuna sventura; ma da quando abbiamo cessato di bruciare incenso alla Regina del cielo e di offrirle libazioni, abbiamo sofferto carestia di tutto e siamo stati sterminati dalla spada e dalla fame” (Geremia, 44, 16-18). Nel Vangelo di Tommaso Gesù dice:

“Chiunque bestemmia contro il Padre sarà perdonato, e chiunque bestemmia contro il figlio sarà perdonato, ma chiunque bestemmia contro la madre non sarà perdonato, né sulla terra né in cielo.” (ricordate che la ruah o sophia in ebraico è di genere femminile). La dea è sempre TRIPLICE – trinità, è una in tre, e viene rappresentata iconograficamente dalla Luna: Luna crescente, la vergine, giovane fanciulla, luna piena la madre, colei che dispensa la vita Luna calante la vecchia, la menopausa, la saggezza, la morte. Molti i simboli che la rappresentano, il cerchio, la conchiglia, la spirale, il labirinto, l’acqua, il vaso e per estensione il Graal, che sembra sia l’espressione del corpo della Madre che contiene la vita. Sacro era il sangue mestruale, legato alla simbologia lunare dei 28 gg; nel paleolitico i defunti venivano colorari d’ocra rossa, a simboleggiarne la rinascita. Il tema della sacralità del sangue è ripresa anche dal ebraismo –cristianesimo : “non nutritevi e non versate sangue perché in esso è la vita”. Sempre riferendosi al periodo assiro-babilonese-egiziano, le sacerdotesse dedicate alla madre, vestivano di rosso, simbolo del sangue; erano vergini e prostitute, perché la madre è tutto ciò: vergine all’inizio e poi prostituta per poter dare la vita.

Il mito biblico condensa anche altri elementi, svolti invece apertamente dal mito greco, che furono sovrapposti a posteriori sul mito originale. Per esempio, l’albero prodigioso, come regalo di nozze per Era. La prima coppia, Adamo ed Eva, vengono messi nel giardino e viene presentato loro l’albero, come fosse un regalo di nozze. Eva è colei che coglie il pomo, implicazione che a priori i frutti erano stati creati per lei: il frutto, che come sostiene Freud è il simbolo del corpo stesso della donna, è anche quello che porterà nel ventre, nella sua veste di dea della fertilità. Vediamo così che tutta la scena che si svolge nel giardino dell’Eden ha per protagonisti solo Eva, il serpente e l’albero dai frutti proibiti, come nel mito accadico – sumero e in quello greco. Solo dopo viene invitato Adamo, per continuare in un’altra scena quella che è la condensazione di un’altra fase del mito.

Eva è colei che colloquia col serpente e coglie il frutto proibito, come nel mito delle Esperidi, dove non c’è traccia di nessuna divinità maschile, e le dee sono sole nel giardino con il “loro serpente” Ladone. Come Inanna, la dea sumerica, il suo giardino e il serpente che aveva nidificato dentro l’albero e le impediva di avvicinarsi, strumento a difesa del suo corpo stesso. È lei la protagonista principale, e tutte le elaborazioni posteriori dei commentatori rabbinici, permeate di forti tendenze misogine, non riescono a mascherare la centralità della nostra madre primigenia in questa scena del mito biblico.

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Mentre Gea e le sue sostitute, tipo Rhea e Cibele, personificavano la Terra in quanto tale, Demetra rappresentava nello specifico la terra fertile. Il suo nome viene fatto risalire a “Ge Meter”, Madre Terra. Era in particolare dea dei cereali, ma in quanto Dea della Terra la sua influenza toccava anche il mondo sotterraneo sotto il suo altro aspetto di Persefone, sua figlia. Nel suo santuario speciale di Eleusi, vicino al suo tempio, il sacro recinto della grotta di Ade era ritenuto l’ultima tappa del viaggio di Persefone nel mondo sotterraneo.

Questo mito, che è il corrispondente ebraico del culto della Grande Madre o Madre degli dei , è senz’altro il più arcaico, come dimostra l’assenza di Adamo dai versetti che lo trattano (Gn.3,1-5). La tradizione rabbinica e cristiana fanno di Eva la responsabile del peccato, ma quello che il testo intende suggerirci è che tutto il colloquio, tra la nostra progenitrice e il serpente, allude a un mondo creato dalla Madre Terra in cui questa è la protagonista, la fonte e l’oggetto di tutte le pulsioni erotiche. I versetti che trattano del “love affair” tra Eva e il serpente (Gn. 3,1-6), avrebbero potuto, o dovuto, aprire il racconto del mito della creazione, come nella cosmogonia babilonese, egizia e greca in cui ogni creazione ebbe inizio dalla Terra o dalle acque, ovvero, da un elemento primordiale dalla connotazione femminile.Anche il nome Adamo, dall’ebraico adamah, terra, allude alla nascita da una dea Madre Terra. Tutto allude a questo primo strato del mito ebraico, che fu poi sterilizzato dal redattore e soppiantato dalla versione iahvistica della creazione del mondo come prodotto della creazione di un dio padre.

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michelangelo buonarroti

Se, nel mito greco, l’albero dai pomi d’oro appartiene alle Esperidi, altra triade di dee preolimpiche la cui identità è estremamente confusa, ma che simboleggiano in un’altra maniera la donna come prodotto delle fantasie più arcaiche, appartiene ad Era, simbolo di madre e sposa, ed appartiene ad Afrodite, simbolo dell’amore e dell’erotismo, nel mito ebraico Eva condensa in sé tutte queste figure femminili.

Il mito biblico è così condensato che, per trovare allusioni ad altri aspetti della figura di Eva, dobbiamo cercare in quelle leggende ebraiche che il redattore finale del Pentateuco non trascrisse, preso com’era dallo zelo monoteistico e anti-pagano, pur essendo talvolta le più arcaiche e le più adatte a svelare il contesto mentale delle tribù ebraiche. Gli Egiziani sono i primi che ritennero come pratica religiosa di non aver contatto con donne nei templi e di non entrarvi, dopo il contatto, senz’essersi lavati. Quasi tutti, invece, gli altri uomini, eccetto Egiziani e greci, si uniscono alle donne nell’interno dei templi.

Con le parole di Erodoto (Hist.,II.64), “…gli altri uomini, eccetto Egiziani e greci, si uniscono alle donne nell’interno dei templi”.

È strano che proprio i greci abbiano sentito il bisogno di elevare la verginità a modello, proprio loro che uscirono dalla struttura mentale tribale, con le sue restrizioni e compressioni, e poterono così risolvere la tensione libidinosa in uno sfogo pulsionale estroverso, sgombrando la strada alla permissività sessuale, alla tolleranza e alla rappresentazione del corpo nudo come modello di bellezza e perfezione al punto di elevarlo a valore religioso. Essi, a differenza degli altri uomini, non si uniscono alle donne all’interno dei templi. Ai templi era riservato l’altro polo, quello della verginità. Nell’Oriente semitico non esiste il mito della verginità. Tutte le dee falliche sono dee della fertilità e prostitute sacre. Asherah (palo sacro) adorata anticamente dagli ebrei, era la “Creatrice degli Dei” ed era rappresentata come una prostituta nuda, chiamata “Santità” (Julius Wellhausen, Prolegomena to the History of Ancient Israel, The Meridian Library, New York 1957, p.447)

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Disegno ed iscrizione dal pithos A di Kuntillet `Ajrud (prima metà VIII sec.a.C.) Il disegno è stato ritrovato sui frammenti ceramici di un pithos venuto alla luce tra le rovine di Kuntillet `Ajrud (caravanserraglio? fortezza? centro di carattere religioso?) nel deserto del Sinai, durante la campagna di scavi del 1975-1976. L’iscrizione sopra la testa della figura umana recita:L. 1: ’MR ’[ŠYW] H[ML]K. ’MR LYHL[L’] WLY‘WŠH W[ ] BRKT ’TKM; L. 2: LYHWH ŠMRN WL’ŠRTH

“Dice ’[šyhw?] [il re?]: di’ a Yhl[…] e a Yw‘šh e […] vi benedico
da parte di Yhwh di Samaria e della sua Ašerah”

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Asherah

Per i semiti il pene femminile non solo non era tabù, ma era la rappresentazione scenica della fase immediatamente precedente la deflorazione, come la verginità di Eva e il suo colloquio con il serpente sono la rappresentazione scenica precedente la cacciata dal Paradiso Terrestre, e quest’ultima rappresenta l’atto di stupro – deflorazione – evirazione. Le dee occidentali consideravano la verginità un privilegio che poteva essere concesso da Zeus per meriti speciali, come nel mito di Estia (K.Kerenyi, Gli Dei della Grecia, p.83), figlia di Crono e di Rea, che poté rifiutarsi ad Apollo.

Vediamo come le dee vergini si difendono, e si vendicano ferocemente degli uomini che tentano di deflorarle, cioè di evirarle. I greci, che nella vita giornaliera hanno come modello la permissività sessuale, si creano un modello alternativo che faccia da compensazione, e ristabilisca l’equivalenza di valori in un equilibrio ideale, e creano il mito della verginità. La dea da loro più venerata, insieme ad Afrodite, era Pallade Atena, e queste erano i due poli di un’unica equivalenza.

VERGINITÀ E MATERNITÀ

Atena era considerata Parthenos, vergine, ma veniva invocata nello stesso tempo anche come Meter, madre. Vi è una strana storia sulle sue nozze, in cui essa non perdette la verginità, ma dopo le quali affida ugualmente un bambino alle figlie di Cecrope, re della sua amata città di Atene È difficile non notare la somiglianza tra questa storia e il mito cristiano del parto verginale di Maria. Anche la Grande Madre degli Dei dell’Asia Minore veniva denominata dai greci ”La Grande Artemide”. La Diana di Efeso era rappresentata con numerose mammelle ed era denominata Artemis polymastos, la madre universale che allatta l’intera umanità.

L’ARTEMIDE DI EFESO

L’identificazione di Artemide con la Vergine riceve conferma dal fatto che a Efeso, dove era considerato cardinale il culto di Artemide-Diana, sorse la prima grande basilica in onore di Maria, al posto del grande tempio di Artemide che era considerato una della meraviglie del mondo antico. Quindi vediamo come le due grandi dee vergini del mondo greco Artemide e Pallade Atena fossero entrambi contemporaneamente “Grandi Vergini” e “Grandi Madri”.

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Artemide di Efeso

In Occidente la maternità, invece di essere legata al concetto di copulazione come sarebbe logico aspettarsi, è legata al concetto di verginità. Afrodite non fu una vera dea-Madre e anche Era, la regina degli dei, era più associata al concetto di moglie che di madre.

I greci non solo separarono tra le due funzioni, quella di madre e di amante, ma le resero antitetiche: la maternità viene associata alla verginità. Delle tre dee falliche, Atena, Artemide, Persefone, le prime due rimasero vergini e diventarono Grandi Madri, mentre la terza fu deflorata, e divenne dea degli Inferi, cioè dei morti invece che dei vivi. L’equazione diventa ora chiara: verginità = maternità = vita, mentre invece deflorazione = morte.

Il cristianesimo ha accentuato questa chiave di lettura, ma come abbiamo visto esisteva inequivocabilmente già nel mondo greco-romano. La Vergine è madre e partorisce il Dio della vita, ovvero, partorisce Dio grazie alla sua verginità. In Occidente l’implicazione che il rapporto sessuale sia di per sé peccato, porta alla morte e alla dannazione. Questa equivalenza: copulazione = peccato = morte è una delle equivalenze base della cultura occidentale.

L’Occidente non ebbe bisogno di imparare il concetto di peccato dai giudei, come pensa erroneamente Nietzsche. Questo concetto esisteva in forma embrionale, ma ben definita, all’interno della propria cultura. Nel momento di crisi questo concetto di peccato prese il primato su quello di permissività sessuale, che i greci gli avevano istituito accanto. Una cultura può attingere solo da se stessa. Il contatto con altre civiltà può al massimo stimolare la ricerca di soluzioni verso una direzione piuttosto che un’altra. Il contatto dell’Occidente con i giudei, in un momento di crisi esistenziale, servì da ispirazione a rivolgersi verso quei modelli, che erano però già stati elaborati in maniera autoctona.

È piuttosto il caso di pensare che l’influenza sia avvenuta in direzione opposta, e che sia stata l’influenza ellenica a penetrare la cultura ebraica con concetti come l’immortalità dell’anima, il mondo dell’aldilà, il castigo e la retribuzione di peccati e meriti dopo la morte, quando queste culture entrarono in contatto fra di loro. Tutti i concetti di filosofia e di metafisica sono infatti estranei all’ebraismo. Come abbiamo visto, la condensazione simbolica, nel mito come nel sogno, è estremamente precisa.

Dopo averlo trattato sommariamente, riassumeremo ed esamineremo ora più da vicino il simbolismo che accompagna il mito di Persefone. La dea, che faceva parte della triade di dee olimpiche vergini, insieme ad Atena e Artemide, e quindi avrebbe dovuto avere anche lei un’arma come il pene apotropaico; ma poichè fu rapita e deflorata questo simbolo venne soppresso. In certe rappresentazioni le viene restituito l’arcaico serpente pre-olimpico, ma diventò l’unica dea occidentale, non vergine, ad essere accompagnata da un simbolo fallico.

L’allusione è che fosse deflorata ma vergine allo stesso tempo, la condensazione di due opposti. Infatti, nel mito come nel sogno, non esiste il principio di non-contraddizione. Il mito stesso ci racconta di una dea che, malgrado apparentemente deflorata da Ades, dalle parole di Kerenyi rimane vergine-sterile.

Il mito orfico secondo il quale Zeus si sarebbe unito alla dea nelle spoglie di un serpente e da questa unione sarebbe nato Dioniso, non allude a un’unione eterosessuale, bensì Zeus nelle vesti di serpente rappresenta il pene verginale di Persefone, come il serpente che colloquiava con Eva nel Paradiso Terrestre. Lo Zeus dei miti orfici, di cui questa storia fa parte, oltre ad essere dio del cielo e delle sfere superiori, era anche detto Zeus Katachthonios o Chthonios, era cioè anche uno Zeus sotterraneo e questo, a sua volta, non era che un altro nome per Ades.

Quando si parla di un “altro Zeus”, “dell’ospitale Zeus dei defunti”, s’intende immancabilmente Ades e l’unione rappresenta più l’unione simbolica con uno spirito che con il Zeus olimpico, di cui conosciamo così bene le altre avventure romantiche che si concedeva. A questo proposito è molto illuminante riportare una credenza diffusa nella tribù australiana degli Arunta, che abolisce la connessione esistente tra atto sessuale e concepimento. Quando una donna si sente madre, ciò significa che uno degli spiriti che sonnecchiano in attesa di rinascere è penetrato nel suo corpo provenendo dal più vicino luogo degli spiriti, e viene partorito da lei in forma di bambino (S.Freud, “Totem e Tabù”, in op.cit., Vol. 7. pp.118-121).

Il concepimento indipendente dall’atto sessuale, e per opera di uno spirito, non fu dunque un’innovazione del cristianesimo. Il mito greco stesso ne conservava le tracce dalla sua lontana preistoria. Quindi vediamo che il mito si svolge parallelamente in due strati: il primo è quello in cui la dea ha rapporti con il serpente, come simbolo del proprio pene verginale, come Eva nel mito biblico, e da questo rapporto autoerotico nasce Dioniso, mentre invece dal rapporto autoerotico di Eva non avviene nessuna concezione, poiché il concetto di verginità = maternità è estraneo alla mentalità semitica. In questo strato del mito di Persefone, come fantasia che si accompagna alla masturbazione, il proprio serpente-pene verginale diventa Zeus-serpente, cioè uno spirito che il mito cristiano tradurrà in Spirito Santo.

Ed ecco che il colloquio autoerotico di Eva con il suo serpente trova il suo corrispondente nel «colloquio» di Persefone con Zeus-serpente. A differenza del mito semitico, dove Asherah, la prostituta nuda, è madre di tutti gli dei, e Eva, la Grande Madre delle tribù ebraiche, diventa tale dopo che suo marito la «conobbe», la Grande Madre occidentale diventa tale solo rimanendo allo stadio autoerotico, vergine, alla pari di Atena e Artemide, le altre due Grandi Madri della mitologia occidentale. Il secondo strato è quello in cui ha rapporti con Ades, che non è che la versione arcaica di Zeus, che porta alla sua deflorazione e perdizione, dopo la quale però rimane sterile.

Il mito qui non è chiaro, poiché più che di rapporti con Ades si parla del suo ratto mentre stava cogliendo fiori. La sua de-florazione è implicata solo da questo simbolismo e forse il mito intende una deflorazione simbolica come equivalenza della sua verginità: la condensazione dei due opposti in uno, una dea che sia vergine che deflorata, e quindi condannata agli Inferi allo stesso tempo. La condanna agli Inferi è parziale: una parte del tempo con lo sposo e una parte con la madre, come dire metà vergine e metà deflorata. Anche dopo il suo «rapporto» con Zeus-serpente la dea rimase vergine e il suo fu un parto verginale come quello di Atena e della Vergine Maria. Anche il fatto che da esso nacque Dioniso, il dio destinato a morire dilaniato dai Titani e a risorgere (K.Kerenyi, ibidem, p.210), allude al mito cristiano dove la dea vergine partorì un dio destinato a morire di una morte violenta e tragica e poi a risorgere.

Il mito di Persefone contiene tutti gli elementi principali del mito biblico: i rapporti autoerotici di Eva con il serpente (Zeus-serpente per Persefone) e deflorazione da parte di Adamo (Ades per Persefone) dopo la cacciata dall’Eden, ma a differenza del mito semitico dove ogni concezione è preceduta da un atto di deflorazione-evirazione di carattere eterosessuale, Persefone concepisce Dioniso come conseguenza del rapporto con uno spirito, cioè come conseguenza di un rapporto autoerotico. Dopo il rapporto autoerotico con Zeus-serpente partorisce Dioniso, mentre dopo il rapporto-deflorazione con Ades rimane sterile, quindi non dal suo rapporto eterosessuale con Ades concepisce e partorisce bensì, al contrario, da questo rapporto «non ne nasce nulla».

La deflorazione corrisponde alla cacciata dall’Eden per Eva, e per Persefone corrisponderà alla condanna agli Inferi. In entrambi i casi, dopo il rapporto autoerotico avviene la deflorazione-evirazione del rapporto eterosessuale, come il susseguirsi di due stadi inevitabili nell’evoluzione della donna, in cui il secondo allude a una conseguenza e un castigo per il primo. Le differenze tra il mito greco, che continuerà a sussistere quasi invariato nel cristianesimo, e il mito ebraico, sono le seguenti:

1) Persefone, malgrado la sua apparente deflorazione per mano di Ades, rimarrà essenzialmente una dea vergine (sterile, secondo Kerenyi) e la sua concezione di Dioniso da Zeus-serpente una concezione immacolata, mentre Eva, dopo la sua cacciata-deflorazione-evirazione dal Paradiso Terrestre partorì Caino, Abele e figli e figlie, e diventò la Madre di tutti i viventi attraverso il rapporto eterosessuale e il parto.

2) Nel mito ebraico non esiste allusione alcuna alla Santa Trinità

3) Nel mito ebraico non esistono allusioni al culto del Bambino, che sembra più un culto radicato nel modus mentale indoeuropeo, come in India.

Persefone sarà la dea della fertilità occidentale come Eva lo era stata per le antiche tribù ebraiche. Un’ulteriore allusione alla sua natura di dea della fertilità si trova sia nelle sue radici, sia nel ruolo che adempie nel mito dopo essere stata rapita. Ella è figlia di Demetra, dea delle messi, e attraverso la sua discesa e salita dagli Inferi, rappresenta il cambiamento delle stagioni, che permette la semina e il raccolto. Il mito occidentale ha sviluppato dal primario concetto della fertilità, intesa come prolificazione, il concetto di fertilità, nel senso di produzione agricola e fertilità della terra, come era successo precedentemente nel Medio Oriente, quando le tribù seminomadi del periodo calcolitico erano diventate residenti fissi e si erano costituite nelle grandi civiltà del fertile crescente: Sumeri, Egizi, i Babilonesi, Fenici e Cananei.

L’arcaico senso di fertilità, intesa come prolificazione, fu tradotto in culti della fertilità della terra. In Babilonia, in Siria e in Palestina, il dio Tammuz moriva all’inizio della primavera per risorgere con le prime piogge, ricalcando il molto più antico culto sumerico di Inanna-Dumuzi. I Sumeri erano infatti stati i primi a costituirsi a civiltà, in concomitanza agli Egizi, per i quali gli stessi culti di morte e resurrezione venivano personificati nel culto di Osiris. Questi giovani dei venivano pianti dalle madri che avevano perso il loro amante: Inanna, Isthar-Astarte, Iside, che diventarono dee della fertilità dei loro popoli. In Mesopotamia e Siria-Palestina erano prostitute sacre.

Fino al sesto secolo a.C. questo culto veniva perpetrato anche nel tempio di Gerusalemme, con grande disappunto dei profeti: “Mi condusse all’ingresso del portico della casa del Signore che guarda a settentrione e vidi donne sedute che piangevano Tammuz” (Ezechiele 8,13). Persefone non sarà mai una prostituta sacra poiché, come abbiamo visto, la psiche occidentale sviluppò altri bisogni, ma mantenne quello strano serpente enigmatico: lei non più vergine (forse) e mai prostituta sacra.

Prima dell’avvento del monoteismo, la religione del mondo antico era politeistica, animistica e sciamanica.La religione della gente celta, germanica, baltica e di Slava, che ha abitato Europa prima dell’era cristiana, così come quella dei Greci e dell’altra gente mediterranea,era animistica: gli dei ed le dee, le intelligenze viventi della natura, erano percepiti ed adorati nei boschetti , nella foresta, in zone sacre sulle parti superiori della montagna e nei cerchi di pietra grandi.

Oltre che i dei e le dee c’ erano altri esseri connessi con la natura, che non erano umani, ma certamente superiori agli esseri umani tali da meritarsi del rispetto, quali i giganti ed i nani, gli elfi ed i trolls, le fate, gli gnomes, le crisalidi, le sirene .Questi esseri potevano essere invocati da chiunque fosse disposto a seguire la via insegnata dagli sciamani e dai loro successori le streghe, le donne sagge, usando le piante e le pietre magiche, canti, balli e rituali.

Questa è la religione della natura che è stata eliminata dal monoteismo cristiano durante i secoli primissimi della nostra era. Gli dei di Pagani sono stati demonizzati o si ne negata la loro esistenza. Coloro che seguono la vecchia religione della natura sono stati marcati come “pagani”, che originalmente significa semplicemente “gli abitanti del paese” o “abitanti della brughiera”. Alcuni degli dei pagani sono stati assorbiti dal credo cristiano, poichè alcuni posti sacri tradizionali sono divenuti sedi di santuari e chiese. Sotto l’influenza del monoteismo del giudeo-Cristiano il genere di consapevolezza, diretta delle presenze spirituali della natura, che i nostri antenati pagani hanno onorato, è stato perso gradualmente. Come William Blake ha detto, “gli uomini si sono dimenticati così, che tutti gli dei vivono all’interno del seno umano.”

LE MADONNE NERE

Ci sono circa 500 immagini della vergine nera in varie chiese in Europa. Fra le più note ci sono quelle nella cattedrale di Chartres in Francia, della Polonia in Czestochowa, della Svizzera a Einsiedeln, vicino a Zurigo, il Muttergottes (“madre del dio”) in Altötting, vicino a München, in Baviera, e quello in Loreto, Italia. Questi santuari della Madonna nera sono fra i posti più visitati nella cristianità.

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madonna nera di loreto

Anche godendo del riconoscimento popolare, le immagini della Madonna nera sono una fonte di un certo imbarazzo per la chiesa cattolica. Solitamente, le guide turistiche non fanno riferimento al colore; o quando provano a spiegarlo si va dai riferimenti dell’effetto d’annerimento nei secoli del fumo dalle candele e dei bruciatori di incenso. Occasionalmente, ci sono riferimenti al cantico dell’antico testamento di Salomone, in cui la regina di Saba, canta: “sono nera, ma sono bella.”

La vergine nera è stata identificata con parecchie delle dee delle culture pre-patriarcali antiche: Cibele del Medio Oriente mediterraneo, Inanna sumerica, Anath siriana, Lilith ebraica, Kali indiana, Diana e delle dee egiziane Neith e naturalmente Isis. Nelle culture d’adorazione della vecchia Europa e del Mediterraneo pre-patriarcale , il nero era il colore di fertilità e dell’abbondanza, come il terreno nero ricco del Nilo e di altre valli del fiume. Il bianco d’altra parte era il colore simbolico della morte e le immagini della dea associata alla morte sono state intagliate in osso o marmo. Tuttavia, per il pastori nomadi Indo-Ariani, che hanno invaso l’Europa dal quarto millennio a.c., il bianco, l’oro ed il colore giallo erano i colori della vita del sole-dio; e nero era il colore degli dei sotterranei di morte come Ade ed Ecate.

Con l’avvento della religione patriarcale del dio e, in seguito, delle tradizioni monoteistiche dei giudeo-Cristiani, la religione degli dei della natura del mondo arcaico sono state soppresse, desacralizzate e demonizzate. Il rituale sacro connesso con il culto di Inanna e di Ishtar è stato condannato come prostituzione. Lilith, che rappresentava l’autonomia sessuale femminile, la protezione del parto e dei bambini, è stata trasformata in un demone distruttivo che rubava i bambini. I preti e i teologi maschi hanno avuto buon gioco ad insistere sulle funzioni terrificanti del culto della dea, portando ad esempio i culti di Cibele, in cui i sacerdoti offrivano i loro genitali in sacrificio alla dea. Diana è diventata la dea delle streghe. È stata associata con la cristianità esoterica a partire dal dodicesimo secolo ad opera dei Templari. Tutti coloro che hanno provato a sanare la spaccatura dissociativa fra natura-eros e lo spiritualità ascetica sono stati distrutti dalla chiesa di Roma.

S’è salvata soltanto l’immagine del Madonna e del bambino nero, in sè basato sulle immagini egiziane di Isis con il bambino Horus, superstiti della distruzione misogina dei cristiani. Il culto di Isis era la religione dominante del Mediterraneo durante i periodi tardo romani ed era arrivato anche nelle terre occupate dai romani , compresa la Gallia. La città di Parigi è stata dedicata a Isis, poichè Lione era dedicata a Cibele, e Marsiglia a Artemis.

Come altre dee nere, Isis è la dea della terra, della vita e della morte. Nell’asino dorato di Apuleius, Isis parla:

“sono la natura, la madre universale, il mistero di tutti gli elementi, bambino primordiale, sovrana di tutte le cose spirituali , la regina dei morti, regina degli immortali, la singola manifestazione di tutti i dei e tutte le dee. Io sono.”

Il testo continua affermando che è identica a Cibele, Artemis, Aphrodite, Persephone, Demeter, Juno e Hecate. La dea nera della terra, compresa la Madonna nera, è stata tradizionalmente sempre invocata durante i processi naturali della vita: aiutare l’ammalato, facilitare i dolori del parto, portare la fertilità, confortare e guidare l’uomo nella morte. Ha sempre rappresentato la persistenza della Dea durante il periodo di predominanza dei culti patriarcali del dio maschio e rappresenta il bisogno di femmineo dell’animo umano, la dualità insita in ogni cosa, bene-male, notte-giorno, maschio-femmina, yang-yin. Anche il testo sacro del cristianesimo, ribadisce il concetto “dell’UNO” attraverso l’unione dei due opposti maschio e femmina, che nell’unione raggiungono la perfezione.

LA DEA MADRE – TITOLI CONFERITI A ISIDE

Abile nel calcolo, Abile nella scrittura, Abitatrice a Netru, Afrodite, Agape, Alto faro di luce, Ankhet (produttrice e dispensatrice di vita), Anqet (colei che abbraccia la terra, produttrice di fertilità nelle acque), Arbitro in faccende di amore , Aset (un modo di pronunciarne il nome egizio), Ast (un altro modo di pronunciarlo), Atena, Base del più bel triangolo, Bellicosa, Benefattrice del Tuat (gli inferi), Colei che abbraccia la terra, Colei che muove (ovvero potere che interviene), Comprensiva, Consacrata, Cornucopia di tutti i nostri beni, Corona di Ra – “Heru”, Creatrice, Creatrice dell’inondazione del Nilo, Dalla bella forma, Datrice di luce del cielo, Datrice di vita, Dea degli incroci, Dea della rugiada, Dea di tutte le dee, Dea madre di Dio, Dea madre, Dea Stella maris, Dea verde, Diadema di vita,Dea della pace, Divina, Donna trono, Dynamis, Epekoos – colei che tutto ode, Era – Iside identificata con Era, Estia – Iside identificata con Estia, Euploia – dispensatrice di buona navigazione, Figlia di Geb, Figlia di Neb- Er – Teher, Figlia di Nut, Figlia di Ra, Figlia di Seb, Figlia di Thot, Fruttificatrice, Galactotrouphousa – Iside che allatta, che concede il miracolo del latte della vita, Generatrice di monarchi, Generatrice di re, Gentile, Gioia, Gioiello del vento, Giustizia – Iside di giustizia, Grande dea, Grande dea degli inferi, Grande maga che guarisce. Grande signora, Grande signora degli inferi, Grande vergine, Grandissima, Guardiana, Guida, Guida delle Muse, Hent – Regina, Heqet – Iside grande maga, Horus femmina, Immortale, Ineffabile signora, Inventrix – inventrice delle cose, Iside – Afrodite, Iside – Afrodite – Astarte, Iside – Afrodite – Pelagia, Iside – Astarte, Iside – Fortuna – dea del fato e della fortuna, Iside – Hathor, Iside – Inanna, Iside – Nike – Iside associata alla dea della vittoria, Iside – Tyche, Khut – la dispensatrice di luce, Kourotrophos, La bella dea, Libertà, Linopeplos – Iside vestita di lino, Lochia, Luna, Lydia educatrix – Iside educatrice di Lydia, Madre degli dei, Madre dell’Horus d’oro, Madre divina, Maia, Massima degli dei, Materia, Mediatrix tra il celestiale e il terreno, Medicina Mundi – il potere che guarisce il mondo, Menouthis – questo aspetto di Iside era adorato sia a Menouthis sia ad Alessandria dove era considerata una dea dalle potenti capacità terapeutiche, Meri – Iside come dea del mare, Myrionymos – Iside dalla miriade di nomi, Iside dei diecimila nomi, Multiforme, Multinominata, Nanaia – Iside identificata con la dea Nanaia, Nascosta, Natura, Nepherses – la bella Nome del sole, Noreia – Iside identificata con la dea Noreia, Nutrice, Occhio di Ra, Onnidea, Onnimunifica, Onniricevente, Onniudente, Onnivedente, Panthea – la dea di tutte le dee, Pantocrateira l’onnigovernante, Pelagia – Iside del mare cioè protettrice di navi, Persefone, Pliaria – Iside dell’isola di Faro ad Alessandria, Phronesis – personificazione della sapienza, Placidae Reginae – la Regina della pace, Ploutodotai – Iside dispensatrice di ricchezze, Pluonumos – Iside dai molti nomi, Polyonimos – dai molti nomi, Potentissima, Potere che guarisce il mondo, Potere che sorge dal Nilo, Prima delle muse a Heropolis, Primo principio femminile in natura, Primo figlio del tempo, Pterophoros – l’Iside alata, Quella dalle grandi ali e dalla falce di luna, Quella della luna, Quella dalle lodi innumerevoli, Ra femmina, Regina del cielo, Regina della pace, Regina del sole, Regina del sud e del nord, Regina della terra, Regina d’Egitto di lino vestita, Renenet – dea del raccolto, Risurrezione e vita, Saeculi Felicitas – felicità dell’età nostra, Salvatrice, Salvatrice dell’umanità, Salvatrice di marinai, Selene – la luna, Sesheta – dea della letteratura e della biblioteca, Signora degli incantesimi, Signora dell’anno nuovo, Signora del caldo e del fuoco, Signora del mare, Signora del mondo, Signora del pane, Signora del tuono, Signora del vento del nord, Signora dell’abbondanza, Signora dell’amore, Signora delle api, Signora della bellezza, Signora della birra, Signora della casa di fuoco, Signora della crescita e del declino, Signora dell’eternità, Signora della fiamma, Signora della gioia e dell’allegria, Signora della grande casa, Signora della guerra e regola, Signora della luce, Signora della tessitura, Signora della pace, Signora della parola del principio, Signora della piramide, Signora della terra, Signora della terra delle donne, Signora della terraferma, Signora della vita, Signora delle bocche dei mari e dei fiumi, Signora delle due terre, Signora delle messi verdi, Signora delle parole di potere, Signora di ogni paese, Signora di tutti gli elementi, Signora Iside, Signora ricca di nomi, Signora sempiterna di tutte le cose, Signora su un carro a forma di fuoco, Sophia – Iside come sapienza divina, Sothis – Iside dea della stella Sothis (Sirio) e dell’ anno nuovo, Sovrana del mondo, Sposa di Dio, Sposa di Ra, Sposa del signore (Osiride), Sposa del signore dell’abisso, Sposa del signore dell’inondazione (Osiride), Trono – Iside colei che assegna il trono, Uadyet – Iside dea cobra, Una, Unica, Urthekau – colei che è in magici incantesimi, Usert – Iside dea della terra, dispensatrice di vita, Raffigurata con un manto azzurro, cosparso di stelle, una falce di luna ai piedi, la corona, mentre allatta Horus

Sono cose già sentite, cambia solo il nome…

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 Oggetto del messaggio: Re: Le Religioni Misteriche
MessaggioInviato: 21/03/2016, 17:42 
I Misteri Eleusini

Una categoria molto generica fu proposta dallo studioso Van Gennep nel 1909: si tratta dei “riti di passaggio”, che sanciscono il passaggio da una condizione ad un’altra, e possono riguardare tanto la collettività che il singolo.

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Solo per fare un esempio, si parla di riti di passaggio collettivi nel caso di riti di rinnovamento periodico della fertilità e della vita, con ritmo stagionale e quindi ciclico. Questi culti stagionali di fecondità si basano su un racconto “mitico”: la vicenda di una divinità, o meglio una coppia di dei, è la motivazione del rito e di ciò che esso celebra annualmente. Laddove il rito ripete annualmente ciò che è avvenuto una volta sola: è proprio il caso della vicenda di Persefone, di Attis, Adonis, Osiride, Dumuzi, tutti dei carat-terizzati non da una definitiva resurrezione, ma da una capacità “tornante”, definiti dei in vicenda, e “paredri”, ovvero partners, di una dea “stabile”: Demetra, Cibele, Afrodite, Iside, Inanna.

I riti di passaggio del singolo sanciscono momenti essenziali nella vita, come la nascita, le nozze, i funerali, che sono anch’essi passaggi da uno stato ad un altro. Tra i riti individuali vi sono i rituali di iniziazione, che implicano cioè un segreto, hanno un carattere esoterico, e differiscono da quelli prima citati proprio per questa loro con-notazione: il segreto iniziatico, condiviso da tutti i membri del gruppo, e solo da loro, costituisce il legame più specifico per contraddistinguerlo dalla massa dei non iniziati.

Ad esempio, di questi fa parte il rito di pubertà maschile, in cui alcuni giovani ricevono l’iniziazione dai più anziani, e tramite prove e riti si consacra il loro passaggio al gruppo tribale, implicante la possibilità di esercitare tutte le funzioni cui tale appartenenza dà diritto. Senz’altro più conosciute sono le società iniziatiche, che implicano una serie di iniziazioni e quindi l’accesso a gradi sempre più elevati di conoscenza; le società segrete, che sono un’evo-luzione delle precedenti e di certo più elitarie ed impenetrabili; le società di mestiere, o corporazioni, ed anche, in certo qual modo, l’iniziazione alla qualità di sciamano, benché essa non avvenga all’interno di un gruppo come tutte le altre. Queste poche righe non mirano ad esaurire il tema (che meriterebbe lunghi studi e fiumi di parole) ma solo ad inquadrare molto schematicamente alcuni rituali.

Ma è necessario ancora soffermarci sulla terminologia: derivando infatti dal greco mystes, ovvero iniziato, molti storici fanno del mondo greco ed ellenistico la culla dei culti misterici. Non va però dimenticato che sul ciclo morte-resurrezione si basavano anche i misteri di Iside ed Osiride, che, nati in Egitto, sono da molti considerati la vera matrice dei culti orfici e dionisiaci, di Attis e Cibele, di Adone ed Astante.

Tutti poi si diffusero nel mondo greco-latino. Siano i culti misterici di matrice egizia o greca, il termine mistico non può essere interpretato cristianamente come fuga dal molteplice e ricerca dell’Uno, come atteggiamento religioso in cui l’anima del fedele tende ad avvicinarsi a Dio. Per l’Ateniese significava interferenza tra due piani, quello umano e quello divino, con particolare riferimento agli dei mistici, che proprio per queste loro vicende di morte prima, e di ricomparsa poi, subivano un destino umano.

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Il “fedele” che partecipava alle loro storie e diveniva familiare con essi, poteva godere di tutti quegli effetti benefici che scaturivano dalla risoluzione positiva della vicenda del dio. I culti di fecondità sono, dunque, culti mistici.

I culti misterici sono culti mistici in cui si aggiunge sia l’elemento dell’inizia-zione individuale, anche se nel contesto di un gruppo, sia la speranza di una beatitudine prima e dopo la morte.

A questo punto si può affermare che i Misteri Eleusini sono un culto mistico e misterico insieme. Pur esistendo altri culti di mistero che celebravano la rinascita annuale, quello di Eleusi aveva un ruolo privilegiato nella Grecia classica, anche perché costituiva un elemento aggregante notevole. Infatti, diversamente da altri riti, vi erano ammessi tutti, al di là dell’appartenenza sociale, purché parlassero la lingua greca e non avessero le mani macchiate di sangue umano. Si svolgevano annualmente in onore di Demetra e Persefone nella città di Eleusi, a circa 22 Km da Atene, dove folle di adoratori si riversavano, aiutati anche da un periodo di tregua di 55 giorni stabilito proprio per facilitare la partecipazione ai Misteri. Nonostante la condanna dei Padri della Chiesa, i Misteri, che si erano celebrati per 2000 anni, continuarono ancora per centinaia di anni dopo l’arrivo del Cristianesimo.

Il santuario di Eleusi fu chiuso nel 391 dall’imperatore Teodosio, la città distrutta nel 395 d.C. dai Visigoti. Prima di entrare nei dettagli, sarà bene far riferimento alle fonti in nostro possesso, tenendo conto che anche in quelle dei Padri della Chiesa, che naturalmente ironizzavano e denigravano i riti, trapelano notizie interessanti. E’ a queste fonti e agli scritti di autori pagani, più che reticenti, che dobbiamo inevitabilmente riferirci, mancando qualsiasi notizia certa circa la vera essenza dei misteri, cosa che d’altro canto sottolinea la loro fondamentale importanza proprio tacendone i segreti.

Come fonte principale partiamo dall’Inno a Demetra, attribuito ad Omero, ma scritto più tardi. Nonostante questo, un’analisi del testo, la cui datazione è incerta, di circa 495 versi, è doverosa. Oggetto dell’inno è il rapimento di Persefone (che i greci chiamavano Kore, o Fanciulla) da parte di Ade, la venuta di Demetra in lutto ad Eleusi, la liberazione parziale della figlia e l’istituzione dei riti eleusini. Il rapimento è descritto all’inizio: mentre Kore gioca con le Oceanine nella pianura Nisea, un meraviglioso fiore, un narciso, fatto nascere appositamente da Gaia, la Terra, la distrae. Nell’atto di raccoglierlo, la dea vede la terra aprirsi ed uscire il fratello di Zeus col suo carro. Ade la rapisce, e a nulla valgono le grida della fanciulla che, inascoltata, viene condotta negli Inferi. Demetra, sconsolata, la cerca invano, prendendo il lutto ed astenendosi dal nettare, dall’ambrosia e dal bagno (distaccandosi, quindi, dagli altri dei dell’Olimpo).

Nel suo cercare, incontra gli unici due testimoni del rapimento, Ecate ed Helios, il quale le spiega ciò che è accaduto, esortandola a rassegnarsi al volere di Zeus, che ha dato a Kore un dio come sposo. Se non si rassegna come madre, quindi, Demetra dovrebbe rassegnarsi in quanto dea. Ma, al contrario, ella solidarizza con gli uomini: si reca presso di loro, pur mascherando la sua vera identità sotto le spoglie di un’anziana nutrice. Giunta ad Eleusi, incontra le figlie di Celeo, il re locale, che la conducono alla reggia, al cospetto di Metaneira, loro madre e regina. Questa le offre il trono, ma Demetra si siede su un rozzo sedile, più angosciata che mai, rifiuta il vino rosso offertole, e chiede il ciceone (bevanda di cui tratteremo più avanti). Accetta invece di occuparsi del piccolo figlio della regina, che alleva come fosse un dio, e tratta di notte con tutta una serie di rituali, quali l’unzione con l’ambrosia e l’immersione nel fuoco, allo scopo di renderlo immortale. Metaneira, scoper-to ciò che succede, è terrorizzata: dopo un’invettiva contro la sua stupidità che causerà al figlio la venuta della morte, Demetra si rivela e chiede che venga costruito un tempio in suo onore, dove insegnerà alla gente i suoi riti speciali. Poi scompare.

Ultimato il tempio, la dea vi prende dimora, e si rifiuta di riunirsi agli altri dei nell’Olimpo. E rifiuta di far germogliare i semi: segue un anno di carestia e di sofferenza tanto per gli uomini quanto per gli dei, che non hanno più sacrifici. Zeus deve intervenire e lo fa tramite la messaggera Iride, comandando a Demetra di riprendere le sue funzioni.

Ma l’arma di Demetra è proprio questa: lei può minacciare l’ordine prestabilito, ed in questo modo spinge Zeus a cedere alla sua richiesta di riavere con sé Persefone. A questo punto Zeus manda Hermes da Ade con la richiesta di riportare Kore a Demetra. Pur accettando, Ade ricorre ad uno stratagemma: fa mangiare a sua moglie un chicco di melograno, di modo che ella sarà costretta a passare un terzo di ogni anno con lui, in inverno, ed i due restanti terzi tra gli dei, risalendo alla luce in primavera. Demetra accetta e la pianura rifiorisce.

Il poema termina con l’invocazione delle due dee ed una promessa di ricchezza ai loro devoti, sia in questa vita che in quella futura:


“….E Demetra a tutti mostrò i riti misterici a Trittolemo e a Polissero, e inoltre a Diocle, i riti santi, che non si possono trasgredire né apprendere né proferire: difatti una grande attonita atterrita reverenza per gli dei impedisce la voce. Felice colui – tra gli uomini viventi sulla terra – che ha visto queste cose: chi invece non è stato iniziato ai riti sacri chi non ha avuto questa sorte non avrà mai un uguale destino, da morto, nelle umide tenebre marcescenti di laggiu’.”
.
La divinità oggetto del culto era in origine agraria. Tutta la civiltà cretese-egea venera la Potnia, ovvero signora, patrona, potente, ossia la terra, la Grande Madre, che dà la vita, e sperimenta la morte per poi tornare in vita; depositaria delle forze della natura e del ciclo vitale. E’ sempre raffigurata con una torcia alta nella sua mano, il fiore ancora chiuso, simbolo della virtù generante, e la melagrana matura, simbolo di fecondità e sessualità.

C’è un naturalismo di base, in cui le divinità sono ctonie, cioè connesse con la terra, la vegetazione, il suolo. Possiamo dunque dire che Demetra deriva dall’antica divinità delle trasformazioni, quella selvatica e misteriosa, che come la terra conosce una metamorfosi delle forme, la pausa e il risveglio, il nascere, morire e rinascere. Questa sua derivazione si evince anche dell’etimologia del nome, che alcuni fanno derivare

da DaMeter, dove Da sta per gea, ossia terra. La stessa radice si ritrova nel nome di Poseidone, fatto derivare da Poteidan, ossia marito di Da.

Infatti egli è marito di Demetra.Non si sa con certezza come e quando il culto agrario divenne rito misterico, ma, dal momento che i misteri eleusini venivano patrocinati dallo Stato, sicuramente rappresentavano qualcosa di molto pericoloso, tanto da doverlo controllare. In realtà si poteva controllare l’aspetto essoterico del culto, ovvero quella parte di esso che si svolgeva pubblicamente: la processione che, essendo visibile da tutti, quasi sottintendeva il carattere esoterico, occulto, quello che non era di dominio pubblico, ma appannaggio di pochi. Potremmo dire che il carattere volutamente luminoso della processione riproduceva il mito, mentre nel più totale segreto venivano svolte le iniziazioni.

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Siamo giunti nel vivo dei misteri,che vedevano la presenza di vari personaggi.
I più importanti erano il Sommo Sacerdote o Ierofante,l’unico che entrava nella stanza segreta,
dove erano custoditi gli oggetti sacri,
o Hiera, che officiava le parti più solenni dei riti,aiutato dalla Sacerdotessa.
Colui che portava la fiaccola era il Dadouchos,
che purificava chi ne aveva bisogno,
aiutato dalla dadouchosa, sua assistente,
con cui provvedeva agli effetti luce durante la celebrazione.
C’erano, inoltre, dei personaggi minori: dall’araldo ufficiale, o Hieorokeryx,
che richiamava al silenzio,
al Prete che officiava i sacrifici animali, ed altre sacerdotesse,
alcune delle quali prendevano parte al dramma inscenato,
altre forse portavano gli oggetti sacri in processione.
La celebrazione prevedeva due fasi:
i Piccoli e i Grandi Misteri. I Piccoli Misteri…

… si svolgevano nel mese dei fiori Anthesterion (febbraio-marzo), e celebravano la nascita della natura, ovvero il ritorno di Kore sulla terra.
.
Si svolgevano ad Agrai, sobborgo di Atene, sulle rive del fiume Illisso.

Della durata di tre giorni, essi preparavano, purificando, ai Grandi Misteri, tramite meditazioni, preghiere, atti di penitenza, sacrifici, alla fine dei quali gli iniziandi, ossia i mystes, si coprivano il capo. Ciò ad indicare che, pur avendo intrapreso il cammino verso la suprema conoscenza, non ne avevano ancora scoperto il segreto.

Il tutto avveniva sotto la direzione di un mistagogo, che li istruiva anche sui miti che narravano le vicende delle due dee.

I Grandi Misteri avevano luogo nel mese di Boedromion (settembre-ottobre) e duravano 9 giorni, dal 15 al 23; ogni giorno gli iniziati seguivano una serie di azioni rituali. I primi giorni erano preparativi: i sacerdoti trasferivano gli oggetti sacri da Eleusi all’Eleusinion, recinto sopra l’agora; qui, sotto la guida di un mistagogo si riunivano i partecipanti, cui uno ierofante (ovvero “colui che mostra” o “dice le cose sacre”) dava istruzioni.

(Clemente distingue tre fasi nei Misteri: le cose dette o “legomena”, ovvero le istruzioni date dal mistagogo, le cose mostrate, o “deiknymena, e le cose fatte, ossia “dromena” che alcuni ritengono fossero la rappresentazione del dramma delle due dee, mentre altri pensano che somigliassero ad una danza rituale, come quella labirintica di Delo, la quale avrebbe prodotto uno stato di trance e comunione estatica con le dee).

Era questa la fase in cui quelli che non parlavano il greco o erano impuri venivano esclusi.

Poi aveva luogo la prima fase della cerimonia, che consisteva nella purificazione sulle rive del mare dalla parte del Falero, al grido di “iniziati, al mare”, dove ogni iniziato, con il suo personale tutore, recava un maialino lattante, anch’esso lavato nell’acqua, e poi sacrificato. Da questo momento era imposto il digiuno.

Gli iniziati si riposavano per due giorni, continuando a meditare. Poi c’era la seconda fase, ovvero la grande processione da Atene ad Eleusi, lungo la Via Sacra, con previa sosta sull’Acropoli, seguendo un carro con la statua di Iacco (identificata con Dioniso) e gli altri oggetti sacri, il tutto sempre accompagnato da canti e danze.

Ogni tappa del percorso si rifaceva al mito. Lungo il percorso, veniva attraversato il ponte sul fiume Kephysios, che divideva i territori di Atene da quelli di Eleusi.

Esso rappresentava simbolicamente il passaggio dalla terra dei vivi a quella dei morti. Si dice che qui gli iniziati subissero alcuni scherzi osceni, forse a memoria di quelli che l’anziana serva Iambe fece a Demetra nel tentativo di farla sorridere (INNO).

Giunta la sera del 19, aveva luogo l’iniziazione di primo grado, in cui si riproponeva il dramma di Demetra e Persefone, con il daduco, portatore principale della fiaccola, ad impersonare Demetra, i suoi lamenti e la sua disperazione per la perdita della figlia, e tutti gli iniziati dietro di lui correvano, intrecciandosi ed agitando le fiaccole intorno al Pozzo Sacro, lo stesso presso cui Demetra si fermò.

Il pozzo era situato all’angolo dei Grandi Propilei, tramite cui si giungeva ai Piccoli Propilei, che conducevano nel sacro recinto, dove solo gli iniziati, pena la morte, avevano accesso.

La rappresentazione ed il digiuno terminavano con l’assunzione del Kykeon, ossia ciceone, la stessa bevanda che Demetra chiede nell’Inno. C’è grosso disaccordo circa la funzione e la composizione di tale bevanda. Alcuni ritengono fosse composta di acqua, farina e foglie di menta; Karl Kerényl ritiene si trattasse di birra, bevanda dei morti dell’Egitto antico; altri ancora parlano di una mistura fatta di acqua, farina, formaggi, erbe, miele e vino. Stando all’Inno a Demetra, in verità essa non avrebbe dovuto contenere sostanze alcoliche, dato che la dea rifiuta il vino, mentre risulta chiaro che la farina, quindi il grano, era l’elemento essenziale da ricollegarsi a Kore e alla sua vicenda.

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Vi è poi l’ipotesi di Wasson circa la presenza di un fungo allucinogeno, appoggiata anche dal fatto che Kore viene rapita nell’atto di cogliere un narciso, “narkyssos”, fiore allucinogeno da cui deriva il termine narcotico. Anche Campbell parla dell’ergot, appunto un fungo allucinogeno contenuto nei cereali. Queste sostanze, che se assunte in determinate dosi hanno proprietà lisergiche, avrebbero potuto provocare la “visione”. Questa ipotesi risulta plausibile, data l’enorme quantità di cerealiformi in tutta la zona, ed anche perché da questo fungo poteva essere estratto un alcaloide idrosolubile, con bassa tossicità, ma elevata psicoattività. Inoltre, molte fonti parlano di sudorazione fredda, nausea, ansia, vertigini, tremori, tutti ascrivibili a tale sostanza.

Robert Graves ipotizzò che esso contenesse un fungo, che però è tipico solo delle zone nordiche, ricavando dalle iniziali della bevanda (minthaion, udor, kukomeon, alphitois) il termine myka, cioè l’accusativo arcaico di fungo.

Circa la sua funzione, qualcuno associa l’assunzione del ciceone con l’Eucarestia, indicando una comunione mistica con la divinità, data anche l’assenza di carne, mentre altri negano del tutto il suo valore sacramentale.

Entrati nel sacro recinto del Teleste-rion, gli iniziati dovevano pronunciare una specie di parola d’ordine, che gli consentiva l’accesso al rituale.

Secondo Clemente di Alessandria le parole pronunciate erano le seguenti:

“Ho digiunato; ho bevuto il ciceone; ho preso dalla cesta, dopo aver maneggiato ho riposto nel canestro, e dal canestro nella cesta.” Questa frase così oscura sembra poter alludere ad un simbolismo sessuale, idea che si rafforza dall’uso del termine “orghia” all’inizio dell’Inno. Ma questo termine deriva da ergon=opera, e si riferisce piuttosto all’azione dei partecipanti, e forse alla manipolazione degli oggetti sacri posti nella cesta, che li rendeva figli della divinità, compartecipanti alla sua gioia, come prima lo erano stati del suo dolore.

Vi era poi l’iniziazione di secondo grado, in cui i pochi eletti spegnevano le fiaccole e attendevano in sacro silenzio l’unione tra Demetra e Zeus, nelle persone dello ierofante e ierodula, che si appartavano; il Sacerdote tornava allora con una spiga nella mano, che stava ad indicare il Figlio di quell’unione, la nascita di una nuova vita, ossia la rinascita dell’iniziato. Solo agli epoptai era concesso sapere ciò che

invece i mystes ignoravano, rimanendo essi fuori dal tempio.

Nonostante i Padri della Chiesa insistettero sull’aspetto orgiastico dei misteri, fu proprio Ippolito a ricordare che “..gli Ateniesi, nell’iniziazione di Eleusi, mostrano a coloro che sono ammessi al grado supremo (epo-pteuosi) il grande e mirabile e per-fettissimo mistero (mystêryon) visio-nario (epoptikon) di là: la spiga di grano mietuta in silenzio.

Lo ierofante in persona…che si è reso impotente con la cicuta e si è staccato da ogni generazione, ….di notte, ad Eleusi, in mezzo alla luce delle fiaccole, nel compiere il rituale dei grandi ed ineffabili misteri, grida ed urla proclamando:

“Brimò Signora ha generato il sacro fanciullo Brimòs…”

Questo figlio simbolico forse era Iacco, forse Pluto, nato da Demetra e Giasone, o forse Dioniso, figlio di Persefone e Zeus. Ogni interpretazione viene complicata proprio dall’evolversi dei culti di Eleusi nell’arco di circa 2000 anni. Aldilà dell’evidente denigrazione di Ippolito, otteniamo dati importanti: la spiga è simbolo di vita e fecondità, e viene generata da un’unione sacra che è solo simbolica, cioè senza contatto carnale. Quindi, escludendo il carattere sessuale dei misteri, e certi di non sapere cosa realmente l’iniziato “vedesse”, sappiamo con certezza che in lui le cose mostrate e viste ope-ravano una reale trasformazione, che la visione, o epopteia, era un’espe-rienza che mai avrebbe scordato. L’idea che la visione sia l’apice dei misteri, ci fa capire quanto essi non fossero un insegnamento, qualcosa che si poteva apprendere e relegata al senso dell’udito, ma fosse piuttosto la contemplazione, la rivelazione di un qualcosa che era “visto”.


Di certo l’apice del rituale

si pone dopo i dromena,

quando il Sacerdote, rimasto solo nell’Anaktoron,

ossia la camera segreta del tempio,

ne usciva con gli oggetti sacri consacrati dalle due dee,

e li mostrava agli iniziati.

Cosa fossero tali oggetti non si sa.
.
Oltre alla spiga di grano recisa, che sembra comparire in tutte le fonti, si parla anche di pane benedetto, e di simboli sessuali stilizzati. E’ probabile che l’iniziato toccasse un simulacro del grembo materno, il simbolo e la rassicurazione della sua sopravvivenza eterna. E’ chiaro che il contatto con le sacre cose era fondamentale, e rappresentava, dopo la partecipazione alle vicende divine, la comunione con il divino.

Finita la celebrazione, gli iniziati sarebbero tornati ad Atene non in processione, perché era giunto il tempo di meditare.

Lo stesso Pindaro parla dell’importanza del “vedere”, durante l’epopteia, le cose mostrate dallo ierofante, il quale recitava la formula: “Piovi, porta frutto”. L’ironia dei Padri della Chiesa resta legata a queste formule, che non erano segrete: era ciò che le accompagnava che rimase sempre tale.

In effetti, cosa gli iniziati vedessero è il mistero nei Misteri, ma molti studiosi escludono la rappresentazione teatrale. Infatti il Telesterion aveva forma rettilinea, ed era costruito attorno ad una costruzione più piccola, ovvero l’anaktoron, vicino cui vi era il trono dello ierofante. All’interno vi era una gradinata dove gli iniziati prendevano posto: gradinata, anaktoron, trono, colonne avrebbero di certo impedito un’eguale visuale a tutti coloro che erano presenti.


Fig. Pianta del Telesterion

Altri sostengono, invece, che l’assenza di camere sotterranee ed altro che possa far pensare ad una scenografia non esclude l’uso di scenari di legno, che venivano poi gettati. In questo caso forse s’inscenava un viaggio simbolico negli Inferi, accompagnato da tutte gli orrori che attendono i non iniziati, contrapposti poi ad immagini contrarie, beate, che gli iniziati avrebbero guadagnato. La visione era accompagnata da una luce abbagliante, ed è anche probabile che consistesse nell’apparizione di Persefone dal mondo dei morti, nel senso di una rottura totale di barriere tra mondo infero e mondo terreno. Essere iniziato ad Eleusi voleva dunque dire ricercare l’armonia con la natura, l’unità tra mondo materiale e divino, tra vita e morte. Qui si giungeva ad un grado di conoscenza superiore, paragonando l’uomo alla vegetazione: le piante, che sembrano morire in inverno, rinascono, invece, più vigorose di prima, durante la primavera.

Nei Misteri Eleusini non s’impartivano insegnamenti o dottrine, ciò che legava ed accomunava tutti era appunto la visione. E’ da riconoscere negli antichi misteri un alto grado di esoterismo. Anche ad Eleusi gli iniziati dovevano lavorare su se stessi, sapendo che ciò cui avrebbero assistito avrebbe mutato radicalmente il modo di vivere e di pensare. Erano pronti, cioè, ad affrontare il “rito di passaggio”, la cui prima fase è sempre quella della separazione dal vecchio status. L’alternarsi di buio fitto e luce intensa poi sta a rappresentare questo avvenuto passaggio. La “visione” dei sacri oggetti potrebbe simboleggiare la presa di coscienza reale di una conoscenza superiore attraverso la comprensione dei simboli. Poi, ecco il rientro nel mondo di tutti i giorni, quello dei profani, con la consapevolezza, però, che non sarà più lo stesso, che tutto è cambiato grazie al privilegio ottenuto con l’iniziazione.

Si passava, in sostanza, per tre tappe: la morte, rappresentata dalla notte, dal buio, dalla macerazione del seme nella terra durante l’inverno; la rinascita, rappresentata dalle fiaccole, dalla spiga di grano derivata dal seme morto solo in apparenza; il raccolto, ovvero il vivere con diversa consapevolezza il mondo materiale. Infatti, distaccatosi dalla sua forma mortale, l’iniziato intravedeva il principio che sempre rinasce.

Si dice che in Sicilia l’epoptai venisse condotto in una radura spoglia, a ricordo dell’ira di Demetra. All’interno di un circolo formato dagli altri iniziati prendevano posto lui, lo ierofante e l’assistente. Le fiaccole si spegnevano all’improvviso, il silenzio era totale. A quel punto lo ierofante urlava: “Sia interrato come i morti, vivo! Vivo, venga interrato come i morti”. La prova dunque consisteva nello choc di essere sepolto in un cunicolo come il seme sottoterra. Doveva affrontare la morte rituale, e quando si “riprendeva”, non si trovava più nel cunicolo, ma di fronte allo ierofante che gli mostrava un chicco di grano maturo. Avendo sperimentato, al livello immaginativo, il destino del seme, egli aveva coscienza di recare in sé un’esistenza non più individuale del corpo, ma superindividuale dell’anima. Alcuni studiosi sostengono che la visione consistesse nello sperimentare il passaggio attraverso i 4 elementi: dalla terra al fuoco all’aria all’acqua, ammettendo in tal senso un forte legame con l’alchimia.

Sembra che nel corso delle cerimonie fosse tracciata una croce a forma di Tau sulla fronte degli iniziati, e venissero loro richiesti dei ramoscelli di acacia come simbolo di immortalità, forse perché tale pianta apre e chiude le proprie foglie ad indicare la nascita e la morte.

Vicini ai misteri Eleusini sono i Thesmophoria (Thesmoi=leggi e phoria=portare), celebrati nel tardo mese di ottobre in Grecia solo dalle donne. Anche qui vi era il sacrificio di un maiale, considerato simbolo di fertilità ed abbondanza.

I riti prevedevano digiuni ed astinenze e purificazioni, discesa nell’oltretomba, uso della magia per riportare la vita indietro dalla morte. Forse i due riti avevano le stesse origini storiche, tanto che anche in questi si manipolavano i Miloj, pani di sesamo e miele a forma di genitali femminili. Presso i Greci si parlava di mistero per indicare una verità nascosta, che poteva essere comunicata solo agli iniziati, a coloro i quali veniva imposto il silenzio, per difendersi dalle false interpretazioni. Nelle antiche religioni misteriche i mistagoghi, cioè i sacerdoti che presiedevano ai riti, si servivano di olio, acqua, miele, latte, fuoco, ed altro per trasmettere le forze soprannaturali ai fedeli, al fine di giungere ad un’unione con la divinità. Il contatto era cioè cercato per via simbolica e magica. Tutto ciò che faceva parte del rituale aveva importanza, dai colori, ai vestiti, agli strumenti, e soprattutto al tempo astronomico in cui si svolgevano.

I Misteri nascono perché l’uomo si rese conto di quale fosse il suo destino: la morte. Per garantire l’immortalità tramite l’unione con la divinità sorsero i misteri di Iside e Osiride in Egitto; in Frigia di Attis e Cibele; in Grecia di Demetra e Kore. Solo così si poteva essere immortali o rinascere come Persefone, diventare cioè un dio. In genere i Piccoli Misteri di ogni religione misterica mirano allo sviluppo e alla perfezione dello stato umano, la restaurazione dell’Eden, o stato primordiale. I Grandi Misteri, invece, si spingono oltre: sono la conoscenza di ciò che è oltre la natura, della pura spiritualità, della presenza della natura divina nel genere umano.

Le religioni misteriche, rispetto a quelle ufficiali, non si rivolgevano dunque al cittadino, non officiavano riti affinché gli dei proteggessero lo Stato, ma si rivolgevano all’uomo, all’individuo, che, entrando in stretta familiarità con la divinità, si creava un’aspettativa soteriologica, ovvero la salvezza anche dopo la morte. Per questo motivo potevano prendervi parte, in una scelta cosciente, tutti, a prescindere dalla loro classe sociale. Fu forse per questo che le classi tenute ai margini della società, le donne, gli schiavi, i meno abbienti, videro in tali culti la possibilità di trovare un’identità che spezzasse la logica dell’appartenenza sociale e divenisse invece esperienza personale, perché, nell’obbligo di osservare il più totale silenzio sull’essenza stessa dei riti, da un lato si creava un’altra comunità, quella degli iniziati, che s’incontravano separatamente, di notte, dall’altro ognuno instaurava un rapporto intimo con la divinità. In sintesi, le religioni misteriche seppero rispondere ai nuovi interrogativi sull’immortalità, sul reale rapporto tra mondo umano e mondo divino, tra corpo ed anima, collocando al centro del tutto quest’ultima e riconoscendole un’origine divina.

I misteri assicuravano la continuità dell’esistenza, la prosecuzione dell’es-sere, il divino rinascere, in cui la vita non è più esperienza del corpo, ma dell’anima. Infatti, la continuità tra madre e figlia (Kore è il grano in erba, Demetra è invece la spiga matura), che allude a quella tra morte e rinascita, indica che esse sono due aspetti di un unico processo, che, in quanto uni-versale ed eterno, assicura la continuità dell’identità di ogni essere umano, non più legata ai vincoli spazio-tempo. La morte non è definitiva scomparsa, ma il passaggio all’immortalità: il seme gettato nell’oscurità della terra non muore, non cessa di esistere solo perché non lo vediamo, ma si prepara al suo rito di passaggio, che lo condurrà alla nuova vita nella spiga di grano.

http://www.acam.it/i-misteri-eleusini/



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 Oggetto del messaggio: Re: Le Religioni Misteriche
MessaggioInviato: 24/09/2016, 12:30 
Le giornate si accorciano... é il tempo in cui Persefone agghinda le sue vesti dei caldi colori autunnali più belli per prepararsi all'incontro con Ade, dio degli inferi nell'eterna danza amorosa di stagioni e astri.

Con questo mito oltre a illustrare il ciclo delle quattro stagioni possiamo leggere in chiave junghiana il viaggio dell'anima (Persefone) nei reconditi oscuri dell'inferno della psiche umana confusa (l'oltretomba di Ade) comunque necessario alla resurrezione alla luce tra le braccia della madre Demetra (femminino sacro, come la Beatrice di Dante).

In quest'ottica il concetto di inferno assume connotazioni completamente diverse da quello descritto dalla morale cattolica. Da mondo ultraterreno destinato ai dannati a uno stato di caos dell'anima, da conoscere per potersene distaccare raggiungendo armonia ed equilibrio (paradiso)... non a caso nel mito viene citata Eleusi, sede di una delle più importanti religioni misteriche dell'antica grecia.

http://www.elicriso.it/it/mitologia_ambiente/demetra/



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