Questa è la completa intervista recensione rilasciata dal Prof. Filipponi al “Quotidiano” giornale di Sambenedetto del Tronto.
Augusto, Tiberio e gli Erodiani del prof.Filipponi I°cap) Mi riferisco anzitutto allo studio del rapporto tra il Giudaismo Erodiano conosciuto a Roma e l'Impero Romano nel primo secolo a.e.v. Inizialmente cercherò di descrivere con esattezza il Giudaismo vissuto da Erode, dai suoi figli e nipoti, per poi diffondermi sull'esame del Giudaismo ellenizzato con tutte le sue contraddizioni. Evidenzierò inoltre come la politica Giulio-Claudia si sia attenuta ad un simile sistema morale, convinta di poter integrare il mondo giudaico nel kosmos, nonostante la forte opposizione popolare Palestinese. Per me il capitolo, perciò, è determinante per la comprensione dell'equivoco della romanitas aristocratica(divenuta suddita da repubblicana)corrotta, convinta di trovare sempre una soluzione con altri corrotti e corruttori, quali erano i Sadducei(sacerdoti del tempio) e gli erodiani, la pars dominante in Ioudaea. Infine per me far luce su questo rapporto, specie fra Gens Giulio-Claudia e Gens Erodia, significa avere una torcia in una doppia grotta, buia, di cui una impenetrabile, che permette di illuminarne una e di intravvedere qualcosa dell'altra. Infatti, mentre zumo sulla pars sacerdotale ed erodiana, per contrasto mi viene fuori anche l'altra pars popolare, piccola sacerdotale farisaica, zelotica ed essenica integralista, rimasta nascosta nella storia. Con questa illuminazione un'altra storia si è aperta, si è fatta esplorare, si è rivelata pur sotto le parole, trattanti la storia ufficiale. Dalla guerra civile tra Cesare e Pompeo a quella tra Ottaviano e Antonio, il giudaismo ha diverse opportunità di indipendenza espresse con una certa violenza dalla pars antiromana, comunque facilmente represse. Poi ha altre possibilità di indipendenza: una rivoluzione(stasis)al momento del ritiro di Tiberio (7 e.v.) a Rodi a causa della decisione di Ottaviano Augusto di dare auctoritas ai figli di Vispanio Agrippa, due in seguito, all'atto dell'esautorazione di Archelao, e l'altra alla morte di Seiano. L'integralismo giudaico sempre approfitta di tutte le situazioni, fiducioso in Dio e nel Malkut, fanatici del proprio regno. A seguito delle divisioni dell'imperium romano, convinto di poter realizzare il nuovo patto di alleanza in un crescendo drammatico di impegno militare. Dopo una lunga riflessione, durata un sessantennio, il giudaismo inizia una nuova rivoluzione, preparata nascostamente nel periodo Flavio, manifestatasi nel momento Traianeo, nel corso della guerra nabatea con nuovi obiettivi ma con le stesse finalità, fino all'impresa di Bar Kokba e al Galuth definitivo in epoca adrianea. La tradizione evangelica ed apostolica ha cercato di non lasciare tracce antiromane e a volte (ritengo) ha cancellato perfino i segni di questa antiromanità, mandandoci un piano generico di filo romanità, venato da cenni di insubordinazione nel quadro di una normalità amministrativa romana, preoccupata di dare un ritratto filo romano di Gesù, come Jesous Christos Kurios. La filo romanità di Gesù Cristo non è solo equivoca perche un giudeo popolare, avendo un'anima antiromana palestinese, tesa al malkuth in senso nazionalistico, non può essere commisurato con il metro dell'erodiano e dell'ellenista, ma è falsa perche è estrapolata dal suo contesto storico tiberiano ed immessa in un altro, quello dell'epoca Flavia. Per me comprendere questo equivoco e questo falso è stato doloroso perche avevo letto i vangeli fino a trenta anni circa, acriticamente, fiducioso nell'insegnamento cattolico. Lo scoprire lentamente che esistono due concezioni, un romana e una giudaica, il rilevare continuamente segni indicanti staseis a livello popolare e il notare un politica ambigua a livello aristocratico hanno determinato un trauma che ha vanificato il mio sistema personale religioso ed hanno sorretto e radicato sempre più la convinzione che il Regno dei Cieli non è il Regno di Dio, ma una fase precedente Giudaica, basilare per la dimostrazione della figura umano-divina di Jesous Christos Kurios dalla persona umana di Jehoshua Barnasha (figlio dell'uomo), tecton, (architetto) taumaturgo, maran (re) e soter, (salvatore) di Israel tra il 32-36 e.v. Comunque io tratto fondamentalmente in senso storico un figura, la cui vita dovrebbe essere compresa tra il (10)-7 a.e.v. e il 36 e.v. Che precede il cristianesimo, nato da questa persona però ellenizzata definita in greco Christos (tradotto da Mashiah) da cui si denominano i seguaci Antiocheni di Paolo di Tarso nel 43-44. Il mio lavoro precede la fase del regno di Erode Agrippa (37/44 e quella "cristiana" iniziante nel 43/4, in cui si evidenziano i veri continuatori di Jehoshua, con un preciso capo, il fratello Jakob, che vive stabilmente a Gerusalemme, dove ha una funzione sacerdotale riconosciuta dal popolo e dall'autorità. Lo studio quindi rileva anche i successivi sviluppi di questo sacerdozio, sancito forse da Erode Agrippa a Jakob, la cui presenza in Gerusalemme, accanto a quella Sadducea fu fonte di divisioni interne e di fazioni giudaiche antiromane e filo romane tanto da determinarne una guerra. Inizio perciò la mia trattazione con l'idea che Roma repubblicana e poi Ottaviano Augusto e Tiberio non compresero effettivamente il giudaismo ma solo il sistema di vita degli erodiani, dei nipoti di Erode, che vivevano il giudaismo da ellenisti e perciò l'intervento romano sui giudei fu inadeguato, imperfetto, inadatto sia in senso repressivo che in senso integrativo. Ne deriva che la storia di Jehoshua e dei suoi seguaci è compresa in questo esame storico del giudaismo palestinese, che fu incluso nel periodo di Erode Agrippa, federativamente nel sistema imperiale, e poi congiunto direttamente all'imperium, come porzione provinciale siriaca, con qualche specifica e tipica prerogativa, controllata da un praefectus di nomina imperiale, di secondo grado, equestre, o liberto, secondo la nomina imposta da Claudio. (41-54) I Giulio-Claudi, spece Caligola e Claudio, conoscevano perfettamente il mondo giudaico. La loro vita era stata immersa nel giudaismo fin dall'infanzia, grazie ad Antonia Minor, nonna e madre dei due imperatori, che aveva avuto rapporti e relazioni continue con gli erodiani specie con Berenice di Salomè, come già Livia Augusta con Salomè stessa, sorella di Erode il Grande. Questi due imperatori, specialmente, pur amando il giudaismo, sebbene in modo differente, ne rilevavano i meriti, ma ne comprendevano anche la ostilità sottesa, data la pretesa "elezione" divina al dominio ecumenico, nel formale ossequio e nella volontà di separarsi religiosamente. Specie Caligola che tendeva alla theosis pur essendo stato educato retoricamente dai giudei, disdegnava la pratica rituale in cui vedeva un oltraggio alla sua figura divina, proprio per il culto unico di latria imposta dalla Torah. Comunque gli imperatori romani leggevano la pietas-giudaica considerandola come una pratica cultuale barbarica, semitica; la accettavano sincretisticamente ai fini del Kosmos imperiale, ma la disdegnavano e in un certo senso deridevano il fariseismo e il dogmatismo prescrittivo, privilegiando la classe sacerdotale filo romana e trascurando quella popolare antiromana, in quanto dominata dal partito filo romano e quasi "oscurata", repressa violentemente e neanche palesata, come una vergogna nazionale. Gli imperatori condizionati dal giudizio sadduceo curavano solo l'élite, distaccata dalla massa ignorante feticistica, lontanissima dalla sincretica civiltà della tolleranza ed incapace di capire il Kosmos imperiale, ben inteso dalla classe sacerdotale, a detta di Filone Alessandrino Roma aveva unificato già il mondo culturalmente (il fecisti patriam gentes. unam fecisti, quod priu orbis erat è un'eco decadente della sintesi latina del sistema cosmico ellenistico, unificante tutti i cives dell'urbe e i soci dell'imperium, già in epoca Tiberiana) ma aveva avuto effettivamente per quasi due secoli come oppositore il popolo giudaico-palestinese. Il virgiliano compito del romano(Tu regere imperio populos, Romane, memento/pacique imponere morem/. parcere subiectis et debellare superbos) non è retorica ma una realtà già imposta, un dato di fatto, una regola, meglio una legge accettata da ogni cittadino dell'imperium. La presunta missione egemonica, invece, giudaica, era un atto di superbia che doveva essere represso. Già in altra sede ho dimostrato il valore del sintagma "popolo giudaico", la cui cultura è rilevabile grazie alla lettura del vecchio testamento ed è contrassegnata non da Shalom ma dal suo opposto che indica separazione con volontà di fare guerra: l'am ha aretz (popolo della terra) si realizza non mediante la pace ma mediante la guerra, perseguita con una pertinacia e costanza illimitata perche alimentata da profeti e magi , sorti dal ceto popolare o dagli esseni. Nel popolo si è radicata la coscienza di una vittoria, grazie alla tradizione di un Malkut danielico: ogni giudeo è convinto, per quasi due secoli finche un piede romano calpesta il suolo sacro di Giudea e specie di Gerusalemme e della spianata del Tempio, finche la torre Antonia "sorveglia" il tempio non ci può essere pace, solo con la cacciata dei romani si può realizzare il nuovo patto di alleanza con Dio in Gerusalemme. Ora, invece, Roma vedeva genericamente il valore morale di Gerusalemme e del Tempio, lo rispettava, come venerava città sacre e un qualsiasi altro tempio ma non rilevava l'unicità del luogo e la peculiarità della pietas giudaica, considerati religio-(superstizioni), forma di mithos. Augusto e Tiberio specificamente, pur sfruttando gli introiti del Tempio, in senso politico tenevano sotto vigile controllo il giudaismo, non solo per lo zelotismo e il filopartismo palestinese, ma soprattutto in considerazione dell'ecumenicità etnica giudaico ellenistica, del rilievo degli emporoi(commercianti)ellenistici alessandrini e del valore morale di Gerusalemmee del suo monte del Tempio per oltre 2.500.000 di uomini. Di norma i trapezitai(banchieri) connessi con il sistema mercantile ed industriale, coscienti anche della vicinanza col confine della Partia, in cui vivevano colonie di Giudei, che parlavano la stessa lingua aramaica, disseminate a Nord in Adiabene e a Sud, tra Ctesifonte e Seleucia, anch'esse gravitanti nell'area del tempio e paganti loro la didracma. Inoltre Roma, dopo avere l'intero stato della Ioudaea con re Erode, l'aveva poi smembrato in tetrarchie ed infine aveva deciso per un integrazione nell'impero, cosciente però che una parte di Giudaismo era inglobata nel regno di Partia. All'epoca di Tiberio quindi la Iudaea costituiva l'ossatura economico-finanziaria perche il tempio con la sua banca aveva un potere aggregante, nonostante le divisioni ideologiche, tra i fratelli integralisti di palestina e quelli filo romani ellenistici, tramite la tzedaqah. II°cap.)Il problema storico e la funzione dello storico della storia delle religioni. Ai fini di tale ricerca, mirata sul rapporto diretto Gens Iulia e Gens Erodia, e sulle conseguenze storiche e politiche, ritengo necessario precisare prima la funzione dello storico in genere e quello di storico della storia delle religioni in specifico, in modo da affrontare senza equivoci il problema del Giudaismo, visto dai Romani e da Augusto all'atto della costituzione dell'imperium e poi del sorgere della comunità di Jehoshua, tesa al Malkuth ha Shemaim e del primissimo cristianesimo paolino evangelico del periodo flavio, come Regnum Dei diffusosi successivamente in ogni parte del mondo romano. Ritengo che uno storico sia tale, se vive la storia di cui scrive, in quando conosce la lingua del popolo, la sua storia, la sua geografia e tramite la lingua e i prodotti letterari sa ritrovare il sistema di vita quotidiano e quindi ogni forma culturale, compresi i paralinguaggi e metalinguaggi, che permettono di cambiare perfino quando detto esplicitamente. Penso che uno storico sia veramente storico se registra i fatti, li cataloga in modo diligente non emotivo, mostra i personaggi e i popoli, oggetto del suo lavoro, in senso ne apologetico ne categorico ma senza difendere uno ed accusare l'altro, studia ed investiga le fonti e da esse trae risultanze senza preconcetti, cosciente che non consegue la verità ma solo probabilità euristica, relata a quella skepsis. Il procedimento storico greco-ellenistico secondo acribeia sottende e l'essenza studium e di ira tacitiano, intesi come stati emotivi, e lo scrupolo di indagine. Esso implica la neutralità anche ideologica, che ingloba superficialmente il pensiero della pars popolaris, che non essendo documentata, viene espressa marginalmente mediante rumores, proprio mentre fa emergere la ratio della aristocratia, che è protagonista della storia ufficiale, di cui invece ha le testimonianze. I Giudei Filone e Flavio, pur parlando di acribeia, hanno solo la concezione esteriore di ricerca, ma sono del tutto di lettura neutra delle fonti stesse in quanto teleologici e teonomici: le loro letture inficiate di mithos, sono interpretazioni a volte perfino simboliche, tipiche della visione della loro storia(toledot) Essi in quanto teleologici e teonomici esprimono solo la storia aristocratica, convinti di fare la storia giudaica, come un autore romantico scrive la storia facendo la storia di una élite, incurante della pars popolare, in modo sentimentale, definendo popolo la nazione. La storiografia classica studia solo il fenomeno per come è riportato dalla chronica, patrimonio dei nobili e dei sacerdoti come annales. Comunque, lo storico, seppure con questi limiti, è storico solo se è neutro nella lettura delle probabili risultanze, se ha, una visione normale dei fatti senza forzarli ne accomodarli, se li legge e li registra fedelmente, per poi, sulla base delle analisi, rilevare i motivi centrali ed affrontarli serenamente senza strafare e senza voler dimostrare qualcosa: suo compito è solo mostrare i fatti nella loro disposizione storica sincronica, come continuazione o interruzione di un processo diacronicamente seguito, letto come risultanza. Lo storico sa che la valutazione non è di sua competenza e che la sua funzione è quella invece solo di segnare il percorso e di manifestare il processo di un popolo, che è proprio della sua storia e che esprime i segni del suo essere, del suo farsi popolo nel quadro di esperienze, che lo orientano progressivamente verso un avvenire, considerato migliore in quanto produzione ottimale del momento. Capita però che lo storico, progredendo, lasci signa(semeia)come segnali in relazione alla sua visione dei fatti concatenati, in quando condizionato dai tempi, dalla sua formazione e dal contesto letterario, culturale, sociale ed economico di cui il suo pensiero è manifestamente concreto. Lo storico, che legge lo storico, deve da una parte seguire l'iter di chi scrive e rimanere nella sua logica e da un'altra tenere presente il condizionamento letterario e che ingloba ogni altro elemento umano, altrimenti i fatti non sono letti ma tradotti, interpretati secondo il sistema di scrittura vigente all'epoca o ancora peggio del nostro tempo. Lo storico che legge dal presente una vicenda passata, inoltre, è portato a vedere ogni cosa al suo tempo e quindi tende ad applicare un criterio in relazione alla vicinanza o alla lontananza dalla sua angolazione e deve, quasi necessariamente, comprendere, leggere secondo il suo sistema di rappresentazione culturale, dando una visione storica alterata. Ora nel caso, prima, del giudaismo, le fonti storiche, scritte, sono della cultura superiore sacerdotale sadducea e di quella farisaica, che hanno tramandato oralmente un tradizione popolare, che è rilevabile nella Bibbia e nel Talmud in cui la Toledot storica scritta, variamente tramandata e quindi elaborata, sottende un'altra storia popolare, nobilitata, i cui eroi, zeloti, specie del periodo di dominazione romana, hanno lasciato segni, poi maturati in altri contesti, come quelli maccabei del periodo di lotta antilagide divennero exsemla per i giudei delle successive generazioni. Nel caso del cristianesimo primitivo, denominato dalla figura di Jehoshua Barnasha a del suo vangelo, connesso con la tradizione popolare, proprio del periodo augusteo-tiberiano, rivoluzionaria, non esistono fonti, ma solo cenni sparsi, occasionali comparabili però con quelli maccabaici: i vangeli canonici sono del periodo Flavio ed evidenziano una cultura sincretistica, che tende ad integrarsi nel kosmos romano ellenistico cosmopolita ed esprime un altro personaggio in Jesous Kristos Kurios, redentore del mondo. Inoltre il cristianesimo evangelico, fenomeno proprio del I e II secolo e.v. radicatosi, dopo il Galuth giudaico del periodo adrianeo, non credo che sia possibile una lettura idealistica che vede la nostra religione come espressione massima rispetto alle altre religioni e ne rileva la sua superiorità su ogni altra: uno storico romantico non ha niente di storico, specie se filosofo, e la sua ricerca è inficiata alla base, dalla sua conoscenza sentimentale e patetica. Non è compito dello storico documentare la veridicità della figura del Cristo (da cui è sorto quel fenomeno), posto in quel dato ambiente giudaico, in quella società, in cui è vissuto e da cui è stato partorito: suo compito primario è rilevare la figura di Gesù nella sua configurazione giudaica ed aramaica e poi operare in senso greco-ellenistico e latino-medievale, insomma far luce, per quanto è possibile, su Jehoshua bar Josip, identificarlo non solo nei vangeli canonici ma anche in tutte le fonti che possono aggiungere particolari dati per una oggettiva, per quando è possibile ad un uomo, ricostruzione storica. Solo dopo aver visto i fatti umani di un Gesù, elemento di stirpe giudaica che vive effettivamente, nella sua realtà umana e storica del periodo Seianeo (23/31) e postseianeo, in cui si verifica la dilacerazione e lo sdoppiamento dell'imperium tiberiano, lo storico può rilevare il costituirsi di una comunità "cristiana" e seguire la sua storia nell'impero, dopo aver colto l'effettivo evento glorioso, che ha reso unico e irripetibile per il giudaismo il personaggio. Senza la centralizzazione di questo evento (prescindendo da quello mitico della nascita di un dio-uomo, della sua morte e resurrezione) e la sua ricostruzione, è impedita è atrofizzata ogni storia(direi, volontariamente negata). Penso con tristezza che non sia entrato ancora in circolo quanto scrisse Bultman nel 1941 circa il carattere storico della interpretazione religiosa. Ritengo attuali le sue parole e significative, dette nella conferenza sulla demitolocizzazione del contenuto evangelico e specificamente della figura e della vita di Cristo. Personalmente (sono forse un indegno ricercatore, d'altra parte sconosciutissimo, vissuto per tutta la vita nell'anonimato, senza titoli accademici!) penso che sia compito dello storico solo studiare i fenomeni ed interpretarli come si può, cioè con tutti i mezzi tecnici a disposizione purché si rilevino esattamente i contesti, si leggano tutti i testi possibili e si confrontino in modo da inserire l'oggetto di studio in un complesso in cui vari fasci di luce lo inondano e danno quasi necessariamente una risultanza, che è la più probabile (dopo un'infinità di scarti), la più sicura, certamente, rispetto a confessionali o teleologiche, poiché frutto di lavoro e poiché derivata da un percorso di studio serio, anche se limitato, dati i limiti umani di ogni ricerca. Tutte le discipline affini, comunque, vengono fatte interagire e portano settorialmente un contributo allo storico, che accetta la fonte archeologica, numismatica, corografica ed ogni altra che possa dare una qualche luce all'oggetto di studio. Infatti vengono visti scorrere davanti a lui ormai spettatore neutro, che si è tirato fuori perfino dalla vita del suo presente (senza però rinnegarlo) e cerca di far da spettatore passivo anche della sua realtà umana contingente, senza provare alcun sentimento, consapevoli solo della propria umanitas, cosciente di essere giunto all'epoché settica e sicuro solo di fare una narrazione fattuale coordinata secondo logos. Il cristianesimo, dunque, noi lo studiamo in due fasi distinte: quella del pre-cristianesimo proprio di Jehoshua e di Jakob fino alla distruzione di Gerusalemme, che si interseca, si scontra, convive ostilmente con l'imperium giulio-claudio e quella del cristianesimo evangelico canonico del periodo flavio-antonino. Il primo il Regno dei Cieli, il secondo il Regno di Dio. In questa operazione abbiamo segnato il momento in cui i Giudei, che avevano una cultura giudaica come si rileva nei testi del Vecchio Testamento e nella loro toledot sentono che è giunto un momento per loro storico, quello del Malkuth ha shamaim ed abbiamo rilevato come lo realizzano, in una prima fase e come in una seconda fase, nel periodo Flavio, creano invece un altro Regno, quello di Dio in modo sincretistico. Infatti vengono esaltate altre forme culturali, quelle proprie dell'ellenismo romano che raccogliendo l'eredità culturale giulio-claudia) da una nuova linfa al Malkuth di Jehoshua Barnasha e lo trasforma in un altro Malkuth con la nuova figura di Jesous Christos Kurios. Questa figura Gesù-soter-Dio domina, pur essendo apparentemente combattuta e condannata in quando fondatrice del nome cristiano(in quanto seguace di Cristo, un uomo che subì sotto Ponzio Pilato la condanna ad opera dello stato romano): il crimen è accusa mortale per tutto il II-III-IV secolo, prima del riconoscimento cristiano con Costantino, anche se c'è una grande ambiguità ed equivocità in un contesto, in cui si ha la coscienza della decadenza religiosa pagana. Comunque bisogna dire che il nuovo credo religioso cristiano è accusato, ma è già professato dovunque, specie in epoca commodiana e severiana. Inoltre, uomini, dapprima come Plutarco in sull'Eclisse degli Oracoli e Cassio Dione poi in Storie sembrano evidenziare il tramonto di un mondo e testimoniano implicitamente l'avvento di una nuova cultura, vista anche da Plinio che bolla come superstizio parva ed immodica e da Tacito che, dopo averla definita detestabile superstizione ne fa anche la storia, vedendo la nascita di tale peste in Giudea, la sua iniziale repressione sotto Tiberio e il diffondersi con l'apporto di quanto barbaro e ingnominioso esista nell'imperium. Al di là delle dispute sul cristianesimo, e delle tante questioni circa la sua organizzazione nell'impero romano nel corso del II e III secolo, esso risulta vincitore con Costantino e perciò sorge il problema religioso storico di uno studio sul momento costantiniano e la ristrutturazione del Kosmos romano ellenistico in senso cristiano. La storiografia ha variamente interpretato la ristrutturazione cristiana di Costantino dibattuta e circa la vittoria cristiana e circa la situazione dei primi decenni del IV secolo e.v. Lo studio del cristianesimo va fatto più in relazione all'accettazione di Costantino della nuova cultura ormai dominante nell'imperium, che sulla sua conversione, in una volontà di mostrare la struttura cristiana, superiore, che già vittoriosa, costituiva la nuova base dell'impero. I ragionamenti degli storici discutibili a volte, le prove addotte altre volte accettabili, le verifiche fatte sono a mio parere novità a seconda del momento storico di chi scrive, ma hanno in comune una sostanziale oggettività, la costruzione di un nuovo ordine pagano-cristiano sulla figura umano-divina del Cristo. Questa premessa è stata fatta perché la ricerca sull'impero romano è stata realizzata per una migliore comprensione del fenomeno giudaici-basileico ed anche cristiano, non ben distinti dalla nostra tradizione religiosa. Noi siamo convinti che i seguaci di Giacomo messianici e quelli di Paolo cristiani, una volta separati definitivamente hanno avuto una storia diversa: gli uni in seno ai Parti e ricompattatisi con i giudei mesopotamici hanno scritto la loro pagina di storia con la Mishnah e il Talmud; gli altri hanno creato strutture significative nell'impero tali da essere vittoriose con Costantino che le applica nella sua renovazio imperii. Questa premessa perciò è condizionata e prefissata anch’essa: è solo analizzata una corrente in un mare di notizie per chiarirne l'esistenza; il mare fa da contorno quasi da contrasto nella sua diversità di flusso di salinità. Anche questa ricerca però sottende un fine (telos) che deve essere conosciuto dal lettore, che affronta il lavoro sulla romanitas giudaica e sul giudaismo-romano: non si può parlare di acribeia se non si dichiarano almeno gli scopi specifici, dato che le finalità spesso sono a livello inconscio.
Per tutti gli Amici Cecco
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