La Fisica verso l'incredibile
Multiverso: ipotesi e scoperteMultiverso, un nome che affascina, attrae, meraviglia: la Fisica moderna, attraverso studi documentati, sta sempre più suffragando l'idea che il nostro è solo uno degli infiniti universi possibili. E che noi stessi potremmo vivere nello stesso istante vite parallele
Nella precedente parte di questo articolo abbiamo gettato delle basi importanti per comprendere che i “tempi sovrapposti” sono qualcosa di più rispetto ad una supposizione. E che tutto questo ha ben precise basi scientifiche.
Sempre più, la fisica moderna si sta connotando non come qualcosa che studia quello che vediamo, ma che rivela quello che non vediamo. Quindi, qualcosa che non indaga sul visibile, ma che svela l'invisibile. Esattamente come l'arte. Per questo, la scienza moderna si sta evidenziando sempre più come una sorta di fenomeno artistico, dove lo scienziato è essenzialmente guidato da un forte senso estetico, un senso del bello.
Detto questo, penso sia interessante riprendere da dove mi ero fermato, vale a dire dall'esempio delle armoniche musicali. Una nota risuona e noi udiamo un solo suono. In realtà, di suoni ce ne sono molti, che sono quelli che daranno la qualità del suono stesso, e ci diranno ad esempio se quel suono è emesso da un flauto, da un violoncello, oppure è cantato. Tutto questo deriva dalla componente invisibile del suono.
Questo ci riporta immediatamente al tema degli universi sovrapposti. Che qui potrebbero essere visti come vari suoni, che noi non udiamo ma che ci sono e danno colore al suono attuale. Se proviamo a togliere queste armoniche, infatti, il suono diviene spento, incolore, non sicuramente in grado di generare emozione. Tutto ciò, forse, applicato al tema che stiamo trattando, potrebbe dirci che questi universi non sono poi separati, ma in qualche modo interagiscono tra di loro.
Quando tutte le realtà collassano in una
Per comprendere questo, è importante dare uno sguardo a quello che la fisica ha detto e dice attualmente sul tema. Come facevo notare nella precedente parte di questo studio, infatti, l'argomento è ben lungi dall'essere una mera speculazione: piuttosto, esso ha un solido fondamento scientifico, soprattutto di tipo matematico. Il viaggio che ci apprestiamo ora a fare lo dimostrerà in maniera inequivocabile. E, mai come in questo momento, le equazioni prenderanno forma e voce, parlando davvero di noi e di quello che siamo. Parlavo, nella precedente sezione dell'articolo, di come la meccanica quantistica aiuti a delineare una realtà, almeno microscopica, molto diversa da quella che possiamo toccare nella quotidianità. Una realtà in cui più eventi possono coesistere in maniera sovrapposta e simultanea.

I fisici Werner Heinsberg e Niels Bohr.
Questo già apre al discorso di universi sovrapposti. Tuttavia, nella citata “interpretazione di Copenaghen”, Niels Bohr e Werner Heisenberg stabilirono che, una volta compiuta un'osservazione e una misura, tutte queste realtà sovrapposte “collassano” in una. Questo escluderebbe, quindi, l'esistenza di mondi sovrapposti, che esisterebbero soltanto nel momento precedente all'osservazione: dopo di essa, questi mondi collasserebbero in uno. Infatti, come dicevo, dopo l'osservazione (o misurazione), il pacchetto di onde diviene una sola onda piana.
Tante ipotesi per tanti mondi
Per poter avere una formulazione diversa occorrerà attendere alcuni decenni, tre per l'esattezza. Fino al momento in cui Hugh Everett III (1930-1982), nel 1957, presentò la sua tesi di dottorato, dal titolo suggestivo di: The many world interpretation of Quantum Mechanics (l'interpretazione a molti mondi della meccanica quantistica).

Il gatto di Schrödinger.
Il lavoro, nelle sue pagine, offre una modifica abbastanza sostanziale dell'interpretazione di Copenaghen, che non viene, però, negata del tutto.
Nel lavoro che propone, Everett accetta elementi come quelli del gatto di Schrödinger e di conseguenza l'idea di realtà sovrapposte. Argomenta, però sul collasso della funzione d'onda, uno dei cardini dell'interpretazione di Copenaghen. Il fisico, nel suo lavoro, parte da un presupposto importante: l'equazione di Schrödinger, uno dei cardini della fisica moderna, e della quale ho parlato nella precedente sezione del mio studio, propone una variazione continua dello stato quantico di una particella. Il collasso della funzione d'onda, per contro, è un qualcosa di discontinuo, che quindi genererebbe una discontinuità. Di conseguenza, non si concilia con l'equazione di Schrödinger.
Everett, di conseguenza, afferma che il collasso, che distruggerebbe il pacchetto d'onde iniziale, che vede le realtà come sovrapposte, non è possibile. L'unico modo che qui viene evidenziato, perché il cambiamento di stato quantico rimanga continuo, è che
l'osservazione faccia passare da uno stato di eventi sovrapposti, ad un altro stato di eventi sovrapposti.
Questi nuovi eventi, però, non saranno più parte di questo universo, bensì andranno a generare altrettanti universi paralleli, tanti quanti sono i possibili risultati dell'osservazione (o misurazione).In pratica, se prima vi erano una serie di stati sovrapposti, dopo l'osservazione si viene a generare una sorta di “bivio”, nel quale gli eventi si realizzano simultaneamente.
Everett spiega tutto questo in un lavoro di cerca 140 pagine, dove il linguaggio è decisamente matematico, e quindi è accessibile, di fatto, solo agli specialisti di settore. Tuttavia, è suggestivo vedere come, grazie a queste equazioni, emerga, in maniera oggettiva, un dato che appare come incredibile.
Nell'interpretazione di Everett, tuttavia, il bivio, causato da un'osservazione, genera universi puramente paralleli. Vale a dire, universi che non possono interagire tra di loro.
Multiverso e computazione quantistica

Il fisico USA Hugh Everett.

Il fisico inglese David Deutsch.
L'argomento verrà ripreso da altri studiosi, che forniranno modelli differenti, e a volte ancora più suggestivi. Interessante, a tal proposito, citare il lavoro di David Deutsch (1953). Il fisico, docente presso l'università di Oxford, in Inghilterra, è uno dei massimi esperti mondiali di teoria della computazione. La cosa curiosa della sua proposta è che il fisico parte dal funzionamento degli elaboratori elettronici per elaborare una teoria sul multiverso. Deutsch ne parla dettagliatamente in un suo lavoro dell'aprile 2001, The Structure of the Multiverse (la struttura del multiverso). In questo scritto, che sfiora il momento presente (in fondo, nell'evoluzione della fisica, 15 anni sono un istante), Deutsch parte dalla cosiddetta “computazione quantistica”, dove, quindi, più elaborazione avvengono in parallelo, per mostrare che esistono stati che non sono esprimibili in termini di combinazioni degli stati di partenza, anche considerando la loro evoluzione nel tempo.
Tutto ciò, spiegato in questo modo, appare piuttosto sibillino, almeno per un non addetto ai lavori. Quindi, è il caso di fornire qualche spiegazione. La meccanica quantistica ha un principio fondamentale, che si definisce “principio di sovrapposizione”.

Vale a dire che, se un certo elemento esiste in due diversi stati quantici, esiste anche in una loro combinazione. Applicato al caso che stiamo considerando, ci dice che le combinazioni di tutte le possibili computazioni quantistiche sono sempre possibili computazioni e possibili stati del sistema considerato.
Quello che Deutsch fa notare è che esistono combinazioni che non appartengono al sistema. E anche che esistono combinazioni che, in qualche modo, “portano fuori” dal sistema di partenza. È come se, combinando degli oggetti di una certa struttura, ottenessimo qualcosa che non appartiene più alla struttura di partenza (matematicamente si potrebbe forse dire che il sistema non è chiuso rispetto a tutte le possibili combinazioni).
Da qui, il fisico deduce l'esistenza di una struttura di multiverso. Una struttura che, a differenza di quella proposta da Everett, ha sì universi paralleli, ma che possono, in qualche modo, interagire tra di loro. Con quelle che verranno definite “particelle ombra”.
Il risultato a cui giunge Deutsch apre interessanti considerazioni e riflessioni. Infatti, se questo viene esteso alla realtà tangibile, non solo potremmo dedurre che ci sono “copie” di noi stessi in altri universi paralleli, ma che, addirittura, queste copie possono interagire.
Potremmo, in questo, andare ad affermare che eventuali problematiche legate alla psiche potrebbero derivare da interferenze con altri “noi stessi” di universi paralleli a quello attuale. Qui, però, mi fermo, questo discorso ci porterebbe davvero molto, forse troppo lontano. È già stato accennato in un mio lavoro, in due parti, sulla supersimmetria, e qui trova la sua massima espressione, in qualcosa che è perfettamente dimostrabile da un punto di vista matematico.
Scenari incredibili... La teoria delle stringhe
Ma i modelli di multiverso possono andare ancora “oltre”. Il secolo attuale, infatti, è ricco di studi sull'argomento. Studi che stanno aprendo scenari sempre più incredibili.
La prima domanda che è lecito porsi, in questo senso, è se queste strutture occupino spazi e tempi diversi tra di loro. Non potremmo pensare che, invece, siano qui, in questo spazio-tempo, semplicemente con percezioni differenti? Se la risposta a questa domanda fosse affermativa, potremmo dedurre che molte realtà possano coesistere in questo spazio-tempo.

La risposta a tutto questo giunge dalla teoria delle stringhe. Ho già trattato l'argomento nel corso del mio lavoro sulla supersimmetria. Riprendendo i punti fondamentali di questa teoria, essa vede tutta la materia generata da vibrazioni di oggetti unidimensionali, detti “stringhe”, che vibrano sino a 26 dimensioni. Più stringhe si raggruppano a formare una membrana. Ogni membrana costituisce un universo. Quello che contraddistingue le varie membrane, quindi, è solo la frequenza di vibrazione. Quindi, queste possono occupare, simultaneamente, lo stesso spazio-tempo, semplicemente a frequenza differente.
È sorprendente, in tal senso, l'accordo con il mondo spirituale, e con quanto viene qui detto su questo argomento. Infatti, se questa teoria descrive la realtà, ciò potrebbe significare che esistono mondi in cui i pianeti che qui sono disabitati sono invece abitati. Ad esempio, Marte di un universo parallelo potrebbe essere vivo e vitale, abitato da persone simili a noi, e pullulante di costruzioni, magari completamente diverse dalle nostre.
La teoria delle membrane e dell'universo a bolle
La teoria delle membrane è stata elaborata dal fisico Edward Witten (1951), docente presso l'Università di Princeton, negli Stati Uniti. Witten chiamò questa teoria “Teoria M”, lasciando la M non specificata, e avvolta in una sorta di aura di mistero (che inizia sempre con la m, anche in inglese!). Solo più tardi, nel 2013, Witten rivelò alla giornalista scientifica Amanda Gefter che la M stava per “membrana”. Witten si è occupato di questo in diversi studi. Uno di questi, piuttosto divulgativo, di sole otto pagine, è: Adventures in Physics and Math (Avventure nella matematica e nella fisica) e anche in: Can scientists’ “theory of everything” really explain all the weirdness the universe displays? (Può la “teoria del tutto”, espressa dagli scienziati, spiegare davvero tutte le stranezze che l'universo ci pone davanti?).

In qualche modo collegata a questa teoria vi è quella detta dell'”universo a bolle”. In base a questa teoria, tutti i possibili universi deriverebbero dalla schiuma quantica di un universo genitore. Questa schiuma è data dal ribollire di un universo, causato dalle fluttuazioni di energia. Quando queste fluttuazioni sono superiori ad una certa soglia, dall'universo genitore si stacca una bolla che, espandendosi, darà origina ad un nuovo universo. Di questo si è occupato il fisico russo Andrej Linde (1948), ora docente a Stanford, negli Stati Uniti.
Linde parla di questo nel suo studio: Inflation in Supergravity and String Theory: A Brief History of the Multiverse (Inflazione nella supergravità e nella teoria delle stringhe: una breve storia del multiverso). In questo scritto, piuttosto matematico (anche se la matematica utilizzata non è poi di livello così inaccessibile), Linde propone un modello che prende le mosse dalla “teoria dell'universo inflazionario”, proposta dal fisico Alan Guth (1947), docente al Massachusetts Institute of Technology (MIT). In base a questa teoria, l'universo, nei primi istanti di vita, avrebbe subito una fortissima espansione, sotto l'effetto di una forza, detta “inflatone”. Questa espansione avrebbe permesso un'espansione tale da portare le dimensioni dell'universo, da miliardi di volte inferiori a quelle di un protone, a quelle di un pallone da calcio. Non a caso, in inglese la parola inflaton significa “gonfiaggio”. Questa spinta potrebbe essere stata causata da quella “gravità negativa”, che è data dalla cosiddetta “energia oscura”, che rappresenterebbe circa il 68% dell'energia dell'universo.
Il nostro universo è matrice di altri?
Torniamo ora all'esempio fatto nella precedente parte di questo studio, citato anche in questa. Vale a dire, l'esempio relativo alle varie armoniche della musica. Vale a dire quella componente che, della musica, non si vede, ma che fornisce colore alla musica stessa. Questo, riportato al caso del multiverso, ci fa pensare a possibili influenze che l'esistenza di universi sovrapposti, o simultanei, potrebbe avere avuto sulla nascita del nostro.

Il fisico olandese Tom Gehrels.
Se ne è occupato il fisico olandese Tom Gehrels (1925-2011), in un suo studio dal titolo: The Multiverse and the origin of our Universe (il Multiverso e l'origine del nostro Universo), pubblicato il 6 luglio 2007 presso l'Università dell'Arizona. Qui, Gehrels parte dalla relazione, esposta dal fisico indiano Subrahmanyan Chandrasekhar (1910-1995), che mette in relazione la massa di strutture nell'universo con costanti note, quali quella di Planck, la costante cosmologica e la massa del protone. La massa, qui, è dipendente da un numero, detto α, che varia a seconda del corpo considerato, quindi a seconda che ci si stia occupando di una stella, di una galassia o di altro ancora.
Mediante il suo modello, Gehrels riesce a spiegare la materia oscura, ma anche l'esistenza di un multiverso. La dispensa, in inglese, è di sole 16 pagine e non è particolarmente impegnativa, almeno per chi abbia qualche nozione di fisica.
Abbiamo, quindi, diversi modelli di universo, che appaiono anche abbastanza differenti tra di loro. La domanda che ci poniamo ora, credo lecita è: questi modelli possono essere, in qualche modo, combinati tra di loro? Vale a dire, questi modelli possono coesistere?
I modelli proposti dai fisici possono coesistere?
La risposta ci arriva da Max Tegmark (1967), fisico svedese, ora docente presso il citato MIT. Tegmark, noto per il suo libro: L'Universo Matematico, si è occupato a fondo di questo argomento. Una sua pubblicazione dove ne parla in dettaglio è Parallel Universes. In questo studio, pubblicato presso il MIT il 23 gennaio 2003, il fisico divide, per così dire, tutti i possibili universi sovrapposti in quattro livelli, che raggruppano le possibilità viste in precedenza, e ne aggiungono di nuove.

Il fisico svedese Max Tegmark.
Il primo livello di cui Tegmark si occupa è quello degli universi che si trovano al di là del cosiddetto “orizzonte cosmico”. Per capire che cos'è, pensiamo all'universo generato dal big bang. Questo universo, anche se in espansione, è finito. Quindi, cosa c'è al di là? Al di là potrebbero esserci altri possibili universi! L'esistenza di questa classe di universi richiede, tuttavia, il fatto che l'universo sia infinito. Questo potrebbe essere provato dal cosiddetto “rumore di fondo” (o radiazione di fondo) data dal big bang, e dall'omogeneità dell'universo.
Il secondo livello è quello dell'universo a bolle, di cui parlavo prima, e proposto da Andrej Linde. Questo livello, avendo alla base solo un modello matematico, non ha ovviamente evidenza empirica. Inoltre, occorre ammettere l'inflazione caotica, di cui si parlava prima, per poterlo accettare. In compenso, la precisione e l'accuratezza con cui sono formulate le equazioni (ricordiamo che la matematica è un vero “sesto senso”) ci potrebbe permettere di accettare questo modello.
Il terzo livello è quello che Tegmark definisce “i molti mondi della fisica quantistica”. Qui trovano posto tutti quegli universi che prendono forma dalle possibili scelte, di cui parlava anche Everett nel suo modello. E, sempre in questa classe, come nella successiva, che vedremo a breve, possono trovare posto anche i modelli di multiverso derivanti da stringhe e membrane. Le prove a suffragio di questo livello di universi sono date dal fatto che la fisica quantistica è una teoria che ha già diverse prove empiriche, e ha un importante e molto preciso substrato matematico.
Il quarto livello proposto è il più astratto. Tegmark lo classifica come “altre strutture matematiche”. Qui possono trovare posto tutte quelle strutture matematiche che danno origine a universi. Qui non c'è alcuna prova empirica, ovviamente. E quindi occorre accettare che l'evidenza matematica equivale a quella fisica, vale a dire che ciò che esiste a livello matematico esiste anche a livello fisico.
La nostra vera dimensione è il multiverso?
Anche se i fisici sperimentali potrebbero storcere il naso, io sono in accordo con questa idea. Lo stesso Tegmark cita Platone, per il quale tutto quanto esiste nel mondo fisico è una copia imperfetta di qualcosa d'altro. I modelli matematici, seppur non corrispondenti all'intuizione più elevata, sono comunque molto più attendibili, secondo questa ottica, di quelli empirici. Quindi, non solo esprimono la realtà fisica, ma esprimono una realtà superiore a quella tangibile, di cui quella tangibile è solo un modello imperfetto.

Stephen Hawking con il naturalista David Attenborough.
Lo stesso Tegmark, poi, a suffragio di questo modello, cita la risposta di John Archibald Wheeler (1911-2008) ad una domanda di Stephen Hawking (1942). Questa risuona più o meno come una nuova domanda: “Perché le equazioni sono queste, e non altre”.
Concludendo: potremo mai toccare con mano il multiverso? Forse lo stiamo già facendo. E lo abbiamo sott'occhio, ad esempio, in fenomeni quali le arti figurative. Qui, tutte le infinite possibili scelte prendono forma in un istante, attraverso tempi sovrapposti.
Ne parlo anche nel mio romanzo Bivi Esistenziali, dove il protagonista si trova a poter “saltare” tra universi sovrapposti, grazie all'arte e alla musica. Il problema è che, nel nostro mondo, l'elemento tempo è sempre presente. Dalla nostra osservazione esso prende forma. E con quello occorre fare i conti. Quel tempo che qui scorre in maniera lineare. Tuttavia, come dicevo nella precedente puntata, esiste una “dimensione assoluta” dove non c'è né spazio né tempo e dove tutto è qui ed ora.
Forse, la nostra vera dimensione è quella. Forse, noi veniamo da quella dimensione, e, in qualche modo, siamo “caduti” qui, nello spazio e nel tempo. La matematica e la fisica sono cammini di riscoperta, che ci permettono di intuire, e dimostrare in maniera oggettiva, l'esistenza di questa dimensione dell'oltre, dove tutto è sovrapposto, dove tutto è qui ed ora. Questa dimensione, dove tutto va a coincidere, è quella dove torneremo. E allora tutto, universi compresi, diverrà uno, e la separazione sarà, finalmente, annullata.
Lì, tutto lo studio effettuato dalla matematica e dalla fisica troverà il suo compimento, e la sua piena manifestazione.
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