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 Oggetto del messaggio: Le collusioni tra mafia e stato
MessaggioInviato: 25/02/2010, 08:41 
LE COLLUSIONI TRA MAFIA E STATO

Da tempo si sa che la criminalità organizzata, in tutto mondo, ha controllo di parte del territorio dello stato, controlla quartieri cittadini, partecipa alla lotta politica ed è ospitata a palazzo; era vero nell’ottocento sia a Londra, che a Parigi, a New York ed a Napoli. Le corti dei miracoli di queste città sono state zone franche appaltate alla criminalità, la quale però rendeva anche dei servigi allo stato, per il quale era più importante contrastare le forze sociali centrifughe che la mafia; anzi, si serviva della mafia per prevenire rivoluzione, devoluzioni territoriali e disgregazione sociale.

I piemontesi realizzarono la conquista del sud d’Italia con l’aiuto della mafia, poi i Savoia riconoscenti concessero a dirigenti mafiosi posti in parlamento e intestarono loro strade e piazze, prima dell’unità a Napoli il camorrista Liborio Romano era anche a capo della polizia borbonica; dopo l’unità, furono mafiosi Francesco Crispi e Vittorio Emanuele Orlando.

In generale, la mafia è stata corrispondente dello stato e, fino ad un certo punto, protetta e utilizzata per operazioni sporche, in raccordo con polizia e servizi segreti; con lo stato si è scambiati dei favori, però è stata anche concorrente e competitiva con lo stato, nel senso che, essendo il contribuente unico, lo stato pretendeva di riscuote monopolisticamente imposte, mentre la mafia, in un’ottica liberista, mirava a riscuotere il pizzo, che era la stessa cosa.

Il mestiere di mafioso rende ma è anche rischioso, infatti, i mafiosi cessano la loro esistenza a causa conflitti interni o con lo stato; se possono conservare il loro patrimonio, non vedono negativamente un periodo di carcere. Tramite gli avvocati, con i quali hanno colloqui, dal carcere fanno arrivare ordini all’esterno; quando sono vecchi, per salvare la faccia, lo stato li pensiona, stabilendo per loro un periodo di reclusione, mentre il loro ruolo di comando passa ad altri.

Numorose inchieste giudiziarie, al tempo di Sindona, Calvi e Gelli, hanno evidenziato i rapporti tra mafia, massoneria, chiesa, politica, affari, servizi segreti; la mafia usa corrompere politici magistrati, alti funzionari e polizia; tanti politici italiani sono stati collusi con la mafia o uomini d’onore, i quali sono sempre alla ricerca di un collegamento con il potere.

Nel 1943 il siciliano Frank Gigliotti, massone e mafioso, durante lo sbarco americano in Sicilia, era e in collegamento con i servizi segreti americani. Nel 1945 Salvatore Giuliano fu reclutato dal movimento separatista, ricevette denaro dagli americani, ebbe il grado di colonnello e armi, attaccò cinque caserme di carabinieri, svaligiò un treno; arroccato a Montelepre, vicino Palermo, aveva ucciso poliziotti, faceva mercato nero, rapine, sequestri, però era protetto dagli uomini d’onore ed era stato anche iniziato alla mafia, che era solita anche tassare Giuliano sui proventi dei suoi sequestri.

L’ispettore dei servizi segreti italiani Ciro Verdiani, che doveva arrestare Giuliano, ne aveva protetto la latitanza e spesso invitava a cena Giuliano e Michail Stern, agente segreto americano che aveva un lasciapassare per incontrare a suo piacimento Giuliano. Gli americani liberarono anche dei mafiosi detenuti nel carcere di Favignana; Charles Poletti, governatore militare alleato in Sicilia, nominò diversi mafiosi sindaci, consulenti e interpreti degli alleati.

Il 7/7/47 Frank Gigliotti propose a Giuseppe Saragat di utilizzare il bandito Giuliano, contro i comunisti e i contadini che volevano togliere la terra ai latifondisti; allora i mafiosi erano al vertice del caporalato dei latifondisti. Poiché i contadini volevano la riforma agraria e occupavano i latifondi, per reazione si arrivò, alla strage di Portella Della Ginestra de1947, ordinata dalla mafia e in particolare dal principe massone Gianfranco Alliata di Montereale, fu eseguita da Giuliano, che fece assassinare 38 contadini.

A volte la mafia aveva protetto e utilizzato i banditi, altre volte li aveva consegnati alla polizia, dal 1946 il separatismo era in declino, scaricato dalla mafia e dagli americani; grazie alla collaborazione tra mafia e polizia, i banditi furono catturati o uccisi, la mafia appariva forza dell’ordine in Sicilia. Con l’aiuto della mafia, membri della banda Giuliano caddero nelle mani della polizia, però nel 1948 Giuliano si vendicò, uccidendo cinque mafiosi, tra cui il boss di Partinico. Giuliano confessò al senatore Girolamo Li Causi che era stato appoggiato dal ministro degli interni Mario Scelba e aveva avuto rapporti con il capo della polizia locale e con rappresentanti del governo americano.

Nel 1950 il residuo della banda di Giuliano fu catturato e Giuliano fu ucciso da suo cugino Gaspare Pisciotta, che era suo luogotenente; al processo di Viterbo, Pisciotta affermò che banditi, polizia e mafia erano soliti cooperare, al magistrato inquirente disse che poteva rivelare cose scottanti, perciò il 9.2.1954 fu avvelenato in carcere con una tazza di caffè.

Recentemente il giudice Ferdinando Imposimato ha scritto un libro, dal titolo: “Doveva morire”, che tratta dell’assassinio da parte delle brigate rosse Aldo Moro, dopo 14 anni dalla sua morte, si fece luce su fatti rimasti sconosciuti anche ai magistrati. I mandanti del sequestro erano stati i servizi segreti dell’est comunista, che usavano il terrorismo per destabilizzare l’occidente; anche in Germania c’erano stati attentati e sequestri ad industriali e politici. Il terrorismo è stato sempre uno strumento della politica; il KGB era il mandante di brigate rosse, Eta, Raf, Fplp, Ira, cioè di diversi movimenti marxisti o nazionalisti, armava i terroristi, li addestrava, ma Berlinguer non era d’accordo.

In cambio della liberazione d’alcuni brigatisti, la democrazia cristiana avrebbe potuto liberare Moro, cioè trattando e facendo delle concessioni, come anni dopo fece con la liberazione di Ciro Cirillo, assessore campano ai lavori pubblici; in realtà, siccome Moro voleva l’apertura ai comunisti, si decise di sacrificarlo; malgrado alcune spie infiltrate dai servizi segreti tra i brigatisti, avessero fatto conoscere i covi delle brigate rosse ed il luogo in cui era custodito Moro, già immediatamente dopo il sequestro.

Moro fu sacrificato ed il suo memoriale sugli scandali di stato in parte spari; durante il sequestro, il ministro dell’interno Cossiga era a capo del comitato di crisi creato allo scopo, Cossiga non voleva la liberazione di Moro, non voleva fare concessioni ei brigatisti e sapeva che questi, senza contropartite, lo avrebbero sacrificato. I membri del comitato di crisi erano uomini dei servizi segreti italiani, della P2, agenti della CIA e del KGB; i servizi, in Italia, Russia e Usa, erano spesso in rapporto con la mafia, né la CIA, né il KGB volevano il PCI al governo in Italia.

Un falso comunicato di Moro prigioniero del 16.4.1978 era stato preparato da Antonio Chicchiarelli, della Banda della Magliana, collegato ai servizi segreti del generale Sontovito; Chicchiarelli era legato a Danilo Abbruciati, della Banda della Magliana romana, ed al mafioso Domenico Balducci, pure legato a Santovito, tanto da usare un aereo dei servizi segreti per i suoi spostamenti.

L’accenno a Moro sembrerebbe una digressione dal tema sulla mafia, però Imposimato ricorda che dopo molti anni dalla morte di Moro, si è saputo che boss della criminalità milanese Francis Turatello, d’accordo con il mafioso Tommaso Buscetta, avrebbe voluto salvare Moro, però la Democrazia cristiana bloccò i contatti allo scopo e, Turatello, a causa del suo interessamento, fu ucciso dal mafioso Luciano Liggio, forse su mandato della CIA.

Il 17.3.1978, nella tenuta del mafioso Michele Greco, si era riunita la commissione o cupola o governo della mafia o Cosa Nostra, fatta da Badalamenti, Bontate, Greco, Rijna, Pippo Calò e Bernardo Provenzano, con la proposta d’iniziative per liberare Moro. Bontate e Badalamenti rappresentavano l’ala moderata, Rijna, Pippo Calò e Provenzano quella del corleonesi, favorevoli allo scontro con il potere politico centrale.

Per Cosa Nostra, le brigate rosse erano una sfida anche alla mafia, comunque, Buscetta, Nino Salvo, Ignazio Salvo e Bontate proposero di fare il possibile per liberare Moro, perciò la commissione diede incarico a Buscetta, allora detenuto, in rapporto d’amicizia con alcuni brigatisti, di prendere i contatti con i brigatisti Renato Curcio e Alberto Franceschini, pure detenuti. Da ricordare che allora erano membri della P2 i capi mafiosi Michele Greco, Stefano Bontate e Pino Mandalari.

Con falsi documenti, Giovanni Bontate incontrò Buscetta, recluso al carcere di Palermo, e si decise di farlo trasferire al carcere di Torino, dove erano reclusi i capi storici delle brigate rosse; prima considerazione, la mafia ha rapporti con i dirigenti del ministero di Grazia e giustizia che decide sui trasferimenti dei detenuti. L’indisponibilità della DC a liberare Moro, bloccò l’operazione, a Roma il mafioso Pippo Calò era legato al mondo della finanza e della politica ed era diventato il vero capo della banda della Magliana, che aveva entrature anche in Vaticano, il quale usava riciclare denaro sporco tramite la sua banca IOR e con la mediazione di Sindona e Calvi.

Pippo Calò, grazie alle sue relazioni politiche, comunicò a Stefano Bontate che i dirigenti della DC non volevano Moro libero, perciò Bontate, Nino e Ignazio Salvo ritornarono sui loro passi. La democrazia cristiana, che anni dopo avrebbe usato la camorra di Raffaele Tutolo, nel trattare con le brigate rosse la liberazione dell’assessore napoletano Ciro Cirillo, non volle muoversi a favore di Moro.

L’assessore regionale campano ai lavori pubblici, il democristiano Ciro Cirillo, fu liberato dopo quattro mesi, grazie alla mediazione del camorrista Raffaele Cutolo e dei servizi segreti, con il pagamento di un miliardo e quattrocentomilioni; i terroristi ottennero anche alloggi sfitti ed assegni di disoccupazione per i loro protetti; per il suo sequestro furono uccise tre persone, come del resto era avvenuto nel sequestro Moro.

Buscetta ricordò che c’era stato un altro tentativo di salvare Moro, da parte d’esponenti della malavita milanese (Turatello e Bossi), Turatello era in rapporti con Frank Coppola; Abbruciati, della banda della Magliana, fece capire che era inutile intervenire a favore di Moro. Flavio Carboni, braccio destro di Calò, confermò che c’era stato un dietrofront negli approcci per salvare Moro.

Fclavio Carboni, su incarico di Calò, per salvare lo statista, si era assunto il ruolo di mediatore tra stato e mafia, era faccendiere e finanziere, in rapporto con De Mita, Calvi e Banda della Magliana.
Frank Coppola intervenne per bloccare il salvataggio di Moro, affermando che doveva morire, è probabile che su questa questione anche la CIA avesse rapporti con la mafia. Perciò dal carcere arrivò la sentenza definitiva, i brigatisti prigionieri, che aspettavano la liberazione, si pronunciarono per l’uccisione di Moro.

La mafia è sempre alla ricerca di un collegamento con il potere, cioè con il partito di governo, qualunque esso sia, anche nelle amministrazioni locali, con il denaro, ricerca il consenso ed espande la corruzione; compra poliziotti, giudici e funzionari pubblici, influenza informazione e politica, controlla banche e finanziarie, controlla il territorio e il voto, fa eleggere suoi uomini. In Italia Sono 171 i comuni sciolti per infiltrazioni mafiose, soprattutto nelle province di Napoli, Reggio Calabria e Palermo, quattro banche sono state poste in liquidazione dalla Banca d’Italia per condizionamenti criminali; 40 magistrati sono stati processati per collusioni mafiose, non si contano i poliziotti ed i funzionari pubblici collusi.

Il parlamento conta tanti inquisiti e condannati per corruzione, finanziamento illecito, truffa, associazione mafiosa, bancarotta fraudolenta, turbativa d’asta, falso in bilancio, concussione, frode fiscale, abuso edilizio, favoreggiamento mafioso; numerosi ministri sono stati processati per concorso esterno in associazione mafiosa, oggi dalla criminalità è minacciata la stessa democrazia (“Mafia pulita” di Elio Veltri e Antonio Laudati – Longanesi Editore).

A Napoli la camorra controlla anche i concorsi pubblici e le attività sportive; lavora in sintonia con la politica; la giustizia penale dovrebbe essere rapida e dovrebbe finanziarsi con i beni sequestrati alla mafia, ma ciò non avviene. La classe politica è indagata dalla magistratura, a cominciare da Rosa Russo Jervolino e da Antonio Bassolino, la camorra ordina alla politica, fa eleggere i politici e tenta di bloccare le azioni della magistratura.

Però non si sa bene dove finisce la mafia e dove incomincia la politica, onorevole e uomo d’onore hanno la stessa radice, val la pena di ricordare che Francesco Saverio Nitti affermava che a Napoli il più grande camorrista era il governo; in Sicilia Andreotti aveva rapporti con Salvo Lima che era organico con la mafia. Oggi si può dire che i politici sono i predicatori laici, affermano di lottare per la laicità, per la democrazia e per contrastare la mafia, però sono collusi con la mafia, assieme a banchieri, magistrati e poliziotti.

Nunzio Miccoli http://www.viruslibertario.it numicco@tin.it


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