Non più l’Unione Sovietica dei tempi della Guerra Fredda, ma i bastioni comunisti di Cina e Corea del Nord. Con il mutare degli scenari internazionali, il Giappone adegua la strategia militare a quelle che promuove a minacce del terzo millennio.
“Direttive sul programma della difesa nazionale per i prossimi dieci anni” il titolo del documento appena approvato, che mira alla redistribuzione dei contingenti sul territorio, entro il 2020.
Specchio dei nuovi timori di Tokyo, l’alleggerimento del potenziale difensivo nella penisola di Hokkaido e la sua concentrazione, invece, nel sud del paese.
Un modo anche per marcare il proprio interesse per il conteso arcipelago delle Senkaku: isole a sud di Okinawa rivendicate anche da Taiwan, e ormai divenute simbolo del braccio di ferro con Pechino.
La flotta di sommergibili passerà da 16 a 22. Ad aumentare sarà anche il numero di navi militari dotate di missili intercettori, mentre quello delle basi per il lancio dei Patriot dovrebbe addirittura raddoppiare. Una redistribuzione delle “forze di autodifesa”, come le definisce la costituzione pacifista imposta al Giappone al termine della Seconda guerra mondiale, con cui Tokyo tradisce la sua preoccupazione per l’accresciuta potenza economica e militare cinese.
Malumori alimentati dall’intensificarsi delle esercitazioni militari e che hanno indotto in allarme i responsabili della difesa giapponese.
“I movimenti di truppe – dice il portavoce del governo Yoshito Segoku -, la mancata trasparenza di Pechino sul continuo incremento delle sue spese militari e il fatto che nel corso dell’anno abbiamo dovuto reiterare più volte le nostre proteste, stanno diventando per motivi di seria preoccupazione per noi”.
Emblema del fragile equilibrio, la crisi diplomatica innescata ai primi di settembre dalla collisione fra un peschereccio cinese e due motovedette giapponesi, proprio al largo delle Senkaku.
Per quanto destinate dalla Costituzione a intervenire con funzione esclusivamente difensiva, le forze armate giapponesi sono fra le meglio equipaggiate al mondo. Superiori per effettivi a quelle di numerosi paesi europei, con i loro circa 230.000 uomini, non arrivano tuttavia a rappresentare che un decimo di quelle vantate dal temuto vicino cinese.
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