
14 giugno 2019
Nel Golfo Persico sta per esplodere una guerra? Forse, o forse no. Difficile prevedere quanto possa accadere in quel tratto di mare che divide l’Iran dagli alleati degli Stati Uniti. Ma una cosa certa: dopo le esplosioni che hanno colpito le due petroliere nel Golfo dell’Oman, la Front Altair e la Kokuka Courageous,
la tensione ha raggiunto i livelli di guardia.Come facile pronosticare già nelle primissime ore successive alla notizia delle due esplosioni, il mirino di entrambi gli schieramenti si è rivolto verso il diretto rivale nell’area. Washington ha accusato immediatamente Teheran di aver organizzato l’attacco alle petroliere. La Marina americana ha pubblicato un video in cui si vede un’imbarcazione dei Guardiani della rivoluzione iraniani avvicinarsi alla petroliera giapponese e, secondo il portavoce Usa, rimuovere una mina inesplosa a bordo dello scafo già colpito da un’altra esplosione. Per gli Usa, tanto basta per confermare le accuse all’Iran quale autore del duplice attacco. Accuse cui ha fatto seguito anche il Regno Unito, confermando la linea dell’alleato americano. Il ministro degli Esteri Jeremy Hunt, intervistato dalla Bbc, ha detto: “In attesa di completare una nostra valutazione accurata, il nostro punto di partenza è ovviamente quello di credere all’alleato Usa”. Per Londra, se Teheran è veramente responsabile degli attacchi, “ci troviamo di fronte a una escalation non saggia che pone reali pericoli alle prospettive della pace e della stabilità nella regione”. Accuse ritenute assolutamente credibili anche da Donald Trump, che in un’intervista a Fox News ha detto: “Ci sono immagini che mostrano che è stato l’Iran a provocare le esplosioni”.
Dall’altra parte, l’Iran ovviamente non ha potuto fare altro che controbattere alle accuse mosse dagli Stati Uniti parlando di un piano ordito dall’amministrazione americana e dai suoi alleati in Medio Oriente per innalzare la tensione nello Stretto di Hormuz e nel Golfo Persico. Un’escalation che servirebbe quindi a Washington e ai suoi alleati – Israele e monarchie del Golfo – per aumentare la tensione davanti alle coste iraniane e possibilmente giungere anche a un conflitto.
Cosa ha colpito le petroliere
Il mistero è innanzitutto riguardante l’operazione messa a punto da questo attore ignoto per colpire le due petroliere. All’inizio si è parlato di un “siluro”. Ma dopo alcune ore, l’ipotesi che ha preso corpo è quella di mine magnetiche. Ipotesi che sarebbe confermata anche dal video diffuso dalla Us Navy dove si vede un’imbarcazione dei Pasdaran rimuovere appunto una carica esplosiva inesplosa. L’ipotesi ricorda quella del rapporto degli Emirati Arabi Uniti sulle esplosioni avvenute il mese scorso a largo della costa di Fujarah. Secondo Abu Dhabi, in quell’occasione fu un “attore statale” a colpire “in maniera sofisticata” le petroliere. Ma questo “sofisticato” potrebbe significare tante cose. E quello che è certo è che fino a questo momento non c’è esservi la certezza di chi e cosa abbia colpito quei cargo.
Il problema è che la versione del siluro prima e della mina magnetica poi è stata in parte non smentita ma resa più complicata dalle dichiarazioni dell’equipaggio della Koukuka Courageous. Il presidente della società giapponese che gestisce la nave l’imbarcazione ha infatti riferito che l’equipaggio parla di “oggetti volanti” poco prima dell’attacco, forse di proiettili. Lo stesso presidente, Yutaku Katada, ha detto ad Associated Press che la compagnia nipponica esclude che possa esservi stato un attacco con delle mine, contraddicendo di fatto tutte le prove portate dagli Stati Uniti con il video. L’armatore ha aggiunto che la Kokuta ha visto una nave iraniana vicino l’imbarcazione. Ma non sa se questo sia avvenuto prima o dopo gli attacchi. Il che chiaramente non può che essere dirimente.
A chi giova e a chi no
Da che parte sia la verità è ovviamente impossibile valutarlo. Le notizie fino a questo momento sono tante ma tutte dipendono dal punto di vista dell’osservatore. E se molti analisti ritengono sia improbabile che esploda una guerra, è altrettanto vero che è impossibile pensare che questo incidente non sia parte di un conflitto latente che ormai è sempre più manifesto. Il problema però è un altro: capire a chi giova questo attacco. E sotto questo profilo, è fondamentale partire da una premessa che molti tendono a sottovalutare: ciò che è accaduto al largo dell’Oman serve e danneggia entrambi gli schieramenti. Ed è proprio per questo che non si può giungere a conclusione affrettate.
Dal punto di vista iraniano, le due esplosione che hanno colpito le petroliere a largo del Golfo dell’Oman potrebbero avere risvolti assolutamente pessimi. La tensione nel Golfo Persico potrebbe condurre a un’escalation nell’area con l’intervento degli Stati Uniti già presenti con la Quinta Flotta di stanza in Bahrein e che ultimamente hanno anche inviato la Uss Abraham Lincoln e i bombardieri strategici nella base qatariota di Al Udeid. Inoltre, la pericolosità dello Stretto di Hormuz potrebbe anche condurre a una rivisitazione del sistema di controllo dello stretto strategico: infatti non è un caso che il governo di Teheran abbia già escluso di non essere in grado di controllare questo fondamentale choke-point petrolifero. Infine, non va neanche dimenticato che l’attacco alla petroliera giapponese è avvenuto in concomitanza con la visita del premier Shinzo Abe in Iran: difficile credere che l’esecutivo della Repubblica islamica volesse danneggiare i rapporti con Tokyo quando potrebbe essere un interlocutore fondamentale con gli Stati Uniti. Se invece, al contrario, si volesse trovare il motivo per le forze iraniane di colpire le petroliere, allora bisognerebbe trovarlo in due ipotesi. Da un lato, potrebbe esserci la volontà di esacerbare i toni del conflitto latente sfidando apertamente Washington e i suoi alleati, in modo da far capire che non scoppierà mai una vera guerra. Dall’altro lato, le forze interne che si oppongono all’establishment iraniano potrebbero anche volere un aumento della tensione per condurre a una militarizzazione dello scontro.
Dal punto di vista degli Stati Uniti, invece, le ipotesi sono diverse. È vero che all’America potrebbe servire un incidente, in stile Tonchino, per aumentare la tensione e incrementare la militarizzazione del Golfo Persico e la pressione sull’Iran. Ma è anche vero che una tensione che innalzi il prezzo del petrolio non giova al presidente Donald Trump, così come implicherebbe un intervento militare che la Casa Bianca vorrebbe evitare a ogni costo, pur con tutte le pressioni da parte dello Stato profondo. In questo senso, la strategia russa di predicare calma potrebbe essere l’unica via percorribile. E non a caso il Cremlino sta dicendo da subito di non arrivare a conclusioni affrettate: c’è molto da capire in dossier così delicato.
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