La fine di Hitler divide gli storici. History Channel riapre il caso: è fuggito in Argentina. Un pool di esperti: il corpo non sarebbe del dittatore 20 ottobre 2015 La storia e la leggenda non sono due impostori come il trionfo e la rovina di Kipling, ma viaggiano in parallelo. E spesso si danno anche la mano. La morte di Adolf Hitler è uno di quei fatti che sconfinano tra le linee con un’abilità estrema, tanto da lasciare quell’alone di mistero che ancora avvolge la morte dell dittatore
La storia e la leggenda non sono due impostori come il trionfo e la rovina di Kipling, ma viaggiano in parallelo. E spesso si danno anche la mano. La morte di Adolf Hitler è uno di quei fatti che sconfinano tra le linee con un’abilità estrema, tanto da lasciare quell’alone di mistero che ancora avvolge tutti gli storici. Un nuovo reportage di History Channel rilancia la tesi che il dittatore non sia morto nel bunker ma che sia fuggito in Sud America dopo l’arrivo dei russi a Berlino. La chiave di uno dei misteri più avvincenti del secolo scorso è nascosta in un tunnel dove una persona riesce a camminare solo piegandosi. Lo speciale Hunting Hitler, in onda lunedì 26 ottobre su History Channel, canale 407 del bouquet Sky, riapre l’inchiesta con i files dell’Fbi e un pool di ricercatori guidati dal famoso Robert Baer della Cia, John Cencich, esperto di indagini scientifiche e regista dell’inchiesta internazionale che ha portato all’incriminazione del presidente serbo Milosevic, e non ultimo Tim Kennedy, che ha partecipato alle missioni speciali in Afghanistan per cercare il rifugio di Bin Laden. Cos’è successo il 30 aprile del 1945? È davvero il corpo del Führer quello rinvenuto carbonizzato? Gli storici hanno pochi dubbi. Per loro Hitler si è ucciso nel bunker della Cancelleria, con un colpo di pistola alla testa e forse una dose di veleno. Però i testimoni sono scomparsi. I resti del dittatore e della donna che aveva sposato sono stati inceneriti e dispersi dal Kgb nel 1970. Ventitré anni dopo dagli archivi di Stato russi sono ricomparsi dei frammenti di cranio, che il test del dna ha attribuito a una giovane di età compatibile con Eva Braun. In quel teschio però c’è anche il segno di un proiettile in uscita. Ma non era l’avvelenamento causa della morte?
LE ULTIME SCOPERTE Usando un georadar tattico, identico a quello impiegato per ispezionare le caverne di Tora Bora cercando Bin Laden, il team di History ha scoperto un cunicolo che unisce l’aeroporto alla stazione del metro. Quasi a confermare che il Führer potesse essere decollato da Tempelhof. Il viaggio secondo la pista dell’Fbi avrebbe come tappe la Spagna franchista, un monastero unito con un lungo tunnel sotterraneo al comando della polizia militare. Poi le Canarie e l’Argentina. L’analisi dei files ha portato il team in una cittadina isolatissima, Charata, e in un altro bunker: una struttura costruita sotto una fattoria, lontana centinaia di chilometri da tutto.
Indagine su Hitler: davvero morì nel bunker? Mancano prove della morte del dittatore. E gli ultimi dossier Fbi desecretati descrivono la sua fuga da Berlino. History Channel li ha fatti esaminare
da un ex agente Cia e da uno dei cacciatori di Bin Laden. Scoprendo che la sua presenza fu segnalata in Argentina negli anni Cinquanta
Un tunnel dove una persona riesce a camminare solo piegandosi, il segmento finale per completare un puzzle di passaggi sotterranei. E cercare di trovare una chiave nascosta per riaprire il mistero del XX secolo, che resiste intatto da settanta anni. Perché nemmeno le ultime tecnologie riescono a offrire una sola prova oggettiva della morte di Adolf Hitler.
Gli storici hanno pochi dubbi. Per loro il führer si è ucciso il 30 aprile 1945 nel bunker della Cancelleria, con un colpo di pistola alla testa e forse una dose di veleno. Anche i testimoni diretti dell’epilogo però sono scomparsi nell’apocalisse del Terzo Reich: restano solo racconti di seconda mano o di figure dall’attendibilità relativa. Nulla che oggi potrebbe permettere a un giudice di attestare il decesso. Dal 26 ottobre al 14 dicembre, ogni lunedì alle 21.00 History Channel (canale 407 di Sky) presenta 'Hunting Hitler' il progetto documentaristico in otto puntate di un'ora sul mistero della morte del dittatore tedesco. Il corpo infatti non fu ritrovato nel bunker di Berlino. Il team di History Channel, che include la 'leggenda' della Cia Robert Baer, ha indagato sui file dell'Fbi sulla presenza di Hitler in Argentina negli anni Cinquanta Non a caso Thomas J. Dodd, capo delle delegazione americana al processo di Norimberga, ha usato parole chiare: «Nessuno può dire con certezza che Hitler è morto». C’è un vuoto di riscontri, scientifici e fotografici: i resti del dittatore e della donna che aveva sposato alla vigilia della fine sono stati definitivamente inceneriti e dispersi dal Kgb nel 1970. Ventitré anni dopo dagli archivi di Stato moscoviti sono ricomparsi due frammenti di cranio, che il test del dna realizzato nei laboratori americani ha attribuito nel 2009 a una giovane di età compatibile con Eva Braun.
Fbi, il dossier su Hitler Solo di recente il Federal Bureau of Investigation americano ha tolto il segreto sul i documenti che rivelano la caccia ad Adolph Hitler dopo la guerra, e la 'pista' che portava alla presenza dell'ex dittatore tedesco in Argentina. Eccone alcuni
In quel teschio però c’è anche il segno di un proiettile in uscita, mentre i racconti tramandati dal bunker hanno parlato sempre di avvelenamento. I documenti desecretati nel corso del tempo non aiutano a fare luce, anzi infittiscono l’enigma. Quelli usciti un anno fa dagli schedari americani sono zeppi di rapporti dell’Fbi consegnati personalmente al gran capo Edgar Hoover che segnalano la presenza del führer in diversi paesi. Come se i detective federali, monopolisti dell’intelligence statunitense nell’immediato dopoguerra, avessero dato fede alle parole di Stalin, a quel “no” con cui durante la conferenza di Potsdam aveva risposto alla domanda diretta del presidente Truman: «Hitler è morto?».
Da allora decine di saggisti e romanzieri di alterno valore si sono misurati con l’ipotesi di un’odissea nazista verso un nascondiglio remoto dove attendere la rinascita della follia ariana. Ad affrontare la questione con un approccio diverso arriva adesso un progetto voluto da History Channel, presentato in anteprima a “l’Espresso”. Invece di affidare le ricerche a un pool di accademici, il network dei documentari ha messo in campo una squadra di veri investigatori d’ultima generazione. A guidarla c’è una leggenda della Cia, Robert Baer, che ha ispirato l’agente interpretato da George Clooney in “Siriana”.
Un veterano ancora in attività: l’ultima missione è stata a Beirut, indagando sull’omicidio dell’ex premier Rafik Hariri per conto del Tribunale speciale del Libano. John Cencich invece è un esperto di indagini scientifiche ed è stato il regista dell’inchiesta internazionale che ha portato all’incriminazione del presidente serbo Slobodan Milosevic. Al loro fianco un incursore: Tim Kennedy, un sergente dei ranger statunitensi che ha partecipato alle missioni delle forze speciali in Afghanistan per stanare il rifugio di Osama Bin Laden e in Iraq per catturare Zarqawi. Un pool pragmatico, che si è servito di esperti specializzati per affrontare i singoli problemi: giornalisti investigativi britannici, cacciatori israeliani di criminali, studiosi argentini delle comunità tedesche o ricercatori spagnoli sui rapporti tra Franco e il Reich.
Il lavoro di questo pool è durato un anno, con un budget multimilionario e un dispendio di strumenti hi-tech, dai georadar ai droni: dotazioni e risorse che difficilmente i ricercatori universitari possono ottenere. Il risultato è un lunghissimo documentario, “Hunting Hitler”, otto puntate di un’ora che saranno trasmesse su History a partire da lunedì 26 ottobre (ore 21, canale 407 di Sky). La resa televisiva è estremamente dinamica, con un passo da grande film d’azione. Sicuramente troppo movimentata per trovare consensi tra gli storici, ma non si tratta certo di un prodotto di nicchia: è un investimento per catturare pubblici vasti. Hitler, l'atto finale
Il punto è capire se dietro la spettacolarizzazione c’è sostanza, ossia se questo approccio innovativo può offrire un contributo reale alle ricerche. Gli esiti sembrano interessanti, anche se neppure le tecnologie più avanzate e i software elaborati per la sfida mondiale ad Al Qaeda sono riusciti a dare una parola finale sulla sorte di Hitler. È sorprendente ad esempio notare come le ricerche sul campo ancora oggi abbiano dovuto fare i conti con muri di reticenza forti in diversi paesi. E comunque con la volontà di non riaprire un capitolo che si preferisce dimenticare: è il caso degli ultimi familiari di Eva Braun, che non accettano il confronto tra il loro codice genetico e quello dei resti riscoperti a Mosca. «Siamo nati dopo la guerra, per noi quella storia è chiusa», spiegano.
L’architrave dell’inchiesta sono i files che l’Fbi ha reso integralmente disponibili lo scorso anno: molte decine di segnalazioni più o meno accurate sulla fuga di Hitler trasmesse tra il 1945 e il 1950. Baer le ha analizzate con i programmi informatici che la Cia utilizza per scovare le tracce dei terroristi islamici, incrociandole con le notizie raccolte dagli storici e col database degli interrogatori alleati fino a creare una mappa dei possibili nascondigli. Per poi andare a verificare sul terreno ogni informazione.
Si parte dalle vie per lasciare il bunker della Cancelleria senza essere visti. Nella Berlino dei bombardamenti continui esistevano centinaia di chilometri di passaggi sotterranei, gli unici percorsi sicuri durante l’assedio dell’Armata Rossa. Sono catacombe che dal 1999 vengono sistematicamente esplorate da un’associazione di speleologi. Ma finora mancava l’anello finale dell’itinerario tra la residenza corazzata del führer e l’aeroporto di Tempelhof: l’unica installazione nazista risparmiata dai raid alleati e dalle cannonate sovietiche, con hangar a prova di ordigno che proteggevano i quadrimotori Condor, aereo in grado di raggiungere la Spagna senza scalo. Il 21 aprile 1945 ne sono decollati diversi, trasferendo un manipolo di alti ufficiali nel caposaldo bavarese del Reich: in alcuni di questi velivoli erano imbarcate “le proprietà personali di Hitler”. L’ultima partenza nota avviene il 23 aprile, mentre altri Condor sono stati catturati intatti dai russi cinque giorni dopo.
Sotto l’aeroporto c’è un alveare di locali blindati con impianti idrici ed elettrici autonomi, una sorta di monastero di cemento e acciaio, con decine di celle cubiche su tre livelli. In parte custodivano negativi e filmati raccolti dalla ricognizione tedesca: chilometri di pellicole incendiate poi dall’esplosivo dei genieri sovietici nell’ultimo assalto, con un rogo durato giorni che ha incenerito tutto.
«Senza vie di fuga, un bunker diventa una trappola», sottolinea Baer. Dal comando della Cancelleria infatti si entrava nelle gallerie della metropolitana. Tutti i superstiti dell’entourage hitleriano hanno negato però che esistesse un percorso diretto per gli hangar di Tempelhof. Usando un georadar tattico, identico a quello impiegato per ispezionare le caverne di Tora Bora dove a lungo si è pensato fosse morto Bin Laden, il team di History ha scoperto un cunicolo che unisce l’aeroporto alla stazione del metro. È bloccato dai giorni della battaglia e adesso si attendono le autorizzazioni per demolire gli accessi ed esplorarlo. In ogni caso, c’erano altri modi per sottrarsi all’attacco sovietico. Robert Ritter von Greim e Hanna Reitsch sono atterrati in una pista improvvisata a pochi metri dalla porta di Brandeburgo e ripartiti il 30 aprile dopo avere incontrato Hitler nei meandri della Cancelleria.
Già, ma dove poteva andare un uomo così famoso e così odiato? L’esame dei files Fbi porta a escludere la rotta sudtirolese, sfruttata da molti nazisti per raggiungere il Sudamerica attraverso i porti italiani e la copertura della gerarchia cattolica. Nel caso del führer i rischi dovevano essere ridotti al minimo, contando su rifugi predisposti da tempo in paesi ancora amici. Come la Spagna di Francisco Franco. Lì le segnalazioni raccolte dai detective di Hoover hanno portato la squadra di Robert Baer in un monastero molto particolare, perché unito con un lungo camminamento sotterraneo al comando della polizia militare.
Poi le Canarie, ultimo approdo degli U-boot che non volevano arrendersi agli alleati: tre salparono dalla Germania dopo l’annuncio della resa, consegnandosi in Argentina quasi tre mesi più tardi. È nel paese sudamericano che gli avvistamenti di Hitler si sono moltiplicati. L’analisi dei files ha portato il team in una cittadina isolatissima, Charata, e in un altro bunker: una struttura costruita sotto una fattoria, lontana centinaia di chilometri da tutto. Lì negli anni ’40 una vasta colonia tedesca iscriveva i figli a centinaia nella sede locale della Hitlerjugend. Ma i dossier dell’Fbi indicano un altro “covo” ancora più a nord, a Misiones, terra di predicatori gesuiti al confine di tre stati: una posizione da sempre sfruttata per traffici e contrabbandi.
A Misiones dallo scorso marzo una spedizione archeologica sta esplorando i resti di tre edifici costruiti negli anni ’40 nel cuore della giungla. Uno è un’abitazione di qualità, con vasca da bagno e decorazioni. L’altro probabilmente un impianto idroelettrico con alcune officine. Insomma, una residenza autonoma: gli scavi finora hanno riportato alla luce riserve di cibi in scatola e medicinali, tutti di quel periodo. In una parete era stata murata una scatola di biscotti, contenente monete del Terzo Reich e alcune foto. Una ritrae una giovanissima recluta delle SS, forse non tedesca, forse uno dei volontari europei accorsi a combattere sotto la svastica. Un’altra mostra il primo incontro tra Benito Mussolini e Hitler, a Venezia nel 1934: l’unico in cui il cancelliere indossa abiti civili. Indizi, piccoli e grandi, di una rete di protezione dei fuggitivi nazisti. Che però non scalfiscono il mistero del secolo.
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