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Autore: | wenex [ 05/04/2016, 08:37 ] |
Oggetto del messaggio: | Prosa |
Gli eredi di Marte (2010) A Jean M. Auel Oggi voglio essere proprio prosaico: ne narrerò una per suscitar sonno. Molto dopo che asteroide in collisione col nostro pianeta frantumasse tutto un continente di terre emerse chiamato Gondwana e abitato da dinosauri, grandi rettili i cui ossi vennero poi scambiati per quelli di giganti, Marte andava desertificandosi. La sua catastrofe ecologica era tale che Iddio volle salvarne uno di quella specie: Uwa, bimbetta il cui nome è l'onomatopea del vagito. A bordo di un cesto dal guscio duro, capsula di salvataggio, la vergine madre sfidò l'algido spazio stellare da sola e soletta, poiché Hinun-ndendée, il grande uccello, era andato in avaria. Catturata dalle correnti gravitazionali terrestri, essa cadde in un lago chiamato Tanganica, nei pressi di due montagne d'Africa: l'una bianca, il Kilimangiaro, l'altra nera per i guerrieri Masai. Trovata da Dorso Grigio nella nebbia, in principio Uwa fu allevata secondo gli usi e i costumi di australopiteco, essere scimmiesco – goffo, in verità - che non utilizzava ciottoli come fossero utensìli, che non conosceva ancora le nostre fatiche, né il significato della parola morte, avendo questo coscienza limitata di sé. A quei tempi la vegetazione era più lussureggiante di adesso; unica insidia era Fungua, la puzzolente gorgone dai denti a sciabola, fiera che sbucava all'improvviso dal folto, colpiva e nei recessi dell'oscurità tornava. Un giorno il vecchio banano Naamasa, che sembrava tanto secco, rifiorì e Uwa, che era nell'età del primo menarca, ebbe una visione mistica: “Io sono l'uno che diventa il due, che diventa il quattro, che diventa l'otto e che torna a essere l'uno”, le disse un nibbio appollaiato tra i rami di un sicomoro. Era il tramonto, ma fu già l'inizio di un'altra era. D'istinto, colei che avrebbe di lì a poco generato un maschietto senza conoscere uomo, di sette in sette cominciò a contare le noci di cui era ghiotta e a dar un nome a ogni dito di mani e piedi, ivi compreso lo strano concetto dello zero, rappresentato dal pugno della vuota mano. Cammina cammina, al campo tutte le notarono il ventre e le mammelle gonfi. Il nuovo capobranco ne rimase sconcertato: che un abile, impertinente dei suoi figli l'avesse posseduta, ma come mai essa emanava il suo stesso odore di maschio dominante? Che fosse stato, allora, lui a ingravidarla col suo sguardo! Era da un po' che la puntava, schiacciando le noci... La prese sotto le sue ali protettive, trotterellando via. Ed essa partorì Tep-ii-tesher-am-akh, colui che è il Capo-che esce-rosso-dalla-immagine, un marziano che non seppe mai di essere tale. Regina madre come un'ape, Uwa lo generò e nei suoi mitocondri vi era la formula dell'immortalità. Inoltre possedeva un gran numero di ribosomi a livello cellulare e il tocco delle sue mani era considerato terapeutico, a causa del fluido sottile, energetico, che esse sprigionavano. Come l'uro di raffigurazioni preistoriche parietali successive, questo ercolino, eretto Adamo possedeva una costola mobile in più delle figlie di Eva e non fu lui ad accoppiarsi coi Neanderthal di Lilith, ovvero colei che rapiva nel sonno i bambini cattivi per sintetizzarne, da adulti, i caratteri del Sapiens. Per un'aberrazione cromatica il suo occhio percepiva solo i colori primari. E il rosso sangue gli faceva fare dei brutti sogni in un campo totalmente grigio. Ma il suo spirito si elevò subito al cielo blu e al sole giallo oro d'una gloria, i suoi discendenti furono attratti subito dal fuoco, si dipingevano di ocra il corpo nudo. E venne il tempo di abbandonare la foresta pluviale e di cacciare nella savana, regno di predatori e di carogne in cui egli seguiva il bufalo dalla coda bianca, ricca fonte di sostentamento, nei loro spostamenti. Una notte, poi, al chiaro di luna, egli sentì un insolito richiamo: sì, un dolce profumo, e, appartatosi, si unì con Ndok, il cui nome significa Acqua Viva. Per uno strano caso del destino gli generò figli, dei figli sani e forti, come Okin, l'Airone; come Mongo, il signore del Popolo delle Teste Rotonde; come Zamani, il capo del clan di Erin. Ed Erin un mastodonte dalle zanne diritte, non così ricurve come quelle del mammùt. E Zamani diede nome di Grande Orecchio di Erin al Bacino del Congo, perché i suoi fiumi ne assumevano la forma tracciatili sulla sabbia. Egli viaggiò molto in cerca di avventura e di se stesso. I figli di Zamani: Dùrù, colui che vide l'ippopotamo nel Lago Ciad, che allora si estendeva fino al Sahara; Kil, il piccolo grande cacciatore di rinoceronti; But, colui che dormiva su una larga pietra piatta; Ze, quello che portava sempre con sé un dente di leopardo; Abo, lo zoppo che scovò bertucce alle cosiddette Colonne d’Ercole. Le figlie di costui: Bololanege, colei che spinse i suoi anelli alle caviglie fino in Spagna; Anyeghe, l'amore di tutti gli uomini sotto i palmizi. Costei ebbe molti figli, tra cui Afan, che in Enotria ebbe due gemelle che migrarono nei Balcani: Kowa e Mukashi. E altri furono i suoi discendenti di cui si è persa memoria e spintisi oltre l’Ucraina. Giunto il clan in Cina, Riitho, detto l' Avvoltoio, si unì con Kini, con colei che seppe pretendere, farsi rispettare, che uccise Mama Baru, una grossa iena, in una località chiamata, nel linguaggio dei gesti, Tie-saba, perché le ci vollero ben tre giorni per farlo, e lo fece da sola. Alla fiamma del fuoco en-Kima essa era solita indurire lo strano corno del naso di Mbawala, un'antilope, e con esso arrostiva le dolcigne carni di animali che si catturavano col boomerang presso alture di un gruppo di gigantotechi, ovvero degli yeti. E accaddero degli straordinari terremoti e paurosi smottamenti: l'India, che fino ad allora si chiamava l'Isola di Mounji, ovvero la Madre Terra Mu, si unì al continente asiatico, ne innalzò la cresta montuosa fino all'Europa di Sikar, il re delle conchiglie. E lungo la cosiddetta Via della Seta essi incisero sulle rocce degli strani omini stilizzati chiamati Mwana, e in un luogo oggi desertico esiste ancora un tipo di scrittura simile: ad esempio, quello che per voi potrà apparire quasi l'enigma della sfinge. Quattro disegni elementari in sequenza: 1) una capanna rotonda o caverna, al cui interno sta un omino filiforme in piedi; 2) una seconda figura con una casetta di rami al cui interno quell'omino ci sta sdraiato, come se dormisse; 3) una terza in cui l'omino stilizzato ne sta a testa in giù; 4) un'ultima in cui ne cammina al di fuori, tutto contento per la stagione. E il significato di tutto ciò è il seguente: giunta l'ora del parto, con cautela nelle mani, ci si dovrebbe assicurare che la testa del cucciolo della gestante sia in corretta posizione d'uscita, altrimenti potrebbe soffocarsi col cordone ombelicale e tanto da sembrar come provenuto da... l'Aldilà! Questa, la filosofia di tutta una vita, di un'arte di metterci al mondo. E tra le figlie di Uwa vi furono anche altre vergini madre che misero alla luce uomini famosi. Ed esse contavano il numero di essi coi nodi delle treccine dei capelli ondulati, poiché fu di Atak, colei che indicò la Grande Strada, la profezia che il decimillesimo di essi sarebbe diventato messia, un Gran Khan che avrebbe dominato con vera giustizia e sconfitto per sempre i cannibali dal biforcuto piede di struzzo, la cui regina si chiamava Saba. E alcune vergini di esse erano solite riunirsi per festeggiar solstizi presso un campo di grano selvatico, tutto di misteriosi segni geometrici: per uno strano fenomeno elettromagnetico, cadendovi fulmine, si era generato vortice di particelle di silicio che ne aveva piegato, e talora intrecciato, le pianticelle spontanee. E dall'adusto punto d'impatto della saetta col terreno non coltivato sfera incandescente si era librata: come un aquilone o un disco volante, essa sfrecciò via col vento, risucchiata dall'alto. Esse ne ritenevano sacro il suolo e che il Cielo avesse voluto comunicar loro i Suoi disegni, disegni tanto affascinanti quanto quelli di Nazca, in Perù, dove il famoso ragno simboleggia Orione. Nel tempo fiumi cambiarono corso, monti si livellarono; un dì un gran cuoricino: “O spiriti eletti, ascoltate: non si muore che una volta sola, ma nello spirito quante di volte! Più non lucidiamo, fratelli, una pietra che sia simbolo tagliente di perfezione, bensì costruiamo, pietra dopo pietra, fatica dopo fatica interiore, un regno di belle speranze per l'umanità”. Il Dieg-mil aveva parlato ed essi vissero in armonia d'intenti lungo le coste del grande mare interno che, Oh! molto prima di Genghiz Khan, andava dal Mar Nero di un’Atlantide al Mar Caspio e da quest’ultimo al Lago Aral. ![]() |
Autore: | wenex [ 05/04/2016, 12:12 ] |
Oggetto del messaggio: | Re: LIBRERIA - Il mistero di Orione |
Poesie di uno che c'è stato in Egitto molto tempo fa: A Sir Wallis Budge (2002) Che cosa ardente le Scritture: paiono il canto d'amor di tortora che ha fatto il nido su sicomoro e alla cui ombra si ristora il bel liuto di grazioso sandalo. E che cosa suadente le Scritture: paiono gemme d'Albero della Vita delle cui belle foglie voglia brucar un montone in oro e lapislazzuli. E che cosa dolente le Scritture: paiono rovo pungente, sì da gelarti il sangue alla vista di Nilo rosso. Piaga d'Egitto, gli impomatati Hyksos, i simbionti, depredarono gli ori di granaio come cavallette; a gracidar nelle paludi del Tempo sembrò quasi che ceneri e lapilli di Santorino, di esploso vulcano di un mar color del vino, cadessero sulla testa degli antichi egiziani, seminando morte tra i primogeniti. Di Ah-hotepe, la regina madre, fu, allora, lo sprono a un coraggioso rincalzo e alla destra del faraone combattè il dio, poiché quel serpente di Apophis inghiottì l'ureo di corona quasi fosse ciò il vincastro di Mosè. Nella tenda del deserto (2002) Nella tenda, il tamburo ha appeso lacrime alle ghirlande del flauto e la danza del ventre, voragine suprema di fichi maturi, è tutto un turgore copioso e titillante, un sorriso d’acque frantumate. Nel boccio della propria rivelazione la donna è come una gonfia luna, e ci si perde nell’enigma del suo io. Sentimento nella luce (2002) Ancora torna sogno senza confini nel pulviscolo di sole e dolce tregua mi mette intorno la pace al ricordo dei tuoi splendidi occhi viola. Ma a Zamalek, isola del Nilo, via Yehia Ibrahim non esiste più: col suo banano in fiore e il vecchio “bauab”, baffuto portiere che abitava in un sottoscala che profumava di tè, essa rimane soltanto nella ragnatela d’oro del tempo in cui ci vissi, al settimo piano di arioso palazzo: da lì vedevo tutto Il Cairo, città degli dèi. Giù, a fuggir tra palme e baobab, va il sentimento della luce che fu. Al gigante di Padova (2002) O Belzoni, gigante di Padova, tu che desti lustro all'egittologia, tu che rinvenisti la tomba del padre di Ozymandias, che scopristi la vera porta nascosta della piramide di Khaf-Ra, ascolta: alato vento si porta dietro il canto del fellah ed esangue, poi, finisce in altro mar. Sarebbe tempo di obliar lo squallore di armate solitudini, leggendo io, con le dita, l'alfabeto delle sabbie come un vecchio carovaniere cieco. Mentre perle rilucono ancora sulla pelle di Nut, sulla mia palpedra è scritto il tuo nome. Con gli occhi, ora, colmi di bellezza al pettine d'avorio che spartisce i riflessi dell'aurora, so che Dio non mancherà all'appuntamento di fatidica ora. Quando ciò avverrà, con te solo, o dottore di sapienza antica, io vorrei dividere quel nulla che c'è d'avanzo alla tavola del nostro buon Signore: sì, di Jeshua Ben Joseph, il nazireo che resuscitò dai morti Lazzaro di Betania. Egli lo amava molto, ma, purtroppo, dopo la crocifissione, quegli venne strangolato da giudei: e già era l'ora di Nuovo Testamento, essendosi squarciato in due velo di salomonico tempio. Sarà, dunque, forse allora che l'apostolo Giovanni, che testimoniandolo in Egitto venne tutto piagato da olio bollente, ci spiegherà meglio certi passi oscuri delle rivelate Sacre Scritture? La sfinge di Narmer (2002) A Robert Bauval Di buon ora, cavalcando su collina, s'ingiglia il mattino e cattedrali del Silenzio, corpo di millenni a Giza, son la perfezione del finito. Al palpedrare di un istante riconosco nella Sfinge quella semisepolta mole su cui alita il grande falco, solare, raffigurato nella Tavolozza di Narmer, un pezzo da museo: ben prima, dunque, che vivesse Chefren. Che un tempo, or lontano, alcune genti negroidi, poi sottomesse, abitassero anche questa virente parte del generoso fiume? Nel giardino delle carezze di Iside briciole di bellezza e pagliuzze d’oro furono state una polvere ardente di vita. Adesso, a ogni gradino l’abisso ci divide dalla verità, l’ora si vuota delle sue ombre gracchianti, come corvi: quando gli aveva bussato il dolore, certamente in battaglia, duplice corona era stata sgrondata amara di piovasco. L’alato vento passa, nessun'unghia vi graffia il silenzio. Progenie di Horus desiderò proiettare qui una luce oltre la propria notte, e un sorriso d’eterno gli suscitò il grande Orione, fasciando le piramidi di mistero nel passaggio sospeso sopra pagine così lucide come questo deserto. |
Autore: | wenex [ 05/04/2016, 12:18 ] |
Oggetto del messaggio: | Re: LIBRERIA - Il cambio d'era |
Io non non colui che non sono, e questa è l'era di un nuovo ciclo cosmico: Angeli e ratti (2013) Al filosofo Onfray “E l’Angelo del Signore li sgominò”, così è scritto, ma dalla versione assira dello stesso evento si sa ben altro: che non fu alcun angelo biblico a farli ritirare dal campo, bensì una torma di ratti che gli rosicchiarono corde di tende e di archi. Angeli, e chi sono questi messaggeri, forse in carne e ossa così come gli indigeni di Los Angeles, dei pellerossa, e molto provvidenziali nell’aprirti qualche dura porta, come già pare che accadde negli Atti di apostoli? Culto mazdaico vede angeli, demoni nell’aria, dove in definitiva di spiriti invisibili ci sono solo virus e batteri, tutt’al più una pioggia di neutrini cosmici; le apocalissi furono cosa persiana, sedimentatasi pian piano nella mentalità ebraica, e di chi ci tace molte cose nei suoi libri sacri tradotti in greco dopo Alessandro Magno. Non sono colui che non sono: laico, credo in valori umani, mi piace Terzani, ma molti altri chi non sono! Credono in angeli custodi o carcerieri, li pregano nel mercificato feticismo di reliquari. Ci mancano, allora, solo le lampade di Dendera o quelle strane pile di Baghdad a Sodoma e l’arcano è dato… La città fu sì inghiottita da fornace ardente, ma dov’era ubicata c’era un lago di asfalto, non di solo sale, di asfalto, ci dice Giuseppe Flavio in Guerra giudaica: quindi, con infiammabile deposito di natron e zolfo di cui si servivano dei faraoni, bastò una scintilla incauta e tutto scoppiò, accartocciandosi come già pensava Leonardo da Vinci, senza scomodare tanti fulmini dal cielo. Magari furono dei meteoriti. Non lo si sa, ma da archivio di tavolette di Ninive si scopre che il biblico Ariok di Ellasar fu Rim-Sin, un re di Larsa coevo di Tid’al l’Ittita, e quindi di Abramo, che ebbe una schiava egizia di epoca hyksos. Poveri Cristi, le donne! Umiliate, offese, vile oggetto: la Bibbia non mi piace, per quanto accentui una moralità come tatuata sul cuore; il secco vuoto si ripropone in chi, tollerando la schiavitù come certi islamici, è pronto a scagliarti la prima pietra in nome di un’immacolata concezione delle cose e del peccato. E in tanti si son ubriacati di cattiverie persino dette da un Noè nudo, allorquando ti maledì Canaan, uno che manco era nato ai tempi dell’arca famosa. E non è si stanchi di lasciarsi trascinar nel pigia pigia del versetto su versetto, di annegare la coscienza di un limite in una sorta di tino d’iracondia, come quello a sbalzo nel calderone celtico di Gundestrup? La filantropia, come la solidarietà con i più deboli, è un dovere morale, non religioso, e la vera carità non è elargire il solito soldino, ma fare in modo che lo sfortunato abbia di che sostentarsi. Che ci si metta a riflettere come una capra tra cavoli, poi non si campa: bisognerebbe riscrivere verità. Ma realtà storiche non vanno romanzate da misogini, devono arricchirci di bellezza. Non me, nell’Era spaziale, si ricerchi per parlar dantescamente di cieli costellati da erculei arcangeli e sottostanti dragoni; d’inferni e di purgatori protratti in Terra da cosiddetti santi inquisitori ne son pieni libri e, francamente, ne ho piene le tasche. Sdegno a disegni (2013) Ma questo papa Francesco mi piace: Lui, con quel suo accorato appello, Che dice contro i fabbricanti di morte. Pensando a quei bimbi divorati dai gas, Provo tanto sdegno, maledico disegni. Sulla frontiera del nulla (2013) Di fronte all’ingiustizia Della sofferenza sono insofferente Dell’incenso indiano purificatore. Non cambierò pelle, né carne, Come fosse tutto ciò un vestito logoro, Per far piacere al diavolo Che tra le mani rigira la Storia Come fosse una sfera di cristallo. Per me non esiste la mentempsicosi, Ma una ricordanza è elaborazione Del profondo Io genetico o l’anima. Con la retorica di una danza In profonde ragnatele Si giustificano le caste, certi sfregi al viso, E i poveri sono gli ultimi, purtroppo. Un tempo, in un sogno di religione Cantavo anch’io, ma ora Sulla frontiera del nulla ombre Di pinnacoli rocciosi si chiudono Come penne a me dinnanzi. L’esiliata voce (2013) Miseri grani di sabbia Siamo noi, nel breve giro Della vita, onda spezzata Da onda verso percossa Sponda. E non c’è buon Vecchio Dio cui chiedere Acqua o fuoco in questa Ansia di andare nel vento, Male antico come la luna. Guardo alla terra tradita: Scavata, nuda, è ombra E memoria del sangue, L’esiliata voce di cuori; Neanche lacrime sante Possono lavarne orrore. |
Autore: | wenex [ 05/04/2016, 15:41 ] |
Oggetto del messaggio: | Re: L’ESA propone una base permanente sulla Luna |
Lontano (2011) Lontani sono i mondi che noi attraverseremo senza saper bene dove l’inizio della nostra fine. Lontani, i mondi lassù, ma non scorderemo il fine. Noi, figli di Yaf-het, di colui che “prese dimora” a occidente, ora abitiamo sotto tende di Sem, sotto le ali della Sua chiesa. Se solo sapessimo del nostro passato per saper dove si volge il nostro passo! Che potremmo mai ricordarcene non senza confusione? Prosciugatesi antiche paludi, dal Mar Caspio giungemmo al Mar Nero di terre incognite, sospese come nel sogno: Hattilantis ne fu il nome, un’Atlantide di ceneri e lapilli che ebbe a che fare con l’isola di Creta e dove fu fondata la nostra Ilio. Ma i greci, antichi nemici di anatolici, non conobbero veramente i minoici: di essi sì, ne narrano alcuni miti, ma Minosse non era il diavolo. Esisteva, agli inizi, lo strano culto del serpente e lì dove l’aratro seminava primi indizi di civiltà direttamente nel solco della storia. Nei pressi di Eridu, antica città di Shumer, il Paese del Mare, si modellarono statuette ofidie, sotterra furono rinvenuti gli ossi di esseri giganteschi, i dinosauri, e l’Eden si collocava nel giardino di Guedinna, tra Umma e Lagash; ma l’essere a noi più ostile un Neanderthal come Lilith, allor quando Iddio rivestì l’uomo di pelli e il lanoso pachiderma tuonava. Accadde poi il Diluvio, e l’acque tumultuose dell’Eufrate inondarono il meridione e tutte le terre feconde che videro poi la gloria di un re: Ghilgamesh. Tra tutti i grandi che eressero megaliti orientandoli secondo le cose di Padre Cielo e che presero in moglie le figlie di una Madre Terra, anche l’Egitto, fondato da Narmer, emerse dall’acque come un obelisco, ai raggi del sole, ma più non vi regnava l’asiatico che abbozzò le piramidi e quella sfinge poi raffigurata nella Tavolozza del protofaraone, come immersa in petrose sabbie lungo le belle rive di papiro. E quelle genti che fecero il lavoro duro di erigerne i monumenti son coloro che il biblista chiama i Figli di Misraim. Ma Misraim non è Mis-Rê, l’Egitto dinastico non è il pre-dinastico Popolo del papiro! Oltre al geroglifico, lingua conosciuta di allora fu una sola, scritta da nazioni: il cuneiforme. E le sue parole, incise nella cruda argilla, si adattavano a ogni vulgata, come ci testimonia Ebla. Persino Mosè la conobbe, altrimenti come lo avrebbe inteso uno di Madian quando fuggì da corte? L’accàdico, ossia l’assiro-babilonese, era la lingua internazionale di cui acuti faraoni come Ekh-en-Aton si servirono in diplomazia e sempre in questa Nefertari, una moglie di Ramses, aveva ottimi rapporti con la consorte del re ittita, anni dopo quella di Qadesh. Qui perdere il filo del discorso è molto facile, visto che il Genesi biblico, tra tanti fatti mitologici, ci parla soltanto di una sola lingua conosciuta ai tempi delle prime ziqqurat sì alte come quella di Saqqara, ma nel labirinto di specchi che è la parola, il nome Arianna significava Colei che fu bella, poiché Ari significava avvenente e Ann era suffisso del passato remoto del verbo essere. A noi, pronipoti di un Noè di nome Deucalione, oggi dispersi in ogni dove sulla faccia delle terre emerse, dette impulso anche stirpe d’intrepidi Arii, che conquisero Hariyupeya, una Harappā dei Rig-Veda. Tutto giusto fin qui? Il canto mio è desolato, or più non siamo gli stessi di uno ieri, e dove ritroveremo le nostre radici per guardare anche alle verdi foglioline? Tutto è caduco, eracliteo “panta rei” colma ogni buco. Smemoreremo? Si è fatta oscurità, ora, sulla Terra, a causa di molte calamità l’Oriente soffre. Chi, senza peccato d’orgoglio, ci guiderà su vie d’eternità, a chi attingeremo vere perle di saggezza? Da coloro che ballano la samba sugli altari e ti adescano ragazzini? Vita, sinonimo di luce, ma molti preferiscono le tenebre alla vera lampada di un’umanità interiore, si prendono gioco del loro prossimo, perché adorano un vitello d’oro. Lontani sono i mondi che noi attraverseremo, lassù, senza saper bene dove l’inizio della nostra fine. Già ci si son spalancate le porte dell’universo, lo scrutiamo, e la polverosa luna è solo un sogno caro a romantici. Lontani, i mondi lassù, ma non scorderemo il fine che ci avrà spinto nell’oltre. E quel dì saremo come uno strenuo fior del deserto, e bello agli occhi del dio Logos. |
Autore: | wenex [ 05/04/2016, 15:52 ] |
Oggetto del messaggio: | Re: Non potrò mai integrarmi con i musulmani ! |
Scritto con stecco fumante (2013) Grazie a Marduk, dio pagano, Da grumo di sangue coagulato Fu creato il babilonese per servire Gli dèi. Gallo combattente, l’arabo Ha ancora la psicologia del sangue, Ma da un fronzolo del Corano Per fortuna pende il dattero. La rosa di Murano (2010) In bellezza corro giù, questa lascio con piè veloce. Navalestro, in gondoletta! Fate presto: ho fretta. A luna di Venezia, Ah! stasera, nulla si vieta: scocco il volo da Lucrezia, Colombina che mi allieta. Non ancora sa la cosa che damasca quel giardino, la regina più graziosa che abbia visto da vicino. Ogni volta che la penso, che alato sentimento: che bocciolo sia l'intento, suscitandomelo intenso! Dacché ne vidi il bel viso ad un convito di buon doge, non son pago di un sorriso, ma, altrove, la Gran Croce... Per la sola i mie’ sospiri! Non v'è perla che più miri, che ti intenerisca core, che t'ispiri tanto amore. Come scorgi gli occhi bisi di ventaglio veneziano scopri dolci paradisi cui si sposa baciamano. Ondeché in canaletto si sviolini serenata piccione viaggiatore già precede l'ambascia del mio parigrado al maggior musico di corte: cose belle! Ve' che gioiel vedrà allora, d'un fulgor che innamora negli accenti di un Adagio sì sublime come bacio! Lo voglia il ciel che mi dica di sì, nel vivo stupore a drappi d'Oriente: codesto anel non aspetta che un sì. Alla vicina lumiera, lo riavvolgo per benino nel casto fazzolettino che le cadde quella sera. Mentre indiavolato rema, a un solo pensier me trema: che in seno al caro mio ben vi alberghi ben altro bene: non corrisposto, gran mestizia fascerebbe lo spirto mio, come nebbia il sole. Ma la so tuttora nubile: perciò m'è dato di sperar, e ciò mi distempra gelo. La laguna negli argenti specchia luci quasi al largo; al rintocco sottovento, ecco i marmi di San Marco: lì s’innalza vecchio faro che barbaglia fascio chiaro verso quel mar, tutto seta, ove incedono le stelle. Non conosco poggi o monti tanto cari per figura come quelli d’Italia; Ah, quante notti sognai l'oro che ne infiora la Natura dalle cime tra' vapori a ben fertile pianoro! Nella gloria di Signori, ogni palazzo che sorge su quest'acque di smeraldo par tessuto in un arazzo azzurro; alla via per Rialto, allorché ’na gran chiesa ammantasi di splendor, soave, si ode il bel canto di coro che, lodando nostro Signor, sembra angelicare l'ora, serenissimo sussurro. Cosa certo, da spavento, le bombarde mo' risento... A Lepanto, che tamburi! Si rugghiò a pugni duri; al vogar a perdifiato contro più legni cozzato: e ad ogni cozzo bombivano galee, mentre bandiere verdi ci vomitavan addosso il lor amaro fiele. Se ne uccisi? Se bocconi o al tappeto io ne misi? Ottomani col coltello ricevettero gli onori: al quadrato degli orrori fu serrato chiavistello. Alle ondate barbaresche rosseggiavano le schiume, disorientate soldatesche vi persero anco il lume! Barbarigo per ria sorte vi fu colpito a morte. Ma la vittoria arrise ai forti. Non scordo tanti morti. Deh, rifuggiamo dolor cocenti: che tale fior di bello rossore non mi caschi e, tra lamenti, sogno si spezzi! Ma mi par d’intravveder la Contarini mia tra la gente, angelo biondo dall'acconcio crine, negli usati vezzi di raccoglierlo in alto a guisa di tanti bei cornetti. Fermo gondolier solerte. La osservo attentamente rincasar. Ei fa l’affiancata. M’aggiusto gran cappello. Sceso, ne contemplo il balcone. Avvolto nel mantello, giro i tacchi e, nel tintinnìo di speroni, sospirando me torna a bordo. Serata eletta, questa – mi dico -: “Vita o morte” mio motto, tra poco scateneremo Un’offensiva a muraglie d'orgoglio: questo, l’inganno dolce di Eros? Poiché l’Amore Vero è gran mistero di un bello sanza fine, sì altero, croce, delizia al cor, quasi desisto, ma, com'è vero che è me dei Moro, così agiremo. Deciso, desisterò manco irriso. “Eco la note ke, al ciàr di luna, corte di stele aduna, ma come li oci di Voi ciò, no le xe bele! Vaga Lucretia, perla di Venetia, di Adriatico cuna...” - Ma che melodia quest’una? Ed ecco fendere l'acque un saluto amico: ’na chitarra, un flatuccio e do ribeche fa l'inchino, ma il piacer è tutto mio, e mi auguro che un bel sorrisetto via via si rifletta sul quieto specchio di tale concertante gondoletta: “Ecco la notte, il chiar di luna e... magica laguna! Vaga Lucrezia, perla di Venezia, ecco la notte che chiare stelle aduna ad una ad una, ma come i cigli bisi di Voi non sono tanto belle! Se dirlo col cuor significa amor, ecco ’na cosa che a gioia si sposa! V’è rosa e rosa d’amor, se cambia color vi cangia odore; siffatta l'ho tinta nel cuor, e di rubino color ’sto fiore. Vaga Lucrezia, perla di Venezia, ecco ciò in segno d'amor; invero, prodigio del cuor di natura non vile, ma quanto Voi giammai gentile!”. Tenorile voce morente nell'aere, mi appare: e coglie l'attimo al volo e coglie fior sanza duolo. Nel sapermi ancora vivo, piange e nel contempo ride. Sì: piacevolmente sorpresa, Lucrezia piange e ride! [Una tantum note d'autore ai propri esadecasillabi: 1. Navalestro: rematore (D'Annunzio); 2. Gran Croce: vela quadra crociata, nave da guerra; 3. Bisi: occhi verdini, in dial. veneto; 4. Do ribeche: due viole; 5. Vaga L.: da leggersi Bella L. ; 6. L. piange, ché a Venezia ricevere, allora, una rosa significava che l’amato era morto in battaglia; 7. Al cantore propongo una vocalizzata scala misolidia: i=fa, é=mi, è=re, a=do, ò=si, ό=la, u=sol]. |
Autore: | wenex [ 05/04/2016, 17:39 ] |
Oggetto del messaggio: | Re: Hillary Clinton: se sarò Presidente dirò la verità sugli |
Nube elettrica (2013) Mamma, ricordi quando vedemmo quell’U.F.O.? A te sembrava un uomo che pedalava in bicicletta nel cielo, a me un uccello di fuoco, forse una nube elettrica. Eppur si vide qualcosa in quell’estate che non tornerà. E come non rimandare la mente a quell’improvviso pianto di madonna dipinta su tela, altro fenomeno inspiegato. Ne abbiamo viste di cose, noi due, altresì ne abbiamo combinata qualcuna: come quando, nel museo di Aquileia, facemmo finta che io avessi capacità telecinetiche, che sapessi far muovere un vasetto romanico con la sola forza delle meningi. Ma esso traballava da solo nella teca. Chissà poi perché. |
Autore: | wenex [ 05/04/2016, 17:45 ] |
Oggetto del messaggio: | Re: Il triangolo delle Bermuda |
Sopra tristi moduli (2001) Non ti discosti mai dal tuo Meridiano di Greenwich e strane idee ti frullano in testa come tanti pop-corn. Per te le anguille ritornano sempre ai Sargassi e tale mar ti pare quello d’un’isola che l’ammiraglio Piri Reis mappò più a sud e al largo del Brasile: l’Atlantide di Hapgood. Ma io ti dico che in un evo lontano l’Antartide di Mercator era divisa da un golfo, seppur attaccata alla Terra del Fuoco. Fuoco, cosa certo che ora non c’è – dimenticate le chimiche nozze; fuoco, cosa che le balene han nel sangue, cantando sopra gioiosi moduli nel gelo. Mi rileggerò L’amante di Lady Chatterley. XI Settembre (2001) Cieli ridondanti d’acuti vettori, Crudele inferno tutto divora, Gran pena sortiscono fattori Ostili. La pace non innamora. Congiunzione di Giove e Saturno (2001) Nella vetrificata indifferenza che ti svena, tu non ricordi il tiepido velluto della sera in cui venivo a prenderti a scuola-guida, né rammemori la congiunzione astrale di Giove e di Saturno. Com’eri incantevole, allora, con quei riccioli: parevi la Irene Papas dello sceneggiato Odissea. Sulla piazzetta dei garage in cui ti aspettavo ne proiettavo idealmente il moto celeste, piastrella dopo piastrella, diviso l’empireo per settori e aiutandomi con una ringhiera: ecco la mia Stonehenge! E un coccio muovevo in modo curvilineo per ciascuno dei pianeti gassosi che l’anima mia aspirava di toccare. Lacrime di cielo sicuramente han cancellato il solco rosso che vi ho lasciato e la nostra storia, adesso, una scia che si perde nel vuoto di un mar scialbo d’incolmabili distanze. L'amore, un dio (2001) Con singhiozzi strangolati dentro si sta malfermi di fronte al domani, o Madre Terra. Sopra tristi moduli canta la megattera, carne stremata, libertà già scarnificata da occhi di ghiaccio. E cosa non è perduto senza l’amore, mi chiedo, l’amore, un dio che era ben prima dei poemi e degli imperi. Nel cielo sempiterno si rincorrono soli e lune nell’ordire l’assurdo al quotidiano. Il fondo delle cose pare così indiscriminato perché proprio dell’anima il trapasso e dello spirito il compasso. Tra ozio, vizio e peccato tutto al dolce nulla s’abbandona. Guardando in faccia le spoglie imbalsamate degli ideali, scopro che si può anche morire senza capire il senso della vita, senza far mordere i freni alla follia o dar una goccia nel mare del bisogno. |
Autore: | wenex [ 05/04/2016, 18:17 ] |
Oggetto del messaggio: | Re: Saluti |
All’ombra di fico (2010) È un peccato che non sia mai piovuto rosso sangue per fermare guerre, ma il Cielo così ha voluto. Se ciò piovesse davvero, gli indù ne riterrebbero il fenomeno un segno infausto. Ciò che noi sappiamo, poi, dall’induismo non è tutta rivelata verità, in quanto già il poema Mahabharata di cui il Canto del beato fa parte, fu scritto e riscritto durante più secoli, quindi anche censurato nelle sconvenienti simbologie. A me, sinceramente, non sta simpatico quell’angelo blu che prima le stregò e poi li sedusse, seppur sia un fortunato avatara di un tiro alla fune; il dio Brahma non mi pare proprio l’equivalente di Yahwèh, benché un sincretismo dei nostri giorni li voglia entrambi incielati dentro una stessa nube. Nel Talmud un tale simile a Gesù è detto di sicuro non figlio di Giuseppe, bensì di Panthera. Nella Sacra Bibbia i maccabei parlano di resurrezione molto prima di un Gesù crocifisso e qui sta il punto: se essi intendessero quella resurrezione della carne come una sorta di reincarnazione a cui Platone fa riferimento nella filosofia. Nei vangeli canonici anche Gesù, che sapeva bene chi fossero gli esseni, lui stesso nazireo, dal seguito veniva paragonato ad altro profeta del passato. Anzi, per la precisione si diceva ch’egli fosse lo stesso di uno ieri trapassato e remoto! Yogananda, guru indiano, lo scrisse in libro autobiografico, affermando che quel Gesù era la reincarnazione stessa dell’ultimo discepolo di Elia, profeta che fu seguito con pertinacia. Oggidì i buddisti che Assisi, città tutta rifatta nel lifting per via d’una eco, qui richiama tra pellegrini, affermano, come tanti manichei di un’eresia, che Gesù non morì sulla croce ma andò ammaestrando fino in India. Portando con sé un Santo Graal nella tribù asiatica che si diceva di essere stata cristianizzata da un suo apostolo? In tutto questo giochino di tira e molla escatologici, di un Dividi et impera di monaci politicanti, figuriamoci, allora, il ruolo della New Age, che ci paragona tutti a un’aquila anziché a un pollo fritto! Con un altro senso (2010) Con un altro senso del risveglio interiore, lo so, il mio cielo dipinto mai sarà quello del Buddha, ché a desìo do altra valenza nel superamento dei limiti caratteriali: nella santità dell’Io riposa la speranza, la via della superbia non conduce al Tao. Ma, ahimè, purtroppo oggi più non esiste signoria forte e onorevole, non si pone fine a gelida tormenta di alberi d’ossa tibetani. Ecco, incocco preghiera, la scaglio avvelenata al cielo: e sogno che quanto più le loro lacrime mutino in gemme di monti azzurri tanto meno siano offuscati degli occhi di seta dalla tigre Assenza. La voce della luna (2011) La voce della luna alita su ragne e non v’è musica per questo canto, né delle labbra né porte del Cielo rinverdiscono il cuor ora che è tutto terra bruciata. In un sudor sbrinato si affonda un poco alla volta, ombre gravano sul nostro nulla spalancato da un grido. Nello sguardo deserto del fuoco cammino; nel pianto, visione notturna popola l’aria di livide figure: bufere gli antichi sogni, bisbiglio, debole semitono. Nulla più domando all’immenso, come una mano analfabeta che chiede l’elemosina nella neve. In questi giorni vedovati a mille le rughe serpeggiano, da ogni calice d’incenso rugiade si fan di sangue: è il tempo che ingoia voci e palpiti, esso ruggisce ai piè dei sepolcri. Ho orrore dell’eterno divorarsi della Natura. L’anima primitiva delle cose è un fumo, una nicchia di stanche braci non sa di pace. Arpeggio (2011) Il sommesso arpeggio d’acque inciso su pietra celtica mi narra ancora d’eroi di lontani secoli. Il tempo, che disperde ceneri e cancella volti nella nebbia, qui batte la triste ala di corvo. O Ulster, verde Ulster, giammai del tutto domo dal maglio sassone, tu senti ancor la voce dei fantasmi tuoi oltre il frusciar delle stagioni. Mago Merlino (2011) A luna piena così bella che non c’è era mio un ansimarvi, altero, nella pelle del lupo. Affamato di bella preda che ora si nasconde nel folto, ora sosta con la sua usta a polla d’acqua sorgiva, m’imbatto in tempio rupestre. Dentro, ai piedi di bronzo del dio Marte mi tramuto in uomo. Ed ecco sulla sua soglia orso bruno: con un largo sorriso, si siede di fronte al fuoco. Canta alla cetra, in esametri jonici narra dei ludi di Patroclo l’acheo. Poi dice che egli è un gran mago che già sapeva della mia venuta, come grigia ombra, in tale sogno. Io non lo so, ma tra varie pulsioni psichiche potrebbe mai darsi caso ridicolo in cui l’Inconscio stesso affermi d’essere mago Merlino? Impromptu (2011) Con lieve passo schiude la notte il suo ventaglio, lente frusciano rune d'olmo alle porte lunari. Soave, il silenzio tiene i ricordi più belli sospesi in quello spazio uranico a ingentilir la veste del cuore, mentre ci si spurga dei veleni della solitudine. Come sogno annodato all'infinito, una carezza con forma di donna si apre un varco soleggiato nella monodia autunnale: farfalla lentigginosa si fissa negli occhi miei come un velo di bellezza sopra le cose fantasma, scivola via, come musicale brezza, nell'acquarello blu di Prussia. Cip, la fiche naïf (2011) Con mille alucce trepide sfilano gli anni lievi, lievi, in un consumato pedalare termina la gioventù bella. Ma niente ha contorni più netti di quella bruciatasi a poker, col suo tip-tap sull'orlo dell'Orco. Inseguendo bandiere per il pane quotidiano, giornate di cartapesta ci vogliono fidi a rito di festa; lentamente la pensione s’ingromma, come edera al muro. In Italia tutto è naïf: si marcia nel sogno dai confini rappezzati; traditi, si tradisce tra le lacrime del male; la vecchiaia è sempre più scansata, esorcizzandosi la morte. Ed ecco il nostro vissuto: uno sdentato pettine d'osso. Frank Wenex |
Autore: | wenex [ 05/04/2016, 18:33 ] |
Oggetto del messaggio: | Re: FILAMENTI CHE CADONO DAL CIELO |
Un saluto anche a te, meteora dei nostri cieli (il poeta non è un fingitore, come asseriva il Pessoa dalle millle identità, ma un calunniato): Occhi d’aquila e di rapina (2000) E ti meravigli di questo strano balbare? Per te io sono innecessario, e si è fatto buio a mezzogiorno. Oh, sì, sì, sta nevicando a luglio; fiumi amari risalgono la china di lontananze... Con l'innocenza del diavolo sorridi, ridi di me, sembrandoti un redo spaurito dal roco muglio di un lungo scosceso. E quei tuoi occhi di Circe, che mi avevano tanto stregato, sembrano proprio d'aquila e di rapina... Che beffa! Dall'acque cinto, qui comincia la mia discesa nel maelström, non potendo più vivere con o senza di te. Forze del caos (2000) Nella ressa rabbiosa cerco uno spiraglio. E per tutta la notte il tuo nome grido, anima mia, perduto. Il vento fa gemere portello di un castello di cenere: è carne viva ogni residuo fallo della chimera. Gli occhi spargono il loro sangue su zolle infeconde, la pelle non porterà che segni di morsi. Forze del caos l’han voluto. Chi non lo vota (2001) “Tu non voti comunista: allora sei un fascista!”. Che creanza stalinista sull’ultimo treno della notte! Buon Dio! la mia povera testa... Non sono stato rioperato all'orecchio per sentirmi poi dire certe assurdità impoetiche, e da due vanitose per giunta! Ma non si preoccupino tanto per me, le intriganti sorelline, belle vampire di lento dissanguamento: resisterò agli strappi della sorte ria anche se mi accusassero di essere un versipelle della politica familiare. Frammento (2001) Come un buon Crotognato, o un Isaurico, o un Molone, o persino il trace Spartaco, non temo croce del peccato. Rivelazione (2001) Le galassie si arrampicano sul buio, come note di diciassettesima minore del musicista futurista Alban Berg, e l’universo pare un albero confuso di foglie, rami e radici. Nello zen il vuoto ha più sostanza del granito, pietra che gli antichi egizi sapevano ben levigare. Non son io ben versato nei Ba di Ra, nei geroglifici di Thot, di un dio delle lettere che potrebbe aver dato significato anche al nome Mosè, tanto da risultar esso simile a quello di faraone che cancellò via quello di Hatshepsut, come fosse stato un cesto subito inghiottito dalle fauci del Nilo: Thot-mose. Anzi, Dehuthy-mose! L’Apocalisse è vicina o “in fieri”? Prenderà fuoco il papiro dei destini, spariranno cieli, si salveranno in pochi, predestinati a una Gerusalemme di cui se ne ignora un lascito alla vera umanità? Già si sopraelevano i mari, a causa del Buco dell’Ozono, e ciò par quasi sinonimo di altro Diluvio [oggi le stagioni sono tanto diverse, come per il cuore dei fidanzatini (se mai lo sono, tra tanti single)]. Come grotte profonde, che furono degli antichi fino all’India, molte isole australi poi spariranno. Siamo tutti nella stessa che ha tante falle: non ciò diga olandese, né eredità nostra potrà metterci il ditino con far d'eroe. E non ti salverai su scialuppa del Titanic… Oh no, cara, affonderai con me nella sala dei cristalli, mentre si suona il Valzer degli Addii! Senryu (2001) Goccia a goccia, il male scava ed è perforante. Sopra tristi moduli (2001) Non ti discosti mai dal tuo Meridiano di Greenwich e strane idee ti frullano in testa come tanti pop-corn. Per te le anguille ritornano sempre ai Sargassi e tale mar ti pare quello d’un’isola che l’ammiraglio Piri Reis mappò più a sud e al largo del Brasile: l’Atlantide di Hapgood. Ma io ti dico che in un evo lontano l’Antartide di Mercator era divisa da un golfo, seppur attaccata alla Terra del Fuoco. Fuoco, cosa certo che ora non c’è – dimenticate le chimiche nozze; fuoco, cosa che le balene han nel sangue, cantando sopra gioiosi moduli nel gelo. Mi rileggerò L’amante di Lady Chatterley. XI Settembre (2001) Cieli ridondanti d’acuti vettori, Crudele inferno tutto divora, Gran pena sortiscono fattori Ostili. La pace non innamora. |
Autore: | barionu [ 07/04/2016, 09:04 ] |
Oggetto del messaggio: | Re: Prosa |
WENEX !!!!!! Ma vuoi assassinarci la vista ????? guarda Oggi voglio essere proprio prosaico: ne narrerò una per suscitar sonno. Molto dopo che asteroide in collisione col nostro pianeta frantumasse tutto un continente di terre emerse chiamato Gondwana e abitato da dinosauri, grandi rettili i cui ossi vennero poi scambiati per quelli di giganti, Marte andava desertificandosi. La sua catastrofe ecologica era tale che Iddio volle salvarne uno di quella specie: Uwa, bimbetta il cui nome è l'onomatopea del vagito. A bordo di un cesto dal guscio duro, capsula di salvataggio, la vergine madre sfidò l'algido spazio stellare da sola e soletta, poiché Hinun-ndendée, il grande uccello, era andato in avaria. Catturata dalle correnti gravitazionali terrestri, essa cadde in un lago chiamato Tanganica, nei pressi di due montagne d'Africa: l'una bianca, il Kilimangiaro, l'altra nera per i guerrieri Masai. Trovata da Dorso Grigio nella nebbia, in principio Uwa fu allevata secondo gli usi e i costumi di australopiteco, essere scimmiesco – goffo, in verità - che non utilizzava ciottoli come fossero utensìli, che non conosceva ancora le nostre fatiche, né il significato della parola morte, avendo questo coscienza limitata di sé. A quei tempi la vegetazione era più lussureggiante di adesso; unica insidia era Fungua, la puzzolente gorgone dai denti a sciabola, fiera che sbucava all'improvviso dal folto, colpiva e nei recessi dell'oscurità tornava. Così si legge agevolmente. Guarda che qui non abbiamo problemi di spazio !!!! e poi posta a spiritualià e arte !!!!!!!!! Vedo che scrivi cose molto belle e interessanti , appena ho tempo mi ci dedico . zio ot ![]() |
Autore: | Wolframio [ 07/04/2016, 21:04 ] |
Oggetto del messaggio: | Re: Prosa |
barionu ha scritto: Così si legge agevolmente. Guarda che qui non abbiamo problemi di spazio !!!! e poi posta a spiritualià e arte !!!!!!!!! Vedo che scrivi cose molto belle e interessanti , appena ho tempo mi ci dedico Ecco appunto, queste delizie si postano in sezioni e post dedicati al tema, non all'interno di tutt'altre discussioni dove un utente interessato clicca convinto di leggere qualcosa di nuovo sull'argomento e si ritrova allibito stentando a fatica nel capire se il post del nuovo avventore sia stato scritto per un errore di locazione o per una presa di fondelli. Come Wenex aveva fatto qui, dove oggi è stata cancellata la mia verso di lui, ironica risposta (con un off topics all' off topics) a cotanta cultura fuori tema. ![]() Wenex, come avevo scritto nella mia replica oramai cancellata, già nel suo primo post di esordio "Il Valzer degli Addii" ha lasciato intendere che sarebbe durato poco. Tra l'altro questo forum non è il primo che Wenex ha visitato deponendo gli stessi scritti che qui hai potuto apprezzare, passandoci come una meteora loggandosi con diversi nick e diversi nomi propri. Purtroppo per te ed a chi lo ha apprezzato, io credo che Wenex non tornerà piu, a meno che lo si acclami con tutte le forze. Io mi auguro che se Wenex dovesse ritornare, trovi finalmente affinità elettive in un luogo dove rimanerci. Concludo, non per fare polemica, ma avrei preferito che prima di cancellare la mia replica su due piedi, venissi interpellato in quanto sarei stato pienamente d'accordo alla cancellazione. ![]() |
Autore: | mauro [ 07/04/2016, 21:15 ] |
Oggetto del messaggio: | Re: Prosa |
cari amici, potete sempre ricercarle qui http://nelsegnodizarri.over-blog.org/20 ... icate.html ciao mauro |
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