Lo ribadisco... il capitalismo sta crollando. E dopo la lettura dell'interessantissimo contributo di TTE ne sono ancora più convinto.
Necessitiamo urgentemente di definire un nuovo modello socio-economico.
Stiamo tornando alla localizzazione e alla prossimità? Il paradigma del futuro non sarà più globalizzazione, mondo globale, mercato globale (in una parola Nuovo Ordine Mondiale), ma localizzazione e prossimità e cura del territorio e delle persone che vi abitano?
Tante piccole comunità potrebbero autoregolarsi e autodeterminarsi in maniera efficiente ed efficace solo se saranno dotate di strumenti adeguati sia dal punto di vista culturali, sia dal punto di vista economico.. non è certamente facile, ma per 'vincere' la partita dobbiamo strappare al 'potere' gli strumenti con i quali ci hanno portato via la nostra libertà
La moneta unica a valor nominale è un fallimento, anzi una truffa come ho cercato di argomentare nel thread sotto riportato
Ma se la moneta a valor nominale non funziona allora quale può essere il miglior strumento finanziario a disposizione per regolare le transazioni economiche? Io ho fatto l'esempio della moneta merce, vincolata alla sua fisicità. Ma potrebbero essercene altri, ancora migliori.
Nell'articolo si parla di docenti della Bocconi, il che potrebbe portare qualcuno alla conclusione che si tratti del solito complotto stile Bilderberg collegando Bocconi a Monti.
Per questo mi preme riportare di seguito un link che spero possa farvi apprezzare il pensiero di questo professore che si concentra ancora una volta sulla 'moneta' e sul suo utilizzo.
Fonte:
http://www.politicasenzarete.com/node/230Un socialista utopista alla Bocconi. Massimo Amato e L'enigma della moneta.L'enigma della moneta, di Massimo Amato, docente di storia economica alla Bocconi, non è un altro libro sulla crisi della finanza. È un libro sullo statuto della moneta. La crisi è utilizzata per trattare questo statuto.
“La crisi - scrive Amato - coincide con il fatto che la moneta è tesaurizzata e non spesa, e che, quanto più con la sua tesaurizzazione aumenta il suo potere d'acquisto, tanto meno sono disponibili cose da acquistare, e tanto più aumenta la preferenza per la liquidità”. Si produce, insomma, quella paura che conduce alla cosiddetta trappola della liquidità, tale che, “nichilisticamente, si preferisce «volere il nulla piuttosto che non volere»”[L'enigma della moneta, et al., p.10].
La crisi e la moneta diventano la scusa per scrivere, sulla falsa riga del Nietzsche di Heidegger, un libro sul nichilismo, dove la parte della volontà di potenza è giocata dalla volontà econometrica.
La scienza economia, con i suoi calcoli, i suoi grafici, la computazione e il progetto, “afferma il dominio dell'uomo sul mondo a partire da una soggettività che si vuole incondizionatamente come il punto di concentrazione dell'universo”[p.24]
Durante le crisi economiche tutti i valori vengono ridotti a nulla. Le forze rimangono inutilizzate, e la disoccupazione, la miseria, la distruzione dei beni e degli impianti sono la regola.Come si arriva a questo stadio?
Vi si arriva perché la moneta è usata in modo improprio.La moneta, che “è la messa in opera della verità dello scambio”, e in quanto tale apre la dimensione dello scambio, facendo in modo che ciò che è misurabile sia misurato, diventa essa stessa un qualcosa di misurabile, diventa una merce.Nel prestito a interesse e nell'usura la moneta perde l'uso proprio e diventa una merce tra le merce. È così che lo scambio tra due merci si slega da ogni riferimento e limite, e diventa autoreferenziale.I valori, riferendosi l'un all'altro, in un gioco di specchi contrapposti, si rimandano le proprie immagini all'infinito, in un aumento di valore e di potenza, tanto fittizio quanto insensato: “sia l'inflazione sia l'interesse sono, in relazione alla moneta come misura, forme di perdita di senso.”122
Questa perdita di senso, che si manifesta in modo lampante nelle crisi, non è un fatto che inizia con la finanzia, e che finirà con essa. Non è neanche una questione del capitalismo o della remunerazione del capitale.
Quando si vede un banchiere centrale soggiacere alle crisi, e costretto ad immettere liquidità nel sistema, si misura tutta la sua impotenza, e si vede come il suo potere “deve risolversi nella pura funzione di un processo di cui non è garante ma parte. Un servus servorum, che non riceve però la sua posizione da un Deus, ma è ciberneticamente autorizzato da un processo che egli deve per parte sua contribuire a rendere sempre più incondizionato”248
Questa perdita di senso e di potere inizia con l'opacizzarsi dell'uso proprio della moneta. Un uso che non viene tolto, ma solo rimosso, e che lo si può riportare alla luce “percorrendo il piano inclinato che ha la sua origine in Aristotele”248
In Aristotele la moneta è ancora legge. Ma non una legge positiva, derivata da una contrattazione, o una legge naturale, scaturita dallo stato delle cose. La moneta, come legge dello scambio, è ciò che nello scambio si ritira per permettere che esso avvenga, che la misura sia determinabile, che le differenze siano ragguagliabili, che il diverso possa stare difronte al diverso come un pari: “la moneta non è un oggetto di scambio, perché è lo scambio. Proprio perché è, in un certo senso, lo scambio stesso, la moneta non può che ritirarsi da esso”242.
È a garanzia dello scambio che la moneta in quanto “legge dei contratti non è a sua volta passibile di diventare un oggetto di contrattazione”[256]
Se la moneta diventa essa stessa un oggetto di contrattazione, come nell'usura, si perde la misura. Ciò che misura, non può essere misurato.
Questo in soldoni il punto cardinale messo in luce da Amato.
Non rimane da chiedersi da dove provenga questa legge. “La moneta in quanto istituzione è una legge poeticamente prodotta per essere data alla paxis perché quest'ultima possa essere compiutamente ciò che è”252. Come dire, ciò che resta lo istituiscono i poeti. [cfr. Heidegger, La poesia di Hölderlin]
In questo libro Amato non indaga ulteriormente la questione della provenienza della moneta. Qui basti sapere che l'istituzione non è opera dell'uomo. Anche se oggi “ciò che determina l'essere, o meglio, ormai, il valore della moneta è semplicemente il consenso delle parti in vista di una convenienza, ossia dell'utilità”254
Accanto alla teoria di una moneta alla Heidegger-Lacan, emerge, qui e là nel libro, anche un'altra teoria.
In quest'altra teoria la moneta è ancora ciò che nello scambio si ritira per concedere l'ingresso alle merci. Ma ora questa mancanza è marcata nella merce come presenza di un'assenza.
La marca di questa assenza, che diventa l'emblema del valore, si manifesta come moneta spicciola: “in quanto moneta ricevuta, la moneta è sempre moneta di un «bisognoso»: bisognoso, innanzitutto, di fare di essa l'unico uso di cui è propriamente passibile, ossia cederla. La moneta è così il passaggio della mancanza nella comunità”232.
La moneta spicciola, la sola che può passare di mano in mano, passando trasmette anche la mancanza. In che modo?
Nello scambio le merci vengono comparate. Nella comparazione il diverso si presenta al diverso, ma “l'unità in cui consiste la comparatezza non è un'unità ontica”.
Due merci che si scambiano sono diverse, non avrebbe alcun senso scambiare due merci identiche. Va da se che due cose diverse sono tra loro incomparabili. E non sono neanche comparabili con una terza cosa, poiché anche questa terza cosa, per esempio la moneta spicciola, è una cosa diversa dalle prime due.
È così che Amato può concludere che l'unità di misura non può essere una cosa.
La moneta spicciola, che è una cosa e passa di mano in mano, e permette la comparazione di merci differenti, è una cosa, non ci sono dubbi.
Come può una cosa diventare il medium tra due cose?
Lo diventa nella misura in cui le cose oggetto di scambio, e dunque anche la moneta spicciola, siano “in uno stato di comparazione preventivo”219
La moneta spicciola è il porta-valore - e come porta valore va bene ogni altra merce. Anzi, ogni merce è un porta-valore, o un porta-valuta.
La valuta non è niente di materiale. Anche se, senza un materiale prodotto, non può darsi alcuna valorizzazione. Una valutazione senza un bene da valutare non ha luogo. La valorizzazione ha bisogno di un logo, e questo luogo è la merce, che perciò si presta a diventare porta-valuta.
A questo proposito, e per illustrare la questione, Amato presenta un esempio.
“Ciò che è proprio del calzolaio non è solo la sua opera (il calzare), ma anche, finché esso resta nelle sue mani, la sua specifica mancanza d'uso. Ciò che eguaglia gli scambianti è, inseparabilmente dalle loro dotazioni, la mancanza d'uso di quest'ultime, ossia il fatto che l'uso per il quale sono venute a essere, e che fa degli scambianti precisamente dei produttori all'interno di una divisione del lavoro, non è mai strutturalmente presso colui che produce l'opera, ma presso colui che la usa. Lo scambio è sempre uno scambio, in partita doppia, di mancanza contro mancanza... Nell'offerta, insomma, è già presente la domanda, nella forma di una mancanza che è propria dell'oggetto prodotto e che, al contempo, non gli può mai davvero appartenere come una quantità semplicemente giustapposta o semplicemente constatata a posteriori.”231
Il valore non si appiccica alla merce come un cartellino del prezzo, non è frutto di una contrattazione che avviene a cose fatte, come presume la teoria dei bisogni, e con essa tutta la microeconomia. Il valore deriva da uno stato di comparazione preventiva, tale che l'offerta sia già da sempre una domanda.
Nella merce offerta, se è offerta, vi è sempre, preventivamente, la marca della domanda. La marca della merce è il riferimento all'altro nel medesimo, che fa delle cose prodotte il luogo del valore e della valorizzazione.
Se poi la merce appare come una cosa imbrogliatissima, piena di sottigliezza metafisica e di capricci teologici, come una cosa sensibile sovrasensibile, che per soprammercato inizia a ballare, si mette a testa in giù, come se fosse dotata di vita propria, che se ne va in giro rivolgendosi a tutti, tanto a chi l'intende quanto a chi non ha nulla da fare, e non sa a chi gli convenga parlare e chi no, non bisogna stupirsi e richiedere un ritorno all'origine, o pretendere che il padre o il produttore gli venga in aiuto, perché essa da sola non può difendersi né aiutarsi.
Infine, bisogna aggiungere che la merce, in quanto riferimento preventivo all'altra merce, si riferisce a tutte le merce. Ogni merce, preventivamente, è un equivalente generale.
Se poi lo scambio non avviene, o non avviene con la merce con la quale era destinata a scambiarsi, bisogna metterlo in conto. Che lo scambio possa non avvenire, e rimanere una pura virtualità, che si possano cioè produrre delle crisi, bisogna metterlo in conto non come una deviazione dall'uso proprio della merce-porta-valuta, ma come una possibilità del suo uso proprio – ammesso e non concesso che una merce marcata dall'altro possa avere mai solo un uso proprio e non essere già, preventivamente, espropriata di ogni suo proprio.