Carissimo Giovanni mi complimento con lei,
pur tuttavia mi consenta aggiungere un paio di riflessioni.
Secondo quanto affermano gli storici baciapile, se vi fossero stati gli “Atti di Pilato” riferiti da Eusebio, i quali, secondo quanto ci propina con la sua “Historia” inventata, furono diffusi nelle scuole dell’Impero da Massimino … come lei giustamente afferma, almeno qualche centinaio di copie originali di “rotolini” di papiro i Venerabilissimi Episcopi cristiani le avrebbero conservate per farle giungere sino a noi.
Gli esegeti genuflessi, rifacendosi a Eusebio e alla documentazione
esclusivamente clericale medievale (“Giustino martire”, la storia lo manderà a farsi friggere, come san Giovanni), quando parlano di “Atti” intendono “Pubblici Decreti” deliberati da un funzionario di Roma, Legato dell’Imperatore Tiberio, dopo aver condotto la sua personale indagine nel corso di un processo da lui stesso presieduto come giudice unico e con diritto di uccidere.
Quegli “Atti” riguardavano il Messia, Redentore di tutta l’Umanità, Re dei Giudei, pertanto Pilato DOVEVA aver informato PUBBLICAMENTE Tiberio per entrare nella storia e nel … CREDO: l’ATTO di Fede che gli adepti dolciotti recitano durante la Messa con una litania infinita e puerile: “patì sotto Ponzio Pilato” … “sotto”, vuol dire, non per colpa del “Prefetto”, ma dei Giudei.
In realtà, dal 34 sino agli inizi del 37 d.C., anno in cui venne stipulato il trattato di pace, Roma era in guerra con i Parti perché Artabano III, il Re dei Re, si era impadronito dell’Armenia e minacciò di riprendersi le terre appartenute a Ciro il Grande per affacciarsi al Mediterraneo. Fra queste terre era compresa Siria e Palestina.
Roma rispose inviando ad Antiochia, agli inizi del 35, il Console Lucio Vitellio, capo di Stato Maggiore di tutte le forze d’Oriente, Luogotenente di Tiberio, con un mandato antipartico che lo rendeva l’uomo più potente dopo l’Imperatore.
Ecco perché non vi fu alcun “Atto” di Pilato, bensì, come lei afferma, un rapporto esclusivamente militare al suo superiore diretto per informarlo che Gerusalemme era caduta in mano agli Zeloti ribelli guidati da Giovanni di Gàmala, di sangue Asmoneo, alleato di Artabano e già proclamatosi Re dei Giudei, per la festa delle Capanne del 35 d.C., mentre era in corso una gravissima carestia.
La stessa guarnigione militare del Prefetto, a Cesarea Marittima, era a rischio.
Lucio Vitellio, che aveva condotto le sue legioni oltre l’Eufrate, il fiume che segnava il limes dei due Imperi, dopo aver ripreso l’Armenia e costretto Artabano alla fuga, rientrò in Antiochia, alla fine del 35 inizi del 36 d.C., per far riposare i soldati nei quartieri d'inverno, e solo allora seppe del rapporto del Prefetto.
Fu Vitellio ad inviare l’Atto che informava Roma della situazione politica e militare, tutta positiva tranne per un aspetto: la condotta di Ponzio Pilato.
La storia documenta solo l’azione, criminosa e stupida al contempo, contro i Samaritani, fedeli alleati di Roma; ma, se fosse stato solo per quello, l’unico rischio che poteva correre il cavaliere Pilato avrebbe riguardato la sua carriera, al massimo l’esilio, perché l’Imperatore non l’avrebbe mai ucciso.
Era un militare scelto dallo stesso Imperatore, un cavaliere che conosceva personalmente, e con tutta probabilità aveva combattuto sotto di lui quando era un giovane condottiero al tempo di Augusto.
Agli occhi di Tiberio, la vera colpa, gravissima, sarebbe stata quella di aver perso Gerusalemme e tutta la Giudea e, forse anche l’Idumea. Come Governatore della Giudea era tenuto a prevenire le condizioni che i rivoluzionari del movimento di liberazione nazionale potevano sfruttare per innescare sommosse popolari pericolose e impedire che la situazione politica precipitasse.
Questo fu il vero “delitto” di Pilato. Lui sapeva che avrebbe rischiato la pelle: ecco perché disobbedì agli ordini di Vitellio che gli imponeva di rientrare a Roma per rendere conto del suo operato. Allora si dileguò. Non si fece più vedere nella capitale sino a quando non venne nominato Imperatore Gaio Caligola, il quale odiava Vitellio proprio per i suoi successi, sino al punto di tentare d’ucciderlo.
Per appunto, uno dei successi di Vitellio fu quello di riprendere Gerusalemme, 600 km a sud di Antiochia, mentre, stretta nella morsa della fame, era impossibilitata a resistere ad un assedio, dopo che Artabano, in quel momento, vide infranti i suoi sogni.
Fu questa carestia che ci ha permesso di collegare i Vangeli con Lucio Vitellio dandoci la possibilità di uscire da un mito, creato dagli scribi cristiani, ed entrare nella storia, quella vera.
Lo studio apposito è riportato a pag. 1 di “Non sono esistiti gli Apostoli” in data 7/11/2009.
A Giovanni di Gàmala, detto il Nazireo, il nuovo “Unto” Re dei Giudei, non restò che accettare il destino che Yahwè, l’Altissimo, “decretò” tramite il Console imperiale: il supplizio … sino all’ultimo istante di vita, come monito indirizzato a chiunque non intendeva sottomettersi alla gloria di Roma.
Non ci fu alcun processo, la prassi militare “d’ingaggio” (per usare un termine moderno) non lo obbligava, la flagranza di reato era palese … né Vitellio pensò che avrebbe potuto portare il Re abusivo nella capitale e ottenere un trionfo perché Gerusalemme si arrese senza combattere.
I trionfi venivano concessi dopo combattimenti vittoriosi e cruenti.
In quel momento Lucio Vitellio era la Legge di Roma, non sapeva nulla della Legge mosaica, e non lo avrebbe interessato. Il reato perpetrato da Giovanni di Gàmala, proclamandosi abusivamente Re dei Giudei, fu un reato contro la Legge di Roma … con contro la Legge mosaica, né contro il popolo giudaico. Chi produce studi sulla Legge ancestrale giudaica, cui riferirsi, per analizzare il “processo a Gesù” perde tempo. Sarebbe meglio che leggesse e si compenetrasse nel diritto-potere romano.
Lo stesso vale se fosse stato Pilato: come Vitellio avrebbe deciso che il supplizio pubblico sarebbe servito da monito nei confronti di tutti i Giudei, in particolare i fanatici nazionalisti. Durante l'esecuzione nessuno poteva avvicinarsi al giustiziato: il popolo doveva stare a rispettosa distanza e guardare.
Il "discepolo prediletto" Giovanni, cui "Gesù", secondo il Vangelo, avrebbe affidato Maria sua madre, non poteva essere ai piedi della croce ...
Giovanni era sulla croce.
Roma rispettava tutte le religioni dei popoli sottomessi, lo stesso valeva per le usanze ed i costumi patri … fintanto questi non entravano in contrasto con la Legge di Roma: l’Impero era Romano.
Tutti dovevano accettare questa realtà. Quando Vitellio entrò in Gerusalemme lasciò fuori gli stendardi: quella fissazione religiosa, per lui ridicola, non doveva rappresentare un impedimento a chiudere la partita con i Giudei; la concessione del rilascio dei tributi non fu solo un atto di umanità, ma anche politico. Sapeva che i Parti si erano piegati, ma non tutti: i Re Satrapi che presenziarono all’incoronazione di Tiridate, il Re imposto da Tiberio, furono una minoranza e questo era un segnale significativo e pericoloso.
Doveva rientrare al più presto ad Antiochia, lo fece e lì vi trovò proprio Tiridate, costretto a fuggire da un Artabano risorto … non solo, Areta IV, il Re degli Arabi Nabatei, saputolo, poco dopo attaccherà Erode Antipa distruggendogli l’esercito.
A Vitellio occorrerà ancora un anno per sistemare, definitivamente, “gli affari d’Oriente”.
Riguardo all’uccisione di Giuda il Galileo, il padre di Giovanni il Nazireo, mi consenta, dopo aver tirato le orecchie, giustamente, al Venerabilissimo Episcopo falsario, Eusebio di Cesarea, per coerenza, non mi fiderei più della sua “Historia” e dedurne, da una dichiarazione viziata da interpretazione dottrinale, che il fondatore della quarta filosofia venne ucciso nel 21 d.C..
La storia, quella vera, riporta altri avvenimenti, collegati fra loro, troppo importanti perché un analista se li lasci sfuggire:
1 - il 16 d.C. un giovane Artabano III con un colpo di stato spodestò il Re dei Parti filo romano aprendo il suo primo conflitto con Roma: sarà Germanico a “chetarlo”, nel 19.
2 - in Giudea, fra il 15 e il 18 d.C., il Prefetto Valerio Grato cambiò quattro Sommi Sacerdoti del Tempio: segno di “alta mareggiata”.
3 - il 17 d.C. Tacito riferisce che dalla Giudea giungono richieste di sgravi fiscali perché il popolo è oppresso dalle tasse.
Gli ingredienti che concernono la dottrina di Giuda il Galileo, la quarta filosofia zelota, ci sono tutti: tributi, guerra contro i Parti, Sommi Sacerdoti del Tempio, empi e inetti, incapaci o impossibilitati a “mediare”, un Prefetto al comando di pochi uomini … lei cosa pensa, che il potente Dottore della Legge se li sia lasciati sfuggire senza aizzare il popolo con qualche “profezia” … non esaudita poi dal Padreterno Altissimo?. E noi lo sappiamo, perché non risulta che sia più riuscito ad indossare la “veste règia” dopo le vicende di Seffori.
Fra il 16 e il 18 d.C.: questi sono gli anni in cui fu ucciso Giuda il Galileo.
Ci faccia su un pensierino.
Un caloroso saluto da Emilio Salsi
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