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MessaggioInviato: 19/05/2012, 19:06 
L'esempio di Heyn dimostra che i paradigmi economici dell'FMI e delle altre organizzazioni leader del mondo economico-finanziario hanno l'effetto contrario dell'obiettivo che vogliono raggiungere.

Dimostra anche che uscire dalla crisi è possibile.

Ma dobbiamo prima renderci conto che FMI, BCE e compagnia bella hanno uno scopo diverso da quello che i mass-media ci fanno credere.

Hanno creato la crisi economica e con essa si sono impadroniti del mondo. Ci fanno credere quello che vogliono, fino che perdere i nostri diritti e le nostre libertà ci consentirà di uscire dalla crisi: niente di più falso!

Heyn lo dimostra bene. Le vie che ci condurranno fuori dalla crisi economica e a riappropiarci dei nostri diritti e delle nostre libertà sono l'opposto di quelle avanzate dall'attuale gotha politico-economico-finanziario.

Hanno una paura immensa dell'uscita della Grecia dall'eurozona poichè se ciò dovesse consentire alla grecia i risultati portati a casa dall'argentina diventerebbe di esempio per gli altri popoli d'europa... ecco perchè la distruggeranno piuttosto che accettare la sua defezione dall'euro.

Loro prosperano nell'ignoranza delle persone: dell'Argentina si parlò ampiamente quando stava fallendo... ma nulla si disse della sua ripresa economica e questo perchè dimostrava l'inefficacia delle politiche di rigore e austerità promosse in Europa (ricordo Trichet). Politiche che ci hanno condotto fin qui...

E allora il 2012 diventa l'anno in cui queste verità devono essere portate alla conoscenza di tutti. Solo in questo modo si potrà costruire un mondo diverso, fondato su nuovi paradigmi socio-economici.

Il modello economico del comunismo è fallito
Il modello economico del capitalismo così come è stato realizzato sta fallendo

Quale sarà il prossimo?

Io vorrei vedere creare un nuovo modello economico-sociale fondato su nuovi modelli, nuovi strumenti: moneta merce? FIL? MMT? Sono solo alcuni esempi, non so nemmeno se saranno davvero validi.

Ma so per certo che quello attuale non funziona più.

Vorrei vedere nelle 'stanze dei bottoni' uomini che discutono di questo, uomini come Heyn che sfidano lo status quo dettato dai 'vecchi', uomini che pensano che un nuovo mondo migliore è possibile... ce ne sono, ma rimangono emarginati, tagliati fuori da un sistema di potere dove anche i media fanno la loro parte.

Ma oggi non sono solo i media a influenzare l'opinione pubblica. Il potere di internet è immenso!

E' da qui che dobbiamo iniziare. Ne sono convinto: forum, blog, social network sono l'ambiente ideale per suscitare discussioni, divulgare informazioni e, indirettamente, dare forza e sostegno a quegli uomini (sono convinto ci siano) che possono fare la differenza.



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MessaggioInviato: 20/05/2012, 01:12 
Cita:
Atlanticus81 ha scritto:

L'esempio di Heyn dimostra che i paradigmi economici dell'FMI e delle altre organizzazioni leader del mondo economico-finanziario hanno l'effetto contrario dell'obiettivo che vogliono raggiungere.

Dimostra anche che uscire dalla crisi è possibile.

Ma dobbiamo prima renderci conto che FMI, BCE e compagnia bella hanno uno scopo diverso da quello che i mass-media ci fanno credere.

Hanno creato la crisi economica e con essa si sono impadroniti del mondo. Ci fanno credere quello che vogliono, fino che perdere i nostri diritti e le nostre libertà ci consentirà di uscire dalla crisi: niente di più falso!

Heyn lo dimostra bene. Le vie che ci condurranno fuori dalla crisi economica e a riappropiarci dei nostri diritti e delle nostre libertà sono l'opposto di quelle avanzate dall'attuale gotha politico-economico-finanziario.

Hanno una paura immensa dell'uscita della Grecia dall'eurozona poichè se ciò dovesse consentire alla grecia i risultati portati a casa dall'argentina diventerebbe di esempio per gli altri popoli d'europa... ecco perchè la distruggeranno piuttosto che accettare la sua defezione dall'euro.

Loro prosperano nell'ignoranza delle persone: dell'Argentina si parlò ampiamente quando stava fallendo... ma nulla si disse della sua ripresa economica e questo perchè dimostrava l'inefficacia delle politiche di rigore e austerità promosse in Europa (ricordo Trichet). Politiche che ci hanno condotto fin qui...

E allora il 2012 diventa l'anno in cui queste verità devono essere portate alla conoscenza di tutti. Solo in questo modo si potrà costruire un mondo diverso, fondato su nuovi paradigmi socio-economici.

Il modello economico del comunismo è fallito
Il modello economico del capitalismo così come è stato realizzato sta fallendo

Quale sarà il prossimo?

Io vorrei vedere creare un nuovo modello economico-sociale fondato su nuovi modelli, nuovi strumenti: moneta merce? FIL? MMT? Sono solo alcuni esempi, non so nemmeno se saranno davvero validi.

Ma so per certo che quello attuale non funziona più.

Vorrei vedere nelle 'stanze dei bottoni' uomini che discutono di questo, uomini come Heyn che sfidano lo status quo dettato dai 'vecchi', uomini che pensano che un nuovo mondo migliore è possibile... ce ne sono, ma rimangono emarginati, tagliati fuori da un sistema di potere dove anche i media fanno la loro parte.

Ma oggi non sono solo i media a influenzare l'opinione pubblica. Il potere di internet è immenso!

E' da qui che dobbiamo iniziare. Ne sono convinto: forum, blog, social network sono l'ambiente ideale per suscitare discussioni, divulgare informazioni e, indirettamente, dare forza e sostegno a quegli uomini (sono convinto ci siano) che possono fare la differenza.



Tutto giusto... dalla A alla Z. Ma temo che prima di ciò, quei personaggi debbano essere spodestati dal ruolo che ricoprono. E per fare questo, bisogna proprio togliere l'ossigeno che respirano.

La rivoluzione culturale in grado di alimentare la coscienza collettiva dei popoli è già attiva. E il processo, fortunatamente, sembra essere più veloce di quanto si poteva sperare. Ora però, il passo successivo non può che essere rappresentato dall'azione. Cioè da quella strategia condivisa e stratificata a più livelli capace di chiudere le valvole di ossigeno di cui sopra....



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MessaggioInviato: 20/05/2012, 01:54 
Esiste una Via di Fuga dall'Euro?

http://www.usemlab.com/index.php?option ... Itemid=176

Tradotto da Francesco Simoncelli per Ludwig von Mises Italia e con una lunghissima bibliografia di riferimento per chiunque volesse approfondire la questione, presento uno splendido articolo di Philipp Bagus (http://www.mises.org/daily/6009/Is-Ther ... m-the-Euro), autore della Tragedia dell'Euro (http://shop.usemlab.com/it/), su costi e benefici delle possibili vie d'uscita dall'Euro. L'articolo in alcuni passi è stato da me rivisto e corretto.

Come ho discusso di recente (in L'eurozona, un groviglio di azzardo morale), i costi e i rischi di mantenere il sistema dell’eurozona sono già immensi e crescenti. Esiste una via d’uscita? Intuitivamente, uscire dall’euro dovrebbe essere facile come esservi entrati. Unirsi e lasciare il club dovrebbe essere altrettanto semplice. Lasciarlo equivarrebbe semplicemente a disfare ciò che è stato fatto prima.

Molti articoli popolari discutono delle prospettive di un’uscita di paesi come la Grecia o la Germania.[1] Tuttavia, altre voci hanno giustamente sostenuto che esistono problemi importanti. Alcuni autori sostengono addirittura che questi problemi renderebbero l’uscita dall’euro praticamente impossibile. Così, Eichengreen (2010) afferma, “La decisione di aderire alla zona euro è effettivamente irreversibile.” Allo stesso modo, Porter (2010) sostiene che i grandi costi di un abbandono dell’eurozona lo renderebbero altamente improbabile. Qui di seguito affrontiamo questi presunti problemi annessi a un’uscita dall’euro.

Problemi Legali

Il Trattato di Maastricht non prevede un meccanismo d’uscita dall’Unione Monetaria Europea (UME). Diversi autori sostengono che l’uscita dall’euro costituirebbe una violazione dei trattati (Cotterill 2011, Procter and Thieffry 1998, Thieffry 2011, Anthanassiou 2009).[2] In un documento di lavoro della BCE del 2009 Anthanassiou sostiene che un paese che decidesse di uscire dall’UME dovrebbe lasciare anche l’Unione Europea. Poiché il Trattato di Lisbona consente la secessione dall’Unione Europea, il ritiro dall’UE sarebbe l’unico modo per sbarazzarsi dell’euro.

La soluzione a questo problema giuridico potrebbe essere l’uscita sia dall’UME che dall’UE con un immediato rientro nell’UE. Questa procedura potrebbe eventualmente essere negoziata in anticipo. Nel caso di un contribuente netto al bilancio dell’UE come la Germania, il paese in questione probabilmente non avrebbe alcun problema a farsi riammettere immediatamente nell’Unione Europea.

In ogni caso, quando si discute della possibilità giuridica di uscita dall'euro il riferimento al Trattato di Maastricht risulta particolarmente intrigante: la "clausola" del trattato che proibisce i salvataggi infatti è già stata violata nel caso di Grecia, Irlanda e Portogallo. Senza neanche doversi spingere a parlare dei piani mirati a introdurre gli eurobond, in termini pratici possiamo affermare come il Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria sia già servito a garantire i debiti delle altre nazioni.

La Banca Centrale Europea ha violato inoltre lo spirito del Trattato di Maastricht con l’acquisto del debito dei paesi in difficoltà. Sembra una giustificazione, se non un obbligo, poter lasciare l’euro dopo che le sue condizioni d’esistenza siano state violate.[3] In effetti, la Corte Costituzionale Tedesca ha stabilito nel 1993 che la Germania avrebbe potuto lasciare l’euro se non fossero stati raggiunti gli obiettivi di stabilità monetaria (Scott 1998, p. 215). In questi ultimi due anni il fatto che l’eurozona e l’euro siano lungi dall’essere stabili è oramai diventato un dato di fatto. Oltre a queste considerazioni si deve poi rilevare come uno stato sovrano possa sempre decidere di ripudiare il trattato (Deo, Donovan, e Hatheway 2011).

Un altro problema legale deriva dalla possibile ridenominazione dei contratti a seguito di un’uscita dall’euro. Un governo potrebbe ri-denominare i contratti in euro nella nuova valuta (applicando la lex monetae — lo stato determina la propria valuta). Potrebbe farlo senza alcun problema qualora i contratti fossero stati stipulati nel suo territorio o sotto la propria legge. Ma per quanto riguarda bond pubblici e privati emessi in paesi stranieri? Come giudicherebbero la vicenda i tribunali internazionali (Scott 1998, p. 224)?

Immaginate una compagnia tedesca che ha venduto un’obbligazione a Parigi. Se la Germania lasciasse l’euro, il bond verrebbe pagato in euro o nella nuova valuta? Il tribunale francese probabilmente deciderebbe per un rimborso in euro.[4] Forse anche la Corte di Giustizia Europea si pronuncerebbe su tale questione. Pertanto, nel caso di un’uscita, ci sarebbe qualche incertezza causata dalle sentenze dei tribunali. Ci potrebbero essere perdite o profitti una tantum per le parti coinvolte. Tuttavia, è difficile che tali sentenze possano costituire un ostacolo insormontabile per un'eventuale uscita dall’euro.[5]


Costi d’Introduzione

L’uscita dall’euro significa emettere una nuova valuta nazionale. Ciò comporterebbe costi per la stampa di nuove banconote, il conio di nuove monete, il cambio dei distributori automatici, ecc. Ci sarebbero anche costi logistici nello scambio della nuova valuta in cambio di vecchia. Questi costi non sarebbero tuttavia superiori ai costi già sostenuti per l'introduzione dell’euro. In Austria, essi sono stati stimati a €1.45 miliardi o circa lo 0.5% del PIL.[6]


Inflazione nei Salari e Tassi d’Interesse Superiori

Spesso viene avanzata l'idea che i paesi periferici, con salari non competitivi, possano riuscire magicamente a risolvere i propri problemi semplicemente uscendo dall’euro. La Grecia, ad esempio, soffre di salari troppo alti soprattutto perché non c’è un libero mercato del lavoro. I sindacati hanno reso i salari troppo elevati. Il tasso di disoccupazione risultante era stato attenuato dalla spesa a deficit e dall’accumulo di debito reso possibile dall’Eurosistema. Il governo greco dava occupazione a troppe persone con salari elevati, pagava troppe indennità di disoccupazione e mandava i lavoratori in pensione troppo presto e con pensioni molto alte.

Dal momento che i sindacati hanno la forza di impedire una caduta dei salari per recuperare competitività, alcune persone consigliano che la Grecia esca dall’euro, svaluti la moneta, e quindi aumenti la competitività in questo modo. C’è però un problema. Se i sindacati rimangono forti, possono semplicemente chiedere nuovi aumenti salariali per compensare l’aumento dei prezzi dei beni importati (Eichengreen 2010, p. 8). Tale aumento compensatorio dei salari eliminerebbe tutti i vantaggi della svalutazione.[7] L’uscita dovrebbe essere quindi accompagnata da una riforma del mercato del lavoro, al fine di migliorare la competitività. In ogni caso, dopo l’uscita dall’UME, il governo Greco non potrebbe più utilizzare la redistribuzione monetaria dell’Unione Monetaria e la spesa a deficit per spingere artificialmente i salari verso l’alto.

Allo stesso modo, un abbandono dell’euro senza ulteriori riforme potrebbe portare ad un ripudio del debito pubblico. Ciò implicherebbe tassi d’interesse più elevati per il governo (Eichengreen 2008, p. 10). Una riforma delle istituzioni fiscali come ad esempio una limitazione costituzionale ai deficit di bilancio, potrebbe alleviare questo problema.

La Fine della Redistribuzione Monetaria tra i Paesi

Alcuni paesi beneficiano della configurazione monetaria dell’UME. Essi pagano tassi d’interesse più bassi sui loro debiti rispetto a quanto sarebbe stato altrimenti. Se un paese come la Grecia uscisse dall’euro e ripagasse i propri debiti con una nuova valuta svalutata, si troverebbe a pagare interessi più alti.

Inoltre, quei paesi che si ritrovano nelle stesse condizioni della Grecia non potrebbero più beneficiare di alcuna redistribuzione monetaria. Il governo greco, e, indirettamente, una parte della popolazione greca, in passato hanno beneficiato degli elevati deficit e del flusso di nuovi capitali nel paese. Questo processo ha permesso alla Grecia di finanziare un’eccedenza nelle importazioni e un tenore di vita che non avrebbe potuto raggiungere altrimenti. Almeno nel breve termine, l’uscita dall’euro significherebbe, ceteris paribus, un peggioramento del tenore di vita mantenuto finora artificialmente alto. In altre parole, dopo l’uscita dall’UME, la dimensione del settore pubblico e il tenore di vita probabilmente calerebbero in risposta alla fine delle sovvenzioni dell’UME. Questi costi si applicherebbero solo a quei paesi che finora hanno beneficiato delle politiche redistributive. Per i paesi fiscalmente più solidi, il ragionamento sarebbe speculare.

Perdite Commerciali

Alcuni autori sostengono che il commercio europeo crollerebbe a seguito di un’uscita dell’euro. Verrebbero nuovamente erette barriere commerciali. Alcune valute potrebbero apprezzarsi considerevolmente, ad esempio nel caso di un nuovo marco (DM). In una ricerca dell'UBS, Flury e Wacker (2010, p. 3) stimano che un nuovo eventuale DM si apprezzerebbe di circa il 25% rispetto ai valori attuali dell'euro.

In contrapposizione ad un'altra ricerca sempre dell'UBS (Deo, Donovan e Hatheway 2011), la quale presenta costi terribili associati ad una rottura dell’euro, [8] non riterrei plausibile l'idea delle barriere commerciali per diverse ragioni. In primo luogo, tali barriere causerebbero un disastro economico per tutte le parti coinvolte, porterebbero a una grave e lunga depressione e a una riduzione del tenore di vita. In secondo luogo, i contribuenti netti al bilancio dell’Unione Europea, come la Germania, potrebbero ancora utilizzare i loro trasferimenti all’Unione Europea come carta negoziale per evitare tali ostacoli. In terzo luogo, le barriere commerciali sono una palese violazione dei trattati dell’UE. In quarto luogo, le tariffe potrebbero provocare gravi tensioni fra le nazioni, che potrebbero sfociare addirittura in una guerra.


Costi Politici

Talvolta si sostiene che l’uscita dall’euro comporti elevati costi politici. Cosa più importante, un’uscita potrebbe innescare lo scioglimento dell’euro.[9] La disintegrazione dell’UME potrebbe compromettere lo sviluppo di uno stato federale europeo. Come minimo, ciò infliggerebbe un pesante colpo al “progetto Europeo.” Potrebbe significare la fine dell’Unione Europea così come la conosciamo oggi. L’UE potrebbe “degenerare” in una semplice zona di libero scambio.

I politici del paese uscente perderebbero influenza sulle politiche di altri paesi dell’Unione Monetaria. Inoltre perderebbero l’apprezzamento degli altri politici dell’UME e dei media mainstream, che hanno sostenuto l’euro con fermezza. Tuttavia, per i sostenitori di una zona di libero scambio europea, tali costi politici si tradurrebbero solo in immensi benefici mentre i pericoli associati ad uno stato federale europeo sparirebbero.

Costi procedurali e flussi di capitale

Una nazione che decidesse di lasciare l’eurozona dovrebbe stampare nuove banconote, coniare nuove monete, riprogrammare tutte le macchine per i pagamenti automatici e adattare i diversi software attualmente in uso (Eichengreen 2008, p.17). [10] Queste operazioni richiedono tempo. Il problema delle macchine non dovrebbe essere tragico: durante il periodo di transizione, i vecchi dispositivi potrebbero rimanere in uso senza che ciò comporti alcun caos. Un parcheggio pubblico che richiede pagamenti in euro non farà crollare l’economia.

Il problema di conversione delle monete e delle banconote ha una soluzione veloce perché in entrambi i mezzi di pagamento è ben identificabile il paese d’origine. Le monete hanno immagini specifiche di ogni paese e le note recano una lettera che identifica dove sono state stampate. Se la Germania uscisse dall’euro, tutte le monete e le banconote tedesche dovrebbero essere ri-denominate nella nuova moneta e più tardi scambiate con nuove monete e banconote. [11] Ovviamente il periodo di transizione comporterebbe alcuni costi di “controllo” dal momento che il pagamento in contante richiederebbe la verifica dei simboli sulle banconote.

Il problema più grosso in realtà – uno che secondo Eichengreen (2010) costituirebbe una barriera “insormontabile” – è quello dei flussi monetari che avrebbero luogo non appena si discutesse un’eventuale uscita dall’Unione Monetaria. [12] Queste decisioni, in una democrazia, richiedono tempo. Nel frattempo, avverrebbero ingenti trasferimenti di capitale. [13]

Per prima cosa discutiamo il problema di una fuga di capitali nel caso dell’uscita della Grecia dall’eurozona, senza dovute riforme di accompagnamento. Se i politici greci discutessero seriamente di abbandonare l’euro, i cittadini si aspetterebbero una svalutazione della nuova moneta, la dracma. Trasferirebbero, quindi, gli euro dai loro conti presso le banche greche verso le banche degli altri paesi dell’Unione. Molto probabilmente non scambierebbero volontariamente i loro euro con la nuova dracma.

Inoltre potrebbero acquistare altre monete come il franco svizzero, il dollaro americano o anche oro, per proteggersi dalla svalutazione imminente. In questo modo molti soggetti potrebbero immunizzarsi dalla dracma ancora prima della sua introduzione. Ma come conseguenza il sistema bancario potrebbe andare incontro a severi problemi di liquidità e di insolvenza. Nel frattempo i cittadini greci continuerebbero a commerciare in euro al di fuori della giurisdizione greca.

Questo è il cosiddetto “problema” della fuga di capitali. Tuttavia esso in realtà non costituisce affatto un problema per gli ordinari cittadini. Per loro questa è piuttosto la soluzione al problema di riavere una moneta inflazionata. Dopotutto queste fughe di capitali stanno già avvenendo. La discussione in parlamento di un possibile abbandono della moneta unica non farebbe altro che accelerare questo processo in atto già oggi.

Il ragionamento opposto si applicherebbe qualora fosse un paese più solido come la Germania a discutere la propria uscita dall’eurozona. Se le persone si aspettassero un apprezzamento della nuova moneta introdotta in un determinato paese, i flussi di capitale sarebbero in entrata, non in uscita. La quantità di euro presenti in Germania, da convertire poi nella nuova moneta, aumenterebbe. I prezzi degli asset tedeschi (es. case e azioni) aumenterebbero a fronte delle aspettative di un’effettiva uscita della Germania dall’eurozona, beneficiando i proprietari di quegli asset.


Una crisi sistemica del settore bancario

Alla fine ci potrebbe anche essere un effetto negativo sul sistema bancario in quanto, molto probabilmente, emergerebbero delle perdite per le banche tanto nazionali che straniere. [14][15] Eichengreen (2010) teme che ciò possa evolvere nella "madre di tutte le crisi finanziarie”. A causa dell’interconnessione tra i diversi sistemi bancari, ciò potrebbe verificarsi a prescindere dal fatto che sia la Germania oppure la Grecia a lasciare l’euro. Se fosse la Grecia a farlo, ripagando i propri bond con una moneta svalutata oppure facendo direttamente default, le perdite per le banche europee saranno tali da causare una insolvenza sistemica. Allo stesso modo, se fosse la Germania a lasciare l’euro, sparirebbero tutte le garanzie implicite e il supporto da essa fornito all’Eurosistema. Il risultato potrebbe essere una crisi bancaria in Grecia e negli altri paesi. Crisi che potrebbe ripercuotersi negativamente anche sulle banche tedesche.[16] A cascata una crisi bancaria avrebbe un effetto negativo sui debiti sovrani, poiché le banche dovrebbero ricapitalizzarsi. Altri paesi potrebbero essere ritenuti a rischio oppure considerati prossimi a lasciare l’unione e questo porterebbe a tassi d’interesse più alti sui debiti pubblici. Il risultato più probabile sarebbe una crisi finanziaria sistemica con ripercussioni sui paesi più deboli (Boone e Johnson 2011).

Recentemente il FMI ha suggerito che le banche europee mettano in conto circa 300 miliardi di euro di perdite potenziali e le ha sollecitate a ricapitalizzarsi. [17] Dovremmo sottolineare come, all’interno dell’Unione Monetaria, già ora esiste esiste un problema di sottocapitalizzazione bancaria e di investimenti in cattivi asset che è destinata comunque a deteriorarsi.

È quasi impossibile lasciare l’euro senza che queste strutture già barcollanti non collassino del tutto. Tuttavia questo collasso avrebbe anche come effetto positivo proprio quello di liberarci dalle strutture insostenibili. Anche se nessun paese lascerà l’euro, i problemi per le banche rimangono dove sono e, prima o poi, dovranno essere affrontati. Il fatto che sussista la possibilità di insolvenze bancarie non può pertanto essere utilizzato come argomento contro l’uscita dall’euro. [18] I contribuenti dell’Unione Monetaria (i tedeschi hanno il carico maggiore) e le misure inflazioniste della BCE stanno, per ora, tamponando la situazione. Un’uscita accelererebbe solamente la ristrutturazione del sistema bancario europeo.

A questo punto vorrei dare le seguenti raccomandazioni come soluzione per una crisi bancaria. Si tratta di soluzioni importanti ai problemi di solvibilità delle banche che sono offerti solo da un libero mercato. [19]

- Le banche con un modello di business non sostenibile dovrebbero essere lasciate fallire, liberando capitale e risorse per altre attività d’impresa.

- Una conversione debt-to-equity (debito trasformato in capitale azionario) potrebbe rimettere in sesto molte banche. [20]

- Le banche potrebbero raccogliere capitale privato con emissioni azionarie, come stanno già facendo.


Una riforma orientata al libero mercato avrebbe importanti vantaggi:

- I contribuenti non sarebbero danneggiati.

- Le banche fallite chiuderebbero i battenti. Siccome il settore bancario è sovradimensionato, verrebbe ridotto a dimensioni più sane e sostenibili.

- Non sarebbero necessarie politiche inflazioniste a sostegno del sistema bancario.

- Senza salvataggio istituzionale offerto alle banche, si eviterebbe qualunque problema legato all'azzardo morale.


Il problema di scorporare la Banca Centrale Europea

L’Eurosistema è costituito dalla BCE e dalle banche centrali nazionali. Lo scorporo sarebbe facilitato in quanto le banche centrali nazionali continuerebbero a essere titolari delle proprie riserve e dei propri bilanci. Scott (1998) sostiene che questa configurazione possa essere stata intenzionale. I paesi volevano tenersi una via d’uscita dall’euro, da utilizzare in caso di necessità.

Il 1° gennaio 1999, la BCE ha iniziato le proprie operazioni con un capitale di 5 miliardi di euro. Nel dicembre 2010 il capitale è stato incrementato da 5,76 miliardi di euro a 10,76 miliardi. [21]

Solo una parte di tutti gli asset tenuti a riserva dell’Unione Monetaria sono finiti nel calderone della BCE e questo rende lo scorporo più facile. Il 1° gennaio 1999 le banche centrali nazionali hanno fornito pro rata un contributo di capitale alla BCE di 50 miliardi di euro (Procter e Thieffrey 1998, p.6). Le banche centrali nazionali hanno però mantenuto la “proprietà” di questi asset di riserva e ne hanno soltanto trasferito il controllo alla BCE. (Scott 1998, p.217). Nel caso di un’uscita, sia la restituzione dei contributi al capitale della BCE sia gli asset trasferiti all’Eurosistema dovrebbe essere soggetti a una negoziazione tra le parti coinvolte (Anthanassiou 2009).

In modo simile, ci sarebber il problema dei crediti e dei debiti del sistema denominato TARGET2. Se la Germania avesse lasciato l’Unione Monetaria nel 2012, la Bundesbank avrebbe trovato sul suo bilancio più di 616 miliardi in crediti denominati in euro. Se l’euro si deprezzasse nei confronti del nuovo marco tedesco, vi sarebbero perdite molto significative per la Bundesbank. [22] Come conseguenza, il governo tedesco potrebbe essere costretto a ricapitalizzare la Bundesbank. Teniamo conto, però, che queste perdite sarebbero soltanto un riconoscimento dei rischi e delle perdite che la Bundesbank e il governo tedesco dovranno affrontare all’interno dell’Unione. Il rischio sta crescendo ogni giorno che la Bundesbank trascorre all’interno dell’Unione Monetaria.

Se al contrario, fosse la Grecia a lasciare l’Unione, sarebbe per lei molto meno problematico. La Grecia pagherebbe semplicemente i crediti che deve alla BCE con le sue nuove dracme, causando perdite alla Banca Centrale Europea. I depositanti trasferirebbero i loro conti dalle banche greche a quelle tedesche, conferendo alla Bundesbank ulteriori crediti verso il sistema TARGET2. Man mano che il rischio creditizio per la Bundesbank continua a salire, a causa di questi surplus verso il sistema TARGET2, la Bundesbank stessa potrebbe decidere di staccare la spina all’euro (Brookes 1998). [23]


Conclusioni

L’onestà intellettuale ci richiede di ammettere come un eventuale abbandono dell’euro possa essere causa di costi importanti riconducibili prevalentemente a problemi legali e alle procedure di scorporo della BCE. Tuttavia questi costi potrebbero essere mitigati da riforme adeguate e da una intelligente gestione del dopo euro. Alcuni di questi presunti costi, come ad esempio i costi politici o i liberi flussi di capitale, costituiscono in realtà dei benefici, almeno dal punto di vista delle libertà coinvolte. In realtà, alcuni costi potrebbero essere visti come un’opportunità: ad esempio una crisi bancaria potrebbe costituire ed offrire un'occasione unica per riuscire a riformare il sistema finanziario erigendolo finalmente su basi solide.

In ogni caso, tutti questi costi dovrebbero essere confrontati con gli enormi benefici offerti dall'implosione dello stesso Eurosistema che l'abbandono di uno o più paesi molto probabilmente causerebbe. Uscire dall’euro significa infatti abbandonare un sistema monetario inflazionista, autodistruttivo, con welfare state crescente, competitività in declino, salvataggi bancari, sussidi, trasferimenti, azzardo morale, conflitti tra nazioni, centralizzazione e una perdita generale di libertà.


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NOTE

[1] Reiermann (2011) ha discusso dei rumors riguardo una possibile uscita della Grecia dall’euro. Desmond Lachman (2011) sostiene che l’uscita della Grecia dall’eurozona è inevitabile. Feldstein (2010) raccomanda alla Grecia di prendersi “una vacanza” dall’euro. Johnson (2001) e Roubini (2011) raccomandano alla Grecia di lasciare l’euro e fare default. Alexandre (2011) e Knowles (2011) si domandano in che modo la Grecia potrebbe uscire dall’euro. Edmund Conway (2001) al contrario, pensa che dovrebbe essere la Germania a lasciare l’eurozona. David Champion (2011) considera anche lui la possibilità che la Germania abbandoni l’euro.

[2] Smits (2005, p. 464) scrive, “non esiste un modo legale per lasciare l’eurozona. Quindi un eventuale abbandono dalla moneta unica potrà essere raggiunto solo tramite negoziato oppure, se non si trova un accordo, lasciando direttamente l’Unione Europea dopo il preavviso di due anni.”

[3] Anthanassiou (2009, p. 19), al contrario argomenta che nessun paese può lasciare l’eurozona per protesta.

[4] Mann (1960) sostiene che non è chiaro quale moneta dovrebbe essere utilizzata, la corte dovrebbe utilizzare quella specificata nel contratto. Quindi se i bond dell’azienda tedesca sono venduti a Parigi sotto la legge francese, il contratto dovrebbe essere pagato in euro. Porter (2010, p.4) giunge alla stessa conclusione

[5] Thieffry (2011, p. 104) teme “una serie dislocazione nei mercati dei bond governativi e un lungo periodo di incertezza.” In realtà problemi per i governi irresponsabili nel finanziare la loro spesa in deficit potrebbero avere effetti benefici.

[6]Vedi Newsat (2001).

[7] L’argomentazione per cui si può alzare la competitività tramite svalutazione ha altri problemi fondamentali (Rallo 2011, p.158). Mentre è importante abbassare alcuni prezzi nei confronti del resto del mondo (es. i salari i alcuni settori), la svalutazione abbassa tutti i prezzi allo stesso modo. Inoltre fa diventare più care le importazioni. Se un paese deve importare merci e beni che poi più tardi saranno esportati, la svalutazione potrebbe non aumentare per nulla la competitività.

(8) Gli autori stimano che l’abbandono della moneta unica costi tra i 9500€ e gli 11500€ a persona per i paesi “deboli” e tra i 6000€ e gli 8000€ per quelli “forti.” Gli autori paragonano questi numeri con il costo di 1000€, cifra relativamente minore, per il contribuente tedesco nel caso di un default del 50% del debito greco. Queste stime non tengono in cosiderazione alcuni importanti benefici dell’uscita dall’euro e ne esagerano i costi. Per esempio, non tengono in considerazioni i costi di lungo termine di un’unione fiscale oppure di un’inflazione più alta. Inoltre assumono che i paesi “forti” che lasciano l’Unione debbano “smantellare la loro industria esportatrice” mentre per i paesi deboli prevedono la possibilità di rivolte, che in realtà sono molto più alte se questi paesi rimarranno nell’eurozona.

[9] Sulla storia del progetto politico dell’euro come mezzo per costruire uno stato europeo centralizzato vedi Bagus (2010).

[10] Flury e Wacker (2010) stimano un anno di transizione per rendere operativa la nuova moneta.

[10] Una soluzione alternativa potrebbe essere quella di marchiare tutte le banconote in circolazione in un breve periodo di tempo. Tuttavia c’è la possibilità di un massiccio afflusso di banconote o di una popolazione che si rifiuta di consegnare le proprie per paura di una futura svalutazione. Quindi riteniamo che lo scambio di banconote che hanno come indicazione la lettera della nazione di origine come più pratica, anche se alcune di quelle banconote stanno circolando in altri paesi dell’Unione Monetaria. [12] Smith (2005, p. 465) points to the instability caused by speculations about an exit: “even the threat of withdrawal will affect the euro stability and may lead to speculation against the single currency.” Scott (1998, p. 211) argues that speculation on which country is to leave may lead to a breakup of the eurozone.

[13] Porter (2010, p.6 ) descrive lo scenario seguente: Se ci si aspetta che la Germania introdurrà una moneta forte, le banche trasferiranno i loro depositi in Germania. Potrebbero prendere in prestito denaro al tasso di sconto dalla loro banca centrale e depositare alla Bundesbank. Il bilancio della Bundesbank si espanderebbe sostanzialmente. Porter suggerisce di chiudere senza preavviso il sistema TARGET2

[14] Un altro dei supposti problemi è il rischio di contagio. Se un paese lascia l’eurozona, gli investitori potrebbero vendere il debito di altri paesi deboli e delle loro banche, facendo scattare altre uscite. Il problema di contagio non ci interessa qui perché vogliamo proprio discutere la possibilità di lasciare l’euro. Se questa possibilità esiste ed è desiderabile, il rischio contagio non pone problemi insormontabili ma potrebbe anzi essere una conseguenza desiderabile.

[15] Come Porter (2010, p.5) sottolinea, un’uscita risulterebbe in un disallineamento monetario per molte banche e aziende. Improvvisamente si ritroverebbero con crediti e debiti denominati in una moneta straniera con un valore fluttuante e questo risulterebbe in profitti o perdite. Poiché la Germania ha un eccesso di crediti stranieri rispetto ai debiti, una sua uscita probabilmente condurrebbe ad un apprezzamento della nuova valuta tedesca e quindi a perdite. Queste perdite danneggerebbero i bilanci di aziende e banche.

[16] Flury e Wacker (2010) discutono questo e altri problemi relativi a un’uscita della Germania dall’euro.

[17] Vedi Reddy (2011).

[18] Ci si potrebbe pure chiedere se un paese avrebbe dovuto rifiutare la possibilità di secedere dall’Unione Sovietica per paura di problemi nel settore bancario.

[19] Per un piano dettagliato e una critica dei bailout del 2008, vedi Bagus e Rallo (2011)

[20] Idealmente questa conversione sarebbe volontaria. Se i creditori delle banche non vogliono convertire i loro investimenti in azioni, la banca dovrebbe esser liquidata con grandi perdite per loro dovute alla svendita degli asset della banca. Quindi, c’è un incentivo peri creditori a convertire i debiti bancari in azioni, se il modello d’impresa è solido. Facendo così possono prevenire perdite maggiori dovuto alla liquidazione. Al contrario, Buiter (2008) ha suggerito una conversione forzata e involontaria di tutti i debiti in azioni. Questa misura non è necessaria se permettiamo alle banche di fallire.

[21] La quota di partecipazione della Bundesbank è del 27,1 per cento. La quota capitale pagata è di 1,4 miliardi di euro. (Se includiamo anche i paesi soci che però non sono membri dell’eurozona, la quota di capitale della Bundesbank scende al 18,93%)

[22] Una svalutazione dell’euro implica una perdita di quasi 100 miliardi.

[23] Bisogna considerare che i crediti e i debiti nel sistema TARGET2 non sono nei confronti delle altre banche centrali ma consistono in una posizione netta nei confronti solo della BCE (Whittaker 2011). Vedi anche Bundesbank (2011b, p. 34).


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http://www.zerohedge.com/article/fatal- ... ry-germans



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Francoforte blindata contro la marcia Occupy

Dopo gli arresti nella città della Bce restano solo i tedeschi a protestare. Il corteo, più piccolo del previsto, sfila senza incidenti nel centro cittadino. Zona rossa blindata dalle forze dell'ordine

di Vittorio Malagutti | 20 maggio 2012

Occupy Frankfurt? Bè, insomma, mica facile. Con 5 mila poliziotti che da tre giorni presidiano il centro della capitale finanziaria d’Europa e qualche chilometro di transenne per isolare i cosiddetti obiettivi sensibili, a cominciare dalla sede della Bce, diventa un’impresa complicata far sentire le ragioni della protesta contro il potere delle banche. Eppure ieri, nell’unica manifestazione consentita dalle autorità locali, un corteo pacifico e allegro ha portato gli slogan degli indignati nel santuario del capitalismo tedesco, ai piedi dei colossali grattacieli della Deutsche bank e della Commerzbank, poco distante dall’Eurotower, che ospita gli uffici della Banca centrale europea. “Siamo qui per protestare contro il saccheggio della nostra società”, si sgolava uno degli speaker della manifestazione. E poi via con gli slogan contro il “capitalismo che affama” e la finanza che “stritola la democrazia”.



Va detto però che l’appello lanciato da una miriade di sigle della sinistra tedesca, dalla Linke fino ai centri sociali, ha raccolto meno adesioni di quanto ci si aspettasse alla vigilia. I dimostranti erano circa 25 mila, secondo gli organizzatori. “Poco più della metà”, spiegano fonti della polizia. Comunque sia andata (a occhio nel corteo c’erano meno 20 mila persone) queste cifre restano lontane dalle 40 mila presenze annunciate nei giorni scorsi dai promotori. C’erano i tedeschi, uniti nella coalizione battezzata Blockupy Frankfurt. Mancava il resto d’Europa. I più numerosi erano di gran lunga gli italiani, almeno 500, quasi tutti giovani e giovanissimi, in buona parte veneti, coalizzati sotto le insegne di Rise up (Rising Italy for social Europe). Il resto del Continente però se n’è rimasto a casa. Pochi i francesi, pochissimi gli spagnoli. Qua e là sventolava qualche bandiera della Grecia, luogo simbolo della lotta contro l’austerità imposta dalle banche. “La mia grossa grassa solidarietà greca”, recitava un cartello parafrasando il titolo di un film.

Alla fine però, una manifestazione presentata come europea, “international solidaritat” cantavano i dimostranti, si è trasformata in un corteo tedesco al 90 per cento. E qui le spiegazioni possono essere di due tipi. C’è chi vede una certa stanchezza del movimento “Occupy”, che pure ha meno di due anni di vita. Un movimento che fatica a sfondare fuori dalla cerchia dei movimenti giovanili e studenteschi. Se fosse vero sarebbe un esito paradossale: il sostegno diminuisce proprio quando i danni causati dalle politiche rigoriste diventano più evidenti in tutta Europa. Un’altra possibile spiegazione è invece più contingente, riguarda il contesto in cui la manifestazione di ieri si è svolta ed è stata organizzata. Tra mercoledì e venerdì gli organizzatori avevano programmato una serie di azioni simboliche per bloccare e occupare, da qui Blockupy, i luoghi simbolo del potere finanziario europeo.

Le autorità di Francoforte, e cioè il borgomastro Petra Roth (democristiana come Angela Merkel) hanno vietato tutto. Per tre giorni i giovani del movimento non hanno potuto avvicinarsi al distretto finanziario. Tutto chiuso. È stato impossibile accamparsi nel giardino di fronte alla Bce, come i manifestanti speravano di fare. Fino alla dimostrazione di ieri, i pochi tentativi di sfondare i blocchi sono stati neutralizzati con fermezza, ma senza violenza dalla polizia.

Nella sola giornata di venerdì sono state fermate e identificate 400 persone. Se questo era il clima della vigilia è facile pensare che molti potenziali partecipanti abbiano preferito lasciar perdere proprio per la difficoltà oggettiva di organizzare alcunché. Tanto rigore, una esibizione di muscoli che finisce per comprimere i diritti civili, ha lasciato interdetti molti tedeschi, anche schierati su posizioni lontane da quelle del movimento.

E così ieri, nel giorno della manifestazione autorizzata, gli unici a occupare davvero qualcosa sono stati i poliziotti che hanno preso possesso della città. Arrivati da tutta la Germania, gli agenti si sono schierati a migliaia lungo il percorso del corteo, che si è snodato in una sorta di circonvallazione attorno al distretto finanziario. Un gruppo di qualche decina di incappucciati è stato letteralmente sigillato all’interno del serpentone da uno schieramento di agenti. In quattro ore di dimostrazione, tra mezzogiorno e le quattro di un afoso pomeriggio, non c’è stato un solo incidente. Canti, cori, slogan e tanta musica.

Fine corteo in pieno centro, nei giardini a pochi passi dal grattacielo della Deutsche bank. E gli unici che hanno avuto bisogno del medico sono stati alcuni poliziotti, cotti dal caldo anomalo di Francoforte nella loro pesante armatura da robocop. Rischi del mestiere.





Da vedere, dal minuto 04:30 al minuto 08:45....




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MessaggioInviato: 20/05/2012, 19:15 
E' presumibile un azione di censura ulteriore e più ferrea da parte dei mass media riguardo le rivolte presenti all'estero, e non solo, anche quelle in Italia (il movimento dei Forconi per esempio pare ne stia combinando di tutti i colori, ma i telegiornali si guardano bene dal parlarne), a causa del recente clima di attentati terroristici. Sentir parlare di rivolte, scalderebbe gli animi della gente ulteriormente, e spingerebbe anche il popolo italiano alla rivolta.
Quindi fra i nostri obiettivi ci dovrebbe essere l'informare la gente appunto riguardo tutti i movimenti di rivolta contro l'establishment, siano essi pacifici o no, in quanto la gente deve essere informata non solo dei disagi delle masse, ma anche delle reazioni delle masse stesse.
Quindi vai così TTE.... parliamo di chi è già passato dalle parole ai fatti....


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L’Incombente Inversione della Centralizzazione

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http://www.rischiocalcolato.it/2012/05/ ... zione.html

La pianificazione centrale sta arrivando alla sua ultima corsa. Certo, potrebbero essere implementate nuove misure per far rimanere in piedi un edificio visibilmente instabile ma questo porta con sé un disincentivo: costi alti. Un’inversione di tendenza è imminente. Anche l’impero Europeo si sta sfaldando. La Grecia è, politicamente, una terra di nessuno e così resterà; anche le elezioni di Giugno saranno sterili. Non solo, ma un altro problema con tale nazione sono i $90 miliardi di derivati ancora posseduti da banche Americane, Francesi e Tedesche legati ai governi locali Greci. Il problema? Il default Greco. Se la Grecia esce dall’euro e ritorna alla Dracma questa crollerà quasi subito mandando in default il paese impedendo quindi di onorare i propri debiti; se resta e la BCE in qualche modo tenta di condonare il debito Greco ci saranno lo stesso perdite per i creditori sprigionando quel temuto contagio che vedrebbe come successiva “vittima sacrificale” la Spagna. Il governo Spagnolo ha un debito di circa €1 biliardo. L’Italia invece di quasi €2 biliardi. La Francia di €1.3 biliardi con tasse da paura ed una disoccupazione del 10% in salita. Il compito della BCE, quindi, è quello di mantenere in vita un parco di morti viventi (http://johnnycloaca.blogspot.it/2012/05 ... pesta.html) in modo da far andare avanti il sistema bancario in cancrena affinché a sua volta possa prestare al governo in modo che possa rinnovare i suoi debiti, mentre si minaccia quanto brutta sarebbe la situazione per quelle nazioni che vorrebbero uscire dall’euro ed hanno un piede nella fossa. L’unico modo per perseguire questa strada è quello di una maggiore espansione monetaria (http://johnnycloaca.blogspot.it/2012/05 ... a-700.html). La resa dei conti può essere rimandata ma non evitata. Fate le vostre scommesse.




di Gary North

“La centralizzazione induce il soffocamento al centro e l’anemia alle estremità.” ~ Lamenais

L’attuale sistema politico è chiaramente folle. Soffre di schizofrenia. In tutto il mondo, quasi nessuno si fida dei politici, ma quasi tutti votano per i politici in carica che promettono di riformare il governo.

Gli elettori ora sospettano (giustamente) che tutti i governi Occidentali sono diretti verso la bancarotta a causa dei programmi pensionistici e della medicina finanziata dal governo, eppure questi due programmi sono politicamente intoccabili. Gli elettori li richiedono.

Per quattro decenni, i critici blandi dei sistemi pensionistici/Medicare sono andati dagli elettori con questo annuncio: “I due sistemi possono essere riformati, ma dobbiamo agire ora. Se tardiamo, manderanno in bancarotta il governo.” Tuttavia, i sistemi non vengono mai riformati.

Poi, un decennio più tardi, il prossimo gruppo di riformatori ottimisti si fa avanti con questa stessa promessa: “I due sistemi possono essere riformati se agiamo ora.” Nessuno li crede. Nessuno dovrebbe. Se i programmi possono davvero essere riformati “se agiamo ora,” allora gli avvertimenti precedenti erano solo allarmismi. Non c’era davvero alcuna fretta. Così, il Congresso chiede retoricamente: “Perché dovremmo credere che dobbiamo affrettarci adesso?” Risultato: i sistemi non vengono mai riformati. Il Congresso calcia il barattolo.

IL GRANDE DEFAULT

Il governo federale in realtà è diretto verso un default. I numeri non mentono. Questo fatto produce pessimismo in alcuni ambienti. Le persone che guardano ai numeri concludono, con precisione, che il governo federale non se la caverà alla meno peggio in questa crisi. In tutto il mondo, i governi nazionali non se la caveranno alla meno peggio. Non saranno più in grado di calciare il barattolo.

Ho una buona notizia ed una cattiva notizia. Prima la cattiva notizia. Se siete dipendenti dal governo per la vostra sicurezza durante la vecchiaia, avete una sola speranza: una morte precoce. La buona notizia: quando gli assegni di Washington salteranno, i burocrati dovranno cercare un altro tipo di lavoro. Milioni di loro. In tutto il mondo.

Ora mi accingo a presentare uno scenario che non è ampiamente condiviso. Il processo che sta alla base non viene ampiamente riconosciuto. Ma questo processo è inarrestabile.

Se ho ragione, il giorno del giudizio sta per arrivare. Non il giudizio finale. Un giudizio liberatorio.

Ci sono ottimisti auto-proclamati che dicono che il Medicare se la caverà alla meno peggio. Allo stesso modo, ci sono ottimisti auto-proclamati che dicono che l’attuale sistema Keynesiano se la caverà alla meno peggio. Queste persone sono in realtà pessimiste. Sostengono che il male morale e l’irrazionalità economica possano funzionare. Questo è un messaggio pessimista. Fortunatamente, si sbagliano.

La gente se la caverà alla meno peggio. Il sistema Keynesiano no. E nemmeno le finanze delle persone che hanno scommesso sulla capacità del sistema Keynesiano di cavarsela alla meno peggio.

LA LEGGE DEGLI IMPERI

Gli imperi si disintegrano. Questa è una legge sociale. Non ci sono eccezioni.

Il primo teorico sociale ben noto ad articolare questa legge fu il profeta Daniele. Lo annunciò al Re Nabucodonosor. Potete leggere la sua analisi in Daniele 2. I versetti 44 e 45 sono la chiave per comprendere la legge degli imperi.

L’Impero Romano è il modello. Ma vi è un problema serio qui. Ci sono almeno 210 teorie sul perché è caduto. Ce ne sono così tante che anche il mio collega ai tempi in cui lavoravamo per Ron Paul nel 1976, Bruce Bartlett, ha preso il merito per una di esse – addirittura su Wikipedia. Ha avuto il suo grande momento!

In ogni caso, Roma non crollò. Deperì nel corso di diversi secoli, sprecando il tesoro dei suoi cittadini.

Suppongo che c’erano persone altamente istruite che andarono dagli elettori nella tarda repubblica Romana e dissero qualcosa del genere: “A meno che non vengano prese decisioni risolute oggi, Roma andrà in bancarotta.” Se fosse stato così, avevano ragione. Ma ci è voluto molto più tempo di quanto pensassero.

In questi giorni, non ci vuole poi così tanto.

In un primo momento un impero cresce quasi inconsapevolmente. Nessuno ottiene i poteri e dice: “Hey! Perché non creiamo un impero?” E’ più come una persona che dice questo: “Io non sono avido. Tutto quello che voglio è controllare la terra contigua alla mia.”

Negli affari militari, ci sono economie di scala. Un esercito di guerrieri rende la conquista conveniente. Ci sono anche vantaggi fiscali. Un esercito di esattori delle tasse rende la raccolta fiscale conveniente. “Mollate il vostro denaro” è più efficace. Ben presto, avrete un impero.

Ma c’è una legge della burocrazia che si applica all’impero. Ad un certo punto, costa di più amministrare la burocrazia di quello che la burocrazia può generare attraverso la coercizione. Poi l’impero comincia ad incrinarsi. Non può far valere le proprie pretese.

Così, la crescita dell’impero ha al suo centro l’economia: le economie di scala. Anche la caduta dell’impero ha al suo centro l’economia: le economie di scala.

Penso che questo processo sia un’applicazione della legge dei rendimenti crescenti. Nella fase iniziale del processo, l’aggiunta di un fattore aumenta la produzione totale. Ma, mentre se ne aggiungono di più, un’altra legge prende il sopravvento: la legge dei rendimenti decrescenti.

Esempio: acqua e terra. Aggiungete un pò d’acqua in un deserto, e si può produrre più cibo. Aggiungete più acqua, e si può coltivare molto più cibo. C’è un ritmo sempre crescente di rendimenti. La produzione comune è di valore maggiore rispetto al costo di aggiunta dell’acqua. Ma se si continua ad aggiungere acqua, si otterrà una palude. La legge dei rendimenti decrescenti prende il sopravvento. Aggiungete più acqua, e la terra andrà sott’acqua. Forse è meglio avere un deserto.

Questa legge si applica al potere. Aggiungete potere, e si genera più reddito. Ma se continuate ad aggiungere potere, le spese della burocrazia inizieranno a mangiare i ricavi. Aumenterà anche la resistenza: interna ed esterna. Il sistema o implode oppure si estingue.

Con una sola eccezione nella storia – l’Unione Sovietica nel 1991 – gli imperi non hanno cessato di esistere senza spargimenti di sangue.

Nel caso dell’Unione Sovietica, i politici anziani privatizzarono l’intero sistema nel Dicembre 1991. Consegnarono gli asset a quello che divenne immediatamente il sistema finale del capitalismo clientelare. Divisero i soldi del Partito Comunista e li depositarono in singoli conti bancari Svizzeri. Il suicidio dell’Unione Sovietica era “Vladimir Lenin incontra David Copperfield.” Ora lo vedi, ora no. Nella storia del Marxismo, nessun evento illustra meglio il principio di Marx del nesso dei contanti rispetto a questo. Sedusse l’avanguardia del proletariato di Lenin.

Notate il modello di impero. Si comincia lentamente, costruendo nel corso dei secoli: l’Impero Romano, l’Impero Russo, l’Impero Francese. Poi l’impero o si erode o altrimenti viene catturato dai rivoluzionari, come è avvenuto in Francia (1789-1794) e Russia (1917). Ma questo ritarda solo l’inversione. Non la evita.

LO STATO-NAZIONE MODERNO

Le economie di scala determinarono lo sviluppo del moderno stato-nazione. Nel 1450, i governi dell’Europa Occidentale erano piccoli. Controllavano un piccolo territorio. Erano i resti del mondo medievale, che era molto più decentrato.

Nel 1550, ciò iniziò a cambiare. Gli inizi del moderno stato-nazione erano visibili.

Le entrate fiscali scorrevano nelle monarchie centralizzate. Il commercio stava crescendo. I ricavi stavano aumentando. Le armi stavano avanzando. Tutto questo era in corso da mezzo millennio. Ma, come una curva esponenziale, la linea ha visibilmente cominciato a muoversi verso l’alto intorno al 1500.

Crebbero gli imperi marittimi: Spagna, Portogallo, Inghilterra. Si sfidavano sui mari. Poi arrivarono Paesi Bassi e Francia. La fusione della potenza navale ed i monopoli commerciali attiravano le nazioni in competizione per le zone commerciali. L’idea di libero commercio era lontana anni luce, fatta eccezione per l’enclave accademica della scuola di Salamanca.

La legge dei rendimenti crescenti era evidente in questo processo. Ai governanti conveniva tassare di più ed estendere la giurisdizione dello stato-nazione a spese dei governi locali e dei governi stranieri. I benefici maturavano soprattutto per la gerarchia politica e per il suo sistema di famiglie collegate.

Le economie di scala guidarono il processo. La divisione del lavoro favorì la centralizzazione. Le unità locali di governo non potevano competere.

Lasciatemi proporre un esempio tratto dal campo della storiografia. Lo storico dell’America coloniale è in grado di scrivere su molti argomenti: immigrazione, tecnologia, struttura familiare, mappatura delle città, sviluppo economico, tendenze intellettuali e così via. Scrive sui problemi della vita che hanno interessato la vita quotidiana della gente. Non può scrivere di politica nazionale, almeno non prima del Maggio 1754: la “battaglia” di Jumonville Glen.

La battaglia di Jumonville Glen è sconosciuta a tutti gli storici tranne agli specialisti dell’America coloniale. Questo è un peccato, perché la battaglia è stata l’evento militare più importante della storia del mondo moderno. Ha letteralmente inaugurato il mondo moderno. Ha portato alla
1.guerra Francese & Indiana (Guerra dei Sette Anni),
2.crisi dello Stamp Act,
3.Rivoluzione Americana,
4.Rivoluzione Francese,
5.Napoleone,
6.nazionalismo,
7.rivoluzionarismo moderna,
8.Comunismo,
9.Fascismo,
10.Impero Americano.

Fu iniziata dalle milizie del Maggiore George Washington, all’età di 22 anni.
Prima della ratifica della Costituzione degli Stati Uniti, era sia possibile che opportuno scrivere dell’America senza legare la narrazione alla politica. Dopo il 1788, ogni scrittore di un libro di testo viene disegnato come una falena sulla fiamma: elezioni Presidenziali. Non può raccontare il testo senza dividerlo dal risultato del sistema quadriennale di alleanza nazionale.

Ci stiamo rapidamente avvicinando al giorno del giudizio. Ha a che fare con le economie di scala. Ha a che fare con la legge dei rendimenti decrescenti.

Il miglior resoconto di questo processo è un libro dello storico militare Israeliano Martin van Creveld: The Rise and Decline of the State (Cambridge University Press, 1999). Ripercorre la storia della stato-nazione Occidentale dal tardo Rinascimento fino alla fine del ventesimo secolo. Sostiene che ci sarà una rottura degli stati nazionali ed un ritorno al decentramento. Potete trovare una breve discussione di questo libro qui.

PRODUZIONE CAPITALISTA

Un’altra manifestazione delle economie di scala è lo sviluppo del sistema delle fabbriche. Nel 1750, la maggior parte della produzione era fatta a domicilio. La maggior parte delle persone viveva nelle fattorie. La maggior parte delle fattorie era molto vicina all’auto-sufficienza.

Le città erano poche e lontane tra di loro. Erano situate lungo le coste o lungo grandi corsi d’acqua. Erano basate sul commercio. Forse il 10% della popolazione Occidentale viveva nelle città.

Questo cominciò a cambiare intorno al 1800 in Gran Bretagna. Potrebbe essere stato nel 1780. Potrebbe essere stato nel 1820. Ma l’economia iniziò a cambiare. Nessuno ha una spiegazione plausibile del perché sia accaduto, ma cambiò la storia dello stile di vita dell’uomo come nient’altro prima. L’economia iniziò a crescere al 2% annuo.

Questo processo si diffuse ben presto negli Stati Uniti. Il mondo cominciò ad essere travolto da un’ondata di gadget.

Questo processo era guidato dalla concorrenza dei prezzi. Alcuni imprenditori si arricchirono nel soddisfare le esigenze delle masse. Le masse diventatarono più ricche. Divennero più produttive.

La caratteristica più odiata dai vecchi produttori era il servizio implacabile del capitalismo nei confronti del pubblico pagante più povero. La divisione del lavoro è limitata dall’estensione del mercato, aveva giustamente osservato Adam Smith, e al fine di utilizzare le più recenti e più specializzate tecniche di produzione, i capitalisti dovevano ampliare i propri mercati. Il mezzo più efficace per ottenere l’accesso a nuovi mercati era la concorrenza dei prezzi.

Tutte le truppe Britanniche che marciarono in India e nel’Estremo Oriente in una ricerca di nuovi mercati nei giorni di “gloria” dell’Inghilterra non eguagliarono mai gli effetti che ampliarono i mercati del 25% in patria. Il produttore che non poteva competere era costantemente costretto ad uscire dal mercato, cioè, costretto a cedere il controllo delle risorse economiche scarse nelle mani di produttori più efficienti che potevano utilizzarle meglio per soddisfare le esigenze della popolazione.

Come gli acquirenti poveri e non istruiti avrebbero potuto competere contro la ricchezza radicata dell’aristocrazia Inglese? Come potevano competere i loro magri acquisti per i servizi dei produttori quando paragonati alla concorrenza dell’uomo ricco? Come avrebbe potuto sperare un minatore impolverato di sfilare le risorse economiche scarse dagli uomini ricchi? Semplicemente perché ce n’erano tanti!

Mentre le tecniche di produzione capitaliste aumentavano costantemente la produzione delle classi lavoratrici, i poveri diventavano lentamente sempre meno poveri. Pochi centesimi qui, pochi metri di stoffa lì, si moltiplicarono per un milione di volte: nessuna aristocrazia sulla terra era abbastanza ricca da resistere a questa incessante pressione economica di uomini sempre meno poveri, quando tanti di quegli uomini erano creati dai mercati del lavoro d’Inghilterra.

Come individui erano poveri, soprattutto prima del 1840, ma non erano così poveri come lo erano stati nel 1780, e qui si trovava la novità per i produttori che utilizzano i vecchi metodi di produzione.

Gli uomini che non potevano permettersi abiti di lana buona, ora potevano permettersi cotone a basso prezzo, e molto rapidamente divenne evidente agli imprenditori Inglesi che iniziare a produrre centinaia di migliaia di capi in cotone rispetto a qualche migliaio di capi in lana o in seta ad alto prezzo avrebbe pagato più dividendi.

Quello che operò come liberazione economica di un’intera classe di persone, gli aristocratici anti-libero mercato lo consideravano come una forma di schiavitù, la servitù della fabbrica, con i suoi orari, le lunghe ore, la produzione routinaria ed il lavoro minorile. Quello che risolutamente si rifiutavano di vedere era quello che sarebbe stato il destino di queste masse sotto il vecchio sistema di produzione: la carestia e la morte. Fu l’Irlanda, non l’Inghilterra e la Scozia, che ha soffrì la carestia nel 1848-50, e fu l’Irlanda che non vide la “piaga” della produzione industriale.

John Ruskin, critico letterario conservatore della metà del XIX secolo, ha riassunto la tesi contro il capitalismo. Ironia della sorte, le sue parole vennero messe sulle carte prodotte in massa ed usate come poster prodotti in massa affinché fossero visti sui muri delle popolari gelaterie Baskin-Robbins (31 gusti): “Non c’è praticamente niente al mondo che un uomo non possa fabbricare leggermente peggio e vendere ad un prezzo minore, e le persone che considerano unicamente il prezzo sono la preda legittima di quest’uomo.” Vidi ciò in un negozio nel 1973. Non ho visto una cosa simile recentemente. Non sono mai andato in un negozio Baskin-Robbins. La catena è quasi invisibile oggi.

I critici sociali conservatori non solo videro le dure condizioni del sistema industriale – dure in confronto alla vita dei critici sociali, ma non in confronto alla bassa produttività della sussistenza (o al di sotto della sussistenza) dell’agricoltura – ma videro anche i primi effetti dei beni prodotti in massa. Erano a buon mercato nel prezzo e poco costosi in termini di qualità – di nuovo, rispetto agli standard di qualità dei critici sociali colti.

Coloro che apprezzavano i vestiti nuovi, le abitazioni migliori e le condizioni di lavoro preferibili raramente scrivevano trattati; ma andavano semplicemente a lavorare e spendevano i loro soldi. Indubbiamente, c’era una standardizzazione della produzione. Tuttavia, mentre la produttività dei lavoratori aumentava, e mentre i loro salari aumentavano, questa standardizzazione veniva lasciata agli ultimi che si presentavano sulla scena – gli immigrati Irlandesi, per esempio – e la varietà iniziò ad essere una possibilità economica.

Ciò indica la natura di una trasformazione sociale mediata dai poteri del capitalismo. In un primo momento, la concorrenza dei prezzi espande il mercato. Nuovi gruppi accedono a beni non disponibili in precedenza, sia perché i prezzi erano troppo alti prima sia perché i prodotti non esistevano nemmeno.

In quanto partecipanti al processo di produzione, i lavoratori partecipano alla ricchezza di altre persone. I produttori sono acquirenti; passo dopo passo, mentre la produzione per unità in ingresso aumenta, grazie alla specializzazione della produzione, la ricchezza di tutti i partecipanti aumenta. L’espansione iniziale delle alternative d’acquisto si espande ulteriormente non appena aumenta la produttività. Alcuni produttori possono specializzarsi nella produzione per questi nuovi acquirenti; altri possono ramificarsi e mirare agli acquirenti ancora esclusi – il livello immediatamente inferiore.

Il Modello T di Henry Ford – “disponibile in qualsiasi colore, fintanto che la volete nera” – rese disponibile alle masse l’automobile. Ma mentre la ricchezza di tutti aumentava grazie ai metodi capitalisti di produzione-distribuzione (le due cose sono sostanzialmente lo stesso processo), un gran numero di persone voleva un altro colore.

Ford non riuscì a riconoscere questo fenomeno del capitalismo moderno, e la sua resistenza al cambiamento – in questo caso un miglioramento della qualità e della scelta – portò al trionfo la General Motors negli anni ’20. GM offrì più marche e più scelte all’interno di questi marchi.

Il dominio di GM non durò a lungo. L’azienda è fallita nel 2009. Ci è voluto un piano di salvataggio del governo per salvarla – e la frode dei possessori di obbligazioni.

L’industria sta venendo ridimensionata negli Stati Uniti, anche se sta diventando gigantesca in Cina. Stabilimenti siderurgici più piccoli, più computerizzati e più specializzati hanno sostituito le vecchie fabbriche di acciaio. Le vecchie fabbriche sono vuote. Non possono competere.

Viviamo sulla cuspide di una nuova era di fabbricazione: la produzione 3D. Avremo fabbriche sulle nostre scrivanie.

La produzione di massa riduce i costi. La produzione inizialmente è centralizzata. L’era della fabbrica sostituisce l’era della produzione domiciliare. Le economie di scala prendono il sopravvento. Questa è la prima fase: la legge dei rendimenti crescenti verso la centralizzazione.

Ciò non dura. La legge dei rendimenti in decelerazione prende il sopravvento. L’era della fabbrica viene sostituita. Le economie di scala favoriscono la produzione locale. Scrivo questo su un computer da $500 utilizzando un programma di elaborazione testi da $50.


Quando pensate alle “economie di scala,” pensate “all’Ufficio Postale.”

CONCLUSIONE

Avrei potuto applicare questa analisi alla storia dell’urbanizzazione: dai villaggi ai paesi alle città enormi ai sobborghi. Lo storico urbano Jack Lessinger ha descritto tutto ciò in una serie di libri.

Le economie di scala non favoriscono più la centralizzazione. Favoriscono il decentramento: nel settore manifatturiero, nell’istruzione, nello sviluppo urbano, nella finanza, nella politica, e anche negli affari militari. I movimenti di resistenza non-statali hanno un vantaggio oggi. Così anche le cellule terroristiche. Se l’Occidente urbano è sempre più minacciato dall’uso delle armi, è più probabile che lo sia da una’arma biologica fatta in casa piuttosto che da un ordigno nucleare.

Piccolo non può essere bello, ma è sicuramente efficace. Non si vede un virus. Potete vedere un fungo atomico.

Per quelli di noi che temono la centralizzazione di qulasiasi cosa, le nostre barche sono iniziate ad arrivare.

Non arriverà nessuna nave. Il suo modello è il Titanic.



[*] traduzione di Francesco Simoncelli



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"…stanno uscendo allo scoperto ora, amano annunciare cosa stanno per fare, adorano la paura che esso può creare. E’ come la bassa modulazione nel ruggito di una tigre che paralizza la vittima prima del colpo. Inoltre, la paura nei cuori delle masse risuona come un dolce inno per il loro signore". (Capire la propaganda, R. Winfield)

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MessaggioInviato: 23/05/2012, 20:17 
Lo ribadisco... il capitalismo sta crollando. E dopo la lettura dell'interessantissimo contributo di TTE ne sono ancora più convinto.

Necessitiamo urgentemente di definire un nuovo modello socio-economico.

Cita:

PARMA: PIZZAROTTI PENSA A UNA MONETA LOCALE CONTRO IL DEBITO

(IRIS) – ROMA, 23 MAG – Una moneta locale per Parma. Sarebbe questa una iniziativa-shock pensata dallo staff del nuovo sindaco Federico Pizzarotti.

Immagine

L’indiscrezione è rivelata dal sito linkiesta.it, senza avere alcuna smentita dal Movimento 5 Stelle.

Il primo cittadino si ritrova con un pesantissimo debito sulle spalle: la cifra circolata parla di 600 milioni di euro. Alla luce dell’ostilità del M5S verso le banche, è stata ipotizzato il ricorso a una ‘valuta parallela’ all’euro. La tesi è stata presa in prestito da due docenti della Bocconi, Massimo Amato, professore di storia economica e Luca Fantacci, docente di storia, istituzioni e crisi del sistema finanziario *.

L’esperimento è in parte avviato nella città di Nantes, in Francia, dove con un sistema paragonato al ‘baratto’ è stato possibile evitare la stretta creditizia. Una mossa da valutare e che forse potrà essere chiarita da Pizzarotti al momento della formazione della giunta.

Fonte: http://www.irispress.it/247417/parma-pi ... -il-debito



Stiamo tornando alla localizzazione e alla prossimità? Il paradigma del futuro non sarà più globalizzazione, mondo globale, mercato globale (in una parola Nuovo Ordine Mondiale), ma localizzazione e prossimità e cura del territorio e delle persone che vi abitano?

Tante piccole comunità potrebbero autoregolarsi e autodeterminarsi in maniera efficiente ed efficace solo se saranno dotate di strumenti adeguati sia dal punto di vista culturali, sia dal punto di vista economico.. non è certamente facile, ma per 'vincere' la partita dobbiamo strappare al 'potere' gli strumenti con i quali ci hanno portato via la nostra libertà

La moneta unica a valor nominale è un fallimento, anzi una truffa come ho cercato di argomentare nel thread sotto riportato
http://www.ufoforum.it/topic.asp?TOPIC_ID=12779

Ma se la moneta a valor nominale non funziona allora quale può essere il miglior strumento finanziario a disposizione per regolare le transazioni economiche? Io ho fatto l'esempio della moneta merce, vincolata alla sua fisicità. Ma potrebbero essercene altri, ancora migliori.

*
Nell'articolo si parla di docenti della Bocconi, il che potrebbe portare qualcuno alla conclusione che si tratti del solito complotto stile Bilderberg collegando Bocconi a Monti.

Per questo mi preme riportare di seguito un link che spero possa farvi apprezzare il pensiero di questo professore che si concentra ancora una volta sulla 'moneta' e sul suo utilizzo.

Cita:

Fonte: http://www.politicasenzarete.com/node/230

Un socialista utopista alla Bocconi. Massimo Amato e L'enigma della moneta.

L'enigma della moneta, di Massimo Amato, docente di storia economica alla Bocconi, non è un altro libro sulla crisi della finanza. È un libro sullo statuto della moneta. La crisi è utilizzata per trattare questo statuto.

“La crisi - scrive Amato - coincide con il fatto che la moneta è tesaurizzata e non spesa, e che, quanto più con la sua tesaurizzazione aumenta il suo potere d'acquisto, tanto meno sono disponibili cose da acquistare, e tanto più aumenta la preferenza per la liquidità”. Si produce, insomma, quella paura che conduce alla cosiddetta trappola della liquidità, tale che, “nichilisticamente, si preferisce «volere il nulla piuttosto che non volere»”[L'enigma della moneta, et al., p.10].

La crisi e la moneta diventano la scusa per scrivere, sulla falsa riga del Nietzsche di Heidegger, un libro sul nichilismo, dove la parte della volontà di potenza è giocata dalla volontà econometrica.

La scienza economia, con i suoi calcoli, i suoi grafici, la computazione e il progetto, “afferma il dominio dell'uomo sul mondo a partire da una soggettività che si vuole incondizionatamente come il punto di concentrazione dell'universo”[p.24]

Durante le crisi economiche tutti i valori vengono ridotti a nulla. Le forze rimangono inutilizzate, e la disoccupazione, la miseria, la distruzione dei beni e degli impianti sono la regola.

Come si arriva a questo stadio?

Vi si arriva perché la moneta è usata in modo improprio.

La moneta, che “è la messa in opera della verità dello scambio”, e in quanto tale apre la dimensione dello scambio, facendo in modo che ciò che è misurabile sia misurato, diventa essa stessa un qualcosa di misurabile, diventa una merce.

Nel prestito a interesse e nell'usura la moneta perde l'uso proprio e diventa una merce tra le merce. È così che lo scambio tra due merci si slega da ogni riferimento e limite, e diventa autoreferenziale.

I valori, riferendosi l'un all'altro, in un gioco di specchi contrapposti, si rimandano le proprie immagini all'infinito, in un aumento di valore e di potenza, tanto fittizio quanto insensato: “sia l'inflazione sia l'interesse sono, in relazione alla moneta come misura, forme di perdita di senso.”122

Questa perdita di senso, che si manifesta in modo lampante nelle crisi, non è un fatto che inizia con la finanzia, e che finirà con essa. Non è neanche una questione del capitalismo o della remunerazione del capitale.

Quando si vede un banchiere centrale soggiacere alle crisi, e costretto ad immettere liquidità nel sistema, si misura tutta la sua impotenza, e si vede come il suo potere “deve risolversi nella pura funzione di un processo di cui non è garante ma parte. Un servus servorum, che non riceve però la sua posizione da un Deus, ma è ciberneticamente autorizzato da un processo che egli deve per parte sua contribuire a rendere sempre più incondizionato”248

Questa perdita di senso e di potere inizia con l'opacizzarsi dell'uso proprio della moneta. Un uso che non viene tolto, ma solo rimosso, e che lo si può riportare alla luce “percorrendo il piano inclinato che ha la sua origine in Aristotele”248

In Aristotele la moneta è ancora legge. Ma non una legge positiva, derivata da una contrattazione, o una legge naturale, scaturita dallo stato delle cose. La moneta, come legge dello scambio, è ciò che nello scambio si ritira per permettere che esso avvenga, che la misura sia determinabile, che le differenze siano ragguagliabili, che il diverso possa stare difronte al diverso come un pari: “la moneta non è un oggetto di scambio, perché è lo scambio. Proprio perché è, in un certo senso, lo scambio stesso, la moneta non può che ritirarsi da esso”242.

È a garanzia dello scambio che la moneta in quanto “legge dei contratti non è a sua volta passibile di diventare un oggetto di contrattazione”[256]

Se la moneta diventa essa stessa un oggetto di contrattazione, come nell'usura, si perde la misura. Ciò che misura, non può essere misurato.

Questo in soldoni il punto cardinale messo in luce da Amato.

Non rimane da chiedersi da dove provenga questa legge. “La moneta in quanto istituzione è una legge poeticamente prodotta per essere data alla paxis perché quest'ultima possa essere compiutamente ciò che è”252. Come dire, ciò che resta lo istituiscono i poeti. [cfr. Heidegger, La poesia di Hölderlin]

In questo libro Amato non indaga ulteriormente la questione della provenienza della moneta. Qui basti sapere che l'istituzione non è opera dell'uomo. Anche se oggi “ciò che determina l'essere, o meglio, ormai, il valore della moneta è semplicemente il consenso delle parti in vista di una convenienza, ossia dell'utilità”254

Accanto alla teoria di una moneta alla Heidegger-Lacan, emerge, qui e là nel libro, anche un'altra teoria.

In quest'altra teoria la moneta è ancora ciò che nello scambio si ritira per concedere l'ingresso alle merci. Ma ora questa mancanza è marcata nella merce come presenza di un'assenza.

La marca di questa assenza, che diventa l'emblema del valore, si manifesta come moneta spicciola: “in quanto moneta ricevuta, la moneta è sempre moneta di un «bisognoso»: bisognoso, innanzitutto, di fare di essa l'unico uso di cui è propriamente passibile, ossia cederla. La moneta è così il passaggio della mancanza nella comunità”232.

La moneta spicciola, la sola che può passare di mano in mano, passando trasmette anche la mancanza. In che modo?

Nello scambio le merci vengono comparate. Nella comparazione il diverso si presenta al diverso, ma “l'unità in cui consiste la comparatezza non è un'unità ontica”.

Due merci che si scambiano sono diverse, non avrebbe alcun senso scambiare due merci identiche. Va da se che due cose diverse sono tra loro incomparabili. E non sono neanche comparabili con una terza cosa, poiché anche questa terza cosa, per esempio la moneta spicciola, è una cosa diversa dalle prime due.

È così che Amato può concludere che l'unità di misura non può essere una cosa.

La moneta spicciola, che è una cosa e passa di mano in mano, e permette la comparazione di merci differenti, è una cosa, non ci sono dubbi.

Come può una cosa diventare il medium tra due cose?

Lo diventa nella misura in cui le cose oggetto di scambio, e dunque anche la moneta spicciola, siano “in uno stato di comparazione preventivo”219

La moneta spicciola è il porta-valore - e come porta valore va bene ogni altra merce. Anzi, ogni merce è un porta-valore, o un porta-valuta.

La valuta non è niente di materiale. Anche se, senza un materiale prodotto, non può darsi alcuna valorizzazione. Una valutazione senza un bene da valutare non ha luogo. La valorizzazione ha bisogno di un logo, e questo luogo è la merce, che perciò si presta a diventare porta-valuta.

A questo proposito, e per illustrare la questione, Amato presenta un esempio.

“Ciò che è proprio del calzolaio non è solo la sua opera (il calzare), ma anche, finché esso resta nelle sue mani, la sua specifica mancanza d'uso. Ciò che eguaglia gli scambianti è, inseparabilmente dalle loro dotazioni, la mancanza d'uso di quest'ultime, ossia il fatto che l'uso per il quale sono venute a essere, e che fa degli scambianti precisamente dei produttori all'interno di una divisione del lavoro, non è mai strutturalmente presso colui che produce l'opera, ma presso colui che la usa. Lo scambio è sempre uno scambio, in partita doppia, di mancanza contro mancanza... Nell'offerta, insomma, è già presente la domanda, nella forma di una mancanza che è propria dell'oggetto prodotto e che, al contempo, non gli può mai davvero appartenere come una quantità semplicemente giustapposta o semplicemente constatata a posteriori.”231

Il valore non si appiccica alla merce come un cartellino del prezzo, non è frutto di una contrattazione che avviene a cose fatte, come presume la teoria dei bisogni, e con essa tutta la microeconomia. Il valore deriva da uno stato di comparazione preventiva, tale che l'offerta sia già da sempre una domanda.

Nella merce offerta, se è offerta, vi è sempre, preventivamente, la marca della domanda. La marca della merce è il riferimento all'altro nel medesimo, che fa delle cose prodotte il luogo del valore e della valorizzazione.

Se poi la merce appare come una cosa imbrogliatissima, piena di sottigliezza metafisica e di capricci teologici, come una cosa sensibile sovrasensibile, che per soprammercato inizia a ballare, si mette a testa in giù, come se fosse dotata di vita propria, che se ne va in giro rivolgendosi a tutti, tanto a chi l'intende quanto a chi non ha nulla da fare, e non sa a chi gli convenga parlare e chi no, non bisogna stupirsi e richiedere un ritorno all'origine, o pretendere che il padre o il produttore gli venga in aiuto, perché essa da sola non può difendersi né aiutarsi.

Infine, bisogna aggiungere che la merce, in quanto riferimento preventivo all'altra merce, si riferisce a tutte le merce. Ogni merce, preventivamente, è un equivalente generale.

Se poi lo scambio non avviene, o non avviene con la merce con la quale era destinata a scambiarsi, bisogna metterlo in conto. Che lo scambio possa non avvenire, e rimanere una pura virtualità, che si possano cioè produrre delle crisi, bisogna metterlo in conto non come una deviazione dall'uso proprio della merce-porta-valuta, ma come una possibilità del suo uso proprio – ammesso e non concesso che una merce marcata dall'altro possa avere mai solo un uso proprio e non essere già, preventivamente, espropriata di ogni suo proprio.




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MessaggioInviato: 24/05/2012, 22:20 
Nel silenzio dei media si consuma la lenta morte delle nostre libertà... l'eliminazione del diritto alla ricerca della felicità in nome dei dogmi imposti da chi, dopo avere prodotto la crisi, si rifiuta di pagarne gli effetti ma anzi ne trae occasione per accrescere tramite sfruttamento e austerità i propri profitti!

Dogmi che comprendono quel abominio del pareggio di bilancio inserito direttamente nella costituzione tramite il quale la spesa sociale e di conseguenza l'applicazione di quegli stessi diritti costituzionali sarà da adesso in poi limitata dai vincoli di un'economia schiacciata sulle esigenze dell'1% della popolazione.

Cita:

24/5/2012

DRAGHI CONTESTATO ALLA SAPIENZA, LA POLIZIA CARICA GLI STUDENTI DENTRO LA FACOLTA'

Immagine

Ore 16:10 - Draghi ospite di un convegno alla Sapienza, gli studenti lo contestano, la Polizia li carica fin dentro la facoltà e li tiene in ostaggio, circondati su tutti i lati, impedendo loro di andarsene e militarizzando l'intera facoltà di Economia.
Accade l'assurdo oggi alla Sapienza, una scena che purtroppo negli anni abbiamo visto spesso, troppo spesso. Un luogo pubblico che si trasforma in un fortino a difesa del politico o del banchiere di turno. Centinaia di agenti della Polizia in assetto antisommossa che blindano tutti gli ingressi e le vie limitrofe della facoltà.

Stamattina ad Economia non si era liberi di entrare ma si poteva accedere solo con il fatidico "tesserino" della Sapienza. Sono circa le 13, la facoltà è già militarizzata, gli studenti arrivano pacificamente con uno striscione e dei cartelli per manifestare il loro dissenso nei confronti della politiche di austerity dettate dalla BCE e contro il pagamento di un debito odioso ed illegittimo. Verso le 15 arriva Draghi scortato da numerose auto blu. Gli studenti vogliono contestarlo da dentro la loro facoltà, la Polizia permette a Draghi di entrare, gli studenti vengono bloccati fuori dal loro luogo di studio. Trovano così un varco, dalla mensa universitaria, si mettono a correre spiazzando, come spesso accade, le forze dell'ordine. Una parte degli studenti riesce dunque ad entrare nella facoltà, altri vengono brutalmente caricati da agenti della Polizia.

Manganellate e sei studenti inermi contusi.

A quel punto la Polizia schierata circonda gli studenti che continuavano a manifestare pacificamente, denunciando anche le violenze subite, e li tiene bloccati. Bloccati gli studenti, bloccato l'ingresso della facoltà, bloccata interamente la via antistante ad Economia.
"Non vi faremo andare via fin quando non se ne sarà andato Draghi" dice la Polizia. Gli studenti e le studentesse in questo momento sono ancora bloccati, circondati su tutti i lati da camionette e celere, la facoltà ancora militarizzata.

Siamo di fronte all'ennesima sospensione della democrazia nel nostro paese, di fronte alla privazione delle libertà fondamentali e del diritto al dissenso. Quest'oggi l'università la Sapienza è stata svuotata del suo significato pubblico e sociale per essere asservita a Mario Draghi, alla BCE, a Monti e al capitalismo finanziario. Quest'oggi alla Sapienza è successo esattamente quello che abbiamo visto nei giorni scorsi a Francoforte o quello che accade ogni giorno alle nostre vite: politiche distruttrici che ricadono sulle nostre teste e sospensione delle democrazia in nome del pagamento del debito, dei profitti e dei mercati.

Ore 16:25 - La Polizia si decide ad aprire i cordoni e a far passare gli studenti che in questo momento si stanno dirigendo in corteo verso la città universitaria a Piazzale Aldo Moro.

Fonte: http://www.ateneinrivolta.org/rivolta/d ... colt%C3%A0



Ultima modifica di Atlanticus81 il 24/05/2012, 22:21, modificato 1 volta in totale.


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MessaggioInviato: 25/05/2012, 01:44 
A proposito di Draghi e di insofferenze..... [:261]




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MessaggioInviato: 26/05/2012, 23:41 
Tratto da...

http://www.ufoforum.it/topic.asp?TOPIC_ ... ichpage=56

Si farà?sarà utile?le lobby schiacceranno questa idea?

Invece di ragionare ancora con la vecchia storia della destra e della sinistra proviamo ad andare oltre e capire realmente se esistono nuove idee per migliorare e migliorarci.
Cita:
MONETA LOCALE A PARMA/ L’esperto: vi spiego perché l’idea di Pizzarotti e Grillo è fattibile

PARMA, L'IDEA DI UNA MONETA LOCALE DEL SINDACO DEL MOVIMENTO 5 STELLE FEDERICO PIZZAROTTI Parma sprofonda sotto 600 milioni di debiti e le banche, prevedibilmente, non si fideranno più di tanto a prestare soldi al nuovo sindaco grillino. Che sarà anche il sindaco. Ma è pur sempre grillino. Non che sia necessariamente una colpa. Ma, se sei una banca e sul sito del comico genovese leggi frasi del tipo: «La banca è l'attrice protagonista del film horror del nuovo millennio. Ha preso il posto di Alien», «Cosa c'è di meno democratico e oscuro di una banca?» o «Vanno ri-nazionalizzate. Messe sotto il controllo dello Stato e dei cittadini», qualche domanda, prima di dare in mano qualche milione di euro a un membro del’M5S, te la fai. E allora, Federico Pizzarotti, ha deciso di bypassare il problema. Suggerendo di batter moneta localmente. Che uno pensa subito ai soldi del Monopoli, alle fish del casinò, ai paperdollari. E invece, l’idea potrebbe stare in piedi. Giovanni Passali, presidente dell’associazione Copernico, spiega a ilSussidiario.net perché. «Il Movimento Sereno, in Veneto, il progetto Shek, a Napoli, il Sardex, in Sardegna, sono esperimenti che stanno dimostrando come la moneta complementare all’euro sia una strada percorribile. Del resto, lo stesso euro, non può essere inteso come una moneta classica, manca di una definizione precisa. Esiste, quindi, un vuoto culturale nel quale si possono inserire questi strumenti monetari, in grado di sopperire alla funzioni che non sono svolte dall’euro». Vediamo, concretamente, come. «Tanto per cominciare, si presuppone l’esistenza, nell’ambiente in questione, di attività produttive che interessino al mercato. Il nuovo strumento monetario dovrebbe servire a esprimere il valore concreto di tali attività». Le nuove emissioni spetterebbero all’amministrazione pubblica. «La moneta dovrebbe essere battuta dal comune. Meglio ancora se da un’associazione senza fini di lucro connessa al Comune».

Veniamo ai vantaggi: «Il primo consisterebbe nel fornire liquidità che, in questo momento, non è garantita dall’euro. Tant’è vero che, di norma, i sistemi monetari complementari si diffondono in momenti di crisi. Contestualmente, la circolazione di liquidità renderebbe disponibile la circolazione di merci». Il nuovo conio sarebbe più conveniente dell’utilizzo dell’euro: «Come tutte le monete ufficiali, la creazione di liquidità attraverso l’emissione di tutte le monete ufficiali presuppone sempre la creazione di nuovo debito. La stessa crescita tanto invocata non fa che rendere necessaria una nuova disponibilità di liquidità. E’ inutile, infatti, produrre più merci se non c’è liquidità per acquistarle. Ma l’incremento di tale liquidità aumenterebbe il debito». Al contrario, la moneta complementare non sortirebbe questo effetto collaterale: «Sarebbe, infatti, stampata e distribuita, ma non addebitata». C’è da chiedersi, infine, come ciascun cittadino potrebbe ottenere la nuova valuta. «Occorre una distribuzione ordinata. A ciascuno dovrebbe essere conferita, almeno nella fase iniziale, la medesima quantità di nuova moneta».

http://www.ilsussidiario.net/News/Econo ... le/283627/


Come dovrebbe funzionare una moneta NON LEGATA AL DEBITO.


[BBvideo]http://www.youtube.com/watch?v=T_zQF5H6XhI[/BBvideo]

Questo video è del 2008.


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MessaggioInviato: 28/05/2012, 01:07 
A chi mi dice che cambiare lo status quo è impossibile rispondo con l'esempio dell'Argentina.

A chi dichiara l'ineluttabilità delle politiche economiche dettate dall'agenda del FMI e della BCE in Europa, messe poi in pratica da governi asserviti a questi poteri non democratici, come quello italiano di Monti, replico con l'esempio dell'Argentina.

A chi cerca di convincermi che l'unica risposta alla crisi sia il rigore, il sacrificio e la perdita dei nostri diritti in nome di un debito e di una moneta di cui non ho sovranità faccio vedere l'esempio dell'Argentina.

Perchè i mass media non parlano mai dell'Argentina?!?!

Cita:
RIGORE? NO: SOVRANITA', COSI' L'ARGENTINA HA FATTO IL MIRACOLO

Esattamente dieci anni fa, tra il 19 e il 20 dicembre 2001, l’Argentina esplodeva. Fernando de la Rúa, ultimo presidente di una notte neoliberale durata 46 anni, appoggiato da una maggioranza nominalmente di centro-sinistra, sparava sulla folla (i morti furono una quarantina) ma era costretto a fuggire dalla mobilitazione di un paese intero.

Le banche e il Fondo Monetario Internazionale gli avevano imposto di violare il patto con le classi medie sul quale si basa il sistema capitalista: i bancomat non restituivano più i risparmi e all’impiegato Juan Pérez, alla commerciante María Gómez, all’avvocato Mario Rodríguez era impedito di usare i propri risparmi per pagare la bolletta della luce, la spesa al supermercato, il pieno di benzina.

Il cosiddetto “corralito”, il blocco dei conti correnti bancari dei cittadini, era stato l’ultimo passo di una vera guerraeconomica contro l’Argentina durata quasi cinquant’anni. L’Fmi era stato il vero dominus del paese dal golpe contro Juan Domingo Perón nel 1955 fino a quel 19 dicembre 2001. Attraverso tre dittature militari, 30.000 desaparecidos e governi teoricamente democratici ma completamente sottomessi al “Washington consensus”, l’Argentina era passata dall’essere una delle prime dieci economie al mondo all’avere province con il 71% di denutrizione infantile, dalla piena occupazione al 42% di disoccupazione reale, da un’economia florida al debito pubblico pro-capite più alto al mondo.

Con la parità col dollaro, e con la popolazione addormentata dalla continua orgia di televisione spazzatura dell’era Menem (1989-1999), il paese aveva dissipato un’invidiabile base manifatturiera e tecnologica. Nulla più si produceva e si spacciava che oramai fosse conveniente importare tutto in un paese che aveva accolto, realizzato e poi infranto il sogno di generazioni di migranti e da dove figli e nipoti di questi fuggivano.

In quei giorni, in quello che per decenni il Fmi aveva considerato come il proprio “allievo prediletto”, salvo misconoscerlo all’evidenza del fallimento, non fu solo il sottoproletariato del Gran Buenos Aires ridotto alla miseria più nera a esplodere, ma anche le classi medie urbane. Queste, che per decenni si erano fatte impaurire da timori rivoluzionari e d’instabilità, blandire da promesse di soldi facili e convincere che il sol dell’avvenire fosse la privatizzazione totale dello Stato e della democrazia, si univano in un solo grido contro la casta politica e finanziaria responsabile del disastro: «Que se vayan todos», che vadano via tutti.

Era un movimento forte quello argentino, antesignano di quelli attuali, e solo parzialmente rifluito perché soddisfatto in molte delle richieste più importanti. I passi successivi al disastro furono decisi e in direzione ostinata e contraria rispetto a quelli intrapresi nei 46 anni anteriori. Quegli argentini che a milioni si erano sentiti liberi di scegliere scuole e sanità private adesso erano costretti a tornare al pubblico trovandolo in macerie. Al default, che penalizzava chi speculava – anche in Italia – sulla miseria degli argentini, seguì la fine dell’irreale parità col dollaro.

Le redini del paese furono prese dai superstiti di quella gioventù peronista degli anni ‘70 che era stata sterminata dalla dittatura del 1976. Prima Néstor Kirchner e poi sua moglie Cristina Fernández, appoggiati in maniera crescente dagli imponenti movimenti sociali, con una politica economica prudente ma marcatamente redistributiva, hanno fatto scendere gli indici di povertà e indigenza a un quarto di quelli degli anni ‘90. Al dunque, l’Argentina ha dimostrato che perfino un’altra economia di mercato è possibile e dal 2003 in avanti il paese cresce con ritmi tra il 7 e il 10% l’anno.

La crescita economica è stata favorita da una serie di fattori propri del nostro tempo, dall’aumento dei prezzi dell’export agricolo all’arrivo della Cina come partner economico. Soprattutto però i governi kirchneristi sono stati, con Brasile e Venezuela, i grandi motori dell’integrazione latinoamericana, una delle principali novità geopolitiche mondiali del decennio. Le date-chiave di tale processo sono due: nel 2005 a Mar del Plata, soprattutto la sinergia Kirchner-Lula stoppò il progetto dell’Alca di George Bush, il mercato unico continentale che voleva trasformare l’intera America latina in una fabbrica a basso costo per le multinazionali statunitensi, mettendo un continente intero a disposizione degli Stati Uniti per sostenere la competizione con la Cina.

E nel 2006 l’Argentina e il Brasile, con l’aiuto di Hugo Chávez, chiusero i loro conti col Fmi: «Non abbiamo più bisogno dei vostri consigli interessati», dissero, mettendo fine a mezzo secolo di sovranità limitata.

Per anni, i media mainstream mondiali hanno cercato di ridicolizzare il tentativo del popolo argentino di rialzare la testa, l’integrazione latinoamericana e la capacità del Sudamerica di affrancarsi dallo strapotere degli Stati Uniti e dell’Fmi.

A dieci anni di distanza, tirando le somme, ci si può levare qualche sassolino dalla scarpa su chi disinformasse su cosa. Ancora un anno fa, nel momento della morte di Néstor Kirchner i grandi media internazionali – quelli autodesignati come i più autorevoli al mondo – avevano di nuovo offeso la presidente, con un maschilismo vomitevole, descrivendola come una marionetta incapace di arrivare a fine mandato. Il popolo argentino la pensa diversamente e il 23 ottobre 2011 l’ha confermata alla presidenza al primo turno con il 54% dei voti.

Cristina, e prima di lei Néstor, ad una politica economica che ha permesso all’Argentina di riprendere in mano il proprio destino, affianca una politica sociale marcatamente progressista, dai processi contro i violatori di diritti umani alle nozze omosessuali. Perfino nei media l’Argentina è oggi all’avanguardia nel mondo nella battaglia contro i monopoli dell’informazione: non più di un terzo può essere lasciato al mercato, il resto deve avere finalità sociali e culturali perché non di solo mercato è fatta la società.

A dieci anni dal crollo, l’Argentina sta vincendo la scommessa della sua rinascita. I paradigmi neoliberali sono sbaragliati e, dall’acqua alle poste alle aerolinee, molti beni sono stati rinazionalizzati per il bene comune dopo essere stati privatizzati durante la notte neoliberale a beneficio di pochi corrotti. I soldi investiti in educazione sono passati dal 2 al 6.5% del Pil e… la lista potrebbe continuare. Basta un dato per concludere: dei 200.000 argentini che nei primi mesi del 2002 sbarcarono in Italia (tutti o quasi con passaporto italiano) alla ricerca di un futuro, oltre il 90% sono tornati indietro: «Meglio, molto meglio, là».

Fonte: http://www.frontediliberazionedaibanchi ... 85440.html



E la Kirchner incassa un nuovo successo per il suo paese

Cita:

L’Argentina nazionalizza il petrolio, investitori stranieri nel panico

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La presidentessa argentina Cristina Kirchner ha annunciato questo pomeriggio che prenderà il controllo della compagnia del petrolio YPF, filiale del gruppo spagnolo Repsol. In un intervento nella Casa Rosada il capo dell’esecutivo argentino ha annunciato “l’esproprio” del 51% delle azioni della compagnia che passeranno nelle mani del governo: il 49% di questa fetta sarà distribuito tra le province produttrici di petrolio, il 51% resterà allo Stato centrale. I dettagli dell’iniziativa, annunciati da una voce registrata in mezzo ai cori da stadio peronisti nella sede del governo, lascia a bocca aperta la Spagna in cui è in corso un vertice di crisi per studiare una risposta.

Il governo argentino, la cui decisione è stata preceduta da mesi di voci e inchieste giornalistiche, non ha giustificato la misura come «una questione di interesse nazionale»: nel 2010 il paese si è visto obbligato a importare combustibili per un totale di 10 miliardi di dollari. La decisione è stata presentata sotto il titolo altisonante di «Sovranità degli idrocarburi della Repubblica Argentina» ed è stata giustificata con il fine del «raggiungimento dell’autosufficienza». Secondo Kirchner, «l’Argentina è l’unico paese d’America che non gestisce le proprie risorse naturali». L’annuncio arriva dopo mesi di pressioni del governo argentino su Repsol: La Kirchner punta il dito sulla mancanza di investimenti della compagnia sul territorio che sarebbe la causa della caduta della produzione.

L’esproprio riguarda il 51% della totalità di YPF che corrisponde esattamente alla quota di Repsol. La restante proprietà rimarrà in mano della famiglia Eskenazi e di altri piccoli investitori.

Ma per capire a fondo questa storia è necessario ricordare l’acquisizione: nel 1999 Repsol decise di scommettere sulla internazionalizzazione e comprò il gruppo YPF per 13 miliardi 437 milioni di euro, un prezzo nemmeno pronunciabile se tradotto nelle antiche pesetas. Eppure anche il Financial Times allora premiò il presidente del gruppo, Alfonso Cortina, per aver condotto la fusione dell’anno. Come è facile da immaginare l’acquisizione fu un duro colpo per l’opinione pubblica , tanto che il successore di Cortina, Antonio Brufau, dovette compiere enormi sforzi per mantenere gli equilibri all’altro lato dell’oceano. Il gruppo Petrersen (della famiglia Eskenazi) fu scelto nel 2008, con il consenso del governo che mantenne diritto di veto, per argentinizzare la gestione, ed estese la sua quota al 26%. L’inizio della fine è stato un lento deterioramento delle relazioni del governo Kirchner con la famiglia proprietaria di Petersen.

I tentativi di salvare il salvabile da parte spagnola sono stati numerosi, tanto da fare intervenire in un’occasione il capo dello Stato (il re Juan Carlos) per contenere i danni. YPF rappresenta un quarto dell’utile operativo di Repsol, che non può attualmente reggere il colpo dell’esproprio. Nell’intervento alla Casa Rosada, Kirchner ha fatto riferimento a un articolo apparso negli ultimi giorni sulle pagine del quotidiano spagnolo El País in cui si riportavano questi dati e si accusava «la politica economica del governo con aumenti dei salari superiori al 20% e congelamento delle tariffe e dei prezzi dei prodotti» di essere la causa dei problemi di approvvigionamento energetico argentino. In relazione al testo ha dichiarato che «la presidentessa argentina non risponde a nessuna minaccia». Ha poi rassicurato dicendo che nessun gruppo straniero, che investe in Argentina, deve temere per il proprio futuro. Una rassicurazione che suona più che altro come una minaccia.

Tra gli investitori stranieri in Argentina regna il timore. Il congelamento delle tariffe che non segue l’andamento della crescita dei costi già soffoca il mercato. Ogni gruppo straniero, secondo quanto conferma un insider, ha nel proprio Cda almeno un uomo del governo. In concomitanza di questa azione contro Repsol l’uomo del governo avrebbe insistito affinché i dividendi venissero reinvestiti nel 100% sul territorio. Questo significa che la mano della Kirchner non ha bisogno degli espropri, i metodi di pressione sono variegati. Per quanto riguarda l’Italia, due gruppi del nostro paese gestiscono le reti del gas, sono Camuzzi e Techint, anche se la loro posizione non è nemmeno paragonabile a quella di Repsol.

In Spagna, il quotidiano El País informa questa sera che il presidente del Governo Mariano Rajoy, la vicepresidente dell’Esecutivo Soraya Sáenz de Santamaría e il ministro dell’Industria, José Manuel Soría si sono riuniti in un incontro di emergenza per studiare per reagire all’esproprio. Nel frattempo le azioni di YPF sono cadute del 19% alla borsa di New York.

Fonte: http://www.informarexresistere.fr/2012/ ... z1w768xhik


Cambiare è possibile, basta esserne convinti e voler fare il bene per il proprio paese e per il proprio popolo.

Allora vi chiedo: in Italia, il governo, i partiti, i sindacati, le istituzioni tutte... per chi lavorano?

Per i cittadini italiani?!



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MessaggioInviato: 28/05/2012, 13:08 
Ma noi cosa dovremmo nazionalizzare? Ce ne sono ancora di aziende importanti che producono molta ricchezza? No, lo dico perchè nazionalizzare l'industria estrattiva di un Paese ricco di risorse è un conto, nazionalizzare banche piene solo di debiti è un'altra cosa.

Il cosiddetto tessuto industriale italiano non esiste più, questo è uno dei problemi principali. Non abbiamo risorse naturali, non abbiamo imprese, non abbiamo fabbriche, e l'idea sarebbe quella di tornare al medioevo dei fiorini e dei ducati? Lo ri(ri-ri-ri)scrivo ancora: piano industriale, piano energetico, lavoro, istruzione e ricerca. Noi non dobbiamo pensare a come fare per non pagare il debito (che è tipico ragionamento da fallito), ma dobbiamo trovare il modo di crescere. Tutto il resto è fuffa buona per fare versi ma non per risolvere i problemi. Sennò, ho i miei soldi del Monopoli: valgono anche questi?

Quanto all'uscita dall'Euro, noi abbiamo come Italia una bilancia commerciale di -1000 milioni di euro. Siamo un Paese che importa (e non dipende dalla crisi!) molto più di quanto esporti. Voi dite di svalutare per poter esportare, bravi! Ma senza industrie cosa mi esporti, i prosciutti e il parmigiano? Svalutare del 40% come dice quel genio di un economista di Grillo significa passare di botto da 1 miliardo di "debito" commerciale annuo a 1 miliardo e 400 milioni. Con cosa lo riempiamo questo buco enorme, con quali produzioni, con quali fabbriche?


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MessaggioInviato: 28/05/2012, 22:05 
Ancora un'altra articolata "soluzione" (sempre allo scopo di "aprire la mente" ulteriormente, caro Atklanticus [;)]) applicata al modello economico americano....




Thrivemovement: Strategie per l'Economia



Traduzione: http://www.altrogiornale.org/news.php?extend.7444

Persino gli esperti più informati non sono d'accordo sul come risolvere le crisi economiche. Ciò che risulta ovvio è che è carente il dibattito su alternative serie all'economia corrente. Noi vogliamo andare oltre le solite discussioni ed esplorare possibilità rivoluzionarie che arrivino alla radice del problema.

La nostra ricerca e informazione implica direttamente il sistema bancario centrale e globale, di cui la Federal Reserve è una parte chiave negli Stati Uniti, nella devastazione e sofferenza di tantissime persone nel mondo. Banchieri potenti hanno letteralmente dirottato i nostri governi, accrescendo qui la loro influenza più che in altri settori. Lo abbiamo visto e sperimentato nel recente collasso economico, i banchieri di Wall Street che hanno creato il problema, sono stati salvati con il denaro pubblico, guadagnando ulteriore potere. Chiaramente rendere più grandi delle banche che già sono "troppo grandi per fallire" non è una strategia o soluzione efficace. Piuttosto rende tutti più vulnerabili in futuro e da alle banche ancora più controllo sul nostro governo e su di noi.

Le soluzioni seguenti escono dai tipi approcci di "riparazione rapida" e sono studiati per dare meno potere ai banchieri e più opportunità di prosperare a tutti. Le nostre soluzioni si basano sull'etica centrale della "libera prospettiva" (http://www.thrivemovement.com/solutions-liberty) e sono definite in tre stadi:

Stadio 1 - Riformare i Sistemi Attuali: Trasparenza e Responasbilità nel sistema economico. Questo include lo smantellamento della Federal Reserve, rimettere la produzione della moneta in mano al Congresso, monetizzare il debito e togliere supporto alle agenzie bancarie internazionali come la Banca del Mondo e la Banca dei Regolamenti Internazionali.

Stadio 2 - Limitare il Controllo Governativo: Ridurre l'intervento governativo nelle nostre attività giornaliere e permettere alle persone di creare le proprie valute, i propri sistemi bancari ed economie sostenibili locali. Questo include l'eliminazione dei sussidi governativi, il rollback dei programmi di assistenza e limitare molto le tasse.

Stadio 3 - Cooperazione Volontaria: Usare il potere personale e la prosperità ottenuta con gli stadi 1 e 2, perchè le persone possano meglio curarsi l'una dell'altra ed eliminare allo stesso tempo il governo involontario. Questo comprende l'apertura completa del mercato e il permettere alle persone di creare i propri sistemi governativi ed economici non-coercitivi.

Stadio 1 - Riforma

Lo Stadio 1 riguarda la riforma della Banca Centrale e ottenere una economia che lavora per le persone, non per i banchieri. Per arrivare a questo, proponiamo la chiusura della Federal Reserve e di passare temporaneamente i suoi poteri al Congresso. Questo coinciderebbe con una campagna di riforma della finanza per escludere gli interessi speciali da Washington e assicurarci che i politici rappresentino la popolazione. La Riforma nello Stadio 1 include anche la monetizzazione del debito e l'abolizione delle dannose agenzie bancarie internazionali. Potete trovare i dettagli sotto.

Smantellare la Riserva Federale

Lo smantellamento della Riserva Federale richiederà sicuramente una mobilitazione di massa contro le sue pratiche e una campagna educativa per esporre le sue falle. Potete iscrivervi per partecipare in azioni di massa (http://www.thrivemovement.com/solutions ... ass_action) Col crescere della pressione deve esistere anche una strategia per assicurare una transizione morbida ed evitare il caos economico. Per questo proponiamo il temporaneo passaggio dei poteri della Federal Reserve al Congresso. Anche se non supportiamo il potere governativo nel lungo termine, sembra necessario ridare le funzioni economiche al governo, mentre smantelliamo il sistema bancario centrale ed esploriamo nuove alternative. Sarebbe assolutamente fondamentale rendere tutto il processo delle decisioni economiche, accessibile e trasparente al pubblico. Audizioni televisive e dibattiti, come su CSPAN, potrebbero facilitare una maggior interazione e responsabilizzazione del pubblico.
Le nuove funzioni governative facilmente includeranno la stampa e il prestito di moneta ad interessi bassi o fissi a livello Federale e/o municipale. Possiamo attingere da modelli efficaci del passato e odierni. Per esempio, il Nord Dakota ora ha una banca statale che ha mantenuto un surplus nel mezzo della crisi economica. Nel 2008, mentre il resto del paese era sull'orlo della bancarotta, il Nord Dakota aveva un surplus di 1.2 miliardi di dollari.

Togliere Supporto all'IMF, alla Banca del Mondo e alla Banca dei Regolamenti Internazionali

Questo trio bancario internazionale sta distruggendo il mondo. Mandano in bancarotta i paesi, caricano interessi astronomici, richiedono condizioni sleali e creano strategie di sviluppo che sono di beneficio alle Corporazioni Multinazionali piuttosto che ai residenti del paese.

Il Fondo Monetario Internazionale (IMF) - L'IMF fa da "prestatore di ultima istanza" per paesi in via di sviluppo o difficoltà. Anche se il suo obiettivo dichiarato è "alleviare la povertà", tutti i prestiti vengono dati a condizioni rigorose e regolazioni che solitamente indeboliscono le economie, affossano i governi e i popoli nel debito e aprono il mercato a corporazioni transnazionali devastanti. Guardate questo video con John Perkins (http://www.youtube.com/watch?v=yTbdnNgqfs8) autore di Confessions of an Economic Hitman, per saperne di più.

Banca del Mondo - Anche se la Banca del Mondo rappresenta 184 paesi, è guidata da un piccolo gruppo delle più potenti nazioni che promuovono i propri interessi. Il Presidente della Banca del Mondo, per esempio, viene nominato dal Presidente degli Stati Uniti ed è sempre stato un cittadino degli USA. Come per l'IMF, la Banca del Mondo fa Prestiti di Correzione Strutturale che mettono restrizioni sulla spesa. Per esempio, un prestito della Banca del Mondo può richiedere la privatizzazione dell'acqua a beneficio delle corporazioni transnazionali e mina i diritti delle popolazioni. In questo modo la Banca del Mondo può manipolare e controllare la crescita nel mondo in via di sviluppo a proprio beneficio.

La Banca dei Regolamenti Internazionali - La Banca dei Regolamenti Internazionali (BIS) creata dai Rothschild "serve come banca delle banche centrali". E' costituita da 55 banche centrali, ma controllata principalmente dai banchieri degli Stati Uniti, dell'Inghilterra, della Germania, della Svizzera, dell'Italia e del Giappone. A differenza dell'IMF e della Banca del Mondo, opera con molta meno trasparenza e non è responsabile per i governi nazionali. Comunque ha un controllo significativo sul sistema finanziario globale impostando requisiti patrimoniali e controlli di riserva. L'evidenza mostra che ha giocato un ruolo chiave nella recessione del Giappone a fine anni '80 e più di recente ha contribuito al fallimento finanziario degli USA, rinforzando gli Accordi Basel II, che hanno richiesto alle banche di adeguare il valore dei loro titoli negoziabili nel novembre del 2007. Gli individui privati nella BIS prendono decisioni economiche fondamentali senza lo scrutinio pubblico. Questo deve finire! Per saperne altro leggete l'articolo di Ellen Brown (http://globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=13239)

Rifiutare le Tasse Internazionali

Le NU e altre organizzazioni internazionali stanno spingendo politiche a favore di un sistema di tassazione globale. Cap e Trade è un esempio (http://www.storyofstuff.com/capandtrade/) Questo consoliderebbe il potere. Non accettatelo.

Monetizzare il Debito

Permettendo al governo di rilasciare la moneta fiat, al posto della Federal Reserve, potremmo eliminare il debito nazionale. Il debito nazionale è costituito da titoli: cambiali, obbligazioni e banconote. Il governo USA potrebbe semplicemente rilasciare nuova moneta fiat per ricomprare tutti i titoli e toglierli dalla circolazione. Dato che questi titoli fungono da contante, questo non aumenterebbe la fornitura di moneta totale causando inflazione. Invece eliminerebbe il debito e i contribuenti non dovrebbero più pagarne gli interessi. E' così semplice, chiedereste, perchè non lo facciamo? Perchè la Federal Reserve ora ha il potere di emettere moneta. Quando la Federal Reserve compra i titoli, questi divengono "riserva" per fare nuovi prestiti. Questo crea il problema dell'inflazione crescente. Se smantelliamo la Federal Reserve, daremo potere al Congresso e quindi potremo eliminare facilmente il debito.

Stadio 2 - Limitare il Governo

Nello Stadio 2 vogliamo limitare le funzioni del governo alla protezione dei diritti individuali e a supporto della creazione di economie locali, valute competitive e di un mercato davvero libero senza intervento governativo. Questo includerebbe l'abrogazione delle leggi sulla moneta a corso legale (repealing legal tender laws) per permettere ad altre valute di emergere e competere, l'eliminazione dei sussidi governativi, il rollback dei programmi di assistenza (entitlement programs) e la limitazione delle tasse. Inoltre includerebbe una transizione da banche statali a banche private in diversi sistemi bancari.

Abrogazione delle Leggi sul Corso Legale

Mentre lo Stadio 1 riguarda la creazione di un tipo di banche governative basate sui servizi, non sarebbero le uniche. Nello Stadio 2, andrebbero incoraggiate altre valute e altri sistemi bancari che dovrebbero competere. Le banche potrebbero avere diverse forme e tutte dovrebbero competere nel mercato aperto. Alcune emetteranno monete locali, altre saranno coperte al 100% da argento o oro, altre saranno possedute e guidate da membri della comunità, ecc.. Il prestito con riserva frazionaria sarà illegale per proteggere i mutuatari da pratiche fraudolente.

Eliminare i Sussidi e i Salvataggi Governativi

Le aziende sovvenzionate hanno un vantaggio sleale che permette loro di restare competitive. Nello Stadio 2, ogni azienda incapace di competere nel mercato aperto, dovrebbe poter fallire senza salvataggi o sussidi governativi. Le aziende agricole, per esempio, che hanno fatto abbassare il prezzo del cibo e tagliato fuori quelle organiche, non saranno più aiutate con sussidi. I prezzi delle materie prime inizieranno a riflettere il proprio vero valore e le aziende migliori e più affidabili saliranno in cima.

Usare l'Aumentata Ricchezza Personale contro la Cattiva Gestione Governativa dei Programmi di Assistenza

Quando il denaro sarà maggiore per tutti col decremento delle tasse, cresceranno le opportunità per curarsi l'uno con l'altro, piuttosto che appoggiarsi ai servizi governativi finanziati dalle tasse. I servizi come il Welfare, la Sicurezza Sociale e la Assistenza Sanitaria, non serviranno più, perchè tutti avranno più risorse con le quali sostenersi e aiutare gli altri. L'evidenza mostra che le persone libere di prosperare sono più inclini e capaci di prendersi cura tra loro, meglio dello Stato. Questo naturalmente può preoccupare chi vuole essere certo che ognuno riceva le cure basilari, ma comunque i programmi del governo sono molto inefficienti, spesso inefficaci e non permettono il completo recupero e supporto possibile alle persone ricche.

Limitare le Tasse alla Protezione dei Diritti Individuali e Comuni

Molte delle tasse in USA vanno ai militari e negli interessi del debito. Nello Stadio 2, le tasse diminuirebbero enormemente. Serviranno ancora per proteggere dall'inquinamento i beni comuni, l'aria, l'acqua e la terra che condividiamo e per la protezione umana basilare finchè lo Stadio 3 non sarà pienamente solido per proteggere le persone, la loro proprietà e gli spazi condivisi.

Stadio 3 - Sistemi di Cooperazione Volontaria

Allo Stadio 3 il governo coercitivo è dissolto i l'impresa privata volontaria, inclusa la giustizia, l'assicurazione e la sicurezza, competeranno per il rispetto dei potenziali acquirenti. Le persone creeranno sistemi di cooperazione volontaria, nessuna forzatura o coercizione, finchè qualcuno non violerà altri. Chiaramente sorgeranno molte domande nella transizione da un tipo di Stato genitore (che ci dice cosa fare o no, cosa studiare, chi possiamo sposare, cosa viene messo nell'acqua, chi deve andare in guerra a beneficio delle corporazioni, ecc..) Cosa faremo con i criminali? Con la scuola? La Sanità? L'Economia? Questi sono punti legittimi e importanti da affrontare nel passaggio ad una piena libertà per tutti. Fortunatamente molte persone hanno già pensato a lungo a questo e conoscono i sistemi e le soluzioni dello Stadio 3. La sfida sta nella transizione, come ci arriviamo? Per il settore economico servirà un vero mercato libero e una forma di giustizia privata e dei sistemi di sicurezza. Ecco alcune possibilità:

Stabilire un Vero Mercato Libero

Non abbiamo mai provato un vero mercato libero senza intervento governativo. Porterà grande innovazione, diversità e crescita per creare sistemi economici prosperanti. I migliori modelli bancari, le migliori reti di commercio e i migliori sistemi di valuta saliranno in cima. Dato che lo Stadio 3 è basato sulla non-violazione, avremo anche prodotti e servizi più sostenibili.

Sistemi per la Protezione

Allo Stadio 3, non saranno più necessarie le corti statali. Il ricercatore e conduttore di Freedomain Radio, Stefan Molyneux (http://www.freedomainradio.com/Home.aspx) suggerisce l'uso delle Organizzazioni per la Risoluzione di Dispute (DRO). Ogni persona avrebbe una DRO, simile ad una compagnia assicurativa per le attività giornaliere. Le DRO forniranno anche l'assicurazione per i contratti e guadagneranno in base al rischio del contratto. Se qualcuno rompe il contratto, la DRO paga per questo. Le DRO incentivano il buon comportamento, perchè questo tiene basso i costi. Le DRO sono anche incentivate ad incoraggiare il buon comportamento, perchè guadagnano di più e devono pagare meno per il comportamento dei clienti. Questo viene approfondito nella Sezione Libertà (http://www.thrivemovement.com/views/solutions-liberty) e qua viene offerta solo una idea di come una società senza stato possa affrontare il crimine in modo non violento.

Nota: Corso Legale significa che le banconote della Riserva Federale (Dollari USA) sono considerate una offerta valida e legale come pagamento negli USA. Il Coniage Act del 1965, alla Sez.31 U.S.C.5103, intitolata "Legal Tender", dice: "Le monete degli Stati Uniti e le valute (incluse le note della Federal Reserve e le banconote circolanti delle banche della Federal Reserve e nazionali) hanno corso legale per tutti i debiti, gli oneri pubblici, le tasse e i contributi"


Fonte:
http://www.thrivemovement.com/sector_so ... -economics



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"…stanno uscendo allo scoperto ora, amano annunciare cosa stanno per fare, adorano la paura che esso può creare. E’ come la bassa modulazione nel ruggito di una tigre che paralizza la vittima prima del colpo. Inoltre, la paura nei cuori delle masse risuona come un dolce inno per il loro signore". (Capire la propaganda, R. Winfield)

"Onesto è colui che cambia il proprio pensiero per accordarlo alla verità. Disonesto è colui che cambia la verità per accordarla al proprio pensiero". Proverbio Arabo

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MessaggioInviato: 29/05/2012, 11:20 
Cita:
sezione 9 ha scritto:

Il cosiddetto tessuto industriale italiano non esiste più, questo è uno dei problemi principali. Non abbiamo risorse naturali, non abbiamo imprese, non abbiamo fabbriche, e l'idea sarebbe quella di tornare al medioevo dei fiorini e dei ducati? Lo ri(ri-ri-ri)scrivo ancora: piano industriale, piano energetico, lavoro, istruzione e ricerca. Noi non dobbiamo pensare a come fare per non pagare il debito (che è tipico ragionamento da fallito), ma dobbiamo trovare il modo di crescere. Tutto il resto è fuffa buona per fare versi ma non per risolvere i problemi. Sennò, ho i miei soldi del Monopoli: valgono anche questi?



Tutto il resto è fuffa? La fuffa ce la stai propinando, tu con questo ri-ri-ri riproporre una cosa che non è fattibile. Chi te l'ha consigliata? Bersani? Ah no scusa.... lo ha detto Monti. Prima ha tagliato 'sto mondo e quell'altro, poi ha parlato di "crescita" ed infine ha detto, sempre LUI, che per la crescita non ci sono i soldi. Hai capito il Professore?? Per il Piano Industriale, ci vogliono TANTI SOLDI, per il Piano Energetico ci vogliono TANTI SOLDI, per l'Istruzione e la Ricerca, ci vogliono TANTI SOLDI. E allora.... mi spieghi tecnicamente, con dati alla mano, come sia possibile mettere in moto la famosa crescita SE i soldi che lo stato OGGI accantona (con le accise, con le tasse, con i tagli, con il recupero dell'evasione fiscale, con l'IMU, il super IMU, etc etc) li impiega per pagare gli interessi sugli interessi e per ripianare il debito pubblico?

Tu dici che "noi non dobbiamo pensare a come fare per non pagare il debito (che è tipico ragionamento da fallito)".... ma non capisci che invece è l'unica possibilità che abbiamo per risollevarci? Ma non capisci che il problema è IL SISTEMA DEBITO? Non capisci (tu e Bersani) che se spendiamo più di quanto produciamo e paghiamo profumatamente gli interessi sul debito, il default è matematico? Non capisci che sono proprio quei soldi che invece potrebbero essere utilizzati per lo sviluppo e per la crescita? E che, SEMMAI, potrà essere l'innalzamentio del PIL, un giorno di domani, a riportare le cose nella normalità?



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MessaggioInviato: 03/06/2012, 19:24 
[B)]

Voglio postare qui questo articolo, a ricordo di una ragazza il cui messaggio (penso) ben calza con il thread "Rinascita Sociale Globale".

Si tratta di Marina Keegan, laureata a Yale a 22 anni.

È morta Marina Keegan la ragazza che sfidò Wall Street

Si era appena laureata a Yale Marina Keegan, la ragazza americana famosissima tra le giovani generazioni per aver promosso una campagna trasversale contro lo tentazioni di Wall Street, quando ha perso la vita in un incidente stradale. Aveva 22 anni. L’incidente è avvenuto sabato scorso nei pressi di Dennis, Massachusetts, quando l’auto del suo ragazzo, Michael Gocksch, anch’esso 22enne e rimasto gravemente ferito, si è rovesciata in una carambola paurosa. La sua storia ha commosso l’America.

Marina aveva appena cominciato a collaborare nel The New Yorker magazine, ed aveva scritto con altri studenti il musical “Independents”, la cui prima sarà al New York Fringe Festival durante la prossima estate. Durante gli anni di studio universitario la ragazza ha contribuì ad organizzare un protesta che fece molto parlare in America: l’occupazione della banca Morgan Stanley.

Migliaia di studenti, al grido “prendete posizione, non entrate nella finanza”, si radunarono fuori dall’albergo in cui il presidente dell’istituto di credito stava tenendo un incontro informativo. Lo slogan non era tanto rivolto ai ‘baroni’ della finanza ma alle giovani leve. Un invito esplicito a non farsi attirare dalle sirene della borsa.

La ragazza scrisse anche un saggio sul tema che fu pubblicato nel The Yale Daily News.

Un saggio dal titolo emblematico, “Spingere i giovani ad utilizzare il proprio talento più dei numeri di Wall Street”, che aprì un importante dibattito nazionale. Dopo la sua morte il saggio in poche ore è stato letto da circa 400mila persone in tutto il mondo, dall’Asia agli States.

Nel saggio Martina scrisse: “Forse sono troppo ottimista, ma penso che la maggior parte dei giovani vorrebbero avere un impatto positivo sul mondo. Che si tratti di arte, del mondo dell’attivismo o la ricerca scientifica, la vita di quasi ogni studente con cui ho parlato è sempre spinta da un grande obbiettivo altruista”. Nel campus ancora, tra gli studenti, riecheggiano le sue parole cariche di speranza: “I migliori anni della nostra vita non sono dietro di noi, siamo giovani, siamo giovani, abbiamo 22 anni”.

Fonti:
http://www.informarexresistere.fr/2012/ ... z1wkeD4Kay
http://www.leggo.it/news/mondo/muore_a_ ... 2005.shtml


La speranza per il futuro sta nelle persone come Marina Keegan, che non si fanno 'corrompere' dalla ricchezza promossa da Wall Street e va avanti per la sua strada, spinta, come lei stessa diceva, da un grande obiettivo altruista e dalla volontà di migliorare questa nostra società.



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