Scoperte, Ricerche e News in diretta dal Cosmo
Rispondi al messaggio

La stella che non dovrebbe esistere

11/09/2011, 18:24

La stella che non dovrebbe esistere


Impossibile. È la parola che meglio definisce la stella SDSS J102915+1729227, l'astro che non dovrebbe esistere ma che uno studio, in gran parte a firma italiana, ha individuato nella costellazione del Leone. A rendere unica questa piccola e debole stella, vecchia di circa 13 miliardi di anni, è la sua composizione, che sfida le leggi astronomiche: praticamente tre quarti idrogeno e un quarto elio, con appena lo 0, 00007 per cento di elementi pesanti (metalli), la minore quantità di tutte le stelle studiate finora.

"Secondo le teoria comunemente accetta, stelle come queste, con una massa così ridotta e con una quantità così piccola di elementi pesanti, non dovrebbero esistere, perché la nube di gas da cui si sarebbe originata non avrebbe mai potuto condensarsi", spiega Elisabetta Caffau del Centro di Astronomia dell'Università di Heidelberg in Germania, primo autore dello studio pubblicato su Nature. È la prima stella mai individuata in questa zona proibita - come la definisce la stessa ricercatrice - e la sua esistenza potrebbe mettere in discussione alcuni dei modelli esistenti della formazione degli astri.

Per individuare la stella, i ricercatori si sono serviti del Very Large Telescope (Vlt) dell'European Southern Observatory (Eso) in Cile; l'hanno poi potuta analizzare grazie a un particolare strumento del Vlt, l'X-shooter. Questo spettrografo ha permesso al team di Caffau di stabilire l'abbondanza degli elementi chimici presenti: ebbene, la percentuale di quelli pesanti è 20mila volte inferiore rispetto a quella del Sole.

Questo numero può essere considerato un buon indicatore dell'età della stella, probabilmente molto primitiva e una delle più antiche mai trovate. I cosmologi, infatti, ritengono che gli elementi chimici più leggeri - l'idrogeno e l'elio -, insieme a piccole quantità di litio, si siano formati subito dopo il Big Bang, mentre tutti gli altri sarebbero venuti dopo. Successivamente, le esplosioni delle supernovae avrebbero disperso il materiale pesante nel mezzo interstellare, rendendo le nuove stelle più ricche in metalli rispetto a quelle più antiche come SDSS J102915+1729227. Per quanto strano però, l'astro potrebbe non essere l'unico del suo genere: " Ne abbiamo individuati molti altri che potrebbero avere livelli di metalli simili se non inferiori, e ne stiamo pianificando l'osservazione con il Vlt per studiarli più a fondo", ha affermato Caffau.

A sorprendere gli studiosi è stata anche la scarsa concentrazione di litio, 50 volte inferiore a quella che dovrebbe trovarsi nell'Universo immediatamente successivo al Big Bang. Un altro mistero da risolvere.

[BBvideo]qgPpuW4--0E&feature=player_embedded[/BBvideo]

http://www.antikitera.net/news.asp?id=10827&T=3

12/09/2011, 11:45

Il fatto che sia così antica e così unica nel suo genere è molto interessante, soprattutto in ottica di studio della nascita dell'universo.

Questa scoperta dimostra quanta strada dobbiamo fare prima di avere una vaga di idea di quello che siamo, e di quella che è la nostra storia.

12/09/2011, 13:59

Ancora una notizia che mette in discussione le basi sulle quali si muove la ricerca scientifica.
Forse stiamo sbagliando qualcosa.

04/11/2011, 12:22

.Una fucina di stelle in due galassie distanti


Grazie al Very Large Telescope dell'ESO è stato possibile osservare la radiazione di un burst di raggi gamma attraverso il gas di due galassie a 12 miliardi di anni luce da noi: l'abbondanza di elementi pesanti, sorprendente per l'età degli oggetti, porta a ipotizzare la presenza di un'intensa zona di formazione stellare


Due galassie nell'universo primordiale, con un'abbondanza di elementi pesanti maggiore di quella della Via Lattea: è quanto ha scoperto un gruppo internazionale di astronomi grazie al Very large Telescope dell'ESO e sfruttando la luce intensa ma di brevissima durata di un burst di raggi gamma estremamente distante.

Com'è noto i burst di raggi gamma rappresentano le esplosioni più energetiche dell'universo. Vengono rivelati in prima battuta dagli osservatori in orbita intorno alla Terra e, una volta registrata la loro posizione, studiati più approfonditamente utilizzando i grandi telescopi terrestri, che possono osservare sia la luce visibile sia i bagliori nello spettro infrarosso che vengono emessi nelle ore successive.

Il burst, denominato GRB 090323, è stato individuato per la prima volta dal telescopio spaziale a raggi gamma Fermi e successivamente sia dal rivelatore di raggi X del satellite Swift della NASA sia dal telescopio da 2,2 metri de sistema GROND dell'MPG/ESO, situato in Cile. Dopo un giorno dalla sua esplosione, le osservazioni sono continuate utilizzando il Very Large Telescope (VLT) dell'ESO.

Il grande dettaglio permesso dal VLT mostra che la luce brillante del burst di raggi gamma è passata attraverso la galassia ospite e una vicina distanti da noi circa 12 miliardi di anni luce.

Mentre la radiazione del burst passa attraverso le galassie, il gas che vi è contenuto si comporta come un filtro, assorbendone alcune lunghezze d'onda. La registrazione di questo caratteristico spettro permette di risalire all'abbondanza degli elementi presenti nelle galassie stesse.

“Quando ci siamo messi a studiare la radiazione proveniente da questo burst non sapevamo che cosa avremmo trovato”, ha sottolineato Sandra Savaglio, ricercatrice del Max-Planck-Institut per la fisica extraterrestre a Garching, in Germania, che ha guidato
lo studio in via di pubblicazione sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. “Queste galassie possiedono più elementi pesanti di quanto osservato in una galassia in una fase così precoce dell'evoluzione dell'universo: non ci aspettavamo in particolare che l'universo fosse così precocemente evoluto dal punto di vista chimico”.

Secondo le teorie di formazione galattica, infatti, gli elementi più pesanti verrebbero sintetizzati nella seconda parte del ciclo di vita delle stelle e si accumulerebbero gradualmente nei gas galattici quando queste muoiono. Per tale motivo l'arricchimento degli stessi elementi pesanti serve agli astronomi a determinare l'età delle galassie.

Le nuove osservazioni, sorprendentemente, rivelano che alcune galassie erano già ricche di elementi pesanti a meno di due miliardi dopo il big bang. Se ne conclude che le due galassie appena osservate stanno formando nuove stelle a un ritmo forsennato. I due oggetti, rivelano le osservazioni, sono così vicini che potrebbero essere in procinto di fondersi: proprio questo processo potrebbe essere il motore di una simile fucina di nuove stelle. Le osservazioni del VLT, infine, supportano l'ipotesi che i burst di raggi gamma siano associati a intensi processi di formazione stellare.

http://www.lescienze.it/news/2011/11/02 ... ti-630091/

06/11/2011, 19:18

03/11/2011 Nuove righe spettrali, alcuni pensano ad amminoacidi
Scoperte grazie alle osservazioni nell'infrarosso del telescopio Gemini 13 nuove bande di assorbimento. Ancora incognita la natura degli elementi o dei composti che le hanno prodotte, ma per il team che ha condotto lo studio potrebbero essere amminoacidi

La luce delle stelle trasporta con sé una serie di informazioni importantissime che gli astrofisici hanno imparato a decifrare grazie alla spettroscopia. Scomponendo la radiazione si possono indagare le caratteristiche dell'oggetto celeste che l'ha prodotta, come ad esempio la sua temperatura o la composizione chimica. Ma nel suo viaggio fino a noi, la luce delle stelle può incontrare gas e materia, interagendo con essi ed evidenziando nel suo spettro i segni di questi incontri. Così, analizzando con il telescopio Gemini la luce proveniente dalle stelle presenti nel centro della nostra Galassia, la Via Lattea, un gruppo di ricercatori ha individuato nei loro spettri 13 nuove bande di assorbimento (Diffuse Interstellar Bands, DIB). Queste bande sono state individuate nell'infrarosso e sono quelle ad oggi con la maggiore lunghezza d'onda nota.
Ben 500 sono infatti ad oggi le DIB già note e le prime sono state scoperte 90 anni fa. Ma cosa produce queste particolari tracce sugli spettri delle stelle? “Nessuna delle bande interstellari diffuse è stata finora identificata con sicurezza con un elemento o una molecola specifica” dice Thomas Geballe, dell'Osservatorio Gemini, primo autore dell'articolo sulla scoperta pubblicato online sul sito della rivista Nature . “Questa è oggi una delle più grandi sfide nel nostro lavoro”. Una sfida che, almeno per ora, gli astrofisici dovranno cercare di vincere solo con le proprie forze. Ad oggi infatti, nessuno è stato in grado di riprodurre in laboratorio le DIB a causa della difficoltà di simulare le temperature e pressioni del gas nello spazio interstellare e nelle molteplici combinazioni della sua composizione chimica.
Tuttavia qualche idea, anche ragionevolmente attendibile, i ricercatori del team ce l'hanno. Ed è estremamente affascinante. “Le più recenti teorie ipotizzano che queste DIB potrebbero essere prodotte sia da catene molecolari di carbonio e idrogeno oppure da complesse catene di amminoacidi, ma non vi è ancora la certezza di ciò” dice Paco Najarro del Dipartimento di Astrofisica presso il centro di Astrobiologia di Madrid, che ha collaborato alla scoperta. Se questa teoria venisse confermata, da simili nubi interstellari ricche di amminoacidi potrebbero essere letteralmente ‘piovuti' sui pianeti che popolano la zona centrale della nostra Galassia i ‘semi' primordiali portatori della vita.



fonte media inaf

10/11/2011, 20:05

10/11/2011 Dal tipo di esplosione alla pulsazione
Dalla modalità di esplosione della supernova originaria si riuscirebbe a capire la modalità di pulsazione della stella di neutroni che resta

«Datemi un bambino di sette anni e vi darò l'uomo», recitava lo slogan della fortunatissima serie televisiva “Seven Up!”, un esperimento sociale con protagonisti 14 bambini inglesi intervistati periodicamente, ogni sette anni, dall'infanzia fino all'età adulta. Una ricerca anticipata oggi nella sezione Advance Online Publication di Nature giunge a un'ipotesi analoga per quanto riguarda una particolare classe di X-ray pulsar, le Be X-ray binaries (BeXRBs). Le BeX sono sistemi formati da una stella di neutroni che acquisisce materia da una stella compagna, generando fasci di raggi X. Gli autori dell'articolo, osservando il loro comportamento, hanno notato che si dividono in due sottogruppi. L'appartenenza all'uno o all'altro gruppo, suggerisce lo studio, potrebbe dipendere dal fenomeno che ha dato origine alla stella di neutroni: vale a dire, dal processo che ha portato al collasso la supernova che l'ha generata.
Analizzando alcuni parametri caratteristici di un campione di BeX presenti nella nostra galassia e nelle Nubi di Magellano, e in particolare il periodo di spin (il tempo di rotazione su se stessa della stella di neutroni), il periodo orbitale (della stella di neutroni rispetto alla stella compagna) e l'eccentricità dell'orbita, il team guidato da Christian Knigge, dell'Università di Southampton, ha constatato che le BeX tendono a raggrupparsi in due famiglie. Da una parte, ci sono quelle a rapida rotazione (attorno ai 10 secondi), breve periodo orbitale (attorno ai 40 giorni) e bassa eccentricità dell'orbita. Dall'altra, quelle a rotazione più lenta (attorno ai 200 secondi), periodo orbitale più lungo (attorno ai 100 giorni) ed eccentricità più marcata.
«Già questo è di per sé un risultato molto robusto e interessante», dice Vito Sguera, ricercatore all'INAF IASF Bologna, «anche perché non era previsto né spiegabile in base ai modelli evolutivi noti per le Be High mass X-ray binaries. Ma c'è di più: gli autori hanno azzardato una spiegazione. Il peccato originale delle due diverse sottopopolazioni risiederebbe nell'esplosione che tempo prima ha generato la stella di neutroni. Ora, è noto che esistono due diversi tipi di esplosioni di supernova che possono generare stelle di neutroni. La cosa interessante è che queste due diverse esplosioni, stando a quanto suggerisce lo studio, potrebbero essere responsabili della bimodalità osservata».
Quasi tutte le stelle di neutroni presenti nell'Universo, infatti, si ritiene che siano l'esito di due diverse modalità d'esplosione di supernove. Un primo tipo è quello delle supernove generate da stelle di grande massa nelle quali il prodotto finale dei cicli di nucleosintesi, un nucleo ferroso, sia arrivato a superare il cosiddetto limite di Chandrasekhar, corrispondente a 1.44 masse solari. Un secondo tipo, invece, è associato al collasso di un nucleo di ossigeno, neon e magnesio, nel quale la cattura di elettroni da parte dei nuclei di neon e magnesio abbia causato un improvviso crollo della pressione. L'ipotesi di Knigge e colleghi è che le BeX più lente ed eccentriche siano quelle con alle spalle una supernova del primo tipo, dunque generata da un nucleo ferroso. Quelle più rapide e a bassa eccentricità, al contrario, deriverebbero da supernove del secondo tipo, collassate a seguito di un processo di cattura di elettroni.
«Al momento si tratta di un'idea speculativa, come mettono ben in chiaro gli stessi autori. Tuttavia», sottolinea Sguera, «è un'ipotesi che offre diverse predizioni osservative, dunque potenzialmente verificabili attraverso futuri studi e ricerche».

dda skylive

Immagine
Rispondi al messaggio