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MessaggioInviato: 09/12/2009, 19:16 
Signor Lukas,

mi scusi per il ritardo ... meglio che mai.

L’Apocalisse

Il mio “studio” (noti le virgolette) sull’Apocalisse non è un lavoro critico, né intendo farlo; l’escatologia visionaria e granguignolesca (talmente esagerata da cadere nel ridicolo) di cui è impregnata l’opera, nonché la interpretazione strumentale della Chiesa, mi obbliga, come storico, restarne alla larga.
Per una ricostruzione reale di vicende non esiste nulla di più fuorviante che la lettura di un credo modificato nei secoli; tanto meno mi attrae decriptare numeri strambi “profetati” per individuare una grande, onirica, “Bestia”.
Mi sono limitato a registrare solo alcuni aspetti, significativi, ricavabili dalla lettura del documento.

1 – E’ una “rivelazione” intesa come nemesi vendicativa, carica di odio, evolutasi da quella riportata nel “Rotolo della Guerra” dagli Esseni. La prima “revisione” del testo originale, giocoforza, furono costretti ad apportarla loro stessi dopo la distruzione di Gerusalemme e del Tempio da parte dei Romani nel 70 d.C..
Furono i Kittim pagani “figli delle tenebre” di Roma, la Babilonia del peccato, a distruggere i “figli della luce” … non viceversa, come profetato da loro stessi.

2 – Gli Esseni erano Ebrei e l’avversione giudaica contro la dominazione romana trasuda dai loro scritti.
E’ sempre Roma l’obiettivo della collera divina: una punizione concepita da una comunità pervasa da astio impotente ma forse anche legittimo, dal loro punto di vista, dovendo sottostare ad una occupazione insopportabile dalla propria ideologia. Odio che diventa vera psicopatia quando si scaglia contro la “fornicazione” che viene equiparata, nel castigo divino, ai massacri dei dominatori e dovrà essere punita in egual misura dalla vendetta divina.
Questo aspetto di ripugnanza sessuale lo ritroviamo nella descrizione degli Esseni di Giuseppe Flavio e nei loro rotoli ... come nel clero cattolico odierno.

3 – Essendo una matrice ideologica totalmente diversa, la “rivelazione” non fu scritta dallo stesso evangelista che compilò il vangelo di Giovanni … e neanche un suo “discepolo”, come vorrebbe farci credere la Chiesa. Essa, sin dall’inizio, si rese conto che l’Apocalisse come il Rotolo della Guerra non accennano affatto all’esistenza di Gesù Cristo e le sue vicende: predicazione, processo, passione, sepoltura, morte e resurrezione … tanto meno agli Apostoli, ad iniziare da san Paolo, ed alla “Immacolata Concezione” di Maria. Al contrario, entrambi i documenti dimostrano che la genesi del messianismo è anteriore alla creazione di “Gesù Cristo” e i suoi Apostoli.
Gli Episcopi falsari, nel V secolo, rendendosi conto dell’incompatibilità delle due opere, con una forzatura, introdussero “l’Avvento” del Salvatore Giustiziere, Sterminatore di una umanità empia, vero castigo divino, in una “Rivelazione” che ne procrastinava la venuta ad un futuro lontano.
Però bisognava trovare un “collegamento” per superare il problema: “Giovanni”, l’Apostolo.
A lui fu accreditata la stesura dell’ultima Apocalisse fattaci pervenire con la semplice "citazione" di Gesù.

In sintesi, l’Apocalisse che leggiamo oggi è frutto di rielaborazioni, stratificate nel tempo, per poter trasformare la nemesi vendicativa divina esseno giudaica, contro la Roma Babilonia del peccato, in nemesi vendicativa universale del Dio cristiano, contro l’umanità peccatrice.
Di conseguenza, tutte le ipotesi di datazione del testo attuale diventano insostenibili … come l’autore san Giovanni.

A presto.


Ultima modifica di Emilio Salsi il 09/12/2009, 19:20, modificato 1 volta in totale.


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MessaggioInviato: 09/12/2009, 20:21 
Cita:
Il Sig.[size=175] Emilio Salsi scrive:[/size]

Signor Lukas,

mi scusi per il ritardo ... meglio che mai.

L’Apocalisse

Il mio “studio” (noti le virgolette) sull’Apocalisse non è un lavoro critico, né intendo farlo; l’escatologia visionaria e granguignolesca (talmente esagerata da cadere nel ridicolo) di cui è impregnata l’opera, nonché la interpretazione strumentale della Chiesa, mi obbliga, come storico, restarne alla larga.
Per una ricostruzione reale di vicende non esiste nulla di più fuorviante che la lettura di un credo modificato nei secoli; tanto meno mi attrae decriptare numeri strambi “profetati” per individuare una grande, onirica, “Bestia”.
Mi sono limitato a registrare solo alcuni aspetti, significativi, ricavabili dalla lettura del documento.

1 – E’ una “rivelazione” intesa come nemesi vendicativa, carica di odio, evolutasi da quella riportata nel “Rotolo della Guerra” dagli Esseni. La prima “revisione” del testo originale, giocoforza, furono costretti ad apportarla loro stessi dopo la distruzione di Gerusalemme e del Tempio da parte dei Romani nel 70 d.C..
Furono i Kittim pagani “figli delle tenebre” di Roma, la Babilonia del peccato, a distruggere i “figli della luce” … non viceversa, come profetato da loro stessi.

2 – Gli Esseni erano Ebrei e l’avversione giudaica contro la dominazione romana trasuda dai loro scritti.
E’ sempre Roma l’obiettivo della collera divina: una punizione concepita da una comunità pervasa da astio impotente ma forse anche legittimo, dal loro punto di vista, dovendo sottostare ad una occupazione insopportabile dalla propria ideologia. Odio che diventa vera psicopatia quando si scaglia contro la “fornicazione” che viene equiparata, nel castigo divino, ai massacri dei dominatori e dovrà essere punita in egual misura dalla vendetta divina.
Questo aspetto di ripugnanza sessuale lo ritroviamo nella descrizione degli Esseni di Giuseppe Flavio e nei loro rotoli ... come nel clero cattolico odierno.

3 – Essendo una matrice ideologica totalmente diversa, la “rivelazione” non fu scritta dallo stesso evangelista che compilò il vangelo di Giovanni … e neanche un suo “discepolo”, come vorrebbe farci credere la Chiesa. Essa, sin dall’inizio, si rese conto che l’Apocalisse come il Rotolo della Guerra non accennano affatto all’esistenza di Gesù Cristo e le sue vicende: predicazione, processo, passione, sepoltura, morte e resurrezione … tanto meno agli Apostoli, ad iniziare da san Paolo, ed alla “Immacolata Concezione” di Maria. Al contrario, entrambi i documenti dimostrano che la genesi del messianismo è anteriore alla creazione di “Gesù Cristo” e i suoi Apostoli.
Gli Episcopi falsari, nel V secolo, rendendosi conto dell’incompatibilità delle due opere, con una forzatura, introdussero “l’Avvento” del Salvatore Giustiziere, Sterminatore di una umanità empia, vero castigo divino, in una “Rivelazione” che ne procrastinava la venuta ad un futuro lontano.
Però bisognava trovare un “collegamento” per superare il problema: “Giovanni”, l’Apostolo.
A lui fu accreditata la stesura dell’ultima Apocalisse fattaci pervenire con la semplice "citazione" di Gesù.

In sintesi, l’Apocalisse che leggiamo oggi è frutto di rielaborazioni, stratificate nel tempo, per poter trasformare la nemesi vendicativa divina esseno giudaica, contro la Roma Babilonia del peccato, in nemesi vendicativa universale del Dio cristiano, contro l’umanità peccatrice.
Di conseguenza, tutte le ipotesi di datazione del testo attuale diventano insostenibili … come l’autore san Giovanni.

A presto.







Un grandissimo grazie al Sig. Emilio Salsi.


Ultima modifica di Giovanni dalla Teva il 09/12/2009, 20:56, modificato 1 volta in totale.

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MessaggioInviato: 11/12/2009, 18:05 
"Le Natività"

II parte.

E’ ormai trascorso più di un anno da quando, in vari forum, ho pubblicato lo studio sulle “Natività” di Gesù narrate nei Vangeli comparate con la storiografia dell’epoca.
Ogni volta, ai fedeli credenti frequentatori dei forum, ed ai ciellini spiritualisti di “Comunione e Liberazione” in particolare, ho chiesto di sollecitare almeno uno storico famoso contemporaneo, magari titolare della cattedra di storia dell’Università Cattolica, a dichiarare e sottoscrivere col suo vero nome che Publio Sulpicio Quirino effettuò un censimento in Giudea prima della morte di Erode il Grande.
Il silenzio, seguito al preciso richiamo storico, già da solo dimostra come le nascite di Gesù, narrate dagli evangelisti Luca e Matteo, non possono essere veritiere contraddicendo chi vuol far passare l’evento come un avvenimento realmente accaduto.
Così è stato palesemente affermato, per anni, dal 2004 sino al 2008 in tutti i canali televisivi Rai nel corso di una “Inchiesta su Gesù” curata dal dottor Giovanni Minoli e il “vaticanista” Andrea Tornielli mandata in onda, periodicamente, nel periodo natalizio. Tale “inchiesta” su Gesù è stata abrogata lo scorso anno in conseguenza dell’iniziativa già sopra riferita nella I parte di “Le Natività”.
Per tacitare gli storici genuflessi è sempre bastata solo la prima parte dell’analisi prodotta, comunque ritengo mio dovere informare i visitatori interessati anche sul seguito dell’indagine, sia per la parte che riguarda la datazione, sia per evidenziare i contesti narrativi dei Vangeli di Matteo e Marco, totalmente estranei e incompatibili l’uno con l’altro, a dimostrazione che furono inventati.

Il cristianesimo (messianismo) gesuita primitivo, derivato, come abbiamo sopra evidenziato, dall’innesto del rituale teofagico eucaristico pagano nel giudaismo messianico, fece propria la “dottrina della salvezza”, o “soteriologia”, grazie alla redenzione dal peccato e del destino umano dopo la morte.
Tale dottrina era contemplata da tutte le religioni dei misteri del mondo classico pre cristiano e prevedeva anche “l’Immacolata Concezione” di una Vergine umana, fecondata dalle variegate divinità pagane orientali, per generare il “Figlio Semidio”, chiamato in greco “Sotère”, in italiano “Salvatore”, in aramaico “Jeshù a”… allora, i Padri, creatori del nuovo “connubio” religioso, ebbero la pretesa di trasformare il mito in “storia” … ma, anziché storia, fecero danni …


"Le Natività"

II parte: sintesi
Lettura comparata dei Vangeli con la storiografia.

Lo scriba cristiano che introdusse “Matteo il Pubblicano” fra gli Apostoli di “Cristo” lo fece al solo, unico, scopo di allontanare eventuali sospetti di zelotismo da Gesù e i suoi discepoli.
Ma fu una precauzione eccessiva … pertanto ingenua: in quanto “esattore”, l’Apostolo avrebbe dovuto essere uno specialista in materia di tasse e, come tale, era tenuto a sapere che l’Impero impose il tributo direttamente ai Giudei nel 6 d.C..
Ne conseguì una guerriglia, fomentata dalla "quarta filosofia" di Giuda il Galileo, che si protrasse per anni, al punto che le stesse autorità romane ed ebraiche (Sinedrio) richiesero a Roma di alleggerire la tassazione nel 17 d.C., sotto Tiberio, perché, come riferito da Tacito, "la popolazione era oppressa dai carichi fiscali” (Ann. II 42). Intanto, a quella data “Gesù Cristo” era già adulto.
Come stiamo per documentare, l’esattore Pubblicano, Apostolo Evangelista Matteo, testimone della vita di “Gesù” … e sua Madre, secondo quanto riferito dallo scriba che se lo inventò, non sapeva (lo scriba) che il censimento, decretato da Augusto per tassare i Giudei, fu la causa del viaggio di san Giuseppe e la Vergine Maria Gravida dello stesso "Jeshù a" da Nazaret a Betlemme.
Ciò vuol dire che non vi fu alcun censimento quando Erode il Grande era ancora vivo, altrimenti sarebbe stato Matteo, non Luca, a riferire la necessità di quel viaggio

“Gaius Sentius Saturninus” e “Publius Sulpicius Quirinus” furono nominati consoli, da giovani, rispettivamente: il primo, nel 19 a.C. ed il secondo, nel 12 a.C.. Entrambi saranno inviati dall’Imperatore a governare la Provincia di Siria, come suoi Luogotenenti, nel rispetto dell’anzianità di nomina e di carriera, per il cui fine, raggiungere il consolato, sotto Augusto, era presupposto indispensabile a ricoprire l’importante successivo incarico: il primo, Saturnino, nel 9 a.C. ed il secondo, Quirino, nel 6 d.C.; quest’ultimo, con un titolo di eccellenza inerente al compito, pericoloso, (al comando di più legioni) di effettuare, per la prima volta, il censimento della Siria e dei territori ad essa annessi: Giudea, Idumea e Samaria (Ant. XVIII, 1,2).
Lo storico ebreo, in modo particolareggiato, riporta tutti gli avvenimenti antecedenti il 6 d.C., riguardanti la sua terra (lui e gli antenati erano di Gerusalemme) e, soprattutto, i potenti Legati di Siria (con autorità militare e giuridica superiore agli stessi Re palestinesi), che cita tutti e fra i quali non risulta che Publio Sulpicio Quirino sia stato Legato di Siria prima del 6 d.C. e abbia avuto, in precedenza, un altro incarico simile e tanto meno di fare un censimento anteriore; come non risulta dagli scritti degli altri storici dell’Impero: non può risultare ciò che non accadde.

La capacità di Erode di curare le rendite della Palestina indusse Cesare Augusto, dopo avergli ingrandito il regno tramite la concessione di nuove regioni, ad affidargli la gestione di territori che andavano ben oltre i confini del suo reame (Gue. I, 396/404).
La qualifica o massimo ufficio, nell’ambito della gerarchia amministrativa imperiale di Roma, fu riconosciuto, tra i monarchi giudaici, solo ad Erode il Grande quando venne nominato da Cesare Augusto “Procuratore di tutta la Siria sì che nessuno dei Procuratori poteva agire senza il suo assenso” (Gue. I, 399 e Ant. XV, 360) "con l’onere di riscuotere i tributi in tutte le regioni di quella Provincia" (Gue. I, 428).
Pur essendo subordinato, giuridicamente e militarmente, al Legato di Siria dell’Imperatore, Erode il Grande non fu mai sottoposto, amministrativamente, allo stesso; e le entrate fiscali, in virtù dell’incarico, gli imposero di costruire, a nome di Cesare Augusto e dei suoi familiari, opere grandiose, compresi Templi pagani, anche nelle città fuori del suo Regno. (Gue. 422/425).
Finché Erode il Grande rimase in vita, essendo lui il “Procuratore di tutta la Siria”, né in Siria, né in Giudea si rese necessario svolgere alcun censimento da parte di Roma: era lui che, quale fiduciario di Augusto, si adoperava a riscuotere le tasse curando le rendite dell’Imperatore.

Va notato che “La Guerra Giudaica” fu sottoposta alla verifica e approvazione degli storici romani di Vespasiano e tale documento, depositato negli archivi imperiali, fu consultato anche da Svetonio mezzo secolo dopo (Vespasiano, 4-5).
Per l’Imperatore nessuno, meglio di Erode, era in grado di amministrare e curare i suoi interessi, i suoi beni e le sue rendite in Siria e in Palestina e, nessun Governatore, senza un suo preciso mandato, lo avrebbe potuto fare. Le entrate erano valutate in talenti d’oro e, alla morte di Erode il Grande, la rendita di quei territori ammontava quasi a mille talenti l’anno (Ant. XVII, 317/323).
Morto il Re, Cesare Augusto provvide subito ad inviare Sabino, in Giudea, come "nuovo Procuratore romano per la Siria”, a rilevare l’ufficio, svolto dal monarca efficacemente, “per prendersi cura della proprietà di Erode”, cioè di tutto il Regno, ma sottoposto, militarmente e giuridicamente, al Legato di Siria, Quintilio Varo. (Ant. XVII, 221-222).
“Sabino, il Procuratore della Siria, si recò in Giudea per sottoporre a sequestro conservativo le sostanze di Erode” (Gue. II, 16), appunto perché Erode era stato “Procuratore di tutta la Siria” per conto di Roma. La nomina di Sabino a tale incarico dimostra la continuità della “cura” delle rendite delle proprietà e dei beni, costituiti dai territori sottomessi all’Impero di Cesare Augusto ad iniziare dalla riscossione dei tributi, già compito di Erode, in tutta la Siria compreso il suo regno, fino alla sua morte avvenuta il 4 a.C..

Giuseppe riporta tutte le iniziative prese dal Legato Senzio Saturnino (tirato in ballo da Tertulliano e citato “underground” da clericali e accoliti per fargli poi "subentrare" fantasiosamente P.S.Quirino) il quale, giuridicamente e militarmente, pur essendo più potente di Erode il Grande, tuttavia non poteva intromettersi nella sua amministrazione senza un mandato specifico di Cesare Augusto; come avverrà poi con Publio Sulpicio Quirino, che lo farà il 6 d.C. con un incarico imperiale speciale, più importante del precedente Legato Saturnino. Del quale, comunque, leggiamo tutti gli interventi (miranti a sanare i contrasti famigliari di Erode senza muoversi da Antiochia) in Ant. XVI, 277/283-344-368-369; XVII, 7-25-57-89; e Gue. I, 538/554, senza registrare alcun censimento da lui eseguito; né altri avrebbe potuto effettuare l’atto amministrativo, per la gravità e la pericolosità insite nella reazione del popolo giudeo avverso tale provvedimento, senza passare inosservato allo storico ebreo.
Erode il Grande, oltre ad essere stato un fedele alleato, in quanto nemico giurato dei minacciosi Parti, si dimostrò una “gallina dalle uova d’oro” per l’Impero; infine, che in Giudea non avvenne il censimento di Quirino, fintanto era vivo il Re, lo conferma il Vangelo di Matteo nel quale, come appena detto, l’evangelista, non si sogna di citarlo, ma avrebbe dovuto farlo se, come dice Luca, fu la causa del viaggio di Maria e San Giuseppe da Nazaret a Betlemme.

“Quirino, senatore romano passato attraverso tutte le magistrature fino al consolato, persona estremamente distinta sotto ogni aspetto, inviato da Cesare, (il 6 d.C.) visitò la Giudea per fare una valutazione delle proprietà dei Giudei e liquidare le sostanze di Archelao (Giudea Idumea e Samaria divennero possedimento di Roma) e nello stesso tempo ebbero luogo le registazioni delle proprietà che avvennero nel trentasettesimo anno dalla disfatta di Azio (31 a.C.), inflitta da Cesare ad Antonio (Ant. XVIII 2 e 26).

Una descrizione del censimento così dettagliata, riportata molte volte dallo storico fariseo, dimostra lo sconvolgimento economico sociale e religioso, causato da tale atto nei costumi giudaici, in violazione della antica Legge che vietava la sottomissione, all’invasore pagano, del popolo di Israele, della Terra Santa e del suo Dio, Jahwè.
Sotto Costantino, nel IV secolo, il Vescovo cristiano Eusebio di Cesarea così scrisse:
Al tempo del primo censimento, mentre Quirino era Governatore della Siria, nacque a Betlemme il nostro Salvatore e Signore Gesù Cristo. Anche Flavio Giuseppe ricorda questo censimento, sotto Quirino, quando parla della rivolta dei Galilei che accadde in quel medesimo tempo e della quale fa menzione anche Luca negli Atti degli Apostoli (HEc. I 5,2-3).
Eusebio testimonia le correlazioni fra, la nascita del “Salvatore”, il censimento di Quirino di Flavio Giuseppe e la rivolta giudaica del 6 d.C. capeggiata da Giuda il Galileo, con quelle riprese negli “Atti degli Apostoli” e nel Vangelo di Luca.
La storia non riporta altri atti amministrativi imperiali, in Giudea, prima di questo; se i docenti mistici asseriscono il contrario, che lo dimostrino, facendoci leggere quello che scrissero gli storici di allora, non sofismi personali, scritti oggi, e propinati a giovani studenti portati a credere ai loro insegnanti, ignare vittime di un indottrinamento religioso finalizzato a mascherare, rendendo artatamente coerenti, due “Nascite” evangeliche in contrasto fra loro a comprova che furono inventate.

San Luca, per fare un dispetto agli esegeti baciapile, riporta due volte il censimento di Quirino: la prima, nel suo Vangelo in occasione della “nascita di Gesù” (Lc. 2,1-2), e la seconda nel discorso di Gamalièle, come già riferito. Se l’evangelista intendeva citare due censimenti diversi, fatti da Publio Sulpicio Quirino in date diverse, essendo uno riferito alla nascita del “Figlio di Dio”, l’avrebbe specificato nelle sue opere e, per distinguerli, consapevole dell’equivoco che ne sarebbe scaturito, avrebbe chiarito, in “Atti degli Apostoli” che, quello richiamato a Giuda il Galileo, del 6 d.C., era il “secondo” censimento.
Ma se Luca non lo ha fatto il motivo è evidente: il censimento fu il primo ed unico e Gesù Cristo, per lui, nacque il 6 d.C.; pur se, va capito, gli esegeti mistici, prima di riconoscere che la Madonna rimase incinta 12 anni, preferirebbero andare all’inferno.
Eppure la soluzione l’avevano a portata di mano: partorire un Dio “concepito da uno Spirito Santo”, in fin dei conti, avrebbe richiesto un po’ più di tempo ad una “Vergine”; nessun “credente” avrebbe trovato da ridire.
Peraltro il censimento veniva fatto dai Romani nel distretto dove si produceva, cioè quello di residenza; era lì che gli esattori (i pubblicani) riscuotevano i tributi, e il luogo di lavoro della Sacra Famiglia (secondo i Vangeli) era Nazaret, non Betlemme, pertanto la motivazione di quel viaggio non è giustificata; come non è giustificata la “fuga in Egitto”; forzature ingenue che dimostrano la macchinazione dei racconti. Inoltre, Maria non era obbligata a viaggiare poiché non produceva reddito, a maggior ragione essendo prossima a partorire (Lc 2, 5-6).
Altro dato contrastante, ma sottaciuto agli ingenui “credenti”, è il nonno di Gesù (il padre di San Giuseppe), che per Luca è “Eli”, per Matteo è “Giacobbe” (Lc. 3, 23; Mt. 1, 16.).
Tali contraddizioni, anagrafico cronologiche genetiche e geografiche sulle “Nascite”, riportate nei “documenti sacri”, dimostrano che sono invenzioni aggiunte, successivamente, a testi in origine diversi; ne consegue che “Gesù”, “San Giuseppe” e la “Madonna” non sono mai esistiti.
Infatti gli evangelisti Giovanni detto anche Marco” e “Giovanni” saltano, prudentemente, la nascita e l’infanzia di Gesù.

In effetti i vangeli primitivi si limitavano ad un concetto di “Messia Salvatore” più giudaico, che ancora non contemplava la nascita verginale nella grotta, adottata in epoca successiva, destinata a generare un “Sotère” (Salvatore) con relativo sacrificio teofagico ripreso dai riti pagani.
“Al tempo di Erode, Re della Giudea…” (Lc.1, 5), “Avendo saputo che era Re della Giudea Archelao” (Mt. 2, 22). Sono gli evangelisti ad affermare che Archelao fu Re della Giudea.
Anche lo storico ebreo dice che Archelao, prevaricando i poteri di “Etnarca” concessigli da Cesare Augusto dopo la morte del padre “aveva spinto alcuni a cingerlo del diadema e si era assiso sul trono e agito con poteri di Re” (Gue. II, 27). Nel IV secolo, Eusebio di Cesarea scrisse:

“Erode, da Antonio e da Augusto con un senatoconsulto, fu scelto come Re dei Giudei. I suoi figli furono Erode e gli altri Tetrarchi (HEc. I 7,12).

Il Vescovo cristiano chiama “Erode” Archelao (Etnarca) e lo distingue dai “Tetrarchi”, Antipa e Filippo, che Giuseppe Flavio chiama entrambi “Erode” (Ant. XVIII 109). Pertanto, quando nacquero, a questi tre figli maschi, potenziali eredi del regno di Palestina, fu dato, come primo nome, quello del padre in onore del Grande Re.
Erode Archelao si proclamò Re della Giudea, diversamente da suo padre, Erode il Grande, che fu Re di tutta la Palestina, della quale la Giudea era una parte. Solo suo nipote, Erode Agrippa il Grande, nel 41 d.C., potrà anch’egli regnare su tutta la Palestina sino alla morte, per concessione dell’Imperatore Claudio, e lo storico ebreo lo chiama Re “Agrippa” o “Agrippa il Grande”, mentre in “Atti degli Apostoli” è chiamato semplicemente “re Erode” (“In quel tempo re Erode ...” At. 12, 1) e sua sorella: “Erodiade”. Pertanto, come le vicende narrate in “Atti degli Apostoli” di Luca ci permettono di capire che si trattava di Erode Agrippa, anche le vicende narrate nel Vangelo dello stesso evangelista si riferiscono ad Erode Archelao.

La nascita di Gesù “concepita” da Luca, almeno sulla “strage”, aveva ragione: sicuramente si era letto il centinaio di pagine che Giuseppe dedicò a Erode il Grande, senza che gli risultasse questo fatto gravissimo. Aveva torto, invece, quando, dopo essersi fatto spacciare per “medico” tramite una lettera accreditata a san Paolo Saulo (Colossesi 4,14), decise, diversamente da Matteo, di far fare alla Madonna, mentre era prossima a partorire, un tortuoso e impervio percorso di oltre 200 Km. sul dorso di un asino per recarsi da Nazaret a Betlemme a farsi censire.
Il “medico” impostore, evidentemente, come un casto e pudico prete, in vita sua non aveva mai visto il ventre nudo di una donna vicina a partorire; anche se, questo particolare del “lungo viaggio” - imposto alla puerpera, appena partorito, fino in Egitto per altri 200 Km a dorso d’asino (secondo lo scriba di Matteo) - ne siamo certi, è ignorato tutt’oggi dalle mamme inginocchiate a pregare sotto la sua statua o quella del “Bambin Gesù”. Donne opportunamente tenute all’oscuro su questi aspetti “apocrifi” e assurdi per impedir loro di riflettere.
Abbiamo dimostrato le false nascite di Luca e Matteo i quali datano l’Avvento di Gesù, l’uno il 6 d.C., l’altro il 6/7 a.C., due o tre anni prima della morte di Erode il Grande.
Ma nel Vangelo di Giovanni si riporta un particolare sull’età del “Messia” che è doveroso riferire per sottolineare la “confusione” fatta dagli evangelisti nel creare il personaggio. (Gv. 8, 57) :

“Dissero allora i Giudei a Gesù: non hai ancora cinquanta anni e hai già visto Abramo?”

… ai lettori credenti tutti, ai ciellini spiritualisti in particolare, lasciamo loro il tempo di ... meditare.

Emilio Salsi

http://www.vangeliestoria.eu/index.php


Ultima modifica di Emilio Salsi il 11/12/2009, 18:44, modificato 1 volta in totale.


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Ringrazio il gentilissimo Dottor Salsi per l'esauriente e chiara risposta al quale chiedo che cosa pensa dell'attribuzione dell'Apocalisse a Cerinto di Efeso cui alcuni assegnano anche il Quarto vangelo.

grazie!!!


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Sig Salsi e' davvero un piacere leggere i suoi post,davvero grandiosi.
Relativamente al censimento c'e' ancora qualcuno che ventila la possibilita' di un censimento avvenuto nell'8-9 a.c. ad opera di Saturnino.
Inoltre la Lapide di Tivoli parla di un secondo mandato di Augusto per un governatore della Siria .
Qualche credente asserisce che pote' trattarsi di Quirinio.
Quale e' il suo parere in proposito?

Un saluto


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Signor Lukas,

Cerinto non è esistito! … come san Giovanni.
Siamo “dentro” la storia clericale, cioè quella continuazione di eventi dipartiti da Cristo, Apostoli, discepoli, Vescovi e Martiri, indispensabili alla Chiesa per dimostrare la sua esistenza derivatasi dall’Avvento.
Chi gettò le basi di questa “storia” fu l'Eccellentissimo Episcopo Eusebio di Cesarea, non a caso il primo cristiano che, in virtù della sua posizione altolocata nella corte di Costantino, poté accedere agli archivi imperiali e manomettere o eliminare quei rotoli che interessavano i veri protagonisti del cristianesimo primitivo.
Non mi riferisco solo a Giuseppe Flavio - di cui ho dimostrato la falsificazione della data della carestia sotto Tiberio e i passaggi di Theudas, Giacomo e Simone figli di Giuda il Galileo - ma anche a Tacito, di cui, nel libro, porto la prova del taglio del libro VI di Annali, laddove lo storico imperiale “interrompe” la descrizione degli interventi di Lucio Vitellio durante la guerra con i Parti; nonchè un "vuoto storico" compreso fra il 15 e il 36 d.C. (negli anni '20 i fratelli "boanerghes" zeloti si dettero molto da fare contro i filo romani).
L’azione di Eusebio fu importante, ma solo l’inizio. La Chiesa, sin dal primo Medio Evo, ebbe tutto il tempo per creare un’enorme “documentazione a comprova” di se stessa.
Mi rendo conto che quanto affermo appaia esagerato e forse semplicistico … ma, non esiste il benché minimo documento, dato archeologico, conferma storica incrociata, non riferita dai “Padri” spirituali, risalente al I o II secolo, che dimostrino l’esistenza della lunghissima sequela di Vescovi "assisi sul Trono episcopale" sparsi nelle Province dell’Impero, nonché dei “Padri apostolici” e “Padri apologisti”.
Considero veramente esistiti Tertulliano ed Orìgene. Pur risalendo al Medio Evo le loro opere, certamente corrette, sono, al contempo, vaste e … talmente pieni di errori con richiami storici fasulli, sfuggiti agli scribi monasti, da renderle credibili ed utili a noi ricercatori critici, mentre, vedi “Saturnino” nella Natività, “scompigliano” le idee ai dotti esegeti spiritualisti che non sanno come venirne fuori.
Ho fatto delle verifiche sulla “Storia Ecclesiastica” di Eusebio, l’iniziatore, e sono in grado di provare che “Egesippo” non è esistito. Sto parlando dello storico che il Venerabilissimo Santo Episcopo ha dovuto inventare per citarlo e rendere veritiera la propria testimonianza su vicende accreditate ai numerosi personaggi immaginari ma risalenti oltre due secoli prima.
A Egesippo si richiamano, tutt’oggi, docenti universitari di storia filo clericali.
Il metodo adottato da Eusebio fu quello di scrivere una “storia” accomunando nomi di personaggi famosi, veramente esistiti, con altri creati artatamente, facendo apparire quest’ultimi reali, ma, guarda caso, quelli inventati sono solo nomi di Vescovi, Santi e Martiri, tutti protagonisti di gesta, per lo più ridicole, escogitate dal suo monastico “staff” di falsari.
Torniamo a Cerinto; è riferito dal Vescovo Ireneo, il quale a sua volta è citato da Eusebio … ma le opere di entrambi sono medievali. I falsari, in questo caso (non è il solo), hanno usato il metodo della “moneta falsa”, tipo il “contro pacco” di Forcella, in quel di Napoli (l’arte degli scugnizzi è stata preceduta da quella clericale).
Se io stampo una cartamoneta di 100 euro falsa, si può dire che è falsa soltanto perché esiste quella vera. E’ consequenziale. Se dichiaro che Cerinto, la sua Apocalisse, e il suo Vangelo sono falsi, contemporaneamente faccio intendere che esistono quelli “veri autentici” di Giovanni.
Esattamente come il falso profeta, apostolo, “Simone Mago”. Coloro che lo crearono lo fecero per rendere più credibile il “vero” Apostolo “Simone Pietro”, nonché primo Vescovo e Papa di Roma.
Poi, dopo un millennio e mezzo (il Nuovo Testamento completo che leggiamo oggi è la traduzione del Codice Vaticano che risale al V secolo), un “Leviatan” qualsiasi si accorge della Regina “Candace” … passa la notizia a un vecchietto, maresciallo dell’Aeronautica Militare, in pensione (non sono dottore, mi diletto di storia), il quale non fa altro che comparare il nuovo dato con gli altri inseriti nel suo cervello (non il computer) e ne viene fuori un’altra “mazzata” agli “Atti degli Apostoli” … san Paolo compreso.
Così è la vita.
Un caloroso saluto e a presto.

Emilio Salsi


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MessaggioInviato: 12/12/2009, 17:16 
Signor Leviatan,

so benissimo che c’è sempre chi, non solo “ventila” ma, nei canali metropolitani spiritualisti clericali, addirittura “soffia a pieni polmoni”.
Prima di dare alle stampe il mio libro, solo per un eccesso di scrupolo, ho sentito il dovere di telefonare ad una insigne docente universitaria, specialista in epigrafi, una signora gentilissima, alla quale ho sottoposto il caso delle iscrizioni di Tivoli, della Lapis Venetus e di quella di Antiochia di Pisidia, richiedendo se da esse era ricavabile una datazione del censimento effettuato da P. S. Quirino.
La risposta, derivata da ciò che resta delle iscrizioni, è stata, semplicemente, negativa.
Pertanto, la storia particolareggiata pervenutaci da Giuseppe Flavio, esclude, nel modo più categorico, che né in Siria, né in Giudea, abbia potuto avere luogo alcun censimento fintanto Re Erode il Grande, per decreto di Cesare Augusto, era Procuratore di tutta la Siria con l’onere di riscuotere i tributi anche in quello sterminato territorio, oltre che nel suo regno … fino alla sua morte; neanche se, per assurdo (ma solo per assurdo) lo stesso P. S. Quirino fosse stato nominato Governatore di Siria dallo stesso Imperatore.
Peraltro, Giovanni dalla Teva, Peppe, Iron Iko, lo stesso Barionu, come altri frequentatori di questo forum, possono testimoniare che ho sottoposto la stessa analisi agli esegeti di Cristianesimo primitivo, un sito filo clericale in cui operano studiosi di altissimo valore, pur se “assidui e concordi nella preghiera” .
E’ da lì che ho inviato la sfida sul doppio censimento di Quirino, ormai reiterata, ma che non viene, né può essere raccolta da nessun docente di storia senza “svergognarsi”.
Provi anche lei ad ammettere, per assurdo (sempre solo “per assurdo”) che, dalle epigrafi suddette, sia venuta fuori la prova che Quirino abbia veramente effettuato un censimento in Giudea quando Erode il Grande era ancora vivo, ebbene, non pensa che tutte le televisioni italiane e mondiali non lo avessero già strombazzato ai quattro venti?
Finalmente! La spina nel fianco della “Parola di Dio”, causata dalle contrastanti testimonianze evangeliche e riportata da quasi tutte le enciclopedie di tutto il mondo, per Volontà del Signore Altissimo, avrebbe fatto Giustizia ricacciando nelle “Tenebre della Menzogna” i numerosi detrattori critici del verbo di Dio, ispirati dal Demonio.
Qualche anno addietro, ricordo ancora bene, nel corso delle notizie del telegiornale, i giornalisti italiani, pagati anche da noi atei, hanno avuto la faccia tosta di dichiarare che il francobollo 7Q5 era la prova del Vangelo di Marco … e, “forse”, lo stesso Vangelo.
E’ incredibile quanta ignoranza, nonché stupidità, è contenuta in simile affermazione … ma avremo modo di riparlarne. “Marco” … mi scappa da ridere.
Ormai, ai docenti mistici spiritualisti, con o senza la tonaca, per “comprovare” testi sacri e storia clericale tutta, sono rimaste solo la “càbala” … ovvero l’arte divinatoria per azzeccare i numeri del lotto, e … “l’ermeneutica” … ovvero l’arte di interpretare un testo “oscuro” come la Bibbia.
Due grandi arti divinatorie “acchiappacitrulli” destinate ai dolciotti “beati poveri di spirito”.

A presto.

Emilio Salsi


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MessaggioInviato: 24/12/2009, 13:50 
Gli Atti del Sinedrio di Gerusalemme e Giuseppe detto Caifa.

In data 28.10.09, a pag. 1 di questo argomento, trattando di Giacomo il Minore ho riferito che quell’Atto del Sinedrio di Gerusalemme era l’unico pervenutoci dallo storico ebreo ed il motivo per cui venne lasciato fu quello di fargli “testimoniare” su Gesù Cristo e suo fratello Giacomo.
Ma … siamo veramente certi che Giuseppe Flavio non abbia riportato altri Atti del Sinedrio? … e perché numerosi Atti del Sinedrio vengono riferiti solo da Vangeli e Atti degli Apostoli?

In data 13.11.09 alla pag. 1 dell’argomento “Non sono esistiti gli Apostoli” ho inviato uno studio sul tempio di Gerusalemme nel quale ho affermato:
“Le descrizioni del Tempio e delle mura con le imponenti torri, così dettagliate, Giuseppe ha potuto farle solo guardando i progetti esecutivi. E’ impossibile, per chiunque, riferire misurazioni così precise, tali da permettere la ricostruzione di modelli in scala ridotta, solo basandosi sulla memoria”. Se chiedete agli abitanti di Roma, usi frequentare Piazza san Pietro, quante colonne con relativa altezza e diametro circondano la piazza; quali sono le misure dell’altezza, lunghezza, larghezza del Tempio di san Pietro ecc. ecc., credo che nessuno sappia rispondere.

Successivamente, in data 30.11.09, dello stesso argomento, a pag. 3, trattando della “risurrezione di Lazzaro” (quello di Masàda), ho riportato dati significativi sulle conoscenze storiche manifestate da Giuseppe Flavio, fatti che è importante riprendere:
Nel corso della ricerca, tesa a identificare i figli di Giuda il Galileo, è apparso spontaneamente, un altro importante personaggio evangelico: Lazzaro. Lo storico (Gue. II 447) dice che era figlio di Giairo, parente di Menahem (Giuseppe), e discendente di Giuda di Gamala (Gue. VII 253).
Controlliamo se abbiamo inteso bene: discendente di Giuda il Galileo, figlio di Giairo e parente di Menahem (Giuseppe) … Come possono “vincolarsi direttamente” questi consanguinei?
Le abbiamo provate tutte ma ci è rimasta una sola risposta: una delle figlie di Giuda di Gàmala, e sorella di suo figlio Giovanni “Gesù”, si sposò con Giairo e dette alla luce “Lazzaro”…
Adesso, però, viene spontanea un’altra domanda di fondamentale importanza: come faceva Giuseppe Flavio a sapere che Lazzaro era figlio di Giairo, discendeva da Giuda il Galileo ed era parente di Menahem, a sua volta figlio dello stesso Giuda?.
Perché evoca continui ricordi carichi di odio contro Giuda il “Galileo” e i suoi discendenti, nelle sue opere?: l’accusa è troppo ricorrente … anche contro i suoi figli, che conosce tutti, rimarcandone la discendenza.
Le risposte potrebbero essere molte, ipotetiche, ma una sola è la più probabile: Giuseppe, figlio di Mattia, appartenente alla più elevata famiglia sacerdotale di Gerusalemme, era parente di quella dinastia di Farisei zeloti, Dottori di “grande potere”, tramite la madre discendente dagli Asmonei. Dice lo storico:
“Ogni popolo ha il proprio modo per fondare la nobiltà; da noi l’eccellenza della stirpe di una famiglia è attestata dall’appartenenza all’ordine sacerdotale. La mia famiglia non solo discende da sacerdoti, ma addirittura dalla prima delle ventiquattro classi che già di per sé è un segno di distinzione, e, all’interno di questa, dalla più illustre delle tribù. Inoltre, da parte di mia madre, sono imparentato con la famiglia reale, giacché i discendenti di Asmoneo, dei quali lei è nipote, detennero per lungo tempo il Sommo Sacerdozio e il regno del nostro popolo… e, di un antenato in linea paterna “Mattia, detto figlio d’Efeo, prese in moglie una figlia del Sommo Sacerdote Gionata, il primo tra gli Asmonei a rivestire il sommo sacerdozio, e fratello del Sommo Sacerdote Simone” (Bio. I, 1-4)

Prima il nonno “Giuseppe”, poi suo padre Mattia e infine lui, Giuseppe. Il nonno, Giuseppe … non sarà stato per caso il Giuseppe detto “Caifa” che, come Sommo Sacerdote del Sinedrio, si dette tanto da fare per accusare Giovanni “Gesù” ? … esattamente come il suo storico nipote ha reiterato le accuse contro i suoi fratelli ed il loro padre: Giuda il Galileo.
Lo scrittore la definisce “[b]una stirpe sacerdotale di eccellenza … la prima delle ventiquattro classi sacerdotali”[/b]… si, “Giuseppe detto Caifa sembra proprio il nonno di Giuseppe Flavio e quindi genero di Anano, i cui figli diverranno tutti Sommi Sacerdoti e, quando l’ultimo di essi, anch’egli di nome Anano, verrà ucciso dai rivoluzionari, egli se ne dispererà come per la perdita di un caro amico o parente. (Anano è l’Anna dei Vangeli; lui e Caifa, secondo la Bibbia, i grandi accusatori del Salvatore).
Era consuetudine da parte dei sacerdoti del Tempio sposare le figlie di altri sacerdoti della stessa casta per rafforzare il potere dinastico e politico. Hanno conosciuto e frequentato Giuda di Gàmala, prima, e i suoi figli, dopo; Dottori potenti, discendenti dagli Asmonei, pretendenti al “trono di Davide”, ma di una corrente politico religiosa estremista e indipendentista cui aderirono altri Farisei zeloti, e anticonservatori. Dal tempo del censimento in poi, si sono ritrovati su posizioni politico- religiose contrapposte, veri e propri nemici, e certamente vittime gli uni degli altri.

Il nonno e il padre di Giuseppe Flavio erano sicuramente presenti nel Sinedrio quando fu crocefisso “Gesù” ... ma qualcun altro, prima di noi, deve essere giunto alla stessa conclusione e vi pose rimedio, nel modo come vedremo più avanti…

Da secoli, gli storici si sono chiesti quale fosse la fonte cui attinse l’enorme mole di informazioni trasmesseci da Giuseppe Flavio. Si è pensato a notizie acquisite direttamente a Roma presso gli archivi imperiali, o, anche, la lettura degli scritti di Strabone di Cappadocia o di quelli dello storico di corte erodiana, Nicola di Damasco. Ma, considerato che le rare volte in cui Giuseppe cita i due storici lo fa soltanto per confermare le sue notizie; tenuto conto della vastità della sua opera, in particolare delle vicende giudaiche, con retroscena sconosciuti agli stessi scribi romani; rimane solo la possibilità, reale, concreta e dimostrabile che lo storico ebreo si sia servito della fonte originale ufficiale, più efficiente, informata e aggiornata, predisposta dalle autorità teocratiche giudee …


Gli “Atti del Sinedrio” di Gerusalemme

Quando Giuseppe, nell’unico Atto del Sinedrio pervenutoci, riguardante Gesù “Cristo” e suo fratello Giacomo, descrive il “carattere” del Sommo Sacerdote Anano, un Sadduceo (ultimo figlio del Sommo Sacerdote “Anna” dei Vangeli), è perché lo conosceva di persona: come parente o amico.
Nei suoi scritti, le registrazioni delle nomine dei Sommi Sacerdoti sono sempre puntuali, necessarie ad uno scriba con l’incarico di redigere i verbali di una assemblea, deliberante o consultiva, del Sinedrio.
In “Contro Apione”, nel libro I dal par. 28 al 46, lo storico evidenzia la cura costante da parte dei Sacerdoti e Sommi Sacerdoti Giudei nel redigere Annali degni di fede, per trasmettere il ricordo degli eventi pubblici di cui le sue “Antichità”, dichiara egli stesso, “ne sono un estratto fedele … e fino ai nostri giorni questo costume è stato rigorosamente osservato.
In “Autobiografia”, par. 418, leggiamo che Giuseppe, invitato dal futuro Imperatore Tito a partecipare al saccheggio di Gerusalemme, poco prima della sua distruzione finale, si rifiutò, ma …
“non essendovi nulla da conservare di così prezioso che il suo possesso potesse dar conforto alle mie sventure, feci richiesta e ottenni, per graziosa concessione di Tito, dei “libri sacri”…
Nessun valore materiale, per quanto prezioso, poteva compensarlo della perdita della Città Santa, la città più bella con il Tempio più bello del mondo, la cui ammirazione e amore non perde occasione di manifestare nelle sue descrizioni a noi tramandate. In quegli ultimi momenti tragici, mentre la morte stava ancora mietendo le sue vittime, una cosa sola gli era rimasta da salvare; l’unica che poteva interessargli: non la ricchezza, la vita o la fame che per lui, sicuramente, non erano quasi mai state un problema, bensì…il ricordo.
Dopo averci descritto la genealogia della sua famiglia (un secolo e mezzo prima di lui), specifica:
“La riproduco come la ho trovata registrata negli [b]archivi pubblici”[/b] (Bio. 1,6).
Lui, sacerdote ebreo, discendente della più alta aristocrazia sacerdotale di Gerusalemme, da generazioni presente nel Sinedrio con le più alte cariche, sapeva dove erano custoditi i manoscritti dei documenti pubblici e gli Atti del Sinedrio: i verbali delle sedute, gli ultimi dei quali, con tutta probabilità, negli anni precedenti, lui stesso aveva contribuito a stendere, vista la sua cultura, attitudine e stima che tale Organo riponeva in lui al punto di inviarlo a Roma, come suo rappresentante, alla fine del 63 d.C.. Erano documenti “sacri” e, in quel tragico momento, rappresentavano per lui il valore più prezioso cui potesse aspirare: la memoria; non solo del passato della sua famiglia, ma dei Giudei tutti e della loro religione.
Il tesoro dei ricordi riguardanti il cammino storico del popolo d’Israele, della Città Santa e del suo Tempio, doveva essere salvato dall’immane disastro.
Fra quei documenti vi erano i progetti esecutivi del Tempio, che lui consulterà per poterlo descrivere, dettagliatamente, nelle sue opere a guerra finita.

Informato Tito, e da lui autorizzato, si fece aiutare da alcuni legionari e andò a prelevare le casse contenenti i manoscritti traslocandole nell’accampamento pretorio.
I rotoli degli archivi pubblici e gli Atti del Sinedrio: quella fu la fonte cui attinse per raccontare le vicende giudaiche e descrivere il Tempio, la città con le mura e le imponenti torri.
In quei documenti - verbali di sedute che si accumulavano, anno dopo anno, molto prima di Erode il Grande - lui stesso ha potuto leggervi tutti i particolari storici registrati, riguardanti la sua terra, i personaggi più famosi della sua gente, i Giudei, i loro nemici e … le guerre.
Alle giovani generazioni di ebrei di lingua ellenica, disperse nell’Impero, e a quelle ancora più ad Est, oltre l’Eufrate, in aramaico, intese tramandare “la memoria” della loro religione, della Città Santa e del Tempio.
E’ dipeso da quell’occasione, che lui seppe cogliere allora, se noi, oggi, possiamo conoscere molti di quei retroscena che ci aiutano a comprendere meglio ciò che accadde quasi duemila anni fa, nonostante le censure ecclesiastiche.

… Ma anche la sua appartenenza alla casta aristocratica sacerdotale più elevata di Gerusalemme gli impose il dovere di farlo…


“Caifa”, il Sommo Sacerdote


La discendenza da una famiglia di Sacerdoti, così antica e potente, ci ha convinti, e le prove lo attestano, che il nostro storico è stato uno dei nipoti di Giuseppe, che fu chiamato Caifa, proclamato Sommo Sacerdote dal Prefetto Valerio Grato” il 18 d.C. (Ant. XVIII 35).
Egli fu l’accusatore di Gesù Cristo nei Vangeli e, come già sopra detto, qualcun altro prima di noi giunse alla stessa conclusione, ponendovi rimedio … ma lo fece male.
Nella genealogia della grande stirpe sacerdotale dello storico, risalente oltre un secolo e mezzo prima di lui, è contenuto un errore gravissimo che riguarda proprio suo nonno “Giuseppe”.
Questi, da quanto risulta in (Bio, 1-6), sarebbe nato…
“nel nono anno del regno di Alessandra nacque Giuseppe…”, cioè il 68 a.C…“…e da lui nacque, nel decimo anno del regno di Archelao, Mattia ”, il padre di Giuseppe Flavio, cioè il 6 d.C., “infine da Mattia nacqui io, il primo anno dell’impero di Gaio Cesare”, il 37 d.C..
Se fosse vero, suo nonno avrebbe avuto un figlio all’età di 74 anni…ma, questa assurdità viene smentita da un evento che, correlato ad altri, ci aiuta a fare chiarezza:
“Quando Erode il Grande assunse il potere régio (37 a.C), uccise Ircano e tutti gli altri membri del Sinedrio eccetto Samaia” (Ant. XIV, 175).
Fra quei membri del Sinedrio che misero sotto accusa Erode, per l’uccisione di Ezechia, padre di Giuda il Galileo (Ant. XIV, 167-168), vi era certamente anche uno dei suoi antenati, ma non l’ultimo nonno Giuseppe: ecco perché i conti non tornano.
E’ evidente che fra l’antenato “Giuseppe” nato il 68 a.C. e il “Giuseppe”, suo nonno, c’è una “mancanza”; ma l’errore non lo commise lo storico: è impossibile che lui non conoscesse l’età di suo nonno; l’errore si spiega con una “piccola manipolazione mistica” nella sua genealogia, descritta in “Autobiografia”, effettuata da chi aveva l’interesse ideologico di non fare apparire “Giuseppe che fu chiamato Caifa”, il Sommo Sacerdote, come nonno di Giuseppe Flavio.
Il nostro scriba Giuseppe, ligio ai suoi doveri di storico, trasmise ai posteri tutti i nominativi dei Sommi Sacerdoti del Tempio che presiedettero il Sinedrio, i quali, per l’ecumene degli Ebrei di allora, erano equivalenti al Papa di oggi dei cattolici. Lo fece riportando, come d’obbligo, il nome del padre di ognuno di lorotranne uno: quello di “[b]Giuseppe che fu chiamato Caifa”[/b].
Questo “modo” di identificare il Sommo Sacerdote, in un richiamo storico ufficiale, è unico e non rientra, sia nella prassi ebraica, dovuta allora per l’identificazione delle persone, sia nell’etica adottata dallo scrittore per tutti gli altri Pontefici, il cui nominativo richiedeva essere tramandato ai posteri completo proprio per l’importanza dell’ufficio ricoperto.
Se non si considera questa “mancanza”, si giungerebbe alla conclusione, obbligatoria, che escluderebbe “matematicamente” il nonno di Giuseppe Flavio come accusatore di “Gesù” perché, se nel 6 d.C. aveva 74 anni, all’epoca in cui lo incolpò ne avrebbe avuti centouno …secondo i Vangeli (centosei, secondo la storia) e ... secondo quanto vollero far apparire i manipolatori mistici, poiché, simile “vetustà” sarebbe servita a dirottare la curiosità degli storici troppo indiscreti e pignoli …
E, guarda caso, il Nuovo Dizionario Biblico della “Santa Sede”, edito nel 1993, alla voce “Sinedrio” fa una relazione delle funzioni e i poteri di tale organo riportando tutte le citazioni di Giuseppe Flavio tranne una: proprio il brano suddetto (Ant. XIV, 175). Questo passo, il più importante per l’uccisione di “tutti i membri", viene “dimenticato”.
Riflettiamo un attimo: se l’accusatore più accanito di Gesù Cristo, secondo i Vangeli, risultasse essere stato il nonno dello storico, immaginiamo quale dettagliata descrizione della vita del “Figlio di Dio” avrebbe dovuto tramandarci lo scrittore. Giuseppe non sarebbe stato “storico ebreo”, bensì “storico cristiano gesuita”, avendo suo nonno e suo padre toccato con mano, a Gerusalemme, il tanto atteso e sospirato “Messia Gesù”… e lo avrebbero sicuramente raccontato anche a lui da bambino, specie quando, dopo averlo accusato e fatto crocifiggere, da testimoni esterrefatti, videro che:

“si fece buio su tutta la terra, il velo del tempio si squarciò, la terra si scosse, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti morti risuscitarono e uscendo dai sepolcri entrarono nella Città Santa e apparvero a molti. (Mt. 26, 51/53).

Secondo i mistici falsari lo shock, subito alla vista degli zombi che camminavano al buio per le vie di Gerusalemme, avrebbe dovuto obbligare “Caifa”, suo figlio e successivamente suo nipote a pentirsi e convertirsi al cristianesimo gesuita.
I copisti non seppero farsi una ragione del perché lo storico non avesse riportato la cronaca di quegli avvenimenti e non fosse diventato cristiano; ma soprattutto … la mancata cronaca di quei fatti così clamorosi dimostra che non avvennero.
Sì, non possono esservi dubbi, fu questo il movente della manipolazione genealogica dello storico sacerdote: Giuseppe detto Caifa era il nonno di Giuseppe Flavio, ma, con tale soprannome, non doveva risultare nella genealogia da lui riportata in “Autobiografia” per le deduzioni che ne avrebbero tratto gli storici; al contrario, nei Vangeli, è solo con questo soprannome che conosciamo il Sommo Sacerdote: “Caifa”.
Ma “Caifa”, come nome proprio non esisteva nella Giudea di allora: era solo una qualifica che significava “indovino” o “Profeta” e, presa a se stante, non aveva alcun senso. “Giuseppe detto l’Indovino o il Profeta”, questo era un nome con un significato, esattamente come lo riporta la storia … ma, come abbiamo visto, senza patronimico.
Al nonno dello storico ebreo, il nome gli venne censurato nei Vangeli, il soprannome in “Autobiografia” e il patronimico in “Antichità”… pur di impedire l’identificazione del personaggio con le pericolose conseguenze sulla testimonianza di Giuseppe Flavio.


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Dai falsi miracoli alla Sindone: Santi Padri, bugiardi testimoni della "tradizione cristiana".


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Gli alti prelati del Vaticano temono il confronto sulla mitologia cristiana con Emilio Salsi. Ecco il carteggio.




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