Un saluto a tutti i visitatori.
Dopo un paio di giorni di “oscurità digitale”, eccomi nuovamente nel forum pronto ad affrontare e dibattere il tema di comune interesse: la veridicità dei protagonisti del Nuovo Testamento attraverso la comparazione con la storiografia d’epoca.
Le persone cui devo delle spiegazioni sono il sig. Leviatan e il sig. marziano dresda 99, con quattro stellette e tanto di medaglia al valore. Prima approfondiamo “Giacomo il Minore”, ovvero l’Apostolo fratello di Gesù “detto Cristo” che, secondo la “storia ecclesiastica” e Robert Eisenman, (lo ho letto) fu il successore del Redentore e capo della Chiesa “assiso sul trono episcopale di Gerusalemme” come riferisce lo storico Eusebio di Cesarea.
Ma, innanzitutto, questo “fratello” di Gesù, è esistito veramente? E…fu martirizzato?
Provo a sottoporvi una analisi storiologica della testimonianza di Giuseppe Flavio: studio che ho già dibattuto con eminenti esegeti clericali … rimasti di stucco e incapaci di replicare.
Giacomo il Minore. I^ parte: sintesi.
Paleografi, papirologi, biblisti e filologi hanno svolto il loro lavoro ma l’enigma “Gesù Cristo”, Apostoli e Sacra Famiglia non sono riusciti a risolverlo o non vogliono. Adesso tocca agli storici analisti capaci di indagare, senza essere condizionati dalla fede, le vicende evangeliche calandosi nel contesto dell’epoca con una visione generale dei fatti.
Da “Antichità Giudaiche” XX, 197-203:
“
Venuto a conoscenza della morte di Festo, Cesare (Nerone) inviò Albino come Procuratore della Giudea. Il re Agrippa poi allontanò dal sommo sacerdozio Giuseppe, detto Kabi figlio del sommo sacerdote Simone e gli diede come successore nell’ufficio il figlio di Anano, il quale si chiamava anche egli Anano. Con il carattere che aveva, Anano pensò di avere un’occasione favorevole alla morte di Festo mentre Albino era ancora in viaggio: così convocò i Giudici del Sinedrio e introdusse davanti a loro un uomo di nome Giacomo, fratello di Gesù, detto Cristo, e certi altri, con l’accusa di avere trasgredito la Legge e li consegnò perché fossero lapidati. Ma le persone più equanimi della città, considerate le più strette osservanti della Legge (i Giudici del Sinedrio) si sentirono offese da questo fatto. Perciò inviarono segretamente legati dal re Agrippa supplicandolo di scrivere una lettera ad Anano dicendogli che il suo primo passo non era corretto, e ordinandogli di desistere da ogni ulteriore azione. Alcuni di loro andarono incontro ad Albino che era in cammino da Alessandria informandolo che Anano non aveva alcuna autorità di convocare il Sinedrio senza il suo assenso. Convinto da queste parole, Albino, sdegnato, inviò una lettera ad Anano minacciandolo che ne avrebbe espiato la pena dovuta. E il re Agrippa, per la sua azione, depose Anano dal sommo pontificato che aveva da tre mesi, sostituendolo con Gesù, figlio di Damneo.”
Innanzitutto Anano “
consegnò” (stato di fermo momentaneo, affidamento) degli uomini “perché fossero lapidati” e
non “li fece lapidare ”. Su quegli uomini c’era un capo d’imputazione gravissimo che prevedeva la pena di morte, ma Anano non poteva lapidare nessuno senza il benestare del Procuratore
e questo il Pontefice lo sapeva benissimo; si limitò (e qui commise l’errore) a metterli in stato di fermo per anticipare i tempi in attesa del suo arrivo.
Anano era consapevole che il “diritto di uccidere” era prerogativa assoluta del Procuratore imperiale, e il minimo che gli poteva accadere, se si fosse arrogato lui quel potere, era di finire in catene come avvenuto dieci anni prima al Sommo Sacerdote Ananìa, o, ancora peggio, poteva fare la fine del proprio fratello più anziano, Gionata, Sommo Sacerdote prima di lui, fatto uccidere dal Procuratore Felice (Ant. XX 163) soltanto per averlo contestato; ma soprattutto,
sapeva che i Romani non si fidavano dei Sommi Sacerdoti giudei…sino al punto di pretendere di essere loro, di persona, a “processare” ed interrogare gli accusati, sotto tortura, per accertarsi
se erano dei ribelli e farsi rivelare i nomi dei complici prima di eliminarli.
Anano era certo, “col carattere che aveva”, che la logica della grave motivazione prevalesse sull’iter formale della procedura la quale prevedeva
la presenza del rappresentante di Roma per poter convocare il Sinedrio. Questa norma consentiva all’Imperatore, attraverso il suo funzionario di fiducia, di controllare politicamente cosa decideva il Sinedrio fantoccio di Gerusalemme.
Della lapidazione di Giacomo o chicchessia, per aver violato la Legge ebraica, ad Albino non importava affatto. Quando il Sinedrio si riuniva, il Procuratore lo voleva sapere e, preso visione degli argomenti che venivano trattati, a suo giudizio insindacabile, approvarli o meno prima di essere deliberati … Roma, semplicemente, non si fidava: tutto qui.
La fazione sacerdotale in quel momento contraria al Sommo Sacerdote Anano colse l’occasione per fargli le scarpe e alcuni di loro andarono ad Alessandria ad intercettare Albino (lui era il vero detentore del potere), “informandolo che Anano non aveva alcuna autorità di convocare il Sinedrio senza il suo assenso”;
questo era l’oggetto del contendere.
Al Procuratore non fu denunciata la gravità del reato di Anano per aver lapidato alcune persone
perché ancora non era stata eseguita la sentenza…impossibile senza la ratifica del funzionario di Roma; la denuncia riguardava solo la convocazione del Sinedrio avvenuta senza la sua approvazione e il romano “
convinto da queste parole” non volle sapere altro.
Giacomo non venne neanche nominato ad Albino, né avrebbe potuto conoscerlo; pertanto il Procuratore fece intervenire il Re “vassallo” Agrippa II e gli ordinò di deporre Anano, che aveva osato convocare il Sinedrio “
senza il suo assenso”, e al suo posto fu nominato l’altro “papabile” Sommo Sacerdote: Gesù, figlio di Damneo…fratello di Giacomo.
Infatti, dopo aver riletto il passo su riportato, se togliamo “detto Cristo”, rimarrebbe solo “
Giacomo, fratello di Gesù”, senza patronimico (d’obbligo in prima citazione), di conseguenza,
l’unico “Gesù” che ha il patronimico è “
Gesù, figlio di Damneo”, pertanto lo scrittore non riporta il patronimico di Giacomo perché, essendo fratello di Gesù, figlio di Damneo,
anche Giacomo è figlio di Damneo. Infatti, se fosse stato un altro giudeo di nome “Gesù”, non figlio di Damneo, lo storico ne avrebbe dovuto riportare
l’altro patronimico.
Che non fosse Gesù “Cristo”, viene testimoniato anche dal Padre apologista cristiano
Orìgene che, nel III secolo, in due sue opere (Commentarium in Matthaeum X,17 e Contra Celsum I,47),
riferendosi a questo episodio dichiara candidamente, sorpreso e nello stesso tempo dispiaciuto, che «
Giuseppe (Flavio), non conosceva Gesù come “Cristo” ». Particolare talmente importante che vale anche per il “Testimonium Flavianum”.
L’intromissione spuria di “Cristo” nella frase riportata “
Giacomo, fratello di Gesù, detto Cristo”, richiama, volutamente, Gesù Cristo e la sua famiglia, come ci è stata descritta dai “Sacri Testi”, ma è proprio questo a dimostrarci che Giuseppe Flavio, veramente,
non conosceva affatto “Gesù Cristo” e quindi
non poteva riferirsi a lui perché, altrimenti, avrebbe dovuto scrivere: “
Giacomo, uno dei fratelli di Gesù, detto Cristo” … o, ancora meglio, secondo quanto sostiene la Chiesa: “
Giacomo, uno dei cugini di Gesù, detto Cristo” cui, obbligatoriamente, avrebbe dovuto seguire…figlio di…?…e qui iniziano i dolori, come stiamo per vedere. Giacomo, fratello di Gesù, figlio di Damneo, e certi altri, se la cavarono. Infatti, se (per assurdo) fossero già stati uccisi, che bisogno c’era di correre ad Alessandria da Albino?. L’accusa contro Anano di aver convocato il Sinedrio senza la sua autorizzazione rimaneva e la avrebbero potuta usare dopo, aggravata dalla violazione del “ius gladii” (diritto di uccidere), giusto il tempo che il romano giungesse da Alessandria…e soprattutto, non “
si sentirono offesi” per il linciaggio: sarebbe una frase ridicola se fosse collegata all’eccidio di molti uomini.
La mania del “martirio” è tale che la manipolazione della sua invenzione ci viene testimoniata anche dal Santissimo Vescovo “storico” Eusebio di Cesarea che, nel IV secolo, così la racconta: “
In realtà vi furono due Apostoli di nome Giacomo: uno il Giusto, fu gettato giù dal pinnacolo del Tempio e bastonato a morte da un follatore; l’altro fu decapitato” (HEc. II 1,5). Inoltre, per dare maggior peso alla “testimonianza”, accredita a Giuseppe Flavio la falsa affermazione che “
il martirio di Giacomo causò la distruzione di Gerusalemme come punizione divina” (HEc. II 23, 19-20). Abbiamo visto che le “gesta” di questi due “Giacomo”, Apostoli inventati con fini dottrinali, (il Tempio di Gerusalemme non aveva “pinnacoli”) non sono rapportabili a “Giacomo, fratello di Gesù” riferito dallo storico ebreo; piuttosto denunciano i tentativi, falliti, di costruire una vicenda religiosa alla quale dare credibilità storica tramite un appiglio costituito dal nome “Gesù”, molto popolare fra i Giudei dell’epoca.
E tutti gli esegeti mistici fanno finta di ignorare la “
piccola contraddizione” contenuta nel “Sacro Testo”:
San Luca segue gli Apostoli nei loro “Atti” fino al 64 d.C. ma
non riporta la morte di “Giacomo il Minore”… la ignora, senza provare per lui alcuna “pietà”.
San Luca riferisce di Saulo e lo segue fino a Roma nel 63-64 d.C. (At. 28, 30), ma ignora il “linciaggio di Giacomo il Minore” che sarebbe avvenuto nel 62 d.C. … eppure si trattava di uno dei “
Dodici Apostoli”, Capo della Chiesa di Cristo e Vescovo di Gerusalemme…ma, evidentemente, ancora non era stato inventato
l’alter ego dell’unico “Giacomo” esistente nei manoscritti originali. Questa lacuna negli “Atti degli Apostoli” è talmente grave che il solito Eusebio di Cesarea decide di “correggerla” raccontandola così: “
Poiché Paolo si era appellato a Cesare Nerone e Festo l’aveva inviato a Roma, i Giudei si volsero contro Giacomo, fratello del Signore, al quale gli apostoli avevano assegnato il trono episcopale di Gerusalemme” (HEc. II 23,1). Visto come è semplice creare la “storia”…i Vescovi assisi sul trono e…la religione? … Giuseppe Flavio non riporta le motivazioni dell’accusa del Sommo Sacerdote limitandosi ad un generico “
per avere trasgredito la Legge” perché il procedimento contro gli accusati, in stato di fermo, “
consegnati”, fu annullato dalla rimozione di Anano.
Altro particolare importante da sottolineare è che, in “Atti degli Apostoli”,
“Gesù” non viene mai nominato nel Sinedrio, dai Giudei, se non con la generica definizione di “costui”, pertanto, questo episodio, riferito a un vero Sinedrio, sconfessa gli “Atti degli Apostoli” poiché
si dimostra che i Sacerdoti Giudei non avevano problemi a nominare “Gesù”…tranne negli “Atti” di Luca: per i Giudei “Gesù” ricordava “Giosuè” (colui che salva), mentre per San Luca e gli altri evangelisti, non era un nome ma un attributo divino “Salvatore” e, come tale, non riconosciuto dagli Ebrei. Inoltre, se fosse veramente esistito il “cristianesimo gesuita” entro il I secolo, lo storico lo avrebbe conosciuto e avrebbe scritto così: “
Giacomo l’Apostolo, Episcopo di Gerusalemme, uno dei fratelli di Gesù, detto Cristo…”.
Giuseppe, nelle sue opere, non usa
mai il termine “Apostoli”: non li conosce…come non ha mai conosciuto o sentito parlare di “miracoli” spettacolari da loro esibiti davanti al Tempio e nelle piazze di Gerusalemme al cospetto di folle venute dalle città vicine (lo storico nacque nel 37 d.C.).
Ma ciò che rende veramente importante questo Atto del Sinedrio, risalente al 62 d.C., è costituito dal fatto che è
l’unico, registrato dallo storico, dalla morte di Erode il Grande in poi, e il motivo per cui fu lasciato, ovviamente, è quello che stiamo dibattendo.
Intanto, se abbiamo potuto leggere la cronaca di questo Sinedrio è per un solo scopo: il nome “Gesù”; ma non il “Cristo” che tutti sappiamo, come ci si vorrebbe far credere con la piccola manomissione, bensì un altro, uno dei tanti ebrei di nome “Gesù” (Giosuè) che vivevano nella Giudea del I secolo. “Cristo” non può averlo scritto Giuseppe Flavio: è stato aggiunto da un “pio” falsario, organizzato e diretto da mani forti. Chi altri, se non uno scriba cristiano con un preciso disegno, avrebbe potuto mettere nella penna di un eminente sacerdote fariseo la parola “Cristo” equivalente a “Messia”, il prescelto da Dio come guida del suo popolo?…senza minimamente riflettere che lo scrittore, come ebreo, si sarebbe sentito in obbligo di riempire svariati rotoli manoscritti per descrivere la divinità che lui stesso attendeva …
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