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 Oggetto del messaggio: ELOGIO DI FRANTI
MessaggioInviato: 26/06/2019, 13:24 
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ELOGIO DI FRANTI



DI UMBERTO ECO





Dieci anni fa avevo scritto un Elogio di Franti, in cui "Cuore" veniva individuato come turpe esempio di pedagogia piccolo borghese, classista, paternalistica e sadicamente umbertina. Pound, che biograficamente era fascista, scrisse un tipo di poesia che Hitler, se l'avesse conosciuta, non avrebbe potuto fare a meno di bruciare; De Amicis, che era socialista ed ebbe le lodi di Turati, scrisse un libro in cui tutte le tare del costume italiano prefascista (e spesso protofascista) venivano magnificate e proposte ad esempio ai giovinetti.



L'ideologia di un libro non è mai necessariamente quella dell'autore. In quel mio saggio non potevo dunque che identificare nell'opera un solo personaggio positivo, Franti, la cui grandezza morale e le cui ragioni sentimentali e sociali emergevano a dispetto dell'acrimonia con cui l'autore e il suo piccolo diarista filisteo ce lo presentavano.

Su questo mio commento non ho ora da tornare perché Luciano Tamburini, nella sua approfondita esegesi einaudiana di quel manuale dei languori, lo usa con equilibrato dosaggio, avanzando persino tra le righe le ipotesi che quella mia e altrui lettura non fosse soltanto una distruzione di "Cuore", ma l'avvio per una lettura più costruttiva (da cui forse ormai non sarà più assente il sospetto, magari infondato ma tutto sommato eccitante, che De Amicis lo volesse letto anche così).

Tamburini, a cui il mio narcisismo è debitore, giudica il mio Elogio come «massimo punto di tensione nella valutazione di "Cuore"». Riflettendoci bene mi pare però che il massimo punto di tensione sia ancora a venire. Perché la società italiana, formatasi sul modello di "Cuore", ha continuato a fare del libro una guida per l'azione anche quando non lo leggeva più; in altri termini, l'Italia ha continuato a scrivere "Cuore"; e rileggere la storia italiana recente come una appendice al libro non è affatto divertimento gratuito.

In finale del mio saggio io avanzavo l'ipotesi che Franti, simbolo di un'Italia subalterna e umiliata, spinta fuorilegge dal perbenismo di classe, si riscattasse all'alba del secolo esercitando col nome d'arte di Gaetano Bresci. Ma la storia non si è fermata lì.

Nel 1966, Franti faceva una riapparizione gloriosa con la "Lettera a una professoressa" dei ragazzi di Barbiana: «Ci respingete nei campi e nelle fabbriche e ci dimenticate»...Franti capiva che non era né cattivo né stupido, e si rifaceva a una scuola a misura di subalterno, rifiutava Enrico come un Pierino oppressore e veramente diventava l'eroe positivo (ma questa volta a tutto tondo) del nuovo "Cuore", modello – speriamo – ai ragazzi italiani di domani.

Tuttavia all'università Don Milani non c'era, e Franti tenta nuove maschere nel 1968, all'università di Torino: il discorso di chiusura dell'anno accademico viene steso da Franti su "Quaderni Piacentini" sotto il nome d'arte di Guido Viale. Meno equilibrato del discorso dei Franti di Barbiana, senz'altro meno costruttivo e più iconoclasta. Ma l'Italia trema.

Franti ora occupa le assemblee e impone la sua presenza. Il fatto che ora Franti avesse l'eloquio di Derossi e l'enfasi filantropica di Garrone pose il paese in serie angustie: l'alleanza tra Franti e il Muratorino passava sopra la testa del maestro, anzi richiedeva come rituale fondante che al maestro fosse gettato, da tutta la classe, un calamaio in faccia.

Occorreva correre ai ripari. Dimostrare che Franti faceva scivolare sulle bucce di banana la maestrina dalla penna rossa. Ci riuscì il provocatore, Nobis-Freda, e la borghesia italiana riuscì a crearsi un nuovo Franti sulla sua misura. Rileggetevi la stampa del Sessantanove, confrontate gli stilemi, fate sinossi di De Amicis e dei quotidiani indipendenti: il nuovo Franti è emaciato e torvo, e torvamente zoppica; amato visceralmente da una madre grigia e spettinata e da una zia piangente, scavezzacollo anarchico, non tira palle di neve ma fa il ballerino, il che è peggio.

Gli identikit lo accusano, i tassisti lo inchiodano alle sue responsabilità. Si chiama Valpreda. E, come nel capitolo del 6 marzo di "Cuore", «dicono che non verrà più perché lo metteranno all'Ergastolo». Franti non riappare più nel libro perché né l'autore né Enrico più ce lo vogliono, deve sparire.

Esulta il padre di Coretti «coi suoi baffetti aguzzi e un nastrino di due colori all'occhiello della giacchetta», gode il padre di Robetti «capitano di artiglieria». Enrico, in pio pellegrinaggio col padre, va a rivisitare in campagna il vecchio maestro in pensione Julius Evola. L'Italia è salva, "Cuore" ancora una volta trionfa.

Enrico restaurato, non c'è che da purificare la scuola: ci penserà il numero chiuso, e l'aula non più sorda e grigia sarà ora abitata solo da Derossi, Enrico e Nobis, ammessi per tempo. Oh, lo sapeva bene De Amicis: «Ecco il mio libro...un'opera per tutti, di una sincerità irresistibile, piena di consolazioni, di insegnamenti e di emozioni, che faccia piangere, che rassereni e dia forza, una tesi indiscutibile, da doversi subire per forza da tutti... Ah, la vedranno i fabbricanti di libri scolastici coma si parla ai ragazzi poveri e come si spreme il pianto dai cuori di dieci anni, Sacro Dio!».

Franti ora è fuori dalla scuola. Non è morto, studia sui fogli della controinformazione. Sinché l'ultimo capitolo di "Cuore" non sarà scritto, il nemico sarà sempre Enrico, che studia sui libri di testo bugiardi ciò che non ha capito Carlo Marx.
Da Umberto Eco, Il costume di casa, Milano 1973 – 2012

Il filmato allegato è tratto da Babau, una serie di quattro trasmissioni, presentate dal giovane attore teatrale Paolo Poli, che la Rai produsse nel 1970 sulle caratteristiche negative dell’italiano: mammismo, conformismo, arrivismo, intellettualismo. La messa in onda fu vietata e congelata – perché definita allora inopportuna e spregiudicata – per sei lunghi anni, fino al 1976, quando la Rai riformata propose la serie nella nascosta programmazione estiva.


http://www.uncommons.it/village/elogio-di-franti-317



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