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 Oggetto del messaggio: Emilio Salsi: Non sono esistiti gli Apostoli
MessaggioInviato: 03/11/2009, 14:57 
Non sono esistiti gli Apostoli.

Un biblista non deve limitarsi a comparare, fra loro, la documentazione evangelica e le “testimonianze” dei Padri della Chiesa per scoprirne le contraddizioni (e sono molte) riscontrate nei testi dottrinali ad oggi pervenutici, ma , il metodo più proficuo, ai fini dell’accertamento delle verità o delle falsificazioni, è quello di confrontare tali scritti avvalendosi della storiografia laica per verificarne la corrispondenza attraverso una analisi testuale più avanzata. I personaggi che interagirono con i “santi protagonisti” furono uomini famosi, esistiti realmente, e per questo rintracciabili nella “storia” … quella vera.

Tacito, Svetonio, Giuseppe Flavio, Cassio Dione, Plinio il Giovane, gli Esseni dei rotoli del Mar Morto, gli scritti patristici e molti altri, quando riportarono gli avvenimenti di allora, inconsapevolmente, hanno tramandato testimonianze, tali, che oggi permettono di ricostruire gli avvenimenti giudaici di duemila anni addietro e far luce sul vero “cristianesimo” primitivo.
La storia è in grado di dimostrare la falsificazione di tutti gli “Atti del Sinedrio” di Gerusalemme riportati negli “Atti degli Apostoli” (le gesta di “San Pietro”, “San Paolo” e “Santo Stefano”) e dei Vangeli; ma l’analisi storiologica va oltre ed è in grado di scoprire il motivo delle mistificazioni … e perché l’unico “Atto del Sinedrio”, tramandatoci da Giuseppe Flavio, dalla morte di Erode il Grande in poi, risulta essere soltanto quello di Giacomo fratello di Gesù (detto Cristo).

Dagli “Atti” di un vero Sinedrio ebraico, mentre era in corso il “Processo a Gesù”, non sarebbe mai risultato che i Giudei scagliarono contro se stessi e i propri figli la maledizione riportata nei Vangeli: “E tutto il popolo rispose: il suo sangue (del Messia) ricada sopra di noi e i nostri figli” (Mt. 27, 25).
Sarebbe stato impossibile per un eminente sacerdote e principe ebreo, come Giuseppe Flavio, discendente dagli Asmonei e da Sommi Sacerdoti, sottoscrivere un simile paradosso: il popolo giudaico che, dopo averlo osannato, fa crocefiggere il proprio “Messia” e nel contempo si maledice per l’eternità. Questo aspetto, già evidenziato dagli storici secoli addietro, ci porta ad indagare ulteriormente su gli “Atti degli Apostoli”… perché, ciò che viene riferito in tale documento, in ultima analisi, avremmo dovuto trovarlo negli Atti di un vero Sinedrio e riportati dallo storico in “Antichità”.

Come abbiamo visto, due Apostoli, Giacomo il Minore e san Paolo, una volta verificate le loro gesta con uno studio critico, non sono più credibili; ne consegue l’obbligo di comparare gli Atti degli Apostoli con la storia e verificare se i protagonisti evangelici, tutti, sono realmente esistiti o, piuttosto, come vedremo, si tratta solo di personaggi teologici, o meglio, involucri ideologici di una nuova dottrina, evolutasi da quella primitiva, serviti a celare i veri protagonisti di avvenimenti accaduti nel I secolo.
E’ con la storia che possiamo dimostrare l’insussistenza degli “Apostoli”, pertanto apriamo il “sacro testo”, redatto dall’evangelista "Luca", che ne descrive le opere.


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MessaggioInviato: 03/11/2009, 15:58 
I^ Parte - Atti degli Apostoli

Dopo l’ascensione di Gesù sopra una nube, gli Apostoli, rimasti nella Città Santa, danno inizio alla diffusione della dottrina predicata da Cristo al fine di salvare gli uomini dalla morte e dalle fiamme dell’inferno. Sotto il portico di Salomone e nelle piazze, emulando il loro “Maestro”, dimostrano le loro capacità miracolistiche esibendosi in guarigioni straordinarie, esaltano il popolo e attirano la folla delle città vicine “che accorreva, portando malati e persone tormentate da spiriti immondi e tutti venivano guariti”. Il Sommo Sacerdote e i Sadducei, “pieni di livore”, li fanno arrestare con l’accusa di “aver predicato in nome di costui ” (Gesù) e, convocato il Sinedrio di Gerusalemme, il massimo Tribunale giudaico, avviano l’atto processuale minacciando di “metterli a morte”.

Si alzò allora nel sinedrio un fariseo, di nome Gamalièle, Dottore della legge, stimato presso tutto il popolo. Dato ordine di far uscire per un momento gli accusati, disse: «Uomini di Israele, badate bene a ciò che state per fare contro questi uomini. Qualche tempo fa venne Tèuda, dicendo di essere qualcuno, e a lui si aggregarono circa quattrocento uomini. Ma fu ucciso,e quanti s’erano lasciati persuadere da lui si dispersero e finirono nel nulla. Dopo di lui sorse Giuda il Galileo, al tempo del censimento, e indusse molta gente a seguirlo, ma anch’egli perì e quanti s’erano lasciati persuadere da lui furono dispersi. Per quanto riguarda il caso presente, ecco ciò che vi dico: Non occupatevi di questi uomini (gli Apostoli) e lasciateli andare. Se infatti questa teoria o questa attività è di origine umana, verrà distrutta; (come avvenuto a Tèuda e Giuda il Galileo n.d.a.) ma se essa viene da Dio, non riuscirete a sconfiggerli; non vi accada di trovarvi a combattere contro Dio!». Seguirono il suo parere e li rimisero in libertà” (At. 5, 34-39).

Tutti i personaggi descritti erano veramente esistiti all’epoca, anche il sacerdote Gamalièle il cui figlio diverrà Sommo Sacerdote del tempio nel 63 d.C., ma la prima considerazione da fare è che questo evento, se fosse veramente accaduto, si è verificato quando Re Erode Agrippa I era sempre vivo, cioè prima del 44 d.C., anno della sua morte.
La constatazione è dovuta al fatto che, al momento della narrazione, essendo vivo Re Agrippa, sono ancora tutti vivi gli Apostoli, perché, fra questi, oltre a Simone san Pietro, è presente anche Giacomo il Maggiore che, secondo l’evangelista, verrà ucciso, successivamente, dallo stesso monarca, che regnò sulla Giudea dal 41 al 44 d.C.; al contrario, Simone Pietro riuscirà a salvarsi grazie all’intervento di un “angelo del Signore” che lo farà fuggire dal carcere … sic! (At. 12, 1 e seg.).

Seguiamo ora gli eventi accaduti in Giudea e descritti da Giuseppe Flavio nel XX libro di “Antichità Giudaiche” (i versi dei codici venivano numerati):

97. “Durante il periodo in cui Fado era Procuratore della Giudea, (44-46 d.C.) un certo sobillatore di nome Tèuda persuase la maggior parte della folla a prendere le proprie sostanze e a seguirlo fino al fiume Giordano. Affermava di essere un profeta al cui comando il fiume si sarebbe diviso aprendo loro un facile transito (stile Mosè o Giosuè). Con questa affermazione ingannò molti.
98. Fado però non permise loro di raccogliere il frutto della loro follia e inviò contro di essi uno squadrone di cavalleria che piombò inaspettatamente contro di essi uccidendone molti e facendone altri prigionieri; lo stesso Tèuda fu catturato, gli mozzarono la testa e la portarono aGerusalemme.
99. Questi furono gli eventi che accaddero ai Giudei nel periodo in cui era Procuratore Cuspio Fado. (dal 44 al 46 d.C.)
100. Il successore di Fado fu Tiberio Alessandro (Procuratore dal 46 al 48 d.C.), figlio di quell’Alessandro che era stato alabarca in Alessandria.
101. Fu sotto l’amministrazione di Tiberio Alessandro che in Giudea avvenne una grave carestia, durante la quale la regina Elena comprò grano dall’Egitto con una grande quantità di denaro e lo distribuì ai bisognosi, come ho detto sopra.
102. Oltre a ciò, Giacomo e Simone, figli di Giuda Galileo, furono sottoposti a processo e per ordine di Alessandro vennero crocefissi; questi era il Giuda che - come ho spiegato sopra - aveva aizzato il popolo alla rivolta contro i Romani, mentre Quirino faceva il censimento in Giudea.” (Ant. XX, 97/102).

Tali avvenimenti, separati fra loro di due o tre anni, sono la prova che il sacerdote Gamalièle non ha mai potuto pronunciare nel Sinedrio “quel discorso” a difesa degli Apostoli perché , in quel momento, il Profeta Tèuda era ancora vivo.
Infatti, facendo attenzione alle date, seguiamo la storia.

Giuseppe Flavio ci porta a conoscenza che:
- nel 44 d.C. muore Re Erode Agrippa I, ma, essendo il figlio troppo giovane per governare, l’Imperatore Claudio decide di ricostituire la Provincia romana di: Giudea, Samaria, Idumea, Galilea e Perea; di conseguenza …
- nel 44 d.C., gli subentra, come Governatore della Provincia, il Procuratore Cuspio Fado che, durante il suo incarico (44-46 d.C.), fa uccidere Tèuda, la cui testa viene portata ed esibita in Gerusalemme come monito rivolto a chi volesse seguire il suo esempio;
- nel 46 d.C., il Procuratore Tiberio Alessandro, sostituisce Cuspio Fado e, nel corso del suo mandato (46/48 d.C.), dopo un processo, dà l’ordine di crocifiggere Giacomo e Simone.

Pertanto, all’interno del Sinedrio convocato in seduta deliberante per decidere sulla sorte dei “Dodici”, da quanto abbiamo letto in “Atti degli Apostoli”, come ha potuto san Luca far dire a Gamalièle che Tèuda era morto (prima del censimento del 6 d.C. - At. 5, 36) mentre Erode Agrippa era ancora vivo? (lo ucciderà dopo un angelo – At. 12, 23)... e Cuspio Fado (che avrebbe poi ucciso Tèuda), non era ancora subentrato ad Agrippa?.
Noi abbiamo constatato, semplicemente, che quel discorso era falso: Gamalièle non poté farlo perché il Re Erode Agrippa e Tèuda erano sempre vivi entrambi.

Se lo inventò in un futuro lontano “san Luca” (non è esistito neppure lui, ma ne riparleremo) e lo mise in bocca a Gamalièle, importante membro del Sinedrio vissuto realmente, per “discolpare”, in un processo del Tribunale giudaico, gli “Apostoli” arrestati, fra cui Simone e Giacomo, dall’accusa di ribellione uguale a quella di Tèuda e Giuda il Galileo; accusa che comportava la pena di morte.
Ma poiché il discorso era (ed è) un’assurdità è evidente che non fu fatto, pertanto era falso sia l’arresto che l’assoluzione, quindi, a quella data, nessuno degli Apostoli era ancora stato arrestato. Al contrario, al verso 102, come sopra abbiamo letto in “Antichità”, sia Giacomo che Simone, figli di Giuda il Galileo, “furono sottoposti a processo” e fatti giustiziare: quindi colpevoli e non più latitanti (nel 46/48 d.C., dopo la morte di Erode Agrippa).

Contrariamente a quanto risulta dalla storia, il vero scopo di san Luca era far risultare ai posteri che il Sinedrio, supremo tribunale giudaico, aveva assolto gli “Apostoli”, fra cui Giacomo e Simone, dall’accusa, così come articolata in ipotesi da Gamalièle, di essere equiparati ai profeti rivoluzionari Giuda il Galileo e Tèuda; accusa, come abbiamo visto, smontata da un Gamalièle che nella realtà non si sarebbe mai sognato di fare un discorso simile perché non poteva prevedere la morte, improvvisa del Re Agrippa I; né che questi sarebbe stato sostituito dal Procuratore Cuspio Fado, né che questi avrebbe poi ucciso Tèuda.
Allo stesso Gamalièle viene demandato il compito di rilasciare un'altra testimonianza falsa.

Di Tèuda, lo storico, rende noto che "Affermava di essere un Profeta", mentre Gamalièle riferisce che "diceva di essere qualcuno" (la parola "Profeta" era una traccia da eliminarsi perchè si prestava ad essere equiparata agli "Apostoli"); ma perchè invertirli nell'ordine cronologico? (la storia registra prima l'avvento di Giuda il Galileo, poi, una generazione dopo, quello di Tèuda).
La risposta è facile: san Luca non voleva assolutamente che risultassero come padre e figlio. Infatti, se venne prima Tèuda, non potè mai essere stato figlio di Giuda il Galileo; un Fariseo Zelota, Dottore della Legge, famoso per essersi proclamato Re dei Giudei dopo la morte di Erode il Grande. Prese Sèffori, la capitale, con tutta la Galilea e solo l'intervento delle legioni romane di Quintilio Varo, Governatore di Siria, permisero a Cesare Augusto di risottomettere quella regione.

Questo “Atto del Sinedrio”, inventato e riportato in “Atti degli Apostoli”, convocato mentre Erode Agrippa era sempre vivo, è un falso grossolano finalizzato ad allontanare qualunque dubbio sulla venerabile condotta degli “Apostoli” e ad introdurre l’altra menzogna correlata: la “fuga” di Simone Pietro per opera di Dio e l’uccisione di Giacomo (ormai degno di essere beatificato), ovviamente per colpa del Re, secondo l’evangelista.
Certamente, un falso Atto del Sinedrio non poteva che essere nullo, pertanto, anche la sua datazione era ed è…nulla! Inoltre, introdurre negli “Atti degli Apostoli” un finto Atto del Sinedrio di Gerusalemme, il Supremo Consiglio del Sommo Sacerdote del Tempio, con funzioni giudiziarie ed amministrative (pur se asservito al potere imperiale di Roma), operante nel I secolo, è un reato cui si deve rispondere di fronte alla Storia.

Per ora lascio l’analisi in sospeso al fine di poter essere approfondita all’interno del forum, con l’aggiunta di una piccola osservazione per aiutare i credenti: le falsificazioni riportate nei sacri testi non sono fini a se stesse, ma mirate, e attraverso i personaggi dei quali vengono contraffatte le gesta si riconoscono i veri protagonisti di vicende reali dell’epoca la cui testimonianza è sopravvissuta sino ai nostri giorni. Basta scoprirne il nesso.

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Ultima modifica di Emilio Salsi il 03/11/2009, 16:00, modificato 1 volta in totale.


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MessaggioInviato: 05/11/2009, 23:36 
Non sono esistiti gli Apostoli.

II^ Parte.


Quando Luca inventò l’Atto del Sinedrio nel cui interno fece testimoniare il falso a Gamalièle sul Profeta Theudas, non si sbagliò ma vi fu costretto: voleva impedire l’identificazione di un Apostolo.
Infatti, uno studioso che, seguendo la narrazione di Giuseppe Flavio, giunto ai paragrafi dal 97 al 102 del XX Libro di “Antichità”, laddove si parla di Theudas e di Giacomo e Simone, i due figli di Giuda il Galileo, si rende conto che sono versi manomessi ed il 101 addirittura interpolato nel libro per intero (incollato). Esso si richiama ad una gravissima carestia che afflisse i Giudei, già descritta dettagliatamente dall’ebreo qualche paragrafo prima.
La datazione di quella carestia era vitale per la dottrina cristiana: avrebbe permesso di individuare l’anno in cui fu giustiziato “Gesù”, le cause e il contesto storico che le provocò.
Andiamo per gradi e verifichiamo insieme il testo.

97. “Durante il periodo in cui Fado era Procuratore della Giudea, (44-46 d.C.) un certo sobillatore di nome Tèuda persuase la maggior parte della folla a prendere le proprie sostanze e a seguirlo fino al fiume Giordano. Affermava di essere un Profeta al cui comando il fiume si sarebbe diviso aprendo loro un facile transito. (stile Mosè n.d.a.) Con questa affermazione ingannò molti.
98. Fado però non permise loro di raccogliere il frutto della loro follia e inviò contro di essi uno squadrone di cavalleria che piombò inaspettatamente contro di essi uccidendone molti e facendone altri prigionieri; lo stesso Tèuda fu catturato, gli mozzarono la testa e la portarono a Gerusalemme.
99. Questi furono gli eventi che accaddero ai Giudei nel periodo in cui era Procuratore Cuspio Fado (44-46 d.C.).
100. Il successore di Fado fu Tiberio Alessandro (Procuratore dal 46 al 48 d.C.), figlio di quell’Alessandro che era stato alabarca in Alessandria.
101. Fu sotto l’amministrazione di Tiberio Alessandro che in Giudea avvenne una grave carestia, durante la quale la regina Elena comprò grano dall’Egitto con una grande quantità di denaro e lo distribuì ai bisognosi, come ho detto sopra.
102. Oltre a ciò, Giacomo e Simone, figli di Giuda Galileo, furono sottoposti a processo e per ordine di Alessandro vennero crocefissi; questi era il Giuda che - come ho spiegato sopra - aveva aizzato il popolo alla rivolta contro i Romani, mentre Quirino faceva il censimento in Giudea.” (Ant. XX, 97/102).

Notiamo che Giacomo e Simone sono due veri nomi giudaici e indicati con il patronimico, mentre il Profeta Theudas (Tèuda in italiano) non è un nome bensì un attributo che nel greco arcaico voleva dire “Luce di Dio” e rende l’idea di una traduzione corretta ma non è accompagnato dal nome proprio né da quello del padre, quindi non identificabile come dato storico da tramandare ai posteri; pur avendo compreso che si trattava di una persona importantissima se i Romani ne portarono la testa a Gerusalemme per esibirla alla popolazione come monito. L’anomalia di questo attributo senza nome è condivisa anche in “Atti degli Apostoli”, come abbiamo visto col discorso di Gamalièle e da Eusebio di Cesarea che ne riporta l’episodio.
Riguardo a Giacomo e Simone va rilevato che manca la motivazione per cui furono uccisi; non essendo sufficiente la semplice discendenza da Giuda il Galileo perché si sarebbe violato sia la legge ebraica che quella romana, motivazione, peraltro, che sarebbe valsa subito anche per Menahem (ultimo figlio di Giuda) e Lazzaro figlio di Giairo (suo nipote) i quali moriranno molto tempo dopo in circostanze precise e ben motivate. Non solo, dal modo come viene introdotto il par. 102 risulta chiaro che lo storico ebreo ne ha già parlato, pertanto i lettori sono stati informati prima delle gesta degli Zeloti Giacomo e Simone.
Lo stesso vale anche per Theudas: il fatto che “sobillasse” i suoi seguaci ad attraversare il Giordano ai Romani non importava più di tanto, perciò anche questo dimostra che la notizia è incompleta.
Ma perché San Luca è tanto interessato a lui sino al punto di farlo dichiarare morto da Gamalièle ancor prima di Giuda il Galileo? Semplice: lui sapeva chi era nella realtà perché aveva letto “Antichità Giudaiche” prima che venissero censurate da falsari copisti e sapeva che era figlio di Giuda il Galileo, ma se fa risultare che muore prima di lui egli non potrà mai essere suo figlio. Era una realtà che contrastava con la nuova ideologia, il cristianesimo come lo conosciamo noi oggi, evolutosi da una dottrina primitiva filo giudaica che postulava una figura diversa di Messia Salvatore.
L’evangelista sapeva anche il vero nome di quel “Profeta” ma non lo celò accontentandosi di chiamarlo “qualcuno” per evitare che quell’attributo potesse essere collegato ad “Apostolo”.
Allora diamo un’occhiata agli “Apostoli”.


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Luca, facendo lo gnorri sulla scelta dei “Dodici” voluta da Cristo, secondo Matteo e Giovanni detto Marco, chiama Taddeo “Giuda, fratello di Giacomo”: “... e Giuda di Giacomo. Tutti erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù e con i fratelli di lui” (At. 1, 13-14). In questo passo in “Atti” rileviamo che Luca, citando “Giacomo”, non sente il dovere di specificare a quale “Giacomo” si riferisce, dei due che risultano nel suo Vangelo, e ciò significa che in origine c’era un solo Giacomo, fatto accertato con l’aiuto della storia quando abbiamo trattato l’inesistente “Giacomo il Minore” e relativo martirio.
Un “Giacomo” accreditato di troppe paternità (Alfeo, Zebedeo, Cleofa) per poter essere giustificato storicamente come persona reale.
Taddeo, ovvero Taddaios in greco e Taddaeus in latino erano nomi inesistenti in quelle lingue nel I secolo, sono soltanto parolacce derivate dalla traslazione volutamente errata da una lingua all’altra per impedirne l’identificazione col Profeta Theudas di nome Giuda, che aveva un fratello di nome Giacomo, a sua volta fratello di Giovanni. O meglio, se leggiamo l’insieme dei fratelli riportati nei Vangeli, risulta:
“Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, Ioses (Giuseppe), di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui con noi?” (Mc. 6,3);
“Non è forse il figlio del carpentiere? Sua madre non si chiama Maria e i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle non sono tutte fra noi?” (Mt. 13, 55).

Sono tutti nomi di tradizione giudaica, fratelli, ai quali manca “Giovanni”, indicato con “costui” perché è lui il soggetto di cui parlano i Giudei; se fosse stato “Gesù” lo avrebbero chiamato così, senza problemi come per i suoi fratelli. Sono anche nomi di “Apostoli” ai quali manca “Giuseppe” in quanto, ultimo dei fratelli, era ancora troppo giovane all’epoca di “Gesù” (lui agirà dopo) per essere un capo carismatico trascinatore di uomini pronti a dare la vita per una causa nazionalista. Ma sono anche nomi di alcuni Apostoli con qualifiche, riportate nella tabella, come “Zelota”, “Cananeo”, “Iscariota”, “Bariona”, il cui significato è “fanatico nazionalista”, “sicario”, “latitante, ricercato” e, lo vedremo in seguito, corrispondono a quelli dei figli di Giuda il Galileo.
Incominciamo a capire che i Romani, dal loro punto di vista, avevano forti motivi per catturarli e ucciderli. Inoltre, sempre osservando la tabella degli “Apostoli”, è facile comprendere che il Simone qualificato come zelota, cananeo e sicario, è lo stesso Simone Pietro detto “Kefaz” (aramaico) o “Cefa” che vuol dire “pietra”, indicato come “bariona”, che vuol dire latitante: un sicario Zelota, una volta individuato, non poteva che darsi alla latitanza per non essere ucciso dai Romani.

Giuda Theudas era un Profeta “sobillatore”, fratello di Giacomo, a sua volta fratello di Giovanni (At. 12, 1-2) che insieme a Simone e Giuseppe (l’ultimo) costituiscono la cerchia di “fratelli” evangelici tutti con nomi di tradizione giudaica.
Solo questi nomi, autenticamente ebraici - dalla lettura del “Novum Testamentum” A. Merk S.I., Roma, Pontificio Ist. Biblico, Anno 1933; e, “Novum Testamentum” H. Kaine, Paris, Edit. Ambrogio F. Didot, Anno 1861 – risultano accompagnati da qualifiche e attributi, quindi da atti, conformi allo stesso Profeta “sobillatore” Giuda Theudas ucciso da Cuspio Fado nel 45 d.C.:
zeloti”, che, dall’interpretazione in greco di Giuseppe Flavio, significa “fanatici nazionalisti”; “bariona”, in aramaico, significa “latitante fuorilegge”; “iscariot” omofono di sicario o sicariota; “boanerghes”, significa “figli del tuono” o “figli dell’ira”; “cananeo” da “qanana” in aramaico, equivalente a “zelota”, e “galilei”, come “fuorilegge” (erano figli di Giuda, ideatore dello zelotismo antiromano, detto “il galileo”).
E’ d’obbligo rilevare che queste qualifiche o attributi sono riferite solo ad “apostoli-fratelli” che hanno lo stesso nome dei fratelli di Gesù.
Attributi e qualifiche che richiesero un intervento “correttivo” da parte degli scribi cristiani mano a mano la Chiesa ne comprese il vero significato.
Un esempio di come sia stata eseguita la falsificazione di “Simone”, per trasformarlo in “Pietro figlio di Giona” (San Pietro), lo troviamo nei due “Novum Testamentum” su riferiti, di cui riproduciamo copia:


Immagine


dove possiamo notare, nel testo centrale in greco a destra (Mt. 16, 17), il vocabolo “barionariferito a Simone - che in aramaico significa “latitante, ricercato” - in greco non viene tradotto ma traslato con la lettera maiuscola in modo da farlo apparire un nome di persona: “Simon Bariona”. “Bariona”, come nome proprio di persona, nell’aramaico antico non è mai esistito, tanto meno in greco o latino, e la falsificazione diventa addirittura ridicola attraverso la comparazione delle traduzioni.
Infatti, a sinistra, nella traduzione latina, risalente almeno un paio di secoli dopo quella greca arcaica, viene successivamente diviso in “Bar Iona”; per cui, Bariona (latitante) diventa: Bar (“figlio di”, in aramaico) Iona … filius Iona … figlio di Giona.
Se “Iona” fosse stato veramente il nome di una persona, avremmo dovuto trovarlo, sin dall’inizio, sempre separato da “bar” minuscolo, come per “filius” latino o “uios” greco; vocaboli usati spesso e senza problemi nei Vangeli … tranne in questo caso.
Nel testo del 1861, in basso a destra in latino, “Pietro” non esiste: solo Simon Bar-Jona; e a sinistra, in greco, riporta Bar staccato. Nelle lingue latina e greca “Bar” non esiste; allora sia nel testo latino che in quello greco “Bar”, come in aramaico, vorrebbe apparire “figlio” ma, essendo traduzioni a suo tempo destinate a fedeli di lingua greca o latina, è assurdo tentare di farlo passare come tale sapendo che in latino si dice “filius” e in greco “uios”.
La mescolanza delle lingue e la manipolazione dei vocaboli tradotti furono, nel tempo, sfruttati volutamente, per travisarne il senso, da professionisti consapevoli di avere a che fare, non a torto, con credenti ingenui.
In alto a destra, nel testo (Ioh.= Gv. 1,42), poiché il vocabolo “Cephas” in latino non esiste, si dice (ai “beati poveri di spirito”) che deve essere “interpretato Pietro”; anche nel greco antico, in alto a sinistra, “Kefaz” non esiste, è aramaico (= sasso, pietra) ma “significa Pietro”.
In latino pietra = lapis, saxum; in greco = lithos, petra (minuscolo e mai “kefaz”). “Pietro”, come nome di persona, non esisteva né in greco né in latino sino a tutto il I secolo.
Le tre parole originali in aramaico erano Simon, kefaz, bariona che tradotte vogliono dire: Simone, detto pietra (nel senso di “duro, massiccio”), latitante ricercato. Cioè: Simone era uno dei fratelli già ricercato dai Romani quando “Gesù” era ancora in vita.

Queste “tecniche” di traduzione sono soltanto uno dei modi con cui si può falsare il significato della vita di una persona, e la puntigliosità con cui la Chiesa ha fatto, letteralmente, carte false per trasformare “Bariona” sino a farlo sparire nelle versioni evangeliche moderne, sta a dimostrare che il significato di “latitante ricercato”, espresso dalla traduzione originale, è reale e pertanto Essa lo considera veramente pericoloso. Ha sempre dovuto impedire che si scoprissero le vere gesta dei protagonisti delle vicende che dettero origine al Cristianesimo primitivo, quello vero, inserito in un contesto storico reale rappresentato dalla guerra di liberazione nazionale dei Giudei contro l’occupazione romana della “Terra promessa da Dio al popolo di Israele”.
Un problema gravissimo, per la nuova dottrina evolutasi da quella originale giudaica, era costituito dalla datazione di una grave carestia che afflisse i Giudei nel 36 e 36 d.C.. Lo scopriremo con la prossima analisi.

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Ultima modifica di Emilio Salsi il 05/11/2009, 23:40, modificato 1 volta in totale.


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Non sono esistiti gli Apostoli.

III^ Parte: la carestia

Come sopra dimostrato con lo specifico studio, abbiamo scoperto la vera identità dell “Apostolo” chiamato, ancora oggi, Giuda Taddeo, dalla nuova Chiesa riformata, evolutasi da quella esseno giudaica. Il “Taddaios” greco e “Taddaeus” latino dei Vangeli erano vocaboli inesistenti in entrambe le lingue nel I secolo.
Il vero nome era Giuda detto Theudas (Luce di Dio, un nome messianico originale ebraico), fratello di “Gesù” e figlio di Giuda il Galileo. Fu un Profeta capo di guerriglieri Zeloti, protagonista della lotta di liberazione nazionale contro i Pagani. Intercettato da uno squadrone di cavalleria romana, i suoi uomini furono sconfitti e lui decapitato. La sua testa portata a Gerusalemme ed esibita alla popolazione: un monito rivolto a chi intendeva emularne le gesta.
Giuda detto Theudas fu sostituito da “Giuda Taddeo”: la nuova dottrina del “Salvatore” pacifico universale non poteva ammettere la propria genesi giudeo nazionalista zelota.

Procediamo, adesso, con la comparazione fra gli scritti neotestamentari e la storia. Dai documenti sacri, anche se potrà apparire strano, siamo in grado di far emergere la Storia, quella vera, dimostrando che gli eventi reali, legati a “Gesù Cristo”, riguardarono una semplice guerra, fra le molte sostenute dall’Impero Romano, resasi necessaria per mantenere sotto il dominio di Roma una terra i cui abitanti consideravano “Santa” per la presenza del loro Dio nel Tempio, e non volevano fosse sottomessa ai Pagani.

Giuseppe Flavio: “Antichità Giudaiche” Lib. XX 101

101. Fu sotto l’amministrazione di Tiberio Alessandro (dal 46 al 48 d.C.) che in Giudea avvenne una grave carestia, durante la quale la regina Elena comprò grano dall’Egitto con una grande quantità di denaro e lo distribuì ai bisognosi, come ho detto sopra.

Un lettore, dèdito alla lettura progressiva del testo, giunto a questo punto, si rende conto di trovarsi di fronte ad una ripetizione, ridotta, di un grave evento riferito, dettagliatamente, poco prima dallo storico; e non può fare a meno di chiedersi il perché.
Ciò che colpisce è la datazione, vero scopo dell’introduzione spuria di questo passo: sotto l’amministrazione del Procuratore Tiberio Alessandro (46-48 d.C.), quindi sotto il principato di Claudio. In effetti cosa aveva “detto sopra” lo storico ebreo della regina Elena?:

La sua venuta fu di grande utilità per il popolo di Gerusalemme, perché in quel tempo la città era rattristata dalla carestia e molta gente moriva perché sprovvista del denaro per acquistare ciò di cui abbisognava. La regina Elena inviò i suoi attendenti, ad Alessandria, per acquistare ingenti quantità di grano, ed altri a Cipro per carichi di fichi secchi. Quando Izate, suo figlio, seppe della carestia, anch’egli mandò ai capi di Gerusalemme una grande somma di denaro. La distribuzione di queste somme ai bisognosi, liberò molti dai disagi della carestia. Lascio a un altro momento il racconto dei benefici compiuti da questa coppia reale per la nostra città". (Ant. XX, 51/53).

Elena e suo figlio Izate furono rispettivamente Regina e Re, ebrei, dell’Adiabene, una regione a sud dell’Armenia e ad est dell’alto corso del fiume Eufrate, il confine fra l’Impero Romano e la Parthia.
Appena prima di questo episodio leggiamo che, appena nominato Re:

Quando Izate giunse ad Adiabene per prendersi il regno e vide i suoi fratelli, giudicando cosa empia ucciderli, tenendo presente gli affronti ricevuti, ne mandò alcuni a Roma da Claudio Cesare, con i loro figli come ostaggi; e con la stessa scusa altri fratelli inviò da Artabano re dei Parti” (Ant. XX 36-37).

L’accostamento cronologico dei due “Grandi” nella vicenda è un errore storico gravissimo che Giuseppe Flavio non ha potuto commettere: lui sapeva benissimo che Artabano sarebbe morto nel 38 d.C. (lo riferisce più avanti), e che Claudio fu proclamato Imperatore nel 41 d.C..
Peraltro i suoi scritti, nel I sec., furono sottoposti agli storici dell’Impero prima di essere approvati.
Essendo Artabano vivo, l’unico Imperatore avente causa con lui fu Tiberio e non altri.
Che si trattasse dell’imperatore Tiberio lo conferma inequivocabilmente ancora la storia, infatti: in (Ant. XX, 92) Giuseppe scrive: “Izate morì, avendo l’età di cinquantadue anni e ventiquattro di regno”. Sapendo da Tacito (Ann. XII, 13-14) che nel 49 d.C. Izate era sempre vivo, ne ricaviamo che fu nominato Re prima del 30 d.C., ma, avendo letto che, appena insediato nel regno, mandò i suoi fratelli come ostaggi all’Imperatore di Roma, questi non poteva essere che Tiberio.
La sostituzione del nome dell’imperatore Tiberio con quello di Claudio la effettuarono degli scribi impostori per farci credere che l’episodio della carestia avvenne sotto Claudio, esattamente come è riportata negli “Atti degli Apostoli” (XI 28-29), che ci condiscono “l’eschetta storica” della carestia col trucchetto della profezia:

E un profeta di nome Agabo, alzatosi in piedi, annunziò per impulso dello Spirito Santo che sarebbe scoppiata una grave carestia su tutta la terra. Ciò che di fatto avvenne sotto l’impero di Claudio. Allora i discepoli si accordarono per mandare un soccorso ai fratelli abitanti nella Giudea, indirizzandolo agli anziani per mezzo di Bàrnaba e Saulo (Paolo)”.

Va rilevato che i redattori di “Atti degli Apostoli”, dopo averci passata questa informazione, si dimenticarono di riferire la conclusione di questa “missione” di san Saulo Paolo in Giudea, così importante per la gravità della calamità, abbattutasi su quella regione, causa di numerose vittime fra la popolazione.
Ciò che importava agli scribi era solo far risultare che avvenne sotto Claudio, pertanto…perché sprecare altro prezioso papiro e inchiostro? Senza contare il rischio di prendere qualche svista storica.
Infatti il riferimento a Claudio non fu casuale, ma mirato. “Luca”, spulciando fra la storia alla ricerca di un alibi per sviare la ricerca, dopo aver scartato una carestia avvenuta a Roma sotto Tiberio nel 32 d.C. (Ann. VI, 13) poiché troppo vicina all’epoca del “Gesù” evangelico, lo trovò in un’altra carestia che afflisse Roma durante l’Impero di Claudio, riportata da Svetonio e da Tacito

“…l’addebito avanzato contro uno dei due fu d’aver visto, in sogno, Claudio coronato di una corona di spighe rivolte all’indietro, con conseguente predizione di una carestia” (Ann. XI, 4).

Questo “sogno profetico” servì a “Luca” per farsi “dettare da Dio” il vaticinio del Profeta Agabo e depistare, cronologicamente, la vera carestia, molto più grave, avvenuta in Giudea nel 35-36 d.C. ma, essendo i due territori troppo lontani fra loro, per contenerli entrambi, fece dichiarare al Profeta che “una grave carestia sarebbe scoppiata su tutta la terra”, evento di una drammaticità tale da dover essere riferito da tutti gli scrittori dell’epoca, fatto che non si è verificato, ovviamente, perché quella di Roma, più che di una grave carestia si trattò di carenza di cibo, di breve durata, risolta senza che nessuno morisse di fame.

L’Eminente Episcopo, Eusebio di Cesarea, grazie alla sua posizione privilegiata presso la corte del Pontefice Massimo, l’Imperatore Costantino, poté accedere agli archivi imperiali per consultare i rotoli e falsificarli laddove si rendeva necessario. Quando si inventò la sua “Storia Ecclesiastica”, in essa riferì di tale carestia in modo particolareggiato, e, per renderla più credibile, non poté fare a meno (e lo ringraziamo, sic!) di collegare le “testimonianze” di Giuseppe Flavio e degli Atti degli Apostoli (riportando la profezia di Agabo) con l’intervento della regina Elena, il tutto, ovviamente, sotto Claudio (HEc. II 12, 1/3).
Con la sua “testimonianza” Eusebio intese “garantire” le menzogne di “san Luca” in “Atti” facendo manomettere negli archivi imperiali l’opera dello storico Giuseppe Flavio al fine di nascondere i veri protagonisti delle vicende e la loro datazione, ma commise l’errore di specificare che quella era “la carestia della regina Elena”, e la storia comprova non essere avvenuta sotto Claudio ma sotto Tiberio. Si trattò di falsificare lo stesso rotolo manoscritto contenente la notizia, in origine completa di vero nome con patronimico, riguardante il Profeta Theudas di nome Giuda, uno dei fratelli di “Gesù”.
San Paolo Saulo, “il Segretario di Stato” senza jet-executive, fu lui ad occuparsi degli aiuti e possiamo star certi che i Giudei si rimpinzarono a sazietà e gli storici mistici contemplativi odierni, allibiti dalla suddetta profezia, si inghiottono l’eschetta infilzata sull’amo del “Profeta”, quasi fosse un’ostia consacrata e, all’unanimità, si danno subito da fare per “interpolare” con note, allusive alla carestia sotto Claudio e agli “Atti degli Apostoli”, i testi didattici e “Antichità Giudaiche” allo scopo di indottrinare i giovani in ossequio alla veridicità storica di san Luca evangelista l’impostore.
Ma perché questa menzogna?

Della carestia lo storico ebreo ne parla all’inizio del XVIII libro al par. 8, nel prologo riferito agli Zeloti e così introduce:
Per colpa loro ribollirono sedizioni e si sparse molto sangue civile, sia per i massacri che facevano i nazionalisti fanatici (gli Zeloti), sia per la strage che facevano dei loro avversari. Venne poi la carestia che li rese sfrenati in modo travolgente…”
Se gli “Atti degli Apostoli” ed Eusebio di Cesarea hanno sentito la necessità di mentire sulla datazione di questa carestia è evidente che era vitale per la dottrina cristiana e doveva essere depistata per impedire la ricostruzione delle vicende che coinvolsero i veri protagonisti col rischio che venissero identificati in “Gesù Cristo” e gli “Apostoli” suoi fratelli.
Dal 34 al 37 d.C. si aprì un conflitto fra Roma e il Regno dei Parti perché Artabano III, il loro Re dei Re, si impossessò dell’Armenia minacciando di invadere le terre già possedute da Ciro e Alessandro, fra le quali era compresa la Palestina. Per impedirlo Tiberio inviò ad Antiochia il suo Luogotenente, il Console Lucio Vitellio, con pieni poteri su tutto l’Oriente, e questi, durante la crisi bellica, trovò il tempo di recarsi a Gerusalemme con le sue legioni per la Pasqua del 36 d.C., 600 km più a Sud, per:

Intanto Vitellio giunse in Giudea e salì a Gerusalemme dove i Giudei stavano celebrando la loro festa tradizionale chiamata Pasqua e accolto con molti onori, rilasciò in perpetuo agli abitanti tutte le tasse sulla vendita dei prodotti agricoli e che l’abito del Sommo Pontefice, e con esso i suoi arredi, fossero custoditi dai sacerdoti nel Tempio” (Ant. XVIII 90/95).

Questo evento ha un “prologo”: in “Antichità” lo scrittore spiega che la “Sacra Veste”, appartenuta ai Re e ai Sommi Sacerdoti della famiglia Asmonea, fu tolta ai Giudei alla morte di Re Erode il Grande. Da allora i Romani la custodivano nella fortezza Antonia e la concedevano ai Sommi Sacerdoti solo per le festività ebraiche (Ant. XV 403/409). E’ evidente l’alto valore simbolico, e di potere, che tale paramento sacro rappresentava per il popolo giudeo…e i Romani ne erano consapevoli.
Ciò si protrasse fino alla Pasqua del 36 d.C., appunto, quando Vitellio riconsegnò la sacra veste alle autorità religiose dopo aver nominato un nuovo Sommo Sacerdote filo romano. Lo storico conclude il prologo dicendo che: “Questa digressione è stata occasionata dalla triste esperienza che si ebbe dopo” (ibid). Ma quale “triste esperienza” si ebbe dopo? E perché fu la causa della “digressione”?: in “Antichità” non troviamo la spiegazione, che avrebbe dovuto essere nel XVIII libro, perché verrà censurata.

Nel corso di una guerra contro il Regno dei Parti (uno Stato rivale di Roma governato da un “Re dei Re”) non è credibile che l’uomo più potente dell’Impero dopo Tiberio, in virtù del mandato ricevuto, si sia recato tanto a Sud, a Gerusalemme, solo per detassare i Giudei sui prodotti agricoli poiché affamati dalla carestia.
Che bisogno c’era, per Vitellio, comandante in capo dell’esercito romano d’Oriente, di recarsi personalmente in un frangente così delicato: sarebbe bastato inviare corrieri al Prefetto Ponzio Pilato, suo subalterno, con l’ordine di detassare i Giudei.
Al contrario, per imporre le tasse sarebbe stato necessario l’impiego della forza…non per abolirle.

Quando un Generale romano, Capo di Stato Maggiore, al comando di più legioni, si muoveva in un momento così difficile e pericoloso, voleva dire che era accaduto qualcosa di grave e, per l’Impero Romano “grave” significava “guerra”.
Approfittando del momento politico internazionale favorevole, nel 35 d.C., mentre Vitellio era alle prese con Artabano III, Re dei Parti, i Giudei colsero l’opportunità del conflitto fra Roma e la Parthia per liberare Gerusalemme, la Santa, dalla dominazione pagana.
Era in atto una grave carestia e il popolo affamato e “vessato dai tributi dovuti a Cesare” si ribellò alla guarnigione romana che stanziava in città, massacrandola. Un discendente di stirpe reale, asmonea, l’influente rabbino di Gàmala, Giovanni detto il Nazireo, (lo individueremo in seguito) figlio primogenito di Giuda il Galileo, dopo aver capeggiato la rivolta riuscì così ad essere riconosciuto, allo stessa maniera degli antenati Asmonei, come Re dei Giudei e insieme Sommo Sacerdote, “il Salvatore” della terra Santa, “Jeshùa”, facendosi ungere “Messia”, nel rispetto della ancestrale Legge, e dare inizio ad un nuovo Regno, senza schiavi, in cui “solo Dio era Padrone”.

Ma non durerà a lungo. Entro la fine dell’anno 35 d.C., Vitellio riuscirà a mettere in crisi Artabano, costringendolo alla fuga, risottometterà l’Armenia al dominio di Roma e, da oltre il fiume Eufrate ove si era spinto, rientrerà in Antiochia con le sue legioni. Quando raggiungerà il Presidio verrà informato degli eventi accaduti in Giudea e, dopo aver fatto riposare l’esercito nei quartieri invernali, si rimetterà in marcia per riprendere Gerusalemme e giustiziare il monarca che, illegittimamente, si era proclamato Re dei Giudei.
E lo fece. Un paio di giorni prima della Pasqua del 36 d.C., Lucio Vitellio, dopo aver cinto d’assedio la Città Santa, impossibilitata a resistere senza scorte di viveri (l'aiuto di Elena non potè sfamare l'intera popolazione), ne otterrà la resa e la consegna del Re abusivo. Per Giovanni non vi fu alcuna possibilità di scampo e accettò il suo destino: era capo dei Farisei Zeloti, la setta fondata da suo padre. Gli Zeloti, come gli Esseni, erano votati al martirio pur di “salvare” la Terra Promessa da Dio al popolo d’Israele…

Giunti a questo punto dello studio abbiamo individuato tre figli di Giuda il Galileo: Giacomo, Simone e Giuda, i cui nomi erano uguali a quelli di tre fratelli di “Gesù”. Uomini che si impegnarono, come loro padre, in una guerra contro il dominio di Roma. Un contesto storico perfettamente compatibile con le vicende reali di quegli anni, riferite, soprattutto, da Tacito e Giuseppe Flavio, ma confermate, pur con descrizioni ridotte, anche da Svetonio e Cassio Dione.

Prima di procedere al riconoscimento degli altri due figli di Giuda il Galileo, Giuseppe e Giovanni, si rende necessario produrre un’altra importante prova storica e archeologica che dimostra la vera patria di provenienza dei fratelli Zeloti: la Nazaret dei Vangeli.
La sua descrizione, dettagliata, nei sacri testi, non corrisponde alla attuale Nazaret, ma a Gàmala: la città di Giuda il Galileo e dei suoi figli…con il nome dei fratelli di “Gesù”
.
Questa importante verifica servirà ad accertare che il padre di “Gesù” non fu il san Giuseppe, raccontato nei Vangeli, bensì il fondatore della “quarta filosofia, una novità sinora sconosciuta…” descritta dallo storico ebreo: “una filosofia Zelota”…
Ancora più in là, come contro prova (si avvicina il Natale), dimostreremo che la “Natività” dei Vangeli è una invenzione…ad iniziare da san Giuseppe.
A presto.


http://www.vangeliestoria.eu/index.php


Ultima modifica di Emilio Salsi il 07/11/2009, 21:48, modificato 1 volta in totale.


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Messaggio di Emilio Salsi

Non sono esistiti gli Apostoli.

Un biblista non deve limitarsi a comparare, fra loro, la documentazione evangelica e le “testimonianze” dei Padri della Chiesa per scoprirne le contraddizioni (e sono molte) riscontrate nei testi dottrinali ad oggi pervenutici, ma , il metodo più proficuo, ai fini dell’accertamento delle verità o delle falsificazioni, è quello di confrontare tali scritti avvalendosi della storiografia laica per verificarne la corrispondenza attraverso una analisi testuale più avanzata. I personaggi che interagirono con i “santi protagonisti” furono uomini famosi, esistiti realmente, e per questo rintracciabili nella “storia” … quella vera.

Tacito, Svetonio, Giuseppe Flavio, Cassio Dione, Plinio il Giovane, gli Esseni dei rotoli del Mar Morto, gli scritti patristici e molti altri, quando riportarono gli avvenimenti di allora, inconsapevolmente, hanno tramandato testimonianze, tali, che oggi permettono di ricostruire gli avvenimenti giudaici di duemila anni addietro e far luce sul vero “cristianesimo” primitivo.
La storia è in grado di dimostrare la falsificazione di tutti gli “Atti del Sinedrio” di Gerusalemme riportati negli “Atti degli Apostoli” (le gesta di “San Pietro”, “San Paolo” e “Santo Stefano”) e dei Vangeli; ma l’analisi storiologica va oltre ed è in grado di scoprire il motivo delle mistificazioni … e perché l’unico “Atto del Sinedrio”, tramandatoci da Giuseppe Flavio, dalla morte di Erode il Grande in poi, risulta essere soltanto quello di Giacomo fratello di Gesù (detto Cristo).

Dagli “Atti” di un vero Sinedrio ebraico, mentre era in corso il “Processo a Gesù”, non sarebbe mai risultato che i Giudei scagliarono contro se stessi e i propri figli la maledizione riportata nei Vangeli: “E tutto il popolo rispose: il suo sangue (del Messia) ricada sopra di noi e i nostri figli” (Mt. 27, 25).
Sarebbe stato impossibile per un eminente sacerdote e principe ebreo, come Giuseppe Flavio, discendente dagli Asmonei e da Sommi Sacerdoti, sottoscrivere un simile paradosso: il popolo giudaico che, dopo averlo osannato, fa crocefiggere il proprio “Messia” e nel contempo si maledice per l’eternità. Questo aspetto, già evidenziato dagli storici secoli addietro, ci porta ad indagare ulteriormente su gli “Atti degli Apostoli”… perché, ciò che viene riferito in tale documento, in ultima analisi, avremmo dovuto trovarlo negli Atti di un vero Sinedrio e riportati dallo storico in “Antichità”.

Come abbiamo visto, due Apostoli, Giacomo il Minore e san Paolo, una volta verificate le loro gesta con uno studio critico, non sono più credibili; ne consegue l’obbligo di comparare gli Atti degli Apostoli con la storia e verificare se i protagonisti evangelici, tutti, sono realmente esistiti o, piuttosto, come vedremo, si tratta solo di personaggi teologici, o meglio, involucri ideologici di una nuova dottrina, evolutasi da quella primitiva, serviti a celare i veri protagonisti di avvenimenti accaduti nel I secolo.
E’ con la storia che possiamo dimostrare l’insussistenza degli “Apostoli”, pertanto apriamo il “sacro testo”, redatto dall’evangelista "Luca", che ne descrive le opere.


http://www.vangeliestoria.eu/index.php

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MessaggioInviato: 08/11/2009, 11:56 
Carissimo Emilio

Mi piacerebbe ripassare con te un po’ di storia di Flavio; al paragrafo 52 Artabano da l’Armenia al figlio Orode dopo averla annessa!!
Libro XVIII:52 Vonone si consegnò a Silano governatore della Siria; Vonone restò rifugiato in Siria per deferenza alla sua educazione in Roma. Artabano diede l'Armenia a Orode, uno dei suoi figli.
Per arrivare alla capitolazione di Artabano da parte di Vitellio intercorrono tanti capitoli-accadimenti;
1°) Pilato e i busti dell'imperatore a Gerusalemme.
2°) Canalizzazione dell'acqua per Gerusalemme.
3°) Testimonium Flavianum.
4°) Paolina e i suoi amanti.
5°) Giudei di Roma, in Sardegna.
6°) Pilato disperde i Samaritani.
7°) Vitellio a Gerusalemme.
8°) Tiberio, Vitellio, Artabano re dei Parti.
9°) Morte di Filippo; guerra tra Areta ed Erode; Giovanni Battista.
Tutto questo po’po’ di storia accade PRIMA della morte di Filippo, avvenuta nel 34 e.v.
Libro XVIII:106 - 6. Ora fu in questo tempo che morì Filippo, fratello di Erode, nel ventesimo anno di Tiberio, dopo avere governato per trentasette anni la Traconitide, la Gaulanitide e la tribù detta dei Batanei. Nel governo si dimostrò moderato, amante della modestia e della pace.
Emilio tu che hai più anni di ricerche, e molto approfondite su testi storici che io non ho avuto la possibilità di leggere e studiare.
Tenendo presente i capitoli sopracitati, tratti da Antichità, in che anno o periodo-(ipotetico)Artabano III° ha annesso l’Armenia, e perche l’annessione è avvenuta in quel dato periodo? E Roma dov’era?

Ciao amico mio carissimo Cecco


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Salve Cecco,

Artabano III si impadronì dell'Armenia due volte, entrambe sotto Tiberio. La prima, nel 16 d.C., dopo aver sconfitto e detronizzato Vonone, un re dei Parti filo romano, che fuggì portandosi via le ricchezze accumulate (un tesoro) delle quali si impossesserà, poi, Roma. L'intervento di Germanico, per decreto del Senato nel 17 d.C., impose al Re dei Re di lasciare l'Armenia che fu assegnata ad Artassia, un re cliente di Tiberio.
La seconda volta nel 34 d.C., quando, dice Tacito "...pose sul trono d'Armenia il maggiore dei suoi figli, Arsace, e, imbaldanzito dalle guerre condotte con successo contro i popoli adiacenti" sfidò Roma "minacciando di invadere le terre già possedute da Ciro (il Grande) e poi da Alessandro (fra cui la Palestina)" ... ma gli andò male.
Nel XVIII Libro di "Antichità", i par. dal 39 al 54 si riferiscono agli antefatti che portarono, l'ancora giovane, Artabano III al potere nel 16 e continuano sino alla morte di Germanico avvenuta il 19 d.C..

Nel 34 d.C. Artabano, ormai vecchio, ritentò l'mpresa ma, l'anno dopo, il Console Lucio Vitellio gli infranse il sogno di riuscire ad annettere l'Armenia al suo regno. Oltre ai passaggi che hai già richiamato, Giuseppe Flavio trasmette un'altra importante testimonianza, su Artabano III e i suoi successori, quando racconta della regina Elena e re Izate nel Libro XX par. 54 e segg..
Ma la prova più importante, ai fini della ricerca, è rappresentata dallo scambio (un errore impossibile sia stato commesso da uno storico i cui scritti furono visonati dagli storici di Roma) degli Imperatori: Claudio al posto di Tiberio; riferito al par. 37 per falsificare la datazione della grave carestia descritta ai par. dal 49 al 53.
Questa ricerca è finalizzata a colmare un vuoto nella storia, creato artatamente da scribi cristiani agli ordini di Eusebio di Cesarea, per impedire la conoscenza della realtà: un atto di guerra intrapreso dal popolo giudeo, guidato da un discendente asmoneo, che tentò, invano, di liberarsi dal giogo di Roma in un momento in cui era in corso il conflitto fra l'Impero Romano e l'Impero dei Parti.

Uncaloroso saluto dall'amico Emilio.



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Gentile sig. Salsi, come detto inizio a leggere nuovamente il suo libro.

e...

Le prime pagine del libro spiegano proprio tutto quello che sopra ha riportato.

Grazie



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Non sono esistiti gli Apostoli
IV^ Parte
Nazaret – Gàmala


Dalla comparazione dei personaggi evidenziati da san Luca, attraverso il discorso di Gamalièle, con quelli riferiti da Giuseppe Flavio in Antichità XX 97/102, si è dimostrato che “Theudas” non era un nome di persona nel I secolo, ma un attributo “Luce di Dio” dato a un sedicente Profeta, famoso tra i Giudei. Ne consegue che la notizia, passata ai posteri dallo storico, è stata censurata nel nome, nel patronimico e nel movente allo scopo di impedirne l’identificazione con l’Apostolo “Taddaeus o Taddaios”, chiamato da Luca “Giuda”, fratello di Giacomo. Il nome dell’Apostolo “Taddaeus” o “Taddaios”, inesistente sia in latino che in greco del I secolo, è una parolaccia che comprova la traduzione volutamente fuorviante dai Vangeli primitivi in quelli di Marco e Matteo, pertanto Luca lo elimina e lo sostituisce con “Giuda”.
Rilevato che fra i tanti nomi possibili di padre, d’obbligo nella tradizione giudaica, l’unico che avrebbe avuto un movente per essere censurato dalla dottrina cristiana era quello di “Giuda il Galileo”, e il perché stiamo per scoprirlo, ne deriva che esso fu tolto dall’episodio del Profeta perché sarebbe stato troppo evidente e logico sovrapporre i nomi di Giacomo, Simone e Giuda Theudas, con i nomi di tre fratelli di “Gesù”, per poi indirizzare lo storico nella ricerca di Giuseppe, il quarto fratello. Non doveva risultare che nei versi dal 97 al 102, del XX Libro di Antichità Giudaiche, lo storico ebreo riferì dell’uccisione di tre famosi giudei rivoluzionari che corrispondevano ai fratelli di Gesù.

Dopo aver dimostrato con analisi specifiche che gli “Apostoli”, non solo non furono fatti arrestare da alcun Sinedrio ma non sono mai esistiti, ad iniziare da San Paolo (vedi studi specifici) e Giacomo il Minore (vedi studi del 28.10 riportati sul mio Cristo Storico).
Dopo avere individuato e provato le falsificazioni introdotte dai fondatori della nuova dottrina per dare credibilità a personaggi che avrebbero dovuto testimoniare l’esistenza di Gesù Cristo;
che lo stesso “Salvatore Messia” è attestato da una documentazione contraddittoria e puerile, a partire da due “Natività” evangeliche totalmente diverse a comprova che furono inventate (studio da produrre in atmosfera natalizia).
Rilevato che “Jeshùa” (Salvatore) e “Messia” (Cristo) non erano due nomi ma due attributi divini dati al protagonista di una ribellione contro il dominio di Roma.
Dopo aver scoperto che, sia in “Atti degli Apostoli” e, di logica conseguenza, l’Episcopo storico cristiano, Eusebio di Cesarea (grazie alla sua presenza presso la corte di Costantino) ha potuto falsificare la datazione di una grave carestia, riportata dallo storico ebreo, che afflisse i Giudei nel 35 e 36 d.C., carestia che scatenò la rivolta dei Giudei a Gerusalemme mentre Roma era alle prese con Artabano per il dominio sull’Armenia come su dimostrato, falsificazione vitale per il nuovo "cristianesimo" gesuita che sostituì il "messianismo" giudaico, testimone delle gesta dei veri protagonisti.
Dimostrato, attraverso le analisi sopra indicate di tali versi, che i Vangeli originali vennero modificati e gli “Atti degli Apostoli” furono scritti da persone che non risiedevano in Giudea ma si basarono sugli scritti di Giuseppe Flavio per definire “storicamente” la dottrina come la conosciamo oggi, dopo aver distrutto i Vangeli primitivi, in quanto diversi nella raffigurazione della nuova divinità.

Prima di scoprire, con l’ausilio della storia, chi era il fratello Giuseppe e quale fosse il vero nome di “Gesù”, è d’obbligo evidenziare l’attinenza fra Giuda il Galileo e i suoi figli, con i fratelli di “Gesù”.
La correlazione la troviamo in Gàmala, la città di Giuda, il loro padre.
Ovvero: Gàmala sta ai figli di Giuda il Galileo, come “Nazaret” sta a “Gesù” e ai suoi fratelli.
I “Padri” fondatori, attraverso un processo di adattamento dottrinale, ebbero la presunzione di conservare la loro fede come una “Verità storica divina” per renderla credibile e, partendo da una vicenda tutta ebraica, riferita a persone realmente esistite, con tanto di nomi, località e date, si resero conto che, con l’evoluzione politica dei tempi, per opportunismo, bisognava modificarla e, di conseguenza, nascondere, sia il significato della esistenza dei protagonisti, sia il nome della patria da cui provenivano.
Questo fu il “peccato originale” della nascente religione cristiano gesuita che, oggi, si è trasformato in un “peccato mortale”, perché la storia, con l’aiuto dell’archeologia, a volte anche per caso, si riappropria della verità scoprendo le falsificazioni sino a mettere in crisi la stessa dottrina.
Allora soffermiamoci sulla città di Giuda, il fariseo rivoluzionario, Zelota, come i suoi figli, i veri protagonisti dei Vangeli.
Ma un certo Giuda, un Gaulanita della città chiamata Gàmala, che aveva avuto l’aiuto di Saddoc, un fariseo, si gettò nel partito della ribellione” (Ant. XVIII, 4).

Gàmala

Questa città, le cui rovine furono scoperte in modo fortuito ed inaspettato nel 1967, riconosciuta ufficialmente dagli archeologi nel 1976, l’unica della Palestra ad essere stata costruita sopra un monte, nel Golan inferiore, a nord est del lago di Tiberiade (Genezaret), importante per la storia giudaica fin dal secolo precedente a “Cristo”, fu attaccata nell’autunno del 66 d.C., invano per sette mesi, dalle truppe di Re Agrippa II, e verrà distrutta, grazie, anche, all’intervento di tre legioni romane agli ordini di Vespasiano e Tito, oltre un anno dopo. Teatro di una battaglia sanguinosa che causò migliaia di morti fra la popolazione, di cui (secondo quanto riferito da Giuseppe) più della metà suicidi, gettatisi in un precipizio con donne e bambini, pur di sottrarsi a stupri e schiavitù. Questa città, sopra un monte vicino a Cafàrnao e al lago, così presente nella storia…è ignorata dai Vangeli.
“Gesù Cristo” percorse, in lungo e in largo, la Palestina; ha navigato e passeggiato su e giù per il lago di Tiberiade, ha fatto miracoli e discorsi in città e villaggi molto meno importanti, ma a Gàmala no!: la evitava. Così come la evitava il geniale Apostolo, da Lui nominato “post mortem”, Saulo Paolo, il quale, ligio alle consegne ricevute dal Maestro al momento della “folgorazione”, doveva visitare tutte le Sinagoghe tranne quella di Gàmala.
In quella città, Paolo, non doveva fare proselitismo, né miracoli da lasciare in ricordo. Lo stesso dicasi per gli Apostoli, Simone Pietro, Giacomo, Giovanni “detto anche Marco”, nonché i membri al completo della “prima comunità cristiana”, i quali, in adempimento alle consegne ricevute dal “Maestro”, nessuno di loro poteva recarsi a Gàmala.
Eppure la città era (ed è) vicina al lago di Tiberiade, sul ciglio di un monte, con un precipizio, Sinagoga, attività produttive, sembra, anzi è la descrizione della “Nazaret” dei Vangeli:

I resti di Gàmala

I lavori di scavo furono sospesi poco dopo l’inizio. Sono visibili i resti della Sinagoga, vasche per le abluzioni rituali e parte delle mura. In alto a destra è visibile il lago di Tiberiade.

http://it.wikipedia.org/wiki/File:Israe ... a_view.jpg

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Si recò a Nazaret, dove era stato allevato; ed entrò, come solito, di sabato nella Sinagoga e si alzò a leggere…all’udire queste cose, tutti nella Sinagoga furono pieni di sdegno; si levarono, lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte sul quale la loro città era situata, per gettarlo giù dal precipizio. Ma egli, passando in mezzo a loro, se ne andò. Poi discese a Cafàrnao” (Lc. 4; 16-28/31).
Discese a Cafàrnao” (a nord del lago). Questa frase ha un senso soltanto se la discesa parte da Gàmala, “sul ciglio di un monte” sovrastante Cafàrnao, e distante da essa 15 Km.. Non può riferirsi alla Nazaret odierna, distante da Cafàrnao 32 Km. (in linea retta), non sovrastante ad essa e piana”, non posizionata sopra alcun monte, senza un precipizio a ridosso, né vicina al lago. Stessa constatazione anche in Matteo (8, 1-5):
[b]Quando Gesù fu sceso dal monte, molta folla lo seguiva…Entrato in Cafàrnao[/b]…” ;
Quel giorno Gesù uscì di casa e sedutosi in riva al mare (il lago è a 24 Km in linea d’aria) cominciò a raccogliersi intorno a lui tanta folla che dovette salire su una barca” (Mt. 13, 1-2).
lasciata Nazaret, venne ad abitare a Cafàrnao, presso il mare (lago), nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, al di là del Giordano” (Mt. 4, 13/15).
Per recarsi da Nazaret a Cafàrnao non bisogna attraversare il Giordano, ma, se si parte da Gàmala, si è costretti ad attraversare il Giordano; basta guardare la carta geografica.
Terminati questi discorsi, Gesù partì dalla Galilea e andò nel territorio della Giudea, al di là del Giordano” (Mt. 19, 1).
Per recarsi dalla Galilea alla Giudea, entrambe al di qua, non si deve attraversare il Giordano; ma, se si parte da Gàmala, il territorio della Giudea è al di là del Giordano. Verificare sulla carta geografica.

Questa vorrebbe essere la città dei Vangeli

http://www.storiacristianesimo.it/images/nazareth.JPG

Al contrario di Gàmala, la città di “Nazaret” è totalmente sconosciuta dalla storia sino al IV secolo dopo Cristo. La Nazaret che conosciamo, meta di pellegrini e culto dei cristiani di tutto il mondo da oltre 1500 anni, non ha nulla a che vedere con la Città dei Vangeli.
Secondo l’evangelista "Giovanni detto anche Marco":
Intanto si ritirò presso il mare (di Galilea) con i suoi discepoli…salì poi sulla montagna, chiamò a sé quelli che egli volle…entrò in casa e si radunò attorno a lui molta folla (di una città sul monte)…allora i suoi, sentito questo, uscirono (dalla casa in cui abitavano) per andare a prenderlo…giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, lo mandarono a chiamare” (Mc. 3, 7/31).
La “Sacra Famiglia” abitava in una città costruita “sul ciglio di un monte” e non poteva essere l’attuale Nazaret sita in una valle fra colline lievemente ondulate “al di qua del Giordano”, ma Gàmala, “al di là del Giordanorispetto alla Galilea..

In base alle descrizioni evangeliche, avrebbe dovuto essere una città, sopra un monte, con la sinagoga, le case…vicina al lago, (è a 24 Km. in linea retta dal lago), il precipizio, dove avrebbero voluto gettarvi Gesù…niente: nulla che si riferisca ai Vangeli.
Storia, geografia, archeologia: mancano i tre requisiti, tutti insieme indispensabili, per dimostrarne l’esistenza al tempo di Cristo. E’ stata studiata, visitata, sondata con le apparecchiature più moderne, ma tutto ciò che è venuto fuori, di veramente databile al I secolo, è solo qualche “cripta tombale” scavata nella roccia (qualche buco), per il resto solo deduzioni e "stime" da "scoop" più ideologiche che archeologiche.
Ripetiamo: entro il I secolo della nostra era dove oggi esiste Nazaret, secondo i Vangeli, lì avrebbe dovuto esistere una CITTA’ con numero di abitanti adeguato e attività economiche tali che giustificassero anche la presenza di una SINAGOGA, situata sopra il ciglio di un MONTE, con un PRECIPIZIO e vicina al LAGO. Negli stessi Vangeli i “villaggi” sono indicati con vocaboli distinti da “città”.
L’esistenza di una Sinagoga comportava la presenza di sacerdoti che dovevano essere mantenuti, con i loro privilegi, insieme alla struttura ed una organizzazione ad essa funzionale, da una popolazione con un numero di abitanti compatibile soltanto a quello di una città.

Diversamente da Gàmala, Nazaret non è posizionata su di un monte, non ha precipizio, non è vicina al lago, né rovine di una autentica Sinagoga ebraica risalente al I secolo (escludiamo quella ipotizzata dal pio "Padre Bellermino Bagatti")... tanto meno barche nelle vicinanze. Gli edifici e i monumenti più antichi riferiti alla vita di “Cristo”, ammirati dai pellegrini in devota contemplazione, risalgono ad epoche successive al Concilio di Nicea del 325 d.C.. E’ facile capirne il motivo: li fecero apposta. In era bizantina, durante le crociate cristiane e in epoche successive.

La Chiesa è consapevole del vuoto storico del nome della “città di Nazaret”, pertanto, per trovare una giustificazione, contraddicendo i Vangeli, nell’ultimo secolo la ha declassata a “villaggio” e, come tale, sarebbe passato inosservato agli storici ed agli archeologi.
Al contrario, poiché il sotterfugio è servito solo a confermare che la città di “Nazaret”, non è mai esistita, allora, archeologi, papirologi e paleografi, tutti filo clericali, si sono messi a spulciare fra decine di migliaia di frammenti di papiro (ad iniziare da quelli di Qumran), cocci di vasi o ceramiche, sparsi nella Palestina e, “finalmente”, nel 1962, a Cesarea, fu trovato un pezzo di ceramica, grande quanto una mano, riportante una epigrafe sulla quale, fra le altre parole, ne risulta una incompleta con la scritta in ebraico “nzrt”. Ma, rendendosi conto che quattro lettere, in ebraico (era la lingua usata nei documenti religiosi) anziché in aramaico (lingua di uso corrente), di un reperto trovato in un'altra città, Cesarea Marittima, al di là dei diversi significati che un paleògrafo possa loro attribuire (“virgulto”, “verità” o altri), non rappresentano una dimostrazione riferibile alla città di Nazaret; pertanto nessuno, a parte qualche “mistico spiritualista”, le considera “prova”… al contrario, queste macchinazioni evidenziano l’inconsistenza di prove sull’esistenza della città di Nazaret sino al punto da rendere ridicola la datazione dello stesso reperto.

Il nome di “Nazaret”, come città, era talmente “inesistente” che, dopo la morte di “Gesù”, gli stessi Apostoli, discepoli e Padri Apostolici, nessuno di loro (come per Gàmala), sentì il bisogno di recarsi alla sua Sinagoga, almeno per lasciare ai Nazaretani qualche miracolo in ricordo…niente. Durante i trenta anni di “apostolato” e “cristianizzazione” delle Province dell’Impero Nazaret fu ignorata da tutti i Santi, Profeti e Discepoli.
I padri Apostolici e, prima di loro, San Pietro, San Paolo, San Giacomo, San Barnaba, benché guidati dallo “Spirito di Gesù” e dallo “Spirito Santo”, non fecero mai rotta verso Nazaret…come se non fosse mai esistita, o meglio, come se “Nazaret” sia esistita solo per “Gesù”.

E’ Gàmala, la vera “Nazaret”dei Vangeli: la patria di Giuda il Galileo.

E’ una città, su di un monte, ha un precipizio, la sinagoga, è a 9 Km. dal lago, con case ed attività produttive (frantoi), tutto testimoniato da resti archeologici risalenti al tempo di Cristo, conosciuta anche da Svetonio come una “città dei Giudei importantissima” (Tito 4).
Geografia, storia, archeologia: tutto concorda. Giuseppe Flavio, nel suo impegno letterario incentrato sulla Palestina del I secolo, con scrupolosità estrema, cita e descrive alcune centinaia di villaggi e tutte le città della sua terra; eppure gli avvicina quando nomina Giaffa, che era un piccolissimo villaggio limitrofo all’odierna Nazaret, ma su “Nazaret”, che secondo i Vangeli era una città, niente; nessuno storico o geografo dell’epoca di Cristo, o antecedente, nomina Nazaret.
Lo storico ebreo spiega che “città” corrispondeva ad un grado che, “oltre ad indicare un maggior numero di abitanti di un villaggio, [i]ne prevedeva la fortificazione[/i]”. (Ant. XVIII, 28).
Il Vangelo di San Tommaso, manoscritto ritrovato nel 1945 (non manomesso) risalente al IV secolo dice: “una città costruita su un’alta collina e fortificata non può essere presa né nascosta” (Tm. 32); In questo Vangelo è denunciato il tentativo di “nascondereuna città, la quale, se fosse stata la “Nazaret” indicata nei Vangeli, essa avrebbe dovuto avere fortificazioni; infatti:“La città di Gàmala, per le sue difese naturali, era imprendibile, cinta di mura e rafforzata…” (Gue. IV 9).
Giuseppe Flavio, come sacerdote Comandante dell’esercito rivoluzionario della Galilea, provvide a far ristrutturare le fortificazioni, ad iniziare dalle mura, di tutte le città della regione, nominandole una ad una, ma, su Nazaret … silenzio assoluto!
Dopo i successi ottenuti su Cestio Gallio (66 d.C.) racconterò come i Giudei fortificarono le città, e con fedeltà descriverò per ogni città i patimenti dei vinti” (Gue. I 20/22) …di Gàmala e di tutte le altre città, lo storico tramanda le sofferenze, mentre “Nazaret”, non essendo nominata, fu l’unica città della Galilea che non soffrì…dal momento che non esisteva ancora.

La tradizione ha fissato il domicilio della famiglia di Gesù a Nazareth allo scopo di spiegare così il soprannome di Nazireo, in origine unito al nome di Gesù … Nazireo è certamente un nome di una setta senza rapporto con la città di Nazareth”. (La naissance du Christianisme – Alfred Loisy, 1857-1940, sacerdote, professore universitario dell’Istituto Cattolico di Parigi).
Nei vangeli non troviamo mai l’espressione “Gesù di Nazareth” ma soltanto Gesù il Nazoreo, talvolta scritto anche Nazoreno o Nazareno… nessuno di questi appellativi, per quanto si sia cercato di forzarne l’etimologia, può farsi risalire ad un nome come “Nazareth”. E’ da questi termini che è derivato il nome della città di Nazareth e non viceversa”. (Breve storia delle religioni, 1959 - Ambrogio Donini, professore universitario).
Michail Bulgakov, nella sua opera “Il Maestro e Margherita”, considerata da molti il miglior romanzo russo del XX secolo, così descrive l’incontro fra Pilato e Gesù:
“«Nome?» - «Yeshua» - rispose rapido l’accusato - «Hai un soprannome?» - «Ha Nozri» - «Di dove sei?» - «…della città di Gamala» - rispose l’arrestato indicando con un movimento della testa che laggiù, lontano, alla sua destra, verso nord, esisteva una città chiamata Gamala…”.
Lo scrittore ucraino (1891–1940) ha potuto “immaginare” questo colloquio soltanto grazie agli studi condotti da suo padre, Afanasij Ivanovic Bulgakov - docente di storia delle religioni durante l’epoca zarista, condizionata dal potere religioso cristiano ortodosso - che informò i familiari sulle conclusioni delle sue ricerche. Morì nel 1906 dopo aver scoperto che “Nazaret” non fu la città di Gesù e perciò sapeva che i Vangeli contenevano anche un’altra menzogna comprovata da quel “Nozri”… come vedremo più avanti.
E’ importante rilevare che questi ed altri studiosi giunsero a tali conclusioni molto prima che venissero scoperti i resti della città di Gàmala. Ad essi va riconosciuto il merito di avere compreso la verità storica senza l’ausilio dei nuovi dati archeologici, essenziali alla ricerca critica.

Gesù “Nazaretano”, non Nazareno (Nazoraios) avrebbe dovuto essere la forma corretta, o meglio “Betlemita”, in quanto, per i Vangeli, nativo di Betlemme.
Le forme Nazoraios, Nazarenos, Nazaraeus, Nazarene, provano tutte che gli scribi ecclesiastici conoscevano l’origine della parola ed erano ben consapevoli che non era derivata da Nazareth. Il nome storico e la posizione geografica della città natale di Cristo è Gamala. Questa è la patria del Nazoreo. La montagna di Gamala è la “montagna” dell’evangelista Luca. La “montagna” di tutti i Vangeli che ne parlano senza nominarla”. (The Essene Origins of Christianity, 1980; E.B. Szekely, teologo del Vaticano).

In quei giorni (dopo il concepimento a Nazaret) Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda” (Lc. 1, 26/39).
Una “città di Giuda” sopra la montagna, da raggiungere “in frettapartendo dalla Nazaret odierna, non ha alcun senso, né riscontro geografico, né storico. Nel I secolo non risulta essere esistita in Galilea nessuna città “di Giuda” al di sopra di alcuna montagna, tanto meno vicina a Nazaret.
Proviamo a cambiare l’articolo indeterminativo e vediamo se la frase acquista un significato:
In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta la città di Giuda” …il Galileo: Gàmala; ora si che ha un senso!.
Una ragazza rimasta incinta fa un viaggio breve per recarsi dal suo uomo e il villaggio più vicino era Bethsaida, sul lago, proprio sotto Gàmala, raggiungibile (in fretta), con un paio d’ore di cammino al massimo, ovviamente…senza attraversare il Giordano. (Controllare la carta).

Ma allora, se Nazaret è esistita solo per “Gesù” e Gàmala era la vera “Nazaret”, perché i Vangeli canonici hanno mentito? Via!…non diteci che non lo avete capito: era la città di Giuda il Galileo e dei suoi figli…i quali avevano lo stesso nome dei fratelli di “Gesù”: Giacomo, Simone, Giuda e Giuseppe … cui, come vedremo, si aggiungerà Giovanni, indicato nel Vangelo con “costui”:
Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, Giuseppe (Ioses), di Giuda e di Simone?” (Mc. 6,3).

Perchè i sacerdoti nelle Sinagoghe, nei Sinedri e i Giudei tutti, nessuno di loro chiamava Cristo con il suo nome "Gesù"...ad iniziare da Lui stesso? Eppure "Gesù" era un nome molto comune fra i Giudei dell'epoca perchè era il nome di un grande eroe biblico: Giosuè.
Ne parleremo più avanti...


http://www.vangeliestoria.eu/index.php








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Ultima modifica di Emilio Salsi il 10/11/2009, 16:30, modificato 1 volta in totale.


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MessaggioInviato: 12/11/2009, 20:46 
Gli Zeloti di Gàmala.

Dopo aver constatato che la città di “Gesù”, descritta nei Vangeli, non corrisponde alla “Nazaret” odierna bensì a Gàmala, la città di Giuda il Galileo e dei suoi figli, i quali avevano gli stessi nomi dei fratelli del “Signore”…abbiamo compreso che “Nazaret” servì a giustificare il titolo di “Nazareno”, modifica letteraria di “Nazireo”, ossia il consacrato a Dio tramite il voto “Nazir”.
Lo stesso voto di Sansone che lo obbligava a non bere vino e non tagliarsi i capelli.
La sacra promessa di nazireato era incompatibile con la nuova dottrina cristiano gesuita: contrastava con il rito eucaristico della trasformazione del vino nel sangue.
Un vero “Nazireo”, vincolato dal voto “Nazir”, non avrebbe mai potuto bere il vino nell’ultima cena per poi trasformarlo in sangue da far bere ad altri Ebrei “Apostoli”, per giunta suoi fratelli.

In base alla Legge degli antichi Padri, i Giudei non attendevano “l’Unto di Yahwè” per crocifiggerlo, mangiarlo e berne il sangue: il Messia che attendevano doveva essere un Re condottiero: un Salvatore (Jeshùa) della terra d’Israele dalla dominazione pagana.
Il rituale teofagico eucaristico fu ripreso dalle dottrine pagane e innestato nella religione ebraica; venne adottato dai primi cristiani gesuiti nella seconda metà del II secolo, dopo la distruzione di Gerusalemme del 135 d.C. da parte dei Romani, mantenendo la liturgia degli Ebrei Esseni come documentata nei rotoli di Qumran.
Monaci e alto Clero, sin dall’inizio, sapevano di discendere dagli Esseni Terapeuti d’Alessandria come riferito, nel IV secolo, dai Vescovi Epifanio e Eusebio di Cesarea (HEc. II 16, 1-2).
Poiché i Vangeli non riportano la descrizione dell’aspetto del “Salvatore”, nei secoli futuri, “Gesù” fu da loro descritto, agli artisti che lo raffigurarono, vestito con il semplice camice bianco usato dagli adepti alla setta (Gue. II 123) e con i capelli e barba lunghi, obbligatori per un “Nazireo”, oppure con il manto color porpora come si conveniva ad un Re.

Pur di non farlo apparire “Nazireo”, particolare che avrebbe messo in crisi “la dottrina della salvezza”, i Padri fondatori vollero dimostrare che non lo era, ma esagerarono nel senso opposto…e a un “Dio”, disceso sulla terra per “salvare” l’umanità, prima gli fanno trasformare l’acqua in vino, poi, senza scrupolo alcuno, lo fanno passare per “beone” e “mangione” insieme a “peccatori” (per gli Ebrei peccava chi mangiava cibi proibiti) e a pubblicani, cioè gli esattori dei tributi dovuti dai Giudei a “Cesare”.
Al fine di impedirne la identificazione con gli Zeloti che lottarono contro i tributi, i falsari ideologi, con volgarità, preferirono far passare “Gesù” per un ebreo “crumiro mezzano” che, con i suoi “discepoli”, era dalla parte dei Romani anziché dei suoi connazionali, sino al punto di nominare un pubblicano, Matteo, suo “Apostolo”:

Poi Levi gli preparò un grande banchetto nella sua casa. C’era una folla di pubblicani e d’altra gente seduta con loro a tavola. I farisei e i loro scribi mormoravano e dicevano ai suoi discepoli: Perché mangiate e bevete con i pubblicani e i peccatori?”. (Lc. 5, 29-30).
Interrogato poi: “E’ lecito che noi paghiamo il tributo a Cesare?… egli disse: date a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio” (Lc. 20, 22/25) …
Risposta evasiva che vuol dire: pagate le tasse all’Imperatore e poi pregate.
I Padri fondatori, in un futuro ormai evoluto e diverso politicamente, da una verifica storica si resero conto che le vicende narrate traevano origine da una religione gnostica primitiva contenente fatti reali e, anche se mitizzati, col tempo, erano entrati in contrasto con la nuova dottrina proprio perché riguardavano persone veramente esistite e di tutt’altri ideali.

Andavano apportati cambiamenti per rendere più credibile il sacrificio di un “Salvatore”, in quanto incarnato in un vero uomo, diverso da quello delle religioni pagane basato solo su miti; sacrificio teofagico avente per fine la vita eterna che, unito alla speranza di guarigioni miracolose, era diventato il cavallo vincente del cristianesimo gesuita.

Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne” (Gv. 6,51).
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo resusciterò” (Gv. 6, 54).

Questa era la nuova dottrina che faceva presa su masse di nuovi proseliti: l’innesto del sacrificio del “Salvatore” pagano nella religione ebraica tramite il “Messia”, Salvatore dei Giudei … successivamente, non più “disceso dal cielo”, come postulato dai mistici creatori dei Vangeli primitivi e profetato dagli Esseni nel frammento manoscritto di Qumran (4 Q 286/7) “…lo Spirito Santo che si posa sul suo Messia…”, ma partorito in terra da una “vergine”, in una grotta, come riferito da Orìgene nel III secolo, e come avveniva in altri credi, con un sincretismo mirato, soprattutto con il Dio Mitra.
Ancora dopo, sconfitto e superato il mitraismo, la “[b]grotta” sparirà dai Vangeli [/b] (quelli attuali sono traduzioni di codici risalenti al V secolo) proprio per recidere una delle matrici ideologiche pagane … ma essa rimarrà ugualmente nella memoria popolare, superando i secoli, smentendo gli stessi Vangeli canonici.

Non era più necessario uccidere animali e berne il sangue, rituale sacro troppo costoso per la plebe, ma bastava una liturgia con semplice frazione del “pane vivo consacrato” per avere diritto alla vita eterna. La stessa liturgia descritta dagli Esseni nella “Regola della Comunità” di Qumran.
Il Vangelo di Giuda, un manoscritto originale, sopravvissuto alle devastanti censure ecclesiastiche, venuto alla luce di recente e datato, al radio carbonio, fra il 230 e il 330 d.C., ci descrive un “Gesù” e un Dio Creatore diversi da quelli raffigurati dalla Chiesa: non parla di Pilato, né di rito eucaristico teofagico avvenuto nella “ultima cena”, tanto meno di “Resurrezione”.
Siamo di fronte ad un “Salvatore” ancora in parte giudaico, ma non condottiero di un popolo che lotta per liberare la sua terra invasa dai pagani.
Lo stesso vale per altri Vangeli scoperti a Nag Hammadi, in Egitto, nel 1945.
Questo per rimarcare le differenze teologiche, fra dottrine in embrione, seguite dai primi “Cristiani”, e quanto fu necessario per la “Chiesa”, a partire dai primi “Padri”, selezionare e unificare i diversi “Credi” cristiano-gesuiti con la distruzione dei rispettivi Vangeli.

Ancora prima della vittoria di Costantino sul pagano Massenzio nel 312 d.C., svariate correnti teologiche cristiane erano in guerra fra loro nella convinzione che ognuna di esse fosse depositaria della vera “Rivelazione” sulla “Verità della Salvezza”, o della vera “Sostanza del Salvatore”, o della “gnosi” del “Figlio a forma del Padre” o di quante “Potenze o Sostanze” dovesse essere composto “Il Verbo” o il “Logos”, se da un “Padre Ignoto, Infinito e Informe” o se dovesse essere Dio, tramite un “Battesimo Illuminante” a creare suo Figlio come “Umanizzazione dello Spirito”, o se dovesse essere lo Spirito Santo, in una “perfetta ipostasi col Padre e col Figlio”, a far generare da una Vergine “secondo la carne, il Verbo fatto carne”…“in una consustanziale e coeterna Trinità”… finché non fu coniato il “Verbo” definitivo, quello che verrà descritto dettagliatamente nelle enciclopedie ed i vocabolari di tutto il mondo: “Transustanziazione”, ovvero:

Il rituale attraverso il quale si attua la presenza reale del Corpo e del Sangue di Gesù nell’Eucaristia, con la conversione della sostanza: del vino nel Sangue e del pane nel Corpo di Gesù Cristo…rimanendo immutate solo le apparenze del pane e del vino”.
E tutto ciò, grazie ad un universale lavaggio del cervello, fu introdotto in una “ostia”. “Hostia”: Vittima sacrificale che i pagani offrivano agli Dei” sopra un “Altare”: lastra di pietra, elevata dal suolo, su cui venivano consumati i sacrifici”.

Erano gli Episcopi, Patriarchi e Imperatori “Pontefici Massimi”, tutti auto nominatisi “Venerabilissimi e Santi”, che, fabulando, creavano le divinità da fare adorare agli uomini. Divinità così contrastanti fra loro, ideologicamente, da ingenerare tensioni e guerre; conflitti talmente cruenti che si rese necessario indire Concili su Concili per tentare di “conciliare” dottrine scismatiche che preferirono massacrarsi per eliminarsi, accusandosi, reciprocamente, come “eretiche”, “apostate” o “folli”, le une contro le altre…Santi contro Santi… uomini contro uomini, persecuzioni e martirii di cristiani contro cristiani, seguaci di Cristi diversi…potere contro potere …morte contro morte…per la vita eterna.

Noi abbiamo sopportato da parte degli eretici le persecuzioni, le tribolazioni, le minacce per la fede … Si deve anatemizzare ogni eresia, specialmente quella degli Eunomiani o Amonei, degli Ariani o Eudossiani, dei Serniariani e Pneumatomachi, dei Sebelliani, dei Marcelliani, dei Fotiniani e degli Apollinaristi” … Basilidiani, Docetisti, Carpocraziani, Cleobiani, Cerintiani, Modalisti, Adozionisti, Dositei, Marcioniani, Masbotei, Montaniani, Maniani, Novaziani, Simoniaci, Donatisti, Priscilliani, Menandrianisti, Pelagiani, Monofisiti (Copti), Nestoriani, Abelliani, Valentiniani, Saturnilliani ecc…

E il massacro fra i “cristiani” continuò, nel IV e V secolo, sino a che tutte le dottrine cristiane dichiarate “eretiche” furono eliminate, con i rispettivi Vangeli, da quella vincente sopravvissuta…come una sorta di “naturale evoluzione adattativa delle spècie religiose”: il Cristianesimo odierno.
Concepire una nuova figura teologica di “Salvatore”, sin dall’inizio, non fu semplice per le sette degli Esseni sparse a oriente dell’Impero … tenuto conto che, tutt’oggi, ognuno (non gli atei) immagina il suo “Dio” secondo le proprie “esigenze” o fantasie …

I nuovi Padri “evangelisti” studiano i manoscritti disponibili; eliminano la paccottiglia ridicola; dichiarano eretica quella astratta fondata su una “gnosi”, più adatta ad asceti portati all’esaltazione mistica, ma poco richiesta e poco praticata, perché incompresa, da un popolo bisognoso “di eternità” e di miracoli “terapeutici”.
Distruggono molti Vangeli con i relativi “Gesù”, diversi e in contrasto teologico fra loro, che dimostrano, troppo apertamente, i molteplici tentativi di “costruzione” della nuova religione.
Li chiamano “Apocrifi”, che vuol dire “Celati”… sic! (locuzione ipocrita come chi la coniò).
Scrivono gli “Atti degli Apostoli” e le "Lettre di Paolo" per raccordare la dottrina dei Vangeli primitivi giudaici alle esigenze “universali” del nuovo “Credo” e decidono di manipolare la compromettente identità dei “fratelli di Gesù”, replicandoli e trasformandoli in “Apostoli” incaricati di predicare e diffondere la Vera Fede voluta da Dio.
A conclusione di questa evoluzione adattativa dei manoscritti, nel tempo e nella dottrina, sono rimasti, sino a epoche recenti, nei Vangeli, termini e vocaboli originali (in passato non compresi) che denunciano l’origine zelota antiromana di una ideologia inizialmente filo giudaica.

Infatti, Giuda Theudas era un Profeta “sobillatore”, il quale, come sopra visto, era fratello di Giacomo, a sua volta fratello di Giovanni (At. 12, 1-2) che insieme a Simone e Giuseppe (l’ultimo) costituiscono la cerchia di “fratelli” evangelici tutti con nomi di tradizione giudaica.
Solo questi nomi, autenticamente ebraici risultano accompagnati da qualifiche e attributi, quindi da atti, conformi allo stesso Profeta “sobillatore” Giuda Theudas ucciso da Cuspio Fado nel 45 d.C.:
zeloti”, che, dall’interpretazione in greco di Giuseppe Flavio, significa “fanatici nazionalisti”; “bariona”, in aramaico, significa “latitante fuorilegge”; “iscariot” omofono di sicario o sicariota; “boanerghes”, significa “figli del tuono” o “figli dell’ira”; “cananeo” da “qan ana” in aramaico, equivalente a “zelota”, e “galilei”, come “fuorilegge” (erano figli di Giuda, ideatore dello zelotismo antiromano, detto “il galileo”).
E’ d’obbligo rilevare che queste qualifiche o attributi sono riferite solo ad “apostoli-fratelli” che hanno lo stesso nome dei fratelli di Gesù.
Attributi e qualifiche che richiesero un intervento “correttivo”, da parte degli scribi cristiani, mano a mano la Chiesa ne comprese il vero significato.

Nella Tabella dei nominativi degli Apostoli, sotto riportata, risulta che Simone, nei Vangeli, viene qualificato come “Bariona”, “Kefaz” (pietra), “Cananeo”, “Zelota” e “Iscariota”; non ci vuole molto a capire che questi vocaboli identificavano un partigiano fanatico nazionalista, nemico dei pagani invasori della terra d’Israele, per tanto ricercato dai Romani e, una volta catturato, crocefisso, assieme al fratello Giacomo, dal Procuratore Tiberio Giulio Alessandro.





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Il Tempio di Gerusalemme

Approfondimento

Con gli studi sopra pubblicati, in data 3 e 5 nov. u.s., abbiamo dimostrato l’invenzione di un finto “Atto del Sinedrio” che vide protagonisti finti Apostoli fatti arrestare dal Sommo Sacerdote per “essere messi a morte”. I Santi furono accusati di “aver predicato in nome di costui (Gesù)” inoltre san Pietro faceva troppi miracoli davanti al “portico di Salomone”.
Sono accuse ridicole: perché mai un Sommo Sacerdote del Tempio avrebbe dovuto uccidere chi aveva poteri divini simili?
Siamo di fronte a un “Credo” basato sulla unica testimonianza trasmessa da “sacre scritture”.
In esse si narra di uomini, come Gesù e Apostoli, vissuti circa duemila anni fa, dotati di poteri sovrumani e autori di prodigi straordinari; uomini che, secondo le narrazioni evangeliche interagirono con altri uomini famosi, realmente esistiti, pertanto rintracciabili nella storiografia dell’epoca.
Nel caso sopra riportato l’indagine sulla testimonianza di Theudas, fatta rendere a Gamalièle, è basata su un profilo esclusivamente storico, semplice da verificare perché la data della morte di Erode Agrippa I la si trova in una qualsiasi enciclopedia; lo stesso vale per i dati dei Procuratori romani Cuspio Fado e Tiberio Alessandro.
C’è un altro aspetto, concernente l’informazione “teologica” riportata in questo falso Atto del Sinedrio (I e II parte), da verificare: secondo quanto descritto da san Luca gli “Apostoli” furono fatti arrestare dal “Sommo Sacerdote e dai Sadducei pieni di livore” perché:

Molti miracoli e prodigi avvenivano fra il popolo per opera degli apostoli. Tutti erano soliti stare insieme nel portico di Salomone; degli altri, nessuno osava associarsi a loro (gli Apostoli), ma il
popolo li esaltava
. Intanto andava aumentando il numero degli uomini e delle donne che credevano nel Signore fino al punto che portavano gli ammalati nelle piazze, ponendoli su lettucci e giacigli, perché, quando Pietro passava, anche solo la sua ombra coprisse qualcuno di loro. Anche la folla delle città vicine a Gerusalemme accorreva, portando malati e persone tormentate da spiriti immondi e tutti venivano guariti
” (Atti 5, 12/16).

L’assurda esagerazione di quanto descritto si commenta da sé (è solo un piccolo esempio), ma va sottolineato un importante particolare: il “portico di Salomone”, dove si riunivano gli Apostoli fautori di miracoli, non esisteva al tempo in cui san Luca inserisce l’episodio. Vediamo perché.

Il Tempio

In “Antichità Giudaiche” (Luigi Moraldi, UTET 1998), il curatore, a piè di pag. 280 (Libro XV), nota n° 96, riporta vari autori di studi sul Tempio di Gerusalemme basati, tra l’altro, su scavi archeologici. Va aggiunto che, secondo i ricercatori odierni israeliani dell’Israel Antiquities Authority, di resti del Tempio erodiano non è rimasto quasi nulla tranne qualche pietra ed epigrafe.
Alla pag. 984, nota n° 104, riferita alla “velocità del lavoro del Tempio”, iniziato nel 23/22 a.C. e inaugurato da Erode il 18 a.C., lo stesso Moraldi afferma che “in realtà l’intera opera fu completata fra il 62 e il 64 d.C.”, quindi sotto il Procuratore Albino al tempo di Nerone.
Questa è la tesi prevalente fra la maggioranza degli archeologi da oltre mezzo secolo e condivisa da molti esegeti credenti i quali, però, evitano di approfondire per non evidenziare le gravi contraddizioni con le “testimonianze evangeliche”. Come fa lo stesso Moraldi quando, nella suddetta nota n° 104, si limita a citare il Vangelo di Giovanni (Gv. 2, 20) ma “dimentica” di riferire i miracoli fatti dagli Apostoli sotto il “Portico di Salomone” in Gerusalemme.

Però, dalla documentazione, non risulta che, dopo l’inaugurazione del Tempio, i lavori vennero sospesi e non furono realizzati i porticati sotto lo stesso Erode il Grande.
Al contrario non si può concordare con le conclusioni riferite dal Moraldi perché, come sempre precisato, le informazioni pervenuteci dalla storia siamo tenuti a rispettarle.

Poco dopo la morte di Erode il Grande (Libro XVII par. 254/264), per la Pentecoste del 4 d.C. scoppiò una violenta rivolta in Gerusalemme contro il Procuratore romano Sabino (divamperà poi in una guerra allargata anche alla Galilea), cui aderirono Giudei, Galilei e Idumei.
Nel corso dei combattimenti i ribelli:
montarono sui portici che circondano il cortile del Tempio” (par. 259) … “allora i Romani, trovandosi in una situazione disperata, diedero fuoco ai portici, …e il tetto, saturo di pece e cera si arrese alle fiamme e quell’opera grandiosa e magnifica fu completamente distrutta” (par. 262).
Le colonne in monolito del porticato erano “legate” da una struttura di legno su cui poggiava il soffitto secondo quanto descritto dallo storico ebreo:
“I soffitti del portico furono fatti di legno massiccio…” (Ant. XV, 416).
Il crollo delle altissime colonne fu conseguente al precipitare della soffittatura in maniera irregolare travolgendo le stesse con un effetto a cascata, le une addosso alle altre. Da notare che il portico di Salomone era a picco su di una profonda valle (valle del Cedron) in cui finirono molte, disintegrandosi irrimediabilmente.

Lo storico ebreo descrive dettagliatamente il Tempio anche in “La Guerra Giudaica”, la sua prima opera completata negli anni settanta sotto Vespasiano, nel Libro V dal par. 184 al 226.
La disamina descrive le tre cinta murarie di Gerusalemme nei par. 136/183. Dal par. 142 al 145 leggiamo: “Il più antico dei tre muri, partendo dalla Torre Ippico raggiungeva il portico orientale del Tempio”.
In “Guerra”, le esposizioni del “muro antico” e del Tempio sono “statiche”, non essendo collegate ad azione di guerra contingente che coinvolge tutti i porticati, diversamente da quanto riferito sopra nell’episodio della rivolta in Gerusalemme, dopo la morte di Erode il Grande, quando vennero distrutti completamente. Giuseppe Flavio scelse di descrivere quelle opere imponenti nel Libro V di “Guerra” (Tempio e cinta murarie) prima che venissero demolite definitivamente da Tito.
Il condottiero romano lasciò in piedi alcune torri fortificate per i suoi scopi militari.

Le descrizioni del Tempio e delle mura con le imponenti torri, così dettagliate, Giuseppe ha potuto farle solo guardando i progetti esecutivi. E’ impossibile, per chiunque, riferire misurazioni così precise, tali da permettere la ricostruzione di modelli in scala ridotta.
In rete sono reperibili due versioni del Tempio: una col portico orientale, l’altra senza. Al di là del movente ideologico dottrinale dei realizzatori, esse sono entrambe corrette: la prima si riferisce al Tempio completato da Erode il Grande; la seconda raffigura il Tempio prima che venisse distrutto da Tito.

Infatti, quando lo storico ebreo scrisse, negli anni novanta sotto Domiziano, “Antichità Giudaiche”, la sua opera più particolareggiata, dedicò un intero capitolo al “Portico di Salomone” riferendo che Re Erode Agrippa II - alla fine del 63, inizi 64 d.C., poco prima dell’arrivo del nuovo Procuratore Gessio Floro, inviato da Nerone in sostituzione di Albino - decise che non venisse eretto per il costo eccessivo (Ant. XX 215).
Questa datazione ci obbliga ad evidenziare un fatto importante: Giuseppe Flavio non era in Gerusalemme quando il Re decise di non ricostruire il portico.
Come riferisce nella sua “Autobiografia” (3, 13/16), alla fine del 63 fu inviato a Roma, dal Sinedrio, per chiedere a Nerone la scarcerazione di alcuni sacerdoti ebrei arrestati dal precedente Procuratore Antonio Felice…e vi rimase sino a tutto il 65 d.C. (ibid 4, 17).
Quando rientrò in patria, nel 66 d.C., la tensione rivoluzionaria era in atto: gli eventi stavano precipitando, e Giuseppe, come tutti, era preoccupato più del futuro che del passato.

Verso la fine della procura di Albino (Ant. XX 219/223), Re Agrippa II dichiarò:“E’ sempre facile demolire una struttura” … Questa frase non si riferiva ad una demolizione da effettuarsi, ma già avvenuta nel passato: la distruzione dei portici, causata dal fuoco dei Romani per difendersi dagli insorti. E aggiunse il Re: “…è difficile erigerne (non “sostituirne”) un’altra e ancor più questo portico”. Il portico di Salomone non avrebbe avuto alcun motivo per essere più difficile degli altri due già eretti se non per il maggior numero di colonne che andarono distrutte precipitando nella valle del Cedron. Semmai il portico più impegnativo avrebbe dovuto essere quello Reale, a sud, ma già ricostruito.
Al di là di qualsiasi considerazione, ciò che rende inconfutabile la prova dell’inesistenza del portico di Salomone durante il periodo “evangelico” è l’affermazione lapidaria dello storico:
“…(i Gerosolimitani) spinsero così il Re ad innalzare il portico orientale”, che si conclude con il decreto reale (lapidario anch’esso) di Agrippa II:“…respinse (il Re) perciò la loro richiesta”.
Buona parte degli storici credenti riconosce “l’errore” dell’evangelista Luca (che riferisce i miracoli di san Pietro al Portico di Salomone), altri, viceversa, cerca di porvi rimedio con tergiversazioni ingenue e superflue…Beh, vanno compresi! Non è così facile ammettere di essere stati “dolciotti” e aver subito un lavaggio del cervello basato sull’illusione della vita eterna.
Soprattutto coloro che, dopo essersi sottoposti, si sono dedicati ad una propaganda capillare intesa a fare nuovi proseliti facendo il lavaggio del cervello ad altri: lo chiamano, ipocritamente, “Apostolato”…

“Il popolo fuor di sé per lo stupore (di un miracolo) accorse presso gli Apostoli al portico detto di Salomone. Vedendo ciò Pietro disse al popolo: Uomini d’Israele, il Dio di Abramo e Giacobbe, il Dio dei nostri padri ha glorificato il suo servo Gesù, che voi avete rinnegato e consegnato a Pilato, mentre egli (Pilato) aveva deciso di liberarlo; voi invece avete rinnegato il Santo e il Giusto, e avete ucciso l’autore della vita. Ma Dio lo ha risuscitato dai morti e di questo noi siamo testimoni.” (At. 3, 11/15)

Inesistenti Apostoli, autori di miracoli e sermoni, inventati sotto un inesistente portico. Con una testimonianza simile anche gli atei non potranno esimersi dal credere nella “Risurrezione di Gesù”.
Quando i Padri fondatori del nuovo “Credo” fecero scrivere a “san Luca” gli “Atti degli Apostoli”, molto dopo l’epoca dei fatti narrati, non potevano che essere atei. Normali uomini che, non avendo voglia di farsi venire i calli alle mani, per sbarcare il lunario preferirono vendere un prodotto molto richiesto, allora come oggi: l’illusione della vita eterna. Bastava promettere a uomini e donne di sopravvivere alla morte attraverso la “risurrezione” … e la gente accorreva ad ascoltare quello cui aspirava.
Un uomo che si inventa una divinità, contornandola di santi e profeti, facendo fare e dire a tutti loro cose che, lui personalmente, sta creando con la fantasia … altri può essere se non un ateo: un furbo ed ipocrita ateo…

A presto.


http://www.vangeliestoria.eu/index.php


Ultima modifica di Emilio Salsi il 13/11/2009, 20:53, modificato 1 volta in totale.


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MessaggioInviato: 14/11/2009, 16:31 
Per il sig Salsi

In base alla Legge degli antichi Padri, i Giudei non attendevano “l’Unto di Yahwè” per crocifiggerlo, mangiarlo e berne il sangue: il Messia che attendevano doveva essere un Re condottiero: un Salvatore (Jeshùa) della terra d’Israele dalla dominazione pagana.

I credenti sostengono ,facendo passare gli ebrei di tutti i tempi per degli emeriti cretini,che il vero messia era quello profetizzato da Isaia(il famoso servo sofferente),e che l'attesa di un Unto glorioso fu una interpretazione sbagliata delle scritture.
Gusu',sostengono i suddetti cattolici,impersona due messia:quello che sceglie la croce in espiazione dei peccati degli uomini commessi contro Dio e salvarli dal fuoco dell'inferno,e quello glorioso che ritornera' alla fine dei tempi.
Una idea scellerata ,lei come la pensa?

Un saluto


Ultima modifica di leviatan il 14/11/2009, 16:33, modificato 1 volta in totale.

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Sig. Leviatan,

non sono un credente e le confesso che l'escatologia non è il mio forte, anzi mi interessa poco. Sembra di camminare sul burro: l'evoluzione subita dalla dottrina cristiana nel corso dei primi secoli non potremo mai conoscerla perchè i Vangeli primitivi furono distrutti dagli stessi cristiani quando giunsero al potere.
Ne conosciamo l'origine grazie alla imponente documentazione ritrovata a Qumran. Da essa sappiamo che gli Esseni attendevano due "Messia": uno davidico, come Dominatore del Mondo; l'altro sacerdotale, discendente di Aronne, fratello di Mosè.
Questo modo di raffigurare due "Messia" diversi, a parer mio, derivava da una interpretazione della Legge mosaica intesa a separare i due poteri: quello règio, temporale, e quello spirituale trascendentale sacerdotale.
Sebbene, negli stessi rotoli si raffigura anche un "Messia" unico. Poichè i manoscritti furono compilati e archiviati in un lasso di tempo che iniziò dal II sec. a.C. fino al 67 d.C., si può ipotizzare un adattamento della loro dottrina già ad iniziare dai Re asmonei che furono anche Sommi Sacerdoti dal 100 a.C. sino ad Ircano II, nel periodo iniziale erodiano prima che questi venisse nominato Re dai Romani nel 37 a.C..
Per quanto riguarda "la duplice funzione di Cristo", vista dai cattolici odierni, ebbene, essi non hanno la più pallida idea di quanti "Cristi" siano stati concepiti dai "Padri creatori" (gli esegeti clericali li chiamano "Padri apologisti") durante i primi secoli.
Per farsi un'idea del processo evolutivo dia un'occhiata allo studio che segue.

Un saluto.



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MessaggioInviato: 14/11/2009, 22:57 
Agli storici genuflessi.

Abbiamo sopra letto lo studio comprovante la falsificazione della datazione della carestia da parte degli scribi cristiani che compilarono gli Atti degli Apostoli, adulterazione che comportò la contraffazione degli scritti originali di Giuseppe Flavio nei brani su riportati in “Antichità” XX dal verso 97 al 102, grazie al mal riuscito intervento di Eusebio di Cesarea.
E’ una delle tante dimostrazioni che la vera fonte cui attinsero i redattori dei Vangeli, nella versione ultima scelta dalla Chiesa, proviene dalle opere dello storico ebreo.
Questi Vangeli non furono “inventati” di sana pianta da questo o quell “evangelista”, ma sono il risultato finale di una dottrina preesistente diversa, filo giudaica, che doveva essere modificata in funzione di cambiamenti politici gravissimi conseguenti a guerre e distruzioni.
Una dimostrazione è derivata proprio dal precipizio di Gàmala.

Si recò a Nazaret, dove era stato allevato. Entrò, secondo il suo solito, di sabato nella Sinagoga e si alzò a leggere…(segue un discorso insulso* ma senza offese per alcuno). All’udire queste cose, tutti nella Sinagoga furono pieni di sdegno; si levarono, lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte sul quale la loro città era situata, per gettarlo giù dal precipizio. Ma egli, passando in mezzo a loro, se ne andò. Poi scese a Cafàrnao, una città della Galilea, e al sabato ammaestrava la gente…” (Lc. 4, 16/31).

* La nota è per “Barionu”, il quale, più volte, ha dichiarato di riconoscere il “profondo messaggio tramandatoci da Gesù Cristo”: una rivoluzione…d’amore. Lui, frequentando per anni i forum filo clericali, ne è rimasto condizionato “apostolicamente” ma la storia testimonia che “l’Avvento di Gesù” ha lasciato tutto come prima…anzi, peggio. Ieri, per uccidere un uomo, bisognava farlo con le proprie mani, oggi basta “spippolare” su un microprocessore per massacrare una popolazione, senza guardarla in faccia mentre muore…e lo si fa conservando la coscienza pulita: basta avere la catenina con il crocefisso d’oro appeso al collo…

Nello stesso giorno in cui si recò a Nazaret, dopo aver predicato ed evitato di essere precipitato nel burrone, Gesù si fa una scarpinata di ben oltre 40 km (in linea retta sono 35) e va a “miracolare” un indemoniato a Cafàrnao. Così è riferito nel Vangelo: ridicolo.
Ma l’aspetto più grave è costituito dalla totale ignoranza del diritto romano vigente all’epoca dei fatti narrati, prevalente sul diritto giudaico, il quale, comunque, in base alla stessa Legge mosaica, prevedeva la morte di chi la violava tramite: lapidazione, decapitazione o rogo…mai gettando il condannato in un burrone: non ve n’erano nelle città o villaggi ebraici, tranne Gàmala.
Secondo il racconto siamo in Galilea; la scena descritta si svolge in una Sinagoga, una struttura legale entro la quale si professa un culto ufficialmente riconosciuto nell’Impero, sin dall’epoca di Giulio Cesare che, per primo, emise i decreti.
Sacerdoti anziani, Scribi e Dottori della Legge erano persone istruite e responsabili: sapevano che non avrebbero potuto uccidere nessuno perché ne avrebbero pagato personalmente le conseguenze.
In quella regione il “ius gladii” fu conferito ad Erode Antipa da Cesare Augusto quando lo nominò Tetrarca e nessuno avrebbe potuto arrogarsi un potere simile, tanto meno attraverso il coinvolgimento di ministri del culto ebraico che officiavano all’interno di una Sinagoga.
La scena fu inventata di sana pianta da persone che non conoscevano l’ebraismo e fu scritta in un’epoca molto posteriore rispetto alla datazione evangelica.

Coloro che alterarono i Vangeli, tutti, non solo “Luca”, non si recarono in Palestina ma si limitarono a leggere le opere originali di Giuseppe Flavio per garantirsi che le modifiche apportate fossero compatibili con il nuovo credo cristiano gesuita. Sapendo che era Gàmala la città del padre di “Gesù” e i suoi fratelli, l’unico che ne riportò la descrizione dettagliata fu l’ebreo; lessero e rimasero colpiti dall’evento del suicidio collettivo, senza riflettere che lo scrittore non poté assistere personalmente al dramma finale di quel popolo perché era già stato catturato da Vespasiano. L’episodio riprende il tema chiave antigiudaico di cui sono intrisi i Vangeli: gli Ebrei tentarono di gettare nel precipizio “Gesù” ma non vi riuscirono, al contrario di quanto accadde a loro. Questo passo può essere stato scritto solo dopo aver letto Giuseppe Flavio.

Al fine di intorpidire le acque della ricerca, in modo condiviso, gli esegeti filo clericali si arrampicano sull’Antico Testamento, sino in Egitto, tentando di creare confusione fra nord e sud, per cercare di giustificare gli errori geografici, “al di qua e al di là del Giordano”, denunciati dagli spostamenti errati fatti compiere al “Dio Gesù” da tutti gli evangelisti.
Gli esegeti genuflessi sono i primi a rendersi conto che le molteplici contraddizioni dimostrano che i “sacri testi” furono falsificati e cercano di porvi rimedio:

Basta cambiare una preposizione per il passo del tutto compatibile con Nazaret. Addirittura basterebbe cambiare il solo “caso” governato dalla preposizione da genitivo in accusativo. Chiaramente sono contrario a questo genere di operazioni”.

La firma è di Gianluigi Bastia, già condivisa da altri esegeti filo clericali e, possiamo contarci, i Centri di Studi Biblici lo ringraziano. Si tratta solo di indire un Congresso per ufficializzare la modifica ed approfittarne, anche, per modificare il “precipizio” e “la città”.
Poiché a Nazaret non esistono precipizi e non è mai stata citata da alcuno storico, allora deve essere esistita, comunque, almeno come “villaggio”, pertanto l’esegeta clericale Don Silvio Barbaglia propone la nuova traduzione di Luca 4, 28/30; (invito i lettori a confrontarla con quella sopra riportata nel Vangelo attuale):

All’udire queste cose, tutti nella Sinagoga furono pieni di sdegno e alzatisi lo spinsero fuori dal luogo abitato (è sparita la "città") e lo condussero su una terrazza della collina (è sparito anche “il ciglio del monte”) di fronte (? - Don Silvio sa, ma non lo dice, che “di fronte” alla Nazaret odierna esiste una terrazza profonda circa tre metri) alla quale il loro luogo abitato (“città” dovrà essere eliminata nei Vangeli) era costruito, per gettarlo giù”. (Sparito pure il “precipizio”).
Firmato: l'evangelista Don Silvio.

Ora è chiaro perché il buon Don Silvio ha rinunciato ad un incontro dibattito con me, sui Vangeli, proposto da TeleTibur: un prete (cerco il dibattito col "Ministro di Dio", colui che confessa, assolve e manda in paradiso), appunto perché esegeta di valore, conosce a fondo le contraddizioni contenute nei “Testi Sacri Neotestamentari”…e non solo. Sa che tutta la storia clericale, ad iniziare da quella patristica, è una grande montatura, peraltro ridicola, sconfessabile facilmente dalla storiografia e dalla semplice, elementare, logica.
Dopo 1600 anni di potere secolare, gli studi laici sul “Cristo Storico”, costringeranno la Chiesa a cambiare i “Sacri Testi, sia dell’Antico che del Nuovo Testamento, essendo Dio autore di entrambi”.
Così li proclamò Papa Giulio III al Concilio di Trento, cinque secoli addietro.
La Chiesa, per prima, e i preti più eruditi, sanno benissimo che “Dio” non disse nulla e non ispirò mai nessuno: furono i loro predecessori ideologici ad inventarsi le scritture. Ecco perché non si pongono alcuna remora a modificarle.

L’ultima “performance” strategica è quella di ricorrere alle “rivelazioni divine” personali, queste ultime, veri e propri prodigi resisi indispensabili per poter controbattere le critiche segnalate dagli analisti sui sacri testi: “innestare” arbitrariamente passi di un Vangelo nell’altro per tentare di giustificare le incongruenze geografiche riscontrate con “al di qua e al di là” del Giordano, chiamando ipocritamente “difficoltà” il fatto che “Gesù Cristo” e i suoi fratelli boanerghes, Giovanni e Giacomo, incendiassero i villaggi della Samaria.

“Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?" (Lc. 9, 53)

se non, quando le prove sono schiaccianti, pur di “conservare” il loro “Gesù”, arrivvano, addirittura, a non riconoscere validi gli stessi Vangeli canonici rifacendosi ad una ipotetica “fonte Q”: il tutto circoscritto all’interno di un forum…ovviamente.

Negare che Gàmala sia la città dei Vangeli vuol dire negare l’evidenza a tutti i costi, e poiché la Chiesa è senza Nazaret, allora, smentendo quello che leggono i nostri occhi su questi scritti, i suoi esegeti decidono di rimpicciolire la CITTA sino a farla diventare “villaggio” o “luogo abitato”, ma piccolo, molto, molto piccolo, quel tanto per giustificarne l’esistenza…e, nel contempo, “giustificare” l’assenza di prove.
I Centri di Studi Biblici hanno il compito di filtrare la realtà che proviene dalla storia e dalla logica guardandola attraverso le lenti deformanti della “verità della fede” allo scopo di sciogliere i dubbi di coloro che devono fare “apostolato” allenandoli a superare e controbattere, punto per punto, le molteplici spontanee contestazioni di coloro (pochi) che hanno letto i Vangeli: usano la conoscenza per impedire che altri sappiano.
Da una ricerca comparata fra gli scritti degli storici dell’epoca, quelli patristici e addirittura lo stesso Vangelo di Giovanni, si può dimostrare che il XVIII Libro di Antichità Giudaiche, a partire dal 15 d.C., sotto il Prefetto Valerio Grato, sino alla venuta di Lucio Vitellio a Gerusalemme per la Pasqua del 36 d.C. con un mandato su tutto l’Oriente che lo rendeva l’uomo più potente dell’Impero dopo Tiberio, è stato in buona parte distrutto dai tagli effettuati da scribi cristiani interessati ad eliminare le vere gesta di “Gesù” ed i suoi fratelli Boanerghes.
Lo studio è indirizzato a chiunque accetti di credere solo a quello che leggono i propri occhi, senza il bisogno di servirsi di intermediari genuflessi, con o senza tonaca, obbligati a modificare quanto riferito dagli storici d’epoca, pur di salvaguardare una dottrina fatta passare per “divina”.

Quando i fondatori di un catechismo danno vita a persecuzioni fra loro stessi per eliminare le differenze teologali della Nuova Divinità, vuol dire che Essa fu concepita da uomini e non “rivelata” da Dio: una vera “rivelazione” sarebbe stata univoca e non si sarebbe prestata ad equivoci.
Una volta risultato vincente il cristianesimo gesuita, i Vangeli primitivi furono distrutti per cancellare le prove che dimostravano l’origine e l’evoluzione escatologica del nuovo “Salvatore” con le sue raffigurazioni stratificate nel tempo.
Non furono i pagani a distruggere gli altri Vangeli; non avrebbero avuto alcun interesse a cancellare le prove della creazione del nuovo Dio da parte di uomini; fu la corrente cristiana vincente, giunta al potere, che lo fece proprio a quello scopo. I Padri creatori del “Nuovo Credo”, evolutosi da quello messianico degli Esseni, hanno inventato episcopi, papi, santi e martiri collocandoli nel I secolo; hanno riempito il Paradiso con tante di quelle divinità, adorate dai creduloni ingenui, da far sembrare una capocchia di spillo il più popoloso degli Olimpi.

Episcopi, “Venerabilissimi e Santi”, capi di correnti religiose cristiane disparate; ognuno si impegnò per dimostrare, con il proprio “Vangelo”, di essere l’autentico “strumento” della “Rivelazione Divina”, conoscitore della “Forma” e della “Sostanza” di Dio.

“Che non abbia luogo né la follia dei Sabelliani con la confusione delle persone, con la soppressione delle proprietà personali, né prevalga la bestemmia degli Eunomiani, degli Ariani, dei Pneumatomachi, per cui, divisa la sostanza, o la natura, o la divinità, si aggiunga all’increata, consustanziale e coeterna Trinità, una natura posteriore, creata o di diversa sostanza. Riteniamo anche, intatta, la dottrina dell’incarnazione del Signore; non accettiamo, cioè, l’assunzione di una carne senz’anima, senza intelligenza, imperfetta, ben sapendo che il Verbo di Dio, perfetto prima dei secoli, è diventato perfetto uomo negli ultimi tempi per la nostra salvezza. Queste sono le verità della fede che predichiamo scritte nel tomo composto dal sinodo di Antiochia e in quello pubblicato dal concilio ecumenico a Costantinopoli lo scorso anno (381 d.C.). In essi abbiamo esposto e sottoscritto i nostri anatemi contro le eresie”.

Capi di “Ecclesiae”, propugnatori di dottrine diverse, esaltati, in preda a una frègola mistica e fanatica; invasati, avidi di privilegi e potere, pronti a combattersi per la supremazia ideologica, dopo lotte e persecuzioni, reciproche fra le sette cristiane, tali da far rimpiangere quelle di Diocleziano, ognuna convinta di essere depositaria della “Vera” fede; dopo Sinodi, dopo “Concili” su “Concili”, tutti inconciliabili tra loro, alla fine del IV secolo, dopo aver eliminato i seguaci delle altre dottrine “eretiche”, prevalse la formulazione della nuova divinità “consustanziale e coeterna”, una e trina: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo con l’identificazione del “Figlio” in “Dio”.
Essa comportò, come conseguenza teologica, che la madre del “Figlio” era la “Madre di Dio”, il quale, essendo “Padre” e “Figlio” di se stesso, ne scaturì che Dio, per creare se stesso, ingravidò sua “Madre”.

Finalmente, gli invasati mistici “Venerabilissimi Santi Episcopi” erano riusciti a “creare” il più grande incesto cosmico che mente umana potesse concepire, ma, proprio perché “inconcepibile”, a nessun fedele sarebbe stato più possibile riflettere sulla Santissima Trinità e sulla relazione fra essa e la “Madre di Dio”; pertanto fu dichiarato “Mistero” che doveva essere accettato come “Dogma”: per “Fede”. Qualsiasi ragionamento o meditazione sul “Dogma della Santissima Trinità” fu dichiarato “Eresia”, garantita da “Anatema” e, chiunque l’avesse violato l’attendeva la “purificazione” sulla pira ardente.
Venne decretato l’assurdo concetto, infinitamente stupido e incoerente, che un essere umano fu “Madre di Dio”, cioè del “Creatore dell’Universo”, degli uomini e delle donne: Colui che creò Lei, fu generato da Lei.

Sull’illusione della “vita eterna”, ultraterrena, cui avrebbero avuto diritto i “beati poveri di spirito, umili e miti”, contando sulla loro sottomissione, i “Padri della Chiesa di Cristo”, sin dall’inizio, compresero, vollero, poterono e “dettarono” che, nella vita terrena

“ il Papa è il solo uomo di cui tutti i Principi baciano i piedi, a lui è permesso deporre gli Imperatori…gode di quell’infallibilità con cui il Divino Redentore volle fosse corredata la sua Chiesa…se qualcuno avrà la presunzione di opporsi a questa Nostra definizione, Dio non voglia!: sia anatema” (Dictatus Papae).

E dopo aver inventato tutto ciò falsificarono gli scritti di Tacito e Giuseppe Flavio facendo loro testimoniare l “Avvento” del nuovo Dio avvenuto nel primo terzo del loro secolo, sotto l’impero di Augusto e di Tiberio.
Testimonianze che vedremo spazzate via dalla storia, prove alla mano.
Ma quando si falsificano documenti manoscritti per far risultare l’esistenza di una divinità ciò vuol dire che quel dio non è mai esistito, come non è mai esistito il cristianesimo gesuita nel I secolo.

Esegeti “mistici spirituali”, con e senza tonaca, la storia:,

vi lascia senza “Apostoli”, senza “Luca”, senza “Giovanni detto anche Marco” che, facendo gli gnorri, chiamate solo “Marco” perché siete i primi a rendervi conto che un nome simile è stata una delle tante sciocchezze dei Padri ideatori, insieme a tutti gli altri “pseudonimi” evangelisti; anche se questi particolari non li esternate nelle Chiese o nelle TV pubbliche…ma li riservate solo ai forum per “specialisti” o per “iniziati”…come avveniva per i “Culti dei Misteri” nella Roma pagana;
vi lascia senza Padri apologisti: hanno scritto troppe stupidaggini e conviene tenervi alla larga;
vi lascia senza “Natività”: le nascite del nuovo dio furono inventate come lui;
vi lascia il “paolinismo”, quello si, non ve lo tocca, come non può cancellare lo “schiavismo” e l’asservimento al potere imperiale di Roma in esso postulato e propagandato attraverso le “Lettere” a lui accreditate...ma san Paolo, in carne ed ossa, è definitivamente “abrogato”;
vi rimane “Gesù” e “Cristo”, due attributi divini senza nome, involucri di una dottrina inventata e successivamente adottata da un Impero in decadenza e con esso le sue divinità capitoline; “Gesù” e “Cristo”, involucri ideologici che continuerete a far adorare illudendo i dolciotti “poveri di spirito” di risorgere e vivere eternamente.

La storia scopre Giovanni il Nazireo, che non era di Nazaret. Il “Nazareno” fu un’altra impostura per nascondere il voto nazir che fece il primogenito di Giuda il Galileo. Lo stesso voto di Giovanni Battista (ma Erode Antipa lo decapitò). Un voto che rendeva il consacrato a Dio potente come Sansone per combattere i Romani ma lo vincolava a non bere vino o bevande inebrianti.
Quel voto avrebbe reso impossibile l’innesto del sacrificio teofagico eucaristico pagano nella religione ebraica con la nuova liturgia che prevedeva la trasformazione del vino in sangue e del pane nel corpo del “Salvatore”
.
Fu per giustificare il ritocco da “Nazireo” in “Nazareno” che obbligò gli ideatori del nuovo credo a ricercare un sito chiamato Nazaret, e poiché “Gesù” assieme a Simone “Pietro” fu indicato come il “Galileo”, fu scelta la Galilea.

“Giovanni” è il nome di uno dei fratelli della dottrina di “Gesù” e lo si evince seguendo le parentele, appositamente contraffatte per confonderli, nascondendolo anche dietro il Battista che aveva lo stesso nome, come anche da testimonianze “apocrife”, per la Chiesa, ma non per chi legge oggi la traduzione di un manoscritto.
“Giovanni” emerge dalla storia, un personaggio famoso per i Giudei, in un ricordo riportato da Giuseppe Flavio insieme a Giuda il Galileo e a noi fatto pervenire, dagli scribi falsari, senza patronimico; si distingue per le gesta identificabili con il “Gesù” dei Vangeli, senza miracoli ovviamente, ma uguale a lui sino alle impronte digitali.
La storia individua, uno dopo l’altro, tutti i fratelli di Giovanni: Simone detto Kefaz, Giacomo, Giuda detto Theudas e Giuseppe, detto Menahem dallo storico ebreo. Tutti figli di Giuda il Galileo.

Noi storici analisti ci teniamo la Storia; a voi storici genuflessi lasciamo l’escatologia.
Salute a voi, ma non alle menzogne contenute in una favola che vi affannate a spacciare per vera al fine di sottomettere i “beati poveri di spirito umili e miti”.

Emilio Salsi

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MessaggioInviato: 15/11/2009, 17:23 
Intanto,

AVVISO AI NAVIGANTI

Non kliccate sulle tabelle ,

se no il 3D esplode in larghezza !

Emilio segnala tu il problema a TTE .

io non ci o' capito na' fava ...



zio ot [;)]



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