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 Oggetto del messaggio: Art.11 L'Italia ripudia la guerra (non quella in Libia)
MessaggioInviato: 03/03/2016, 17:23 
Come si dice.... il buongiorno di vede dal mattino.... [:246]




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"…stanno uscendo allo scoperto ora, amano annunciare cosa stanno per fare, adorano la paura che esso può creare. E’ come la bassa modulazione nel ruggito di una tigre che paralizza la vittima prima del colpo. Inoltre, la paura nei cuori delle masse risuona come un dolce inno per il loro signore". (Capire la propaganda, R. Winfield)

"Onesto è colui che cambia il proprio pensiero per accordarlo alla verità. Disonesto è colui che cambia la verità per accordarla al proprio pensiero". Proverbio Arabo

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 Oggetto del messaggio: Re: Art.11 L'Italia ripudia la guerra (non quella in Libia)
MessaggioInviato: 07/03/2016, 10:06 
Tratto da: Libia, i due ostaggi italiani liberati all’alba. Blitz, fuga, riscatto?
http://www.corriere.it/esteri/16_marzo_ ... a08d.shtml

Come è davvero avvenuta la liberazione di Filippo Calcagno e Gino Pollicardo? Un blitz, o altro? Erano assieme ai due colleghi di lavoro, Fausto Piano e Salvatore Failla, i cui corpi giacciono al momento crivellati di proiettili nell’obitorio all’ospedale di Sabratha? Oppure l’epilogo felice dei primi e il tragico fato dei secondi seguono itinerari differenti, almeno nelle fasi finali del loro dramma? Le risposte variano con il variare delle fonti, le quali a loro volta cambiano di versione con il cambiare delle circostanze. Tutto quello che ci sentiamo di dire al momento (venerdì sera) è che il puzzle composito dei racconti e la loro contraddittorietà riflettono fedelmente il caos libico. ] Come è davvero avvenuta la liberazione di Filippo Calcagno e Gino Pollicardo? Un blitz, o altro? Erano assieme ai due colleghi di lavoro, Fausto Piano e Salvatore Failla, i cui corpi giacciono al momento crivellati di proiettili nell’obitorio all’ospedale di Sabratha? Oppure l’epilogo felice dei primi e il tragico fato dei secondi seguono itinerari differenti, almeno nelle fasi finali del loro dramma? Le risposte variano con il variare delle fonti, le quali a loro volta cambiano di versione con il cambiare delle circostanze. Tutto quello che ci sentiamo di dire al momento (venerdì sera) è che il puzzle composito dei racconti e la loro contraddittorietà riflettono fedelmente il caos libico.


Caos libico? [:o)]
Non sarà che il caos, su questa faccenda, sia tutto italiano?

La vedova di Failla: «Liberati con il sangue di mio marito»
http://www.ilsecoloxix.it/p/italia/2016 ... nici.shtml

«Lo Stato italiano ha fallito: la liberazione dei due ostaggi è stata pagata con il sangue di mio marito». È quanto afferma Rosalba Failla, moglie di Salvatore, uno dei due tecnici italiani uccisi in Libia, attraverso il suo legale Francesco Caroleo Grimaldi. «Se lo Stato non è stato capace di riportarmelo vivo - aggiunge - ora almeno non lo faccia toccare in Libia». La moglie del tecnico prosegue affermando che la salma «la stanno trattando come carne da macello. Nessuno, tra questi che stanno esultando per la liberazione ha avuto il coraggio di telefonarmi». E ribadisce: «Voglio che il corpo rientri integro e che l’autopsia venga fatta in Italia».



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"…stanno uscendo allo scoperto ora, amano annunciare cosa stanno per fare, adorano la paura che esso può creare. E’ come la bassa modulazione nel ruggito di una tigre che paralizza la vittima prima del colpo. Inoltre, la paura nei cuori delle masse risuona come un dolce inno per il loro signore". (Capire la propaganda, R. Winfield)

"Onesto è colui che cambia il proprio pensiero per accordarlo alla verità. Disonesto è colui che cambia la verità per accordarla al proprio pensiero". Proverbio Arabo

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 Oggetto del messaggio: Re: Art.11 L'Italia ripudia la guerra (non quella in Libia)
MessaggioInviato: 07/03/2016, 10:35 
Paolo Barnard: parliamone
13 ore fa ·

Sul sole 24 ore un articolo di Alberto Negri, con un’analisi di Vittorio Emanuele Parsi, insolitamente chiara ed esplicita della situazione libica:

«In questo momento a estrarre barili e gas dalla Tripolitania è soltanto l’Eni: una posizione, conquistata manovrando tra fazioni e mercenari, che agli occhi dei nostri alleati deve finire e, se possibile, con il nostro contributo militare.
Per loro, anche se l’Italia ha perso in Libia 5 miliardi di commesse, stiamo già accantonando risorse per un contingente virtuale in barili di oro nero. Non è così naturalmente, ma “deve” essere così: per questo l’ambasciatore Usa azzarda a chiederci spudoratamente 5mila uomini. La dichiarazione di John Phillips, addolcita dalla promessa di un comando militare all’Italia, sottolinea la nostra irrilevanza. [...]
Anche i russi, estromessi nel 2011 perché contrari ai bombardamenti, vogliono dire la loro: lo faranno attraverso l’Egitto del generale Al Sisi al quale vendono armi a tutto spiano insieme alla Francia.
[...]
Oggi sappiamo i retroscena. In una mail inviata a Hillary Clinton e datata 2 aprile 2011, il funzionario Sidney Blumenthal rivela che Gheddafi intendeva sostituire il Franco Cfa, utilizzato in 14 ex colonie, con un’altra moneta panafricana. Lo scopo era rendere l’Africa francese indipendente da Parigi: le ex colonie hanno il 65% delle riserve depositate a Parigi. Poi naturalmente c’era anche il petrolio della Cirenaica per la Total. È così che prepariamo la guerra: in compagnia di finti amici-concorrenti-rivali, esattamente come faceva la repubblica dei Dogi


La grande spartizione della Libia: un bottino da almeno 130 miliardi
6 Marzo 2016

http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/20 ... d=ACe75oiC

Quando si incontreranno martedì al palazzo Ducale di Venezia, Matteo Renzi e François Hollande guardandosi negli occhi dovrebbero farsi una domanda: per quali ragioni facciamo la guerra in Libia?

La risposta più ovvia - il Califfato - è quella di comodo. La guerra di Libia è partita nel 2011 con un intervento francese, britannico e americano che con la fine di Gheddafi è diventato conflitto tra le tribù, le milizie e dentro l’Islam, che però è sempre rimasto una guerra di interessi geopolitici ed economici. L’esito non è stato l’avvento della democrazia ma è sintetizzato in un dato: la Libia era al primo posto in Africa nell’indice Onu dello sviluppo umano, adesso è uno stato fallito.
articoli correlati

Renzi: «Nell’inferno libico serve buon senso»

Il rientro in Italia degli ostaggi italiani. La guerra è in realtà un regolamento di conti e una spartizione della torta tra gli attori esterni e i due poli libici principali, Tripoli e Tobruk, che hanno due canali paralleli e concorrenti per l’export di petrolio.

Qui si possono liberare alcune delle più importanti risorse dell’Africa: il 38% del petrolio del continente, l’11% dei consumi europei. È un greggio di qualità, a basso costo, che fa gola alle compagnie in tempi di magra. In questo momento a estrarre barili e gas dalla Tripolitania è soltanto l’Eni: una posizione, conquistata manovrando tra fazioni e mercenari, che agli occhi dei nostri alleati deve finire e, se possibile, con il nostro contributo militare.

Per loro, anche se l’Italia ha perso in Libia 5 miliardi di commesse, stiamo già accantonando risorse per un contingente virtuale in barili di oro nero. Non è così naturalmente, ma “deve” essere così: per questo l’ambasciatore Usa azzarda a chiederci spudoratamente 5mila uomini. La dichiarazione di John Phillips, addolcita dalla promessa di un comando militare all’Italia, sottolinea la nostra irrilevanza.

La Libia è un bottino da 130 miliardi di dollari subito e tre-quattro volte tanto nel caso che un ipotetico Stato libico, magari confederale e diviso per zone di influenza, tornasse a esportare come ai tempi di Gheddafi. Sono stime che sommano la produzione di petrolio con le riserve della Banca centrale e del Fondo sovrano libico che sta a Londra dove ha studiato per anni il prigioniero di Zintane, Seif Islam, il figlio di Gheddafi, un tempo gradito ospite di Buckingham Palace al pari di tutti gli arabi che hanno il cuore nella Mezzaluna e il portafoglio nella City. Oltre alla Bp e alla Shell in Cirenaica - dove peraltro ci sono consorzi francesi, americani tedeschi e cinesi - gli inglesi hanno da difendere l’asset finanziario dei petrodollari.

Anche i russi, estromessi nel 2011 perché contrari ai bombardamenti, vogliono dire la loro: lo faranno attraverso l’Egitto del generale Al Sisi al quale vendono armi a tutto spiano insieme alla Francia. Al Sisi considera la Cirenaica una storica provincia egiziana, alla stregua di re Faruk che la reclamava nel 1943 a Churchill: «Non mi risulta», fu allora la secca risposta del premier britannico. Ma ce n’è per tutti gli appetiti: questo è il fascino tenebroso della guerra libica.

Il bottino libico, nell’unico piano esistente, deve tornare sui mercati, accompagnato da un sistema di sicurezza regionale che, ignorando Tunisia e Algeria, farà della Francia il guardiano del Sahel nel Fezzan, della Gran Bretagna quello della Cirenaica, tenendo a bada le ambizioni dell’Egitto, e dell’Italia quello della Tripolitania. Agli americani la supervisione strategica.

Ai libici, divisi e frammentati, messi insieme in un finto governo di “non unità nazionale”, il piano non piacerà perché hanno fatto la guerra a Gheddafi e tra loro proprio per spartirsi la torta energetica senza elargire “cagnotte” agli stranieri e finire sotto tutela. E insieme ai litigi libici ci sono le trame delle potenze arabe e musulmane. Sono “i pompieri incendiari” che sponsorizzano le loro fazioni favorite: l’Egitto manovra il generale Khalifa Haftar, il Qatar seduce con dollari sonanti gli islamisti radicali a Tripoli, gli Emirati si sono comprati il precedente mediatore dell’Onu Bernardino Leòn per appoggiare Tobruk; senza contare la Turchia, che dalla Siria ha rispedito i jihadisti libici a fare la guerra santa nella Sirte.

La lotta al Califfato è solo un aspetto del conflitto, anzi l’Isis si è inserito proprio quando si infiammava la guerra per il petrolio. Ma gli interessi occidentali, mascherati da obiettivi comuni, sono divergenti dall’inizio quando il presidente francese Nicolas Sarkozy attaccò Gheddafi senza neppure farci una telefonata. Oggi sappiamo i retroscena. In una mail inviata a Hillary Clinton e datata 2 aprile 2011, il funzionario Sidney Blumenthal rivela che Gheddafi intendeva sostituire il Franco Cfa, utilizzato in 14 ex colonie, con un’altra moneta panafricana. Lo scopo era rendere l’Africa francese indipendente da Parigi: le ex colonie hanno il 65% delle riserve depositate a Parigi. Poi naturalmente c’era anche il petrolio della Cirenaica per la Total. È così che prepariamo la guerra: in compagnia di finti amici-concorrenti-rivali, esattamente come faceva la repubblica dei Dogi.


Come al solito il mainstream riporta quello che gli dicono di riportare..... [:305]



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"…stanno uscendo allo scoperto ora, amano annunciare cosa stanno per fare, adorano la paura che esso può creare. E’ come la bassa modulazione nel ruggito di una tigre che paralizza la vittima prima del colpo. Inoltre, la paura nei cuori delle masse risuona come un dolce inno per il loro signore". (Capire la propaganda, R. Winfield)

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 Oggetto del messaggio: Re: Art.11 L'Italia ripudia la guerra (non quella in Libia)
MessaggioInviato: 07/03/2016, 10:44 
neocolonialismo..



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https://roma.corriere.it/notizie/politi ... 0b7e.shtml
Conte ripercorre le tappe della crisi: «Vorrei ricordare che con la parlamentarizzazione della crisi la Lega ha poi formalmente ritirato la mozione di sfiducia, ha dimostrato di voler proseguire, sono stato io che ho detto “assolutamente no”perché per me quell’esperienza politica era chiusa».


http://www.lefigaro.fr/international/mi ... e-20190923
il stipule que les États membres qui souscrivent à ce dispositif de relocalisation des personnes débarquées en Italie et à Malte s’engagent pour une durée limitée à six mois - éventuellement renouvelable. Le mécanisme de répartition serait ainsi révocable à tout moment au cas où l’afflux de migrants vers les ports d’Italie et de Malte devait s’emballer.
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