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Cinchona QUINA CHININOC. von Linné, Species Plantarum 1: 172, 1753
Forse in onore di Francisca Henriquez de Rivera, contessa di Chinchon
Cinchona è un genere della famiglia delle Rubiaceae che comprende una ventina di specie di alberi e arbusti originari delle foreste "nebulose" d'altura delle Ande amazzoniche, soprattutto in Perù, Bolivia e Ecuador. Sono sempreverdi, con foglie cerose, simili a quelle del caffè, e fiori bianchi, rosa, rossi, raccolti in racemi, con corolla tubolare, impollinati da farfalle e colibrì. La corteccia di alcune specie è ricca di chinino, un alcaloide naturale, con proprietà antimalariche, antipiretiche, antinfiammatorie, che ne ha fatto per quasi tre secoli il principale presidio sanitario contro la malaria.
Oggi largamente soppiantato come antimalarico da prodotti di sintesi (anche se è ancora utilizzato in erboristeria e nella medicina omeopatica e in molti paesi del terzo mondo) trova ancora impiego nell'industria farmaceutica per l'estrazione della chinidina, un alcaloide utilizzato nella cura delle aritmie cardiache. Nell'industria alimentare, è utilizzato per la produzione di liquori (noti come china, elixir china) e per aromatizzare le cosiddette acque toniche.
Cinchona calisaya Wedd. è originaria delle foreste nebulose di Ecuador, Perù e Bolivia, tra 400 e 3000 metri. E' un arbusto o un albero sempreverde, alto fino a 8 metri, con corteccia rugosa, grigio-bruna o biancastra. Ha foglie lucide, coriacee e cerose, ovoidali, color verde scuro, lunghe oltre 20 cm e large una decina; i fiori, raccolti in infiorescenze terminali, hanno tubo rossastro e corolla bianca o rosata, con petali villosi, intensamente profumati. I frutti sono strette capsule cilindriche, che contengono 3 o 4 semi. Nota con il nome di china gialla, è la specie più pregiata sia per l'alta concentrazione di chinino sia per la presenza di altri alcaloidi che ne arricchiscono l'aroma. E' dunque sia la più costosa sia la più apprezzata nell'industria liquoristica e alimentare. La varietà C. calisaya var. ledgeriana (nota anche con il sinonimo C. ledgeriana) ebbe enorme importanza nella storia del chinino; è originaria delle foreste d'altura della Colombia e della Bolivia (1500-3000 metri); di dimensione maggior della specie tipo, è un albero che può raggiungere i 20 metri. Prende il nome da Charles Ledger che ne vendette i semi agli Olandesi, che impiantarono vaste piantagioni a Giava e in Indonesia, assicurandosi per un ottantennio il monopolio della produzione e del commercio mondiale del
Cinchona officinalis L. è nativa delle foreste montane umide di Colombia, Ecuador, Perù e Bolivia, tra i 1600 e i 2700. E' l'albero simbolo del Perù ed è ritratto sullo scudo araldico nazionale. Può essere un arbusto o un albero, tra i 6 e i 20 m, con corteccia rugosa e rami fittamente pelosi. Le foglie sono da lanceolate ad ellittiche, solitamente lunghe circa 10 cm e larghe 3,5-4 cm, con punta acuta e base arrotondata, di consistenza coriacea, glabre nella pagina superiore, glabre o pulverulente o pelose in quella inferiore. Le infiorescenze terminali comprendono numerosi fiori con calice rossastro, glabro, corolla bianca, rosa o rossa, serica, con lobi acuti spesso villosi. E' la specie tipo, descritta da Linneo, nota come china rossa, corteccia del Perù, meno pregiata e meno costosa della precedente. E' la specie più utilizzata per i preparati erboristici e omeopatici.
Cinchona pubescens Vahl (= C. succirubra Pav. ex Klotzsch) è la specie di più vasta diffusione, essendo presente dal Centro al Sud America (Costa Rica, Panama, Venezuela, Ecuador, Perù e Bolivia) dai 300 ai 3900 metri. E' un grande albero sempreverde eretto, alto fino a 30 m, anche se abitualmente ha dimensioni più contenute, sparsamente ramificato, con rami giovani glabri o pubescenti. Le foglie opposte, ellittiche o ovate, sono lunghe tra 20 e 40 cm e larghe tra 10 e 30, con pagina superiore verde chiaro, di consistenza membranosa o papiracea, con venature numerose, rosso-aranciato nelle foglie mature; pagina inferiore con ciuffi di peli all'ascella delle venature. I numerosi fiori rosa vivo, con calici villosi, profumati, sono raccolti in grandi racemi. Anch'essa è nota come china rossa. Fu questa specie, più robusta della più pregiata ma delicata C. calisaya, ad essere introdotta dai Britannici in India, sebbene con risultati che non poterono competere con le piantagioni olandesi, a causa del suo basso tenore di chinino. Nel corso della seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti ne incoraggiarono la coltivazione in vari paesi del Centro e Sud America. Si è così diffusa anche al di fuori dell'area originaria, rivelandosi invasiva nelle piccole isole, come le Galapagos o le Hawaii, tanto da guadagnarsi l'inclusione nella lista delle 100 specie più invasive.
Breve storia del genere CinchonaGli inizi: la polvere dei gesuiti
Dal monopolio spagnolo a quello olandese
Gli indios...
Gli studiosi discutono se la malaria fosse presente nelle Americhe prima dell'arrivo degli europei; l'opinione più comune è che la zanzara Anophele, e con essa il temibile morbo, sia giunta nel Nuovo mondo tramite le acque infette delle sentine delle navi. Quanto all'Europa, era endemica in molte zone, dall'agro romano, alle Fiandre, a vaste aree della penisola iberica. I medici la curavano con salassi, emetici e purganti (la medicina del tempo, ancora condizionata alla teoria dei quattro umori, considerava le febbri segno di un eccesso di sangue, oltre che influenzate dagli astri, nella loro periodicità). Nessuno di questi rimedi era efficace e la mortalità era molto alta.
Prima dell'arrivo degli Europei, le piante del genere Cinchona non rientravano nella farmacopea indigena, il che è ben spiegabile se si accetta l'ipotesi che la malaria fosse sconosciuta in America fino al 1500. Tuttavia gli indios ne potrebbero aver notato le proprietà antisettiche e febbrifughe; nella letteratura i primi cenni alle sue proprietà - ma ancora senza alcun riferimento alla malaria - si trovano nella Historia medicinal di Monardes (1574). Bisogna attendere però gli anni '30 del secolo successivo perché compaiono le prime notizie del suo uso nel trattamento delle febbri malariche; la prima notizia certa risale al monaco agostiniano Antonio de Calancha che intorno al 1630 parla dei suoi effetti miracolosi a Lima.
Qualche anno più tardi il gesuita Bernabé Cobo (1653) testimonia come la cura a base di corteccia di Cinchona fosse ormai diffusa e si fosse affermata non solo in America, ma anche in Europa. Nessuna di queste fonti parla della viceregina, la contessa di Chinchon, come prima paziente guarita dalla magica polvere, dimostrando, insieme ad altre prove, il carattere leggendario della storia che lega la nobildonna alla scoperta e alla diffusione del nuovo rimedio.
... e i gesuitiI maggiori promotori di quella diffusione erano stati invece i gesuiti, primo fra tutti il cardinale Juan de Lugo. Negli anni '60, istruzioni sull'uso della corteccia "peruviana" vennero inclusi nel prontuario farmaceutico ufficiale dello Stato della Chiesa, la Schedula Romana. Da Roma, i delegati gesuiti che presero parte ai concili generali dell'ordine (tenutisi nel 1646, 1650 e 1652) riportarono il medicinale con sé nei diversi paesi europei, cominciando a diffonderlo nelle farmacie e negli ospedali gestiti dalla Compagnia di Gesù. Grazie alla loro presenza in Sud America, i gesuiti potevano con maggiore facilità procurarsi la corteccia giusta e assicurarne l'uso corretto nelle farmacie annesse alle missioni; in tal modo, la china raggiunse anche altri paesi, tra cui la corte di Pechino.
L'identificazione tra Cinchona e gesuiti era così forte che la medicina era nota come "polvere dei gesuiti", un legame che ne rallentò l'adozione nei paesi protestanti. Altri fattori alimentavano le diffidenze: applicata a febbri non malariche, la medicina era inefficace; molto spesso, alla corteccia del vero albero della china venivano fraudolentemente mescolate cortecce di specie meno efficaci, o anche di altri alberi; il lungo viaggio poteva danneggiare il prodotto, peggiorandone il rendimento o rendendolo inutilizzabile. Ma soprattutto, i medici, che consideravano le febbri un eccesso di umore da "rinfrescare", erano restii ad usare come cura una tisana calda e amara, anziché un emetico, un purgante o un salasso.
Diffidenze e teste coronateLe resistenze furono in gran parte vinte quando la cura fu applicata a pazienti illustri. Un ruolo importante lo giocò Robert Talbot. Era un semplice farmacista, che a suo dire aveva messo a punto una formula segreta capace di curare in modo efficace le febbri malariche. Si trattava essenzialmente di un vino medicinale a base di corteccia di Cinchona e oppio, ma, vista l'ostilità del pubblico inglese, nel suo Pyretologia, A rational Account of the Cause and Cure of Agues (1672), egli astutamente evitò ogni accenno alla temuta "polvere dei gesuiti", anzi ne denunciò l'inefficacia e la pericolosità. Il successo del suo farmaco lo arricchì rapidamente e ne assicurò il prestigio, tanto che prima fu nominato medico del re, poi fu fatto cavaliere.
Quando il delfino di Francia si ammalò, il re d'Inghilterra Carlo II inviò Talbot in Francia; fu l'inizio di una prestigiosa carriera europea che lo portò a curare la regina di Spagna e centinaia di membri delle famiglie reali e dell'aristocrazia, tra cui gli stessi Carlo II e Luigi XIV. Alla sua morte, portò però con sé il segreto della formula, che venne tuttavia rivelata nel 1712 da Francesco Torti, professore di medicina di Modena, che svelò che si trattava essenzialmente di una forte infusione della "polvere dei gesuiti". Da quel momento le resistenze caddero, e le proprietà antimalariche della corteccia di Cinchona furono universalmente riconosciute.
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