Preludio in fa diesis (2006)
Che quel mar fosse viola o nero
giammai lo vide il sommo Omero,
che di più canti ne fece una cosa
sola nella cieca homeiron. Nessuno,
perciò, ci narra di un'odissea nelle Indie
di Harappā? Terre lontane dell'oppio,
di ciclopiche statue dal rubino “terzo
occhio” e di buoi gibbosi sacri
forse al dio Iperione, a Eppeharion...
Strano ma vero, in antico, quando ittiti
salutavano il sole cremisi di una prece,
tutto un mare interno si estendeva
dal Mar Nero di Hattilantis
al Mar Caspio della pescosa Volga
dove si spinsero, poi, dei vichinghi:
chissà, ai tempi di Noè gli argonauti
o un dio come Dioniso con la sua bella
pantera potrebbero averlo solcato!
Superati, però, i pilastri innevati
del Caucaso, gran confine
di continenti disseminati di fossili
conchiglie (non certo il segno
del Diluvio), forse, proprio come
aveva fatto un certo Idrimi di Alalakh,
un ardito greco di spirito english
potrebbe averne perlustrato i fiumi
di porpora: penetrato nella giungla
di cannibali e di elefanti, potrebbe
aver persino sottratto pietra preziosa
dalla fronte di un Polifemo, attirandosi
così le maledizioni di Neottorama,
il dio indù fornito di tridente.
Certo, tutto può darsi,
e ai posteriori l'ardua sentenza,
ché a parlar di antichi greci
tutto può darsi fuorché il culo!
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