04/12/2008, 15:35
05/10/2010, 10:48
[color=blue]IL PM DE PASQUALE
E' partita la santificazione del pm Fabio De Pasquale - l’hanno fatta Repubblica e il Corriere, per esempio - che è uomo ritenuto meritevole non solo di aver imbastito tre processi contro Silvio Berlusconi dal 2003 a oggi, ma è stato menzionato da quest’ultimo in un comizio di domenica. Da qui le agiografie, deprivate d’ogni zona d’ombra: per completezza dell’informazione, però, andrebbero arricchite. Si potrebbe scrivere un romanzetto adducendo le ragioni per cui De Pasquale non ebbe mai particolare stima da parte del Pool di Mani pulite, tra altri. Luigi Ferrarella ed Emilio Randacio, su Corriere e Repubblica, hanno ricordato che De Pasquale fu assolto dall’accusa d’aver indotto al suicidio Gabriele Cagliari (1993) rimangiandosi la promessa di una scarcerazione che il manager attendeva da mesi. In effetti non furono ravvisati illeciti disciplinari, e, come scrissero i soliti Travaglio & Gomez in cinquanta libri, «È stato completamente scagionato da quei sospetti» (completamente, scrivono) e «Il suo comportamento fu assolutamente corretto» (assolutamente, scrivono) giacché «chi lo accusò senza prove era un garantista all’italiana». Però forse andrebbe raccontata meglio, questa faccenda.
La vicenda Cagliari
Il 15 luglio 1993 Gabriele Cagliari chiese di essere interrogato e rese una confessione che incontrò le attese di De Pasquale, tanto che davanti a tre persone - l’avvocato Vittorio D’Ajello, il suo collaboratore Luigi Gianzi e un militare della Guardia di Finanza - disse a Cagliari: «Lei me l’ha messo in culo». De Pasquale però cambiò idea il giorno dopo e non avvertì neppure i difensori del manager: si limitò a passare al gip un parere ancora una volta negativo. Qualcuno, però, avvertì i giornalisti: e così il giorno dopo l’avvocato di Cagliari apprese - dalla radio - che De Pasquale si era rimangiato la promessa e che l’indomani sarebbe partito per le vacanze, in Sicilia. Dai verbali di Vittorio D’Ajello, legale di Cagliari, davanti agli ispettori ministeriali: «Il dottor Fabio De Pasquale, alla fine dell’interrogatorio, disse al Cagliari che avrebbe dato parere favorevole alla sua libertà, affermando espressamente rivolto al Cagliari: «Lei me l’ha messo in culo, ma io devo liberarla». Dalle conclusioni degli stessi ispettori, paragrafo IV: «Il dott. De Pasquale, con espressioni non consone, ha tenuto dei comportamenti certamente discutibili (...) soprattutto per avere promesso a un indagato che era in carcere da oltre centotrenta giorni, di età avanzata e in condizione di grave prostrazione psichica, che avrebbe espresso parere favorevole (...) e di avere invece assunto una posizione negativa senza però interrogare nuovamente lo stesso indagato, impedendogli, così, di fatto, di potersi ulteriormente difendere. È mancato quel massimo di prudenza, misura e serietà che deve sempre richiedersi quando si esercita il potere di incidere sulla libertà altrui».
Cagliari poi s’ammazzò soffocandosi con un sacchetto di plastica. De Pasquale apprese la notizia fra Capo Peloro e Punta Faro, spaparanzato in Sicilia. I colloqui coi giornalisti furono invero penosi: «Non ho rimorso per quello che ho fatto... No, non mi sento in colpa. Ho svolto il mio lavoro basandomi sulla legge.... E poi non ho fatto quella promessa. È paradossale: io sono contrario alla carcerazione preventiva». Paradossale, sì. De Pasquale fu ufficialmente mollato da cronisti e Procura. Francesco Saverio Borrelli fu visto piangere. «Non si può promettere e non mantenere» ebbe il coraggio di dire Di Pietro, che di quella massima aveva fatto una regola di vita.
Assolombarda
De Pasquale era e resta un personaggio così, dichiaratamente di sinistra ma capace di mettere d’accordo l’intero Parlamento come capitò a margine di un’inchiesta sui fondi neri Assolombarda, stesso periodo: l’intero emiciclo - sinistre e forcaioli compresi - respinsero le richieste di autorizzazione a procedere per Altissimo e Sterpa (liberali) e per Del Pennino e Pellicanò (repubblicani) chieste da un magistrato, De Pasquale appunto, il cui intento fu giudicato «persecutorio» dall’intero arco costituzionale. Le frizioni col Pool e in particolare con Di Pietro furono dovute invece ad altri problemi: De Pasquale fu tra i primi ad accorgersi, per esempio, dell’esclusività di rapporto che legava Di Pietro al alcuni indagati (e avvocati) e in particolare al banchiere Pierfrancesco Pacini Battaglia: nel maggio 1994, per dire, De Pasquale cercò ripetutamente il banchiere per farlo testimoniare nel processo Eni-Sai (che registrerà la prima condanna per Craxi) e il pm attese invano per quattro volte: il 4, 5, 10 maggio e il 2 giugno. Il pm non era riuscito a trovare Pacini nella residenza italiana né in quella svizzera e neanche chiedendo al suo avvocato Giuseppe Lucibello, molto legato a Di Pietro. Però con quest’ultimo e col maresciallo Salvatore Scaletta, incaricato dal Pool, Pacini invece si era reso disponibile per tre interrogatori in febbraio, due in marzo - oltre a tutti quelli dell 1993 - e così pure avrebbe fatto il 30 giugno e il 27 settembre, dopo esser stato dichiarato «irreperibile» da De Pasquale. Il quale litigò furiosamente con Di Pietro anche nel tardo settembre 1993, quando il latitante Aldo Molino sbarcò a Linate e si consegnò a Tonino nonostante fosse ricercato da De Pasquale. Volarono urla. La futura moglie di Di Pietro, Susanna Mazzoleni, denuncerà che il capitano Giancostabile Salato - ufficiale che collaborava con De Pasquale - le aveva rivolto insinuanti domande sulle frequentazioni del marito.
Andrebbe spiegato, ci fosse il tempo e lo spazio, che De Pasquale fu pure il pm della chiassosa indagine sul regista Giorgio Strehler (il pm chiese la pena massima, ma Strehler fu assolto con formula piena) e che lo fu anche di un’altra chiassosissima indagine sui fondi Cee, roba con percentuali di assoluzione mostruose. Pochi ricordano quest’ultimo caso, eppure fu cornice di uno degli episodi più raccapriccianti del periodo di Mani pulite. Su mandato d’arresto del pm De Pasquale, la tarda sera del 28 maggio 1992, 14 agenti irruppero a casa dell’ex assessore regionale socialista Michele Colucci a mitragliette spianate. Intanto, davanti alla caserma della Guardia di Finanza via Fabio Filzi 44, in trepidante attesa bivaccavano parenti, amici, giornalisti, fotografi, cameramen e una piccola folla di curiosi. Tra gli ultimi a ricevere l’invito, gli avvocati di Michele Colucci. La via era transennata e illuminata a giorno, circolavano panini e birre, un cronista de l’Indipendente cantava canzoni di Lucio Battisti accompagnandosi con la chitarra. Le auto con a bordo gli arrestati rallentarono a cinquanta metri dal bivacco per dar modo alla stampa di prepararsi, poi ripartirono a sirene spiegate non transitando però dal passo carraio, come d’uopo, bensì bloccandosi davanti all’ingresso pedonale così da far sfilare gli arrestati uno ad uno. E fu ressa, flash, spintoni, parenti e fotografi ad azzuffarsi. Colucci, malfermo sulle gambe, fu trascinato a braccia nella calca e appena entrato in caserma crollò a terra per un edema polmonare. Venne a prenderlo un’ambulanza e il poveretto venne fatto ripassare in barella tra le forche caudine della stampa: la folla si strinse attorno a un corpo privo di sensi, coperto da un lenzuolo, e un giornalista gli piazzò il microfono davanti alla mascherina dell’ossigeno.
Tutti assolti
In precedenza De Pasquale aveva ottenuto per Colucci il provvedimento del confino, soluzione adottata di norma per i mafiosi. Arrestato, le condizioni del detenuto sessantenne si fecero drammatiche (come svariate perizie mediche confermarono) ma l’atteggiamento di De Pasquale rimase durissimo, tanto che fece di tutto per farlo finire comunque a San Vittore anziché in ospedale. La figlia di Colucci, giornalista della Rai, fece un pubblico appello che fu raccolto anche da politici (Pannella Taradash, Maiolo) e poi da giornalisti come Gad Lerner, tra altri. Nonostante la ferocia dell’opinione pubblica di quel periodo, alla fine Colucci, da poco trapiantato di fuoco, ottenne gli arresti domiciliari per quanto strettissimi. Dopo nove mesi di carcerazione detentiva, alla fine, il pericoloso criminale potè uscire: sarà assolto in Cassazione. Un altro successo di Fabio De Pasquale.[/color]
05/10/2010, 10:53
[color=blue]Altari sconsacrati
La settimana scorsa il governo ha incassato due volte la fiducia, riallineando le varie forze e personalità che lo compongono. Appena chiuso il sipario parlamentare il presidente del Consiglio è tornato a parlare del deragliamento costituzionale, con la sovranità passata dalle mani del popolo a quelle delle procure. Il presidente della Camera s’è collocato sul fronte opposto, negando che alcuna riforma sarà mai fatta se indirizzata contro i magistrati. Due giorni per riottenere la fiducia, altri due per risfasciarla.
A essere ipocriti si può sostenere che la contrapposizione non esiste, dato che le riforme devono essere fatte per una migliore giustizia e non contro i pubblici ministeri. Ma son solo gargarismi, perché se questo è il passo di partenza sappiamo tutti che non si va da nessuna parte. E’ evidente che la giustizia, per funzionare, ha bisogno dei magistrati, il cui ruolo è irrinunciabile e insostituibile.[color=red] Ma sappiamo altrettanto bene che le deviazioni sono state numerose e frequenti, al punto da doversi accorgere che quel corpo è malato, nel profondo. Vorrei fare osservare, tanto per dirne una, che dopo l’attentato alla procura di Reggio Calabria, il 3 gennaio scorso, un po’ tutti scrissero le solite banalità, del tipo: la ‘ndrangheta contro la procura determinata e onesta. Osservai, allora, che il bombolone era solo un avvertimento e che chi lo aveva piazzato, badando bene di non far male a nessuno, stava dialogando con qualcuno dentro al palazzo. Pare che le cose stiano così e che i delinquenti avessero da lamentare la rimozione di un pubblico ministero, su cui facevano affidamento. Ebbene, sapete dov’è questo signore? Trasferito, per “incompatibilità ambientale”, amministra giustizia presso la Corte d’appello di Roma. Ma vi pare sensato? E che deve fare per essere buttato fuori?[/color]
Le parole di Silvio Berlusconi, ripetute ieri a Milano, offriranno materia per le solite reazioni scandalizzate: ha attaccato la Corte Costituzionale e l’allora Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro. Lo dico subito: ha ragione. Non condivido la definizione della Corte come accolita di giudici sinistri, men che meno nella versione pulp: “comunisti”. Ma la sentenza con cui si abrogò la legge Pecorella, la giustissima norma con la quale si stabiliva di non continuare a processare un cittadino assolto per quel medesimo reato, fu una vergogna. Che porta la firma di un giudice, Giovanni Maria Flick, che fu ministro della sinistra e poi presidente della Corte per pochi giorni. Inutile a tutti se non alla sua scandalosa prosopopea. Aggiungo: pronto, lui e i suoi colleghi, a violare la Costituzione per il proprio tornaconto. E questi sono fatti.
Come lo è la condotta di Scalfaro, che pensò di riuscire a svellere il verdetto elettorale organizzando la caduta di Berlusconi, così impostando una politica destinata ad essere la tomba della sinistra seria e di governo (lui, del resto, come i tanti necrofori che la sinistra si porta appresso, è un uomo di destra).
Il punto debole della posizione berlusconiana non sta nel fatto che svillaneggia questi altari sconsacrati, ma nel non essere capace di porre rimedio. La riforma della giustizia non è un compito popolare, ma della maggioranza parlamentare. Le parole di Fini non si prestano ad equivoci, ed è evidente che quella è la spianata, appena fuori dal saloon, sulla quale avverrà il duello. Visto che non serve a nulla rimandarlo, meglio affrontarlo. Il governo presenti subito la sua proposta: una, complessiva, rivoluzionaria. Se su quella cadrà, almeno, gli italiani sapranno il perché. E si regoleranno di conseguenza.[/color]
05/10/2010, 10:58
05/10/2010, 13:45
12/11/2010, 22:02
[color=blue]Libero Furlan, serial killer neonazista di Ludwig
E' tornato definitivamente in libertà Mario Furlan, uno dei due fondatori della formazione neonazista Ludwig. Condannato nel '91 a 27 anni di carcere per 10 omicidi. Tra le vittime preti, omosessuali e clochard. Per il giudice di sorveglianza non è più pericoloso
Milano - E' libero definitivamente Marco Furlan, uno dei due fondatori della formazione neonazista Ludwig, condannato nel 1991 a scontare 27 anni di carcere per dieci omicidi commessi tra l'82 e l'84, tra cui barboni, prostitute, omosessuali e preti (per altri cinque venne scagionato). Il giudice di sorveglianza di Milano, Cristina Ceffa, ha revocato la misura di sicurezza della libertà vigilata richiesta dal pm Ferdinando Pomarici, sulla base della relazione dei servizi sociali. "L'ex componente di Ludwig - si legge nella relazione - è arrivato alla conclusione del suo percorso e dal punto di vista psicologico ha raggiunto un suo equilibrio". Non è più socialmente pericoloso, dunque.
Condanna - Furlan era stato arrestato il 4 marzo del 1984, uscì per scadenza dei termini nell’88 e nel ’91 fuggì dalla dimora obbligata per essere poi nuovamente arrestato nel maggio del ’95 a Creta. Nel 1991, qunado fu emessa la condanna definitiva, i magistrati riconobbero la sua seminfermità mentale. Nell’aprile del 2008 Furlan, dopo 18 anni di cella (anche per via di alcuni condoni e della buona condotta) durante i quali si laureò in ingegneria informatica, venne scarcerato e affidato ai servizi sociali: cominciò a lavorare in una società di informatica.
Riabilitazione - A settembre dell’anno scorso gli venne concessa al posto della misura di sicurezza del ricovero in casa di cura, la libertà vigilata. Ora vive a Milano e ha assicurato al giudice che la sua vita ha preso una determinata direzione: "Continuerò a lavorare e rimarrò in rapporto con gli operatori che mi hanno seguito finora". [/color]
20/11/2010, 14:08
03/02/2011, 10:51
18/02/2011, 10:44
http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/389546/
Forse già oggi la riforma in Cdm
[color=blue]Giustizia, il governo accelera
ROMA
La tanto preannunciata riforma della giustizia potrebbe arrivare forse oggi sul tavolo del Consiglio dei ministri come «fuori sacco». Le bozze, già pronte dallo scorso novembre, sarebbero state tirate fuori dai cassetti del ministero della Giustizia e solo stamattina sarà deciso se vararle nel corso della riunione a palazzo Chigi.
La riforma prevede un ddl costituzionale per separare le carriere di giudici e pm, per dividere in due il Csm e per dare più poteri al ministro della Giustizia. Non è escluso che - secondo quanto si è appreso - il governo intenda procedere anche con un ddl sulla responsabilità civile dei magistrati. La bozza di riforma contenuta in tre fogli di schede riassuntive che il Guardasigilli Angelino Alfano aveva sottoposto all’attenzione del Quirinale lo scorso novembre aveva ricevuto un altolà dai finiani che, per bocca della presidente della Commissione Giustizia Giulia Bongiorno, contestavano la prevista maggioranza laica del Csm, l’attribuzione di maggiori poteri al ministro della Giustizia, l’ipotesi di una polizia giudiziaria più autonoma dal pubblico ministero.
La trattativa si era interrotta in contemporanea con lo strappo politico tra Pdl e Fli. Ora - secondo quanto si è appreso - il governo potrebbe decidere di andare avanti lo stesso. In tal caso, con un ddl costituzionale sarà previsto che i giudici saranno indipendenti da ogni potere e soggetti solo alla legge, mentre i pm potrebbero diventare un «ufficio» organizzato secondo le norme sull’ordinamento e con la facoltà di esercitare l’azione penale secondo priorità stabilite dalla legge. E ancora: l’uso della polizia giudiziaria non avverrà più indiscriminatamente ma «secondo modalità stabilite dalla legge»; verranno creati due Csm, uno dei giudici e l’altro dei pm mentre un organismo ad hoc (una sorta di alta corte di disciplina) vaglierà i procedimenti disciplinari di tutte le "toghe".
Nelle originarie bozze, inoltre, era prevista l’inappellabilità delle sentenze di assoluzione in primo grado e l’attribuzione al ministro della Giustizia di maggiori poteri, incluso quello di partecipare alle riunioni dei Csm senza diritto di voto.[/color]
18/02/2011, 10:54
18/02/2011, 11:18
18/02/2011, 11:44
Blissenobiarella ha scritto:
E no... Almeno qui dentro, i giochi di potere sono chiari più o meno a tutti. Ma ci sono giochi il cui esito può essere favorevole a molti e giochi di cui beneficiano solo i soliti eletti. In ogni caso, non sarà la magistratura ad avere ragione dell'orco nano, ma la piazza. Imho ovviamente.
18/02/2011, 14:59
christex77 ha scritto:
da una parte c'è un orco nano cattivo pedofilo e dall'altra dei novelli Robin Hood che si sacrificano in nome del Popolo Italiano nel tentativo di "liberarci" da chissà che cosa.
18/02/2011, 15:13
Thethirdeye ha scritto:christex77 ha scritto:
da una parte c'è un orco nano cattivo pedofilo e dall'altra dei novelli Robin Hood che si sacrificano in nome del Popolo Italiano nel tentativo di "liberarci" da chissà che cosa.
Da chissà cosa?
Siamo lo zimbello del mondo e.... tu dici da chissà cosa?
18/02/2011, 15:28
[color=blue]Rubygate: nel rinvio a giudizio il giudice copia paragrafi e paragrafi dalle carte dell’accusa
Si sa da anni che questa è la pratica corrente. Sì, lo sanno tutti che i giudici, quando scrivono il rinvio a giudizio di un indagato, troppo spesso copiano e incollano interi brani delle richieste di rinvio a giudizio scritte dalle procure. La pratica è stata censutara così tante volte che quasi non se ne occupa più nessuno. Però ogni volta fa effetto: è come se il giudice, che dovrebbe essere «terzo», imparziale rispetto ad accusa e difesa, sposasse in partenza il punto di vista della prima. Ogni volta la sensazione è sgradevole e giustifica implicitamente la richiesta di una maggiore «separazione tra le carriere» dei magistrati, tanto osteggiata dalla categoria. Ebbene, è così anche in una delle vicende giudiziarie più delicate degli ultimi anni: nelle 27 pagine con cui la gip milanese Cristina Di Censo ha disposto il giudizio immediato per Silvio Berlusconi, sono copiati di sana pianta numerosi, interi paragrafi dell’ordine di comparizione inviato a metà dicembre dalla procura all’indagato. Pagine e pagine nelle quali anche le virgole dei due documenti sono identiche: a partire dalla descrizione degli avvenimenti dela famosa notte tra il 27 e il 28 maggio 2010, quella della telefonata del premier in questura, fino alla descrizione di quel che avviene subito dopo, con l’affidamento provvisorio di Ruby a Nicole Minetti. Per chi creda nel garantismo, non è un bello spettacolo. Ma ormai, di questa pratica, non si scandalizza più nessuno.
http://blog.panorama.it/italia/2011/02/18/rubygate-nel-rinvio-a-giudizio-il-giudice-copia-paragrafi-e-paragrafi-dalle-carte-dellaccusa/
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