L’aria della sera ha già dentro l’odore dell’inverno. L’odore della neve che verrà a tacitare il calmo dondolìo dei ricordi. Il sangue è come una marea che percorre il corpo, si mischia al flegma ed altri umori, penetra nella carne e la asciuga o la colma. Vi sono parti del mio corpo che hanno cessato di funzionare e hanno smesso di servirmi. Gli occhi, per primi. Arriva un momento in cui ci si stanca di vedere, in cui ci si stanca di ogni cosa. Non me ne rammarico. Ormai conosco il rumore della pietra quando è lavata dall’acqua e la nota che l’erba produce quando è agitata dal vento. Conosco i colori ardenti del tramonto, il blu e il grigio delle onde assopite dal gelo, il viola che sale dai sudori della rugiada e il cristallo del cielo dopo la pioggia torrenziale di agosto. Alzo lo sguardo e vedo le volte annerite di un soffitto di pietra. Il mio cielo. Un cielo finto ed immobile. Esistono cieli che lo sguardo non coglie e le dita non raggiungono, cieli che si concedono solo nell’estremo istante della morte. Solo le stelle mi sopravviveranno, perché non hanno mai perso la loro luce, perché la loro luce è senza memoria.
Da “Tycho Brahe L’uomo che cambiò i cieli”
di F.Ongaro (CairoEditore)
credit photo:
http://www.Rheticus.itImmagine:
57 KB