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 Oggetto del messaggio: Il rapporto tra la musica e il divino
MessaggioInviato: 13/03/2013, 12:06 
Articolo di Leonella Cardarelli
Fonte: http://www.acam.it/il-rapporto-fra-la-musica-e-il-divino/

Fin dalla notte dei tempi, la musica è sempre stata associata al divino. Si è sempre pensato che la musica unisse l’uomo alle divinità e tuttora si ritiene che l’universo si sia creato tramite un suono magico: AUM, da cui tutto è nato.

Il suono stesso è ritenuto di origine sacra e la stessa musica è considerata qualcosa di potente e di enigmatico.

La musica, all’interno delle religioni, è presente nelle sue due forme: musica strumentale e musica vocale (canti) tuttavia non tutte le religioni hanno avuto lo stesso comportamento nei confronti della musica, soprattutto le religioni monoteiste (islam in particolare).

La principale fonte di suono nei rituali è costituita dalla musica strumentale.
L’esempio più calzante di musica strumentale trascendentale è presente nello sciamanesimo: lo sciamano entra in trance tramite il suono del tamburo che riesce ad eccitare la mente portando l’uomo verso altri stato di coscienza in cui comunica con gli spiriti guida.

Immagine
La Danza (La danse) è un dipinto di Henri Matisse.
Esistono due versioni del dipinto, una conservata al
Museum of Modern Art di New York che è del 1909
e l’altra al Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo
che è del 1910.

Il tamburo è lo strumento sciamanico per antonomasia in quanto cagiona lo stato di trance. Tamburo = trance = sciamanesimo. Il tamburo è noto per il suo complesso simbolismo e per le sue virtù magiche. Secondo una credenza lo sciamano costruisce il tamburo tramite un ramo dell’Albero cosmico, che si trova al Centro del mondo, ove lo sciamano si reca durante i suoi sogni iniziatici. L’Albero cosmico rappresenta la comunicazione tra cielo e terra. Anche il tipo di legno con cui verrà costruita la cassa del tamburo dipende dagli spiriti o da una volontà trans-umana. E’ grazie al tamburo che lo sciamano viaggia, così come è grazie al tamburo che il tarantato guarisce.
M. Zucca (2004) riporta un frammento di Musica generale di Virdung (1511) il quale sostiene che i tamburi siano stati inventati dai diavoli. Zucca ci dà molte testimonianze di come, a causa del sopravvento della Chiesa, i tamburi e le danze ebbero vita difficile e sparirono molti strumenti musicali, tra cui i tamburi che per via delle loro dimensioni non si potevano nascondere facilmente. Nonostante ciò molti canti e balli riuscirono a sopravvivere, ad esempio nei cimiteri si è ballato fino al ‘700. Nei cimiteri si ballava sovente nudi e con molte risate e salti, al fine di scacciare gli spiriti maligni. Per rafforzare il potere della magia contro la morte si usava ballare all’indietro ma vi sono anche altre due tipologie di danza: la danza estatica e la danza in cerchio (che può essere oraria o antioraria). La prima veniva utilizzata primariamente per entrare in comunicazione con il mondo dei morti e degli spiriti, la seconda rappresenta un momento particolare della ritualità della natura medievale ed è utilizzata principalmente a scopi magici, infatti la Chiesa ha perennemente cercato di combatterla.  Parimenti, la cacofonia è stata associata a divinità malvagie (demoni).

Molti strumenti sono composti con sostanze animali o umane: il tamburo è fatto di pelle di capra, il flauto con ossa animali, la tromba con corna di ariete, le corde con intestini di animali. Esistono poi in Tibet due strumenti particolari che sono fatti con ossa umane: il tamburo thod rnga (creato con un teschio umano) e il khang glinh che si realizza con un femore umano.

Per quanto riguarda la musica vocale, invece, l’associazione parola/musica è stata usata fin dall’antichità per trasmettere i miti delle origini e per recitare testi sacri.
Le religioni monoteiste sono sempre state piuttosto sospettose verso la musica strumentale visto che permetteva di raggiungere, come nel caso dello sciamanesimo e dei sufi, di cui parlerò successivamente ,altri stati di coscienza. Così queste religioni hanno finito per accettare solo la musica vocale, intesa più che altro come cantillazione dei versi sacri, respingendo la musica strumentale in sé e per sé.
Ad ogni modo bisogna ammettere che una liturgia senza musica difficilmente attira i fedeli perciò alcune tracce di musica strumentale nelle religioni monoteiste vi sono ancora. La religione cattolica ad esempio fa uso tuttora di canti collettivi durante la Messa, accompagnati dal suono dell’organo e della chitarra. In ambito religioso va anche ricordato il ruolo che la musica ha avuto nel colonialismo: agli indios sono stati insegnati i canti cristiani per convertirli, talvolta adattando il significato delle parole al contesto religioso indio per accelerare il processo.
Bisogna comunque tener presente che la religione cattolica non è uguale dappertutto: ad esempio la chiesa romana preferisce il canto gregoriano mentre la chiesa latinoamericana, per attirare le masse, utilizza canzoni tradizionali accompagnate da strumenti musicali.
Diverso invece è il comportamento dell’islam, religione in cui il concetto di musica è inesistente.

“Non tutte le religioni attribuiscono alla musica un ruolo di primo piano,; alcune anzi la vivono assai problematicamente. L’islam è una di queste. Esso guarda alla musica e (ancor più) alla danza con sospetto addirittura maggiore di quello manifestato dal Cristianesimo (una massima attribuita al profeta Maometto recita infatti così “a coloro che ascoltano musica e canzoni in questo mondo, nel giorno del giudizio sarà versato piombo fuso nelle orecchie)”.
Conseguentemente si decise di accettare solo la cantillazione del Corano, che fu permessa solo perché non considerata musica in senso stretto. La religione musulmana ha bandito la musica e il canto anche perché ritiene che la voce femminile sia eccitante, tuttavia in Indonesia sono le donne che cantillano il Corano.
L’unica confraternita musulmana che accetta la musica (pur non avendo un repertorio ufficiale) è il sufismo.

Le cerimonie sufi sono composte di preghiera, danza e musica; quest’ultima si realizza con il flauto ad imboccatura semplice, chiamato flauto ney. I danzatori sono detti dervisci e danzano roteando in modo circolare (a ricordare il movimento celeste) e con un braccio rivolte verso il cielo ed un altro rivolto verso la terra. I sufi si collegano con Dio attraverso la trance, per loro la trance (wajd) è un mezzo di comunicazione con il divino, è un modo di pregare.
Un noto esempio di musica sufi è il qawwali (termine che significa ‘cantante’) del Pakistan. Durante il qawwali si intonano musicalmente poesie d’amore (amore inteso come relazione con Dio) in occasione del sama (ascolto). I canti sono eseguiti da un gruppo di solisti uomini e da un coro di cantanti che batte le mani. Il solista leader sceglie le canzoni e stimola la risposta finché gli ascoltatori cadono in trance.

La cantillazione è un atto di meditazione vero e proprio e la ritroviamo, oltre che nell’islam, anche nel buddismo.
Nel buddismo si cantillano frasi del Buddha, commenti a queste frasi, dediche, mantra ed inni di lode.
Il buddismo accetta l’uso di strumenti musicali (come campane, tamburi, gong, cembali) ma essi vengono usati per lo più per scandire il tempo all’interno dello spazio sacro. Anche nel buddismo la musica puramente strumentale è rara mentre nelle festività si fonde la musica sacra con elementi di musica popolare ed aristocratica, oltre che con teatro, danza e processioni.


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 Oggetto del messaggio: Re: Il rapporto tra la musica e il divino
MessaggioInviato: 13/01/2016, 10:29 
Le note musicali e l’armonia delle sfere

Questo articolo è scritto da Eduardo Mannucci, per il sito Esonet.it, che tratta di argomenti riguardanti l’esoterismo. Mi sembra molto interessante la parte che riguarda l’assimilazione di oggetti celesti, come i pianeti, e le sette note musicali. Devo dire che non sono d’accordo con l’autore, quando dice che la divisione dell’ottava in sette note più una non è un fenomeno naturale. In effetti anche in Oriente si usa tale divisione, come in India per esempio, dove anche se ci sono più di sette note, esse vengono organizzate in modi di sette note, con un sistema analogo al nostro, ma forse melodicamente più complesso. E’ solo apparentemente che non è naturale questa suddivisione, perchè non segue il fenomeno degli armonici naturali, ma si appoggia sul profondo e complesso concetto della legge dell’ottava, che possiamo osservare in molti fenomeni anche non musicali, come gli elementi chimici, o i colori, o molti altri fenomeni che si propongono in una divisione simile a quella della scala musicale. Comunque mi sembra che ci possono essere molti spunti di riflessione in quest’articolo di Mannucci. Buona lettura.

by Wenz

Immagine

Nella chiesa di Santa Maria Novella, a Firenze, si trova la cappella funebre di Filippo Strozzi, affrescata da Filippino Lippi. I dipinti, di soggetto allegorico, colpiscono per il rigore dell’impianto architettonico, l’eleganza dei personaggi raffigurati, la raffinatezza del cromatismo (sui toni del blu e del violetto, ravvivati da fini dorature). Ad uno sguardo attento, si scoprono negli affreschi molti elementi simbolici: ad esempio, la palma come simbolo di immortalità; rappresentazioni delle virtù di fede, speranza e carità, con la speranza e la carità sotto forma di personaggi e la fede indicata da un riferimento biblico; raffigurazioni delle muse, figlie di Apollo e quindi del Logos.

Allegorie così complesse potevano verosimilmente essere comprese solo da una piccola parte dei contemporanei di Filippino Lippi; la maggior parte degli spettatori poteva forse apprezzare le qualità estetiche degli affreschi, ma solo pochi iniziati erano in grado di penetrare nel significato profondo di questa opera, che pure era sotto gli occhi di tutti. A facilitare la lettura, gli oggetti dotati di maggiore valore simbolico sono sottolineati da dorature, che contrastano con la dominante cromatica dell’affresco e quindi richiamano l’attenzione dello spettatore.

Nei dipinti colpisce la presenza di numerosi strumenti musicali e di personaggi femminili che fanno musica. Non è un’orchestra che intona un canto funebre, ed anzi le suonatrici hanno un aspetto sereno, quasi allegro. Inoltre, gli strumenti rappresentati non sono quelli dell’epoca di Filippo Strozzi, ma riproduzioni (più o meno verosimili) di strumenti dell’antichità classica; ciò indica che l’artista non aveva intenti realistici, ma piuttosto voleva indicare, attraverso questi strumenti, qualche concetto più profondo. Le dorature che sottolineano gli strumenti musicali ne suggeriscono il valore simbolico. Gli affreschi indicano una lettura della musica come ponte verso l’immortalità: questo ne giustifica la presenza così vistosa in una cappella funebre. Il valore della musica non è riferito a Filippo Strozzi, che non era un musicista, ma ad un ecclesiastico; è un valore assoluto di immortalità, che però viene indicato solo a quel ristretto numero di persone che potevano avere gli strumenti per decifrare le allegorie del dipinto. A confermare questa ipotesi, nell’affresco campeggia l’enigmatica scritta “INITIATI CANUNT” (cioè “gli iniziati fanno musica”).

L’idea che la musica sia un mezzo potente per penetrare nei segreti più profondi dell’Universo è stata formulata sin dai tempi più remoti. Molti miti della creazione collocano all’origine del mondo una vibrazione sonora, come la risata o il grido di Toth in Egitto, o la parola del Veda in India; analogamente, il Vangelo di Giovanni inizia con il celebre incipit “In principio era il Verbo”. Le culture più diverse indicano quindi all’origine dell’universo un suono, o una parola, o un canto [1]. La musica, cantata o strumentale, può essere vista come un’eco della vibrazione sonora all’origine dell’Universo e quindi come mezzo di conoscenza e di elevazione. Nel Giuoco delle perle di vetro di Hermann Hesse, il protagonista si avvicina alla sfera superiore con la mediazione della musica e solo attraverso di essa raggiunge il più alto esoterismo del Giuoco delle Perle [2].

Un’immagine riportata da varie fonti classiche, compreso un celebre passo della Repubblica di Platone, è quella che riguarda l’armonia sonora delle sfere celesti. Secondo questa concezione, ciascuna sfera celeste, nel suo movimento circolare attorno alla terra, produce un suono, che non è udibile all’orecchio dei comuni mortali perché troppo profondo. L’insieme dei suoni delle sfere celesti forma però un’armonia di indescrivibile bellezza. La musica umana, nella sua limitatezza, cerca di riprodurre in modo imperfetto questa armonia; in questo modo, essa non è soltanto una fonte estetica di piacere, ma anche uno strumento di elevazione spirituale e di conoscenza.

Essendo la scala musicale composta da sette note, sembra naturale cercare di associare a ciascuna di essa un pianeta, con la sua sfera celeste. Se ad ogni nota corrisponde un pianeta, tale nota può assumere i significati simbolici (sul piano morale e spirituale) propri di quel pianeta e del metallo ad esso associato (oro per il sole, argento per la luna, ferro per marte, e così via) [3]. Le corrispondenze planetarie delle note sono descritte sin dall’antichità e se ne trovano ampie tracce letterarie nel Medioevo. Il problema è che autori diversi forniscono schemi di associazione tra note e pianeti diversi tra loro; alcuni autori (ad esempio, Plutarco) riportano addirittura più tabelle di corrispondenza planetaria in contraddizione l’una con l’altra [1]. In ogni caso, l’associazione di ciascun pianeta con una delle sette note musicali non sarebbe compatibile con l’armonia delle sfere celesti descritta da Platone: se ogni sfera, ruotando, suonasse una delle sette note, si dovrebbe avere una continua sovrapposizione delle sette note; il suono così prodotto non sarebbe affatto armonico, ma fortemente dissonante.

Si può anche osservare che la scala a sette note (cosiddetta eptatonica) è tipica della cultura occidentale, ma non è condivisa da altre tradizioni musicali. In gran parte del lontano oriente, ad esempio, si impiegano scale a cinque note (pentatoniche), che in Cina prendono il nome di Kung, Shang, Kio, Che e Yu, e che corrispondono ai nostri fa, sol, la, do e re. Anche nella tradizione cinese si associa a ciascuna nota un pianeta (Saturno a Kung, Venere a Shang, Giove a Kio, Marte a Che, Mercurio a Yu) [4]. Inoltre, a ciascuna nota sono associati una stagione dell’anno, un punto cardinale, un elemento, un punto dell’ordine naturale ed una caratteristica morale.

L’esecuzione corretta della musica, in questo contesto di corrispondenze, era una garanzia del mantenimento dell’ordine naturale e dell’ordine sociale [5].

L’esigenza di corrispondenze tra gli elementi e le note musicali sembra essere stata avvertita anche nel mondo occidentale; non potendosi utilizzare le note musicali, perché di numero non adatto, si sono prese in considerazione altre entità. Nel mondo greco, le quattro corde della lira di Apollo corrispondevano ai quattro elementi (la corda più bassa alla terra, la corda di re all’acqua, la corda di sol al fuoco e quella di la all’aria) [3].

Siccome la suddivisione della scala musicale in sette note non è universale, ed altre tradizioni impiegano scale a cinque o quattro note, si può affermare che la scala eptatonica non è un fenomeno naturale, ma un prodotto culturale. È anzi possibile ipotizzare che il numero sette sia stato scelto come ordinatore delle note per il suo valore simbolico. In altri termini, non si può escludere che le note siano sette proprio perché si avvertiva l’esigenza di stabilire una corrispondenza delle note con i pianeti.

A questo riguardo, si può ricordare che la scala eptatonica si è precisata in epoca greca classica, grazie all’opera del musicista Aristosseno – e quindi in un’epoca in cui la teoria dell’armonia delle sfere celesti era stata già formulata. I nomi delle note che si usano oggi nei paesi latini (do re mi fa sol la si do), con la variante arcaica ut al posto di do, sono di origine medioevale e derivano da una preghiera di San Giovanni, utilizzata nel XI secolo da Guido d’Arezzo come strumento mnemonico per l’insegnamento della musica: “Ut quaeant laxis/ re sonare fibris/ Mi ra gestorum/ Fa muli tuorum/ Sol ve polluti/ La bii reatum/ (S ancte J ohannes)”. Può essere considerata suggestiva l’associazione dei nomi delle note musicali con la figura di San Giovanni, santo esoterico per eccellenza.

Nella scala eptatonica occidentale, le sette note sono divise l’una dall’altra da intervalli uguali tra loro, pari ad un tono, ad eccezione di mi e fa e di si e do, che sono separati da un intervallo pari alla metà di un tono (semitono). Questa scala permette di descrivere la maggior parte, ma non tutti, i suoni necessari all’espressione della musica nella nostra tradizione. In effetti, la musica occidentale utilizza anche i suoni corrispondenti ai semitoni compresi tra una nota e l’altra (ad esempio, il suono intermedio tra do e re ), che corrispondono ai tasti neri del pianoforte. Per esprimere questi suoni, si utilizzano i cosiddetti accidenti, cioè il diesis (#) e il bemolle (b), che aumentano o diminuiscono di un semitono la nota cui sono accostati; il suono intermedio tra do e re può quindi essere espresso come do# o come reb. L’intervallo compreso tra un do ed il do successivo (cioè il suono successivo della stessa tonalità, ma più acuto), chiamato ottava, è perciò diviso in realtà in 12 semitoni. A ciascuno di questi semitoni può essere fatto corrispondere un segno zodiacale, secondo lo schema seguente [1]:

do ariete/ re cancro/ re bilancia/ mi capricorno

mi toro/ fa leone/ fa scorpione/ sol acquario

la gemelli/ la vergine/ si sagittario/ si pesci

La divisione dell’ottava in dodici semitoni ha una diffusione più ampia rispetto a quella della scala eptatonica: infatti, essa viene utilizzata, oltre che in Occidente, anche in Cina, in Giappone, nel Sud-Est asiatico.

Neppure la divisione in dodici semitoni è però universale: nella musica indiana, l’ottava viene divisa in otto intervalli uguali tra loro (producendo quindi sette note, che però non corrispondono a quelle occidentali); nel mondo islamico, si usa una scala a 24 note, che prevede anche i quarti di tono (che vengono percepiti dall’orecchio occidentale come “stonati”) [4]. Anche per la divisione in 12 semitoni, quindi, vale quanto abbiamo detto per la scala a sette note: è un’organizzazione musicale non strettamente necessaria e limitata ad alcuni contesti culturali. Non si può escludere che la divisione dell’ottava in 12 semitoni sia nata proprio dall’esigenza di stabilire una corrispondenza tra un semitono ed un segno zodiacale.

Le corrispondenze tra note e pianeti, oppure tra semitoni e segni zodiacali, percorrono tutta la cultura occidentale e sono una testimonianza della volontà di conferire alla musica un significato simbolico. Queste corrispondenze, però, sembrano aver concorso in maniera marginale allo sviluppo della musica nel corso dei secoli. Altri e ben più significativi valori simbolici possono essere trovati in aspetti diversi della musica. In effetti, l’orecchio umano è molto più abile nel riconoscimento di intervalli, piuttosto che del valore assoluto di singole note. Se, ad esempio, facciamo udire ad un musicista esperto, ma non dotato di un orecchio assoluto, un suono senza fornirgli altri parametri di riferimento, questi non è in grado di stabilire se è un la, oppure un sol; se però gli facciamo udire due suoni diversi, egli non avrà problemi a stabilire se l’intervallo tra di essi è di uno oppure di due toni. Sembra quindi naturale ricercare significati simbolici innanzitutto nella teoria degli intervalli, cioè nelle leggi dell’armonia.

di Eduardo Mannucci, prodotto per Esonet.it

__________



Bibliografia

1. M. Schneider. Il significato della musica. Rusconi, Milano, 1970.

2. H. Hesse. Il giuoco delle perle di vetro. Trad. it. Mondadori, Milano, 1955.

3. R. Steiner. L’essenza della musica. Trad. it. Editrice Antroposofica, Milano, 1993.

4. G. Laguzzi. La musica delle culture extraeuropee e la gioia dell’essere. Aktos Oggero, Carmagnola, 1989.

5. M. De Angelis. Diabolus in musica. Le Lettere, Firenze, 2001.

http://www.musica-spirito.it/musica-2/l ... lle-sfere/



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