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MessaggioInviato: 15/10/2010, 19:12 
A Bankitalia il compito di descrivere l'amara situazione dell'economia

Le analisi contenute nell'arido ma veritiero Bollettino economico di via Nazionale: «I consumi delle famiglie non crescono. Disoccupazione reale all'11%». Peggio: "Nella fascia dei giovani tra i 15 e i 24 anni il tasso dei senza lavoro è oltre il triplo rispetto alla media".

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Pubblicato il 15 ottobre 2010 - Ore 16:00

Fonte:
http://www.wallstreetitalia.com/article ... ge=1021097

Le famiglie non sembrano disposte a spendere perché sono indebitate e i redditi scendono. Come conseguenza i consumi restano cauti e i «segnali per i mesi estivi non ne delineano un recupero». È quanto scrive la Banca d'Italia nell'ultimo Bollettino economico secondo cui «nel secondo trimestre del 2010 è proseguito il ristagno dei consumi delle famiglie, frenati dalla contrazione degli acquisti di beni durevoli (-6,8% sul periodo precedente)». In particolare, nel secondo trimestre «il debito delle famiglie (misurato in rapporto al reddito disponibile sui dodici mesi precedenti) è aumentato di oltre mezzo punto». Alla contrazione dei consumi ha contribuito la fine delle agevolazioni fiscali alla rottamazione delle auto più inquinanti.

Secondo Bankitalia «le prospettive sul mercato del lavoro rimangono incerte» e a farne le spese sono soprattutto i giovani tra i 15 e i 24 anni il cui tasso di disoccupazione continua a essere più di tre volte maggiore della media. Il Bollettino economico osserva che il tasso di disoccupazione reale, che comprende lavoratori scoraggiati e ore di Cig, viaggia oltre l'11% (secondo l'Istat nel terzo trimestre è l'8,5%).

Le imprese italiane proseguono sulla strada di una graduale ripresa, secondo la Banca d'Italia, ma pesa l'incertezza sull'intensità e la forza di questa ripresa. Ad attestare questo clima all'insegna dell'incertezza è l'indagine trimestrale presso le imprese dell'industria e dei servizi.



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"…stanno uscendo allo scoperto ora, amano annunciare cosa stanno per fare, adorano la paura che esso può creare. E’ come la bassa modulazione nel ruggito di una tigre che paralizza la vittima prima del colpo. Inoltre, la paura nei cuori delle masse risuona come un dolce inno per il loro signore". (Capire la propaganda, R. Winfield)

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MessaggioInviato: 18/10/2010, 17:32 
Sacconi: disoccupazione peggio di crisi
Corteo Fiom, spero nuovo segretario Cgil cerchi dialogo

(ANSA) - ROMA, 18 OTT - 'Probabilmente il peggio che ha fatto temere il collasso delle economie e' passato, ma viviamo una stagione difficile per l'occupazione', ha detto il ministro del lavoro, Maurizio Sacconi. 'La situazione occupazionale e' piu' difficile della situazione economica', ha aggiunto. Sacconi ha parlato anche del corteo Fiom di sabato: 'E' stata una manifestazione politica della sinistra radicale, voglio sperare che il nuovo segretario della Cgil cerchi il dialogo e la mediazione con Cisl e Uil'.

Fonte
http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche ... 36882.html


DISOCCUPAZIONE: MARCEGAGLIA, PER NOI DATO E' 8,2% ISTAT


(ASCA) - Prato, 16 ott - ''Per noi la disoccupazione e' il dato ufficiale dell'Istat che e' all'8,2%''.

Lo ha detto Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, rispondendo ai giornalisti che gli chiedevano un commento sulla 'querelle' tra Bankitalia (che parla dell'11% di disoccupazione reale) e governo sui dati della disoccupazione.

''Noi - ha detto a margine del forum delle Pmi a Prato - dobbiamo prendere per buoni i dati dell'Istat che parlano di una disoccupazione all'8,2%. E' chiaro poi che se inseriamo la Cig e i cosiddetti scoraggiati arriviamo a quel dato.

Pero' tutti i Paesi hanno l'istituto di statistica nazionale che da' i dati e per noi la disoccupazione e' il dato ufficiale dell'Istat che e' all'8,2%''.

Fonte
http://www.asca.it/news-DISOCCUPAZIONE_ ... -ORA-.html


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MessaggioInviato: 18/10/2010, 17:33 
Disoccupati che rifiutano lavoro: l'Italia ignorata da Annozero

Nel Bergamasco un supermarket chiama per un colloquio 130 cassaintegrati ma 59 snobbano l'offerta. Intanto su Raidue vanno in onda solo i disperati. Il sindaco: "Se la prendono comoda. Ormai non riconosco più la mia gente"

Ma esiste solo l’Italia della crisi? Se guardi Santoro, come è capitato a molti giovedì sera, la risposta è sì. E ti viene un magone lungo così. Le trecento operaie che hanno perso il lavoro perché la Omsa ha trasferito la fabbrica in Serbia, i terzisti che non ce la fanno più e raccontano storie di imprenditori suicidi, disoccupate che sognano la rivoluzione. Ti tocca pure ascoltare Bersani, il quale si presenta come un leader della sinistra moderna e progressista, in giacca e cravatta, ma poi afferma che «in Italia i soldi ci sono» e che «bisogna andare a prenderli per metterli dove c’è bisogno». Testuale. A quel punto vedi nero, anzi rosso. Spegni il televisore e vai a letto. Sconsolato.
Poi al mattino ti svegli. E sorridi. Anzi, ti arrabbi. E ti chiedi: ma perché Santoro non fa vedere anche l’altra Italia? Ad esempio quella delle piccole e medie imprese che in agosto hanno fatto salire l’export del 31,5% e che continuano a combattere, a innovare, persino ad assumere.

Già, assumere. Parola grossa, in tempi di disoccupazione. Ma non da tutti apprezzata. L’altra Italia, che Santoro ignora, è quella che, quando resta a spasso, si permette di nemmeno cercare un lavoro. Addirittura di snobbarlo, quando sono altri a offrirlo graziosamente.
Cose che accadono non solo nel Meridione, ma talvolta anche al nord. Il sindaco di Albino, piccolo comune bergamasco della Val Seriana, è riuscito a ottenere da una grande società di distribuzione, «il Gigante», l’impegno ad assumere a tempo pieno 40 disoccupati oppure 80 part-time in un mega centro commerciale Honegger di prossima apertura. Per una volta erano tutti d’accordo: autorità locali, imprenditori, sindacati. Bella iniziativa, autenticamente solidale, in una zona manifatturiera, che, come altre, ha risentito la crisi, inducendo diverse aziende, soprattutto del tessile, a ridurre gli effettivi.

Sia chiaro: la disoccupazione è cresciuta, pur rimanendo contenuta. Secondo le statistiche ufficiali i senza lavoro sono 130. Assumendone 40 il tasso di disoccupazione sarebbe stato abbattuto di un terzo. «Il Gigante» si è preso addirittura la briga di contattare personalmente i cassaintegrati, i quali si sono visti recapitare una lettera con la proposta di un colloquio. Un sogno, ma, evidentemente, non da tutti condiviso. Su 130 ben 59 non hanno nemmeno risposto. Si trattasse di dirigenti che si rifiutano di considerare mestieri semplici, sebbene degnissimi, come quelli di portiere, addetto alle pulizie, magazziniere, si potrebbe capire. Ma Albino era e resta terra di operai e muratori. E anche considerando disfunzioni burocratiche, come l’aggiornamento delle liste di collocamento, i conti non tornano. Quasi il 50% di mancate risposte è una percentuale troppa alta. E per questo emblematica.

Amara per il sindaco Luca Carrara, che afferma «di non riconoscere più la sua gente», i suoi bergamaschi ovvero i lavoratori più tenaci, affidabili d’Italia. Gente che non si stanca mai, che non molla mai. Testa bassa e via a lavorare. Un tempo; oggi, forse, un po’ meno. Non tutti, per carità. Ai colloqui si sono presentati ben 706 disoccupati dei comuni circostanti. Segno che certi valori non sono tramontati. «Ma anche da noi c’è chi cambia passo e tende a prendersela comoda», aggiunge Carrara. E dunque a stare a casa, in cassa integrazione. Seduto, godendosi una lunghissima vacanza.

Stanno così bene da poter comportarsi come ricchi signori? O sono rammolliti da uno Stato sociale troppo generoso, che molto offre e nulla pretende in cambio? Vai a sapere. Forse un po’ dell’uno e un po’ dell’altro. Perché l’Italia non è a livello zero, né piagnona, né disperata, come la dipinge Santoro. La sua ricchezza familiare è tra le più alte in Europa, e il suo debito statale, sebbene elevato, è compensato da un indebitamento privato irrisorio rispetto agli altri Paesi. L’America dell’osannatissimo Obama è messa, paradossalmente, peggio di noi: sommersa dai debiti, sia pubblici che privati, e la ripresa si è già sgonfiata, come ha ammesso ieri la Federal Reserve.

Un’Italia forse un po’ contadina, che negli ultimi vent’anni non si è lasciata incantare dalle sirene del credito al consumo, e che forse si è un po’ imborghesita. Un’Italia per molti versi contraddittoria, geniale e al contempo furba, anche un po’ malandrina. Un’Italia complessa, che nemmeno i sociologi riescono a capire fino in fondo, ma certo ben diversa da quella che Santoro dipinge a modo suo. Con il bene sempre da una parte e il male sempre dall’altra.

Fonte
http://www.ilgiornale.it/interni/disocc ... comments=1


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MessaggioInviato: 18/10/2010, 20:50 
Vimana, siamo in Italia, con tutti i pregi e i difetti che cio comporta.
Chi ha bisogno veramente di lavorare, prende quello che c' è e non si permette di rifiutare un lavoro.
Santoro e una parte della sinistra, stanno cercando di recuperare la classe operaia nell' unico modo di cui sono capaci, con false promesse.
Per certa gente, i sacrifici sono un optional e tutto è dovuto.
I colpevoli non sono i disoccupati che spesso sono disorientati dalle azioni dei politici, ma quest' ultimi.



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MessaggioInviato: 18/10/2010, 21:48 
Cita:
greenwarrior ha scritto:

Vimana, siamo in Italia, con tutti i pregi e i difetti che cio comporta.
Chi ha bisogno veramente di lavorare, prende quello che c' è e non si permette di rifiutare un lavoro.
Santoro e una parte della sinistra, stanno cercando di recuperare la classe operaia nell' unico modo di cui sono capaci, con false promesse.
Per certa gente, i sacrifici sono un optional e tutto è dovuto.
I colpevoli non sono i disoccupati che spesso sono disorientati dalle azioni dei politici, ma quest' ultimi.


Quoto tutto

Aggiungo che molta gente preferisce essere cassaintegrato per fare il secondo lavoro [:(!]


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MessaggioInviato: 19/10/2010, 14:46 
Meno studi meglio è: la provocazione di una pubblicità nella bergamasca
http://www.dirittodicritica.com/2010/10 ... ergamasca/


Andrea e Luca. Il primo, sorridente e sportivo, dopo le scuole medie ha preso la qualifica professionale ed ora è caporeparto, ha un reddito fisso e vive con la fidanzata. Il secondo, elegante in giacca a cravatta ma con lo sguardo contrariato ed insicuro, è laureato, precario alla ricerca di un lavoro e vive ancora con i genitori. Voi chi scegliereste?

E’ questo il quesito proposto da una pubblicità diffusa nei giorni scorsi dal Consorzio Enfapi di Treviglio nella Bassa Bergamasca: pubblicità che mette in luce la disparità attuale di prospettive tra chi decide di proseguire con gli studi e chi, invece, sceglie una carriera di tipo professionale, evidenziando come la seconda possa garantire maggiore sicurezza.

Il manifesto, affisso in diciassette comuni, è stato diffuso dall’ Enfapi – l’istituto professionale dell’Unione Industriali di Bergamo, che si occupa di formare operai nei settori dell’industria meccanica ed elettrica – per reclamizzare i propri corsi di formazione professionale (Cfp) e promuovere una riscoperta dei lavori artigianali tradizionali, ma ha suscitato non poche polemiche da parte dei giovani studenti e laureati della zona, che vi hanno letto una vera a propria campagna denigratoria nei propri confronti: come a dire, “meno studi, meglio è”.

«Nessun intento offensivo – spiega il direttore del centro, il dottor Umberto Palumbo – Siamo assolutamente consapevoli dell’importanza di tutti i tipi di formazione. Il vero messaggio – continua – è che la formazione delle competenze tanto necessarie in un mondo globalizzato può seguire due strade, la prima teorica e la seconda più operativa, puntando l’attenzione sul fatto che non esiste una sola via per raggiungere posizioni di responsabilità».

«Non vedo nulla di male nella pubblicità – ha commentato Luciano Mayer, grafico pubblicitario di Treviglio e vicepresidente dell’Acpi (associazione consulenti pubblicitari italiani), che si è occupato della realizzazione del contestato manifesto – perchè fotografa la realtà diffusa nel nostro paese. Si tratta di un messaggio alle famiglie: o indirizzi il figlio alla laurea, con il rischio che resti precario per molti anni prima di ottenere un salario adeguato ai suoi studi, – spiega ancora Mayer – oppure gli fai frequentare i corsi professionali, con la certezza di lavorare fin da subito. Il mio manifesto voleva far meditare» ha concluso il pubblicitario.

Parole duramente contestate dagli studenti della zona, che di meditativo nel manifesto non hanno trovato proprio nulla e su Facebook hanno dato sfogo alla loro indignazione: «Non c’era bisogno di fare una pubblicità del genere – scrive uno studente – quando è risaputo che chi intraprende gli studi universitari ha poi difficoltà di sbocchi lavorativi, soprattutto in questi tempi» e ancora «Mi sembra decisamente ingiusto – dice una studentessa – presentare in modo così umiliante la scelta di vita di molti giovani, i cui genitori hanno lavorato per poter garantire loro un’istruzione superiore».

Scritto da Erica Balduzzi in data 19 ottobre 2010#65279;



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MessaggioInviato: 19/10/2010, 16:40 
I posti dei padri ricadono sui figli
L'accordo firmato ieri da Unicredit e i sindacati garantisce corsie preferenziali per i figli dei dipendenti
Un accordo che vede lavoro come proprietà privata e quindi ereditaria, sostiene Pietro Ichino

Ieri è stato firmato un accordo tra Unicredit e i sindacati riguardo i 4.700 esuberi previsti dalla banca. L’accordo prevede che 3000 persone possano decidere volontariamente di lasciare il posto di lavoro: qualora al 15 novembre la cifra non sia stata raggiunta, è prevista l’uscita forzosa a cominciare dai dipendenti che hanno quarant’anni di contributi e quindi hanno la possibilità di avere una pensione piena. Ieri le agenzie di stampa aggiungevano un altro particolare dell’accordo, a prima vista piuttosto singolare. “Dopo ore di discussione”, si leggeva, Unicredit si è impegnata a “privilegiare le assunzioni dei figli dei dipendenti con due vincoli legati alla laurea e alla conoscenza della lingua inglese”. Sempre stando a quanto ha pubblicato la stampa, e che nessuno ha smentito, “Unicredit non ha invece accettato l’idea di un’assunzione automatica dei figli dei propri dipendenti destinati al prepensionamento”, che era stata proposta dai sindacati.

La questione è stata discussa un po’ online, durante la giornata di ieri, ma non ha trovato grande attenzione da parte della stampa nazionale. L’unico giornale a dedicare ampio spazio a questa storia oggi è il Mattino, con un articolo e un’intervista a Pietro Ichino.

L’articolo riassume la questione e racconta come questo genere di meccanismo sia piuttosto diffuso nel mondo delle banche e sia tradizionalmente merce di scambio e oggetto di trattativa con i sindacati. Ci sono varie sfumature: in alcuni istituti si tratta di un vero e proprio automatismo, col dipendente che può scegliere di andare in pensione senza incentivi ma indicando un proprio familiare da assumere a tempo indeterminato; in altri ai figli dei dipendenti viene attribuita una sorta di corsia preferenziale, così da essere preferito a chi non ha un genitore bancario, a parità di curriculum. Ci sono varie sfumature anche tra le posizioni, riguardo questo genere di misure. I sindacati in passato le hanno pretese e rivendicate, le banche subìte. Oggi le posizioni si stanno rimescolando: alcune sigle sottoscrivono malvolentieri accordi in così palese contraddizione con i principi di mobilità sociale ed equità che dicono di sostenere, qualche industriale invece ha messo da parte le sue perplessità.

Questo genere di meccanismi non è limitato alle banche ma è diffuso in molte aziende private e persino in Poste Italiane. L’accordo di ieri è stato commentato così da Alberto Bombassei, vice presidente di Confindustria: “Questa prassi potrebbe sancire un legame stretto della singola azienda con il territorio. Un tempo ci si rivolgeva al parroco per prendere notizie su una famiglia. Oggi, conoscendo la serietà di un padre, si è meglio disposti a prenderne il figlio”. Come se i ragazzi che non vengono valutati e assunti perché non hanno un padre bancario non venissero “dal territorio” ma da un altro pianeta.

Il resto lo spiega bene Pietro Ichino, sempre sul Mattino.

L’accordo Unicredit sugli esuberi appena siglato riserva tra le altre cose una quota di neoassunti ai figli dei dipendenti che vanno in pensione: le sembra un criterio giusto?
Questo accordo è una tipica manifestazione del regime di job property che caratterizza oggi il diritto e la cultura del lavoro nel nostro Paese: poiché il posto di lavoro è oggetto di un diritto di proprietà, è giusto che lo si possa lasciare in eredità a un proprio figlio o nipote.

La si può considerare come una prassi tutto sommato adatta a un mercato del lavoro vischioso e un po’ asfittico come è quello italiano?
Direi proprio di no: questa prassi accentua la vischiosità di cui lei parla, accentua il familismo e il difetto di mobilità dei lavoratori, quindi peggiora l’allocazione delle risorse umane nel tessuto produttivo, limitando drasticamente la possibilità di selezione reciproca fra chi cerca e chi offre lavoro. Quando ci chiediamo perché il lavoro in Italia è meno produttivo rispetto agli altri grandi Paesi europei, dobbiamo considerare che anche il regime di job property contribuisce a questo difetto di produttività.

Questa sorta di eredità lavorativa può secondo lei creare delle discriminazioni all’interno dell’azienda rispetto ad altri giovani che per essere assunti devono sostenere un regolare concorso?
La discriminazione è peggiore: perché, in questo modo, chi non parente di un “insider” non ha neanche la possibilità del concorso aperto, dal momento che il posto viene assegnato direttamente al figlio di papà per diritto ereditario.

Potrebbe anche diventare una sorta di condizionamento per il futuro di un figlio?
Un condizionamento profondamente antieducativo per i figli dei lavoratori interessati, certamente. Invece di stimolarli al massimo impegno nello studio e nella formazione professionale, si invia loro il messaggio secondo cui il posto è comunque garantito in famiglia, senza bisogno di conquistarselo. Ma al tempo stesso si fa il loro danno, perché li si distoglie dal cercare il lavoro che preferiscono, quello per il quale sentono una vera vocazione. Più in generale, si tramanda loro una concezione del mercato del lavoro vecchia e falsa: quella di un mercato in cui se non sei raccomandato non hai alcuna possibilità. Perché impegnarsi per un lavoro migliore, in un mercato come questo?

Fonte
http://www.ilpost.it/2010/10/19/accordo ... dit-figli/


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MessaggioInviato: 19/10/2010, 16:43 
Eh??? Siamo tornati al medioevo? [8)] Intanto...


Ecco come si risolve il "buco dell'ICI", e chiaramente a partire dal 2014, così in futuro si darà la colpa al governo presente.

http://www.repubblica.it/esteri/2010/10 ... ef=HREC1-2

Il governo ci ripensa, dal 2014
addio esenzione Ici per la Chiesa

La futura imposta municipale colpirà ospedali, scuole e alberghi degli enti ecclesiastici. Salvi i fabbricati per l'esercizio del culto e quelli della Santa Sede previsti dal Concordato

ROMA - Pressato dalle esigenze di bilancio per lanciare il federalismo e dalla procedura per aiuti di Stato della Commissione Ue, il governo si appresta a cancellare parte delle esenzioni fiscali concesse alla Chiesa. La porzione più corposa, ovvero quella che ogni anno permette agli enti ecclesiastici di non pagare l'Ici per circa un miliardo di euro. Per intenderci: dal 2014 ospedali, scuole, alberghi e circoli della Chiesa dovranno operare in regime di concorrenza versando le stesse tasse imposte agli altri imprenditori privati. Il taglio ai privilegi - introdotti dallo stesso governo Berlusconi nel dicembre 2005 in vista delle elezioni della primavera successiva - è contenuto in un oscuro comma infilato nel decreto sul federalismo fiscale municipale approvato dal governo lo scorso 4 agosto e mai pubblicizzato.

Il testo, a saperlo leggere, è chiaro: l'articolo 5 del decreto che introduce l'imposta unica municipale (Imu) cancella alcune esenzioni fiscali accordate dalla vecchia Ici (che dall'Imu verrà inglobata). Tra le quali quelle comprese dalla lettera "i" della 504 del 1992 (legge istitutiva della tassa sulla casa) che contempla i soggetti "destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive". Tradotto, si tratta degli enti ecclesiastici che operano nella sanità (ospedali e cliniche legate alla Chiesa), nell'educazione (scuole private), nel turismo (alberghi e resort - spesso a cinque stelle - del mondo cattolico) e i circoli. Continueranno invece a non pagare le tasse (cosa mai contestata dall'Unione europea) chi ai sensi dei Patti Lateranensi gode dello status di zona extraterritoriale (ad esempio Castel Gandolfo, l'Università lateranense o il vicariato), nonché i luoghi di culto (le chiese) e le loro pertinenze (i chiostri, il sagrato o la canonica), le parrocchie e gli immobili utilizzati per i servizi sociali in convenzione (mense, centri di assistenza e volontariato).

Dal Tesoro da un lato si conferma che resteranno in vigore solo le esenzioni previste dai Patti, ma dall'altro si fa capire che il testo potrebbe ancora essere modificato prima della adozione definitiva. Fatto sta che il provvedimento, se confermato, cancellerebbe metà della procedura Ue per aiuti di Stato illegittimi concessi dal governo agli enti del Vaticano. Resterebbe in piedi la parte che riguarda l'esenzione del 50% delle imposte sui redditi (Ires) per le centinaia degli enti ecclesiastici attivi nella sanità e nell'istruzione e quella che chiede la cancellazione dell'articolo 149 (quarto comma) del Testo unico delle imposte (Tuir) che riconosce agli enti ecclesiastici lo status perenne di enti non commerciali, norma in virtù della quale accedono ai benefici fiscali. È comunque prevedibile che il governo continuerà a difendersi di fronte a Bruxelles per evitare la condanna al recupero delle tasse fin qui non pagate (con tanto di interessi). Roba da vari miliardi di euro.

La partita - aperta su denuncia del radicale Maurizio Turco e del fiscalista Carlo Pontesilli (segretario di anticlericale. net) assistiti dal legale Alessandro Nucara - vale infatti circa due miliardi all'anno. Metà dei quali arrivano dal mancato pagamento dell'Ici. Con la nuova legge lo Stato ne dovrebbe recuperare subito 400 milioni, ovvero i soldi non versati dagli enti che ad oggi sono registrati al fisco. Per l'altra metà abbondante dei 100 mila fabbricati della Chiesa che hanno approfittato della possibilità concessa dall'Ici di non registrarsi, invece, dovrebbe scattare l'obbligo ad emergere per il pagamento dell'Imu. E se non lo faranno, assicurano gli esperti, per i Comuni sarà più facile scovarli rispetto ad oggi.



Almeno han rimesso l'ICI alle strutture ecclesiastiche non destinate al culto.. [8]


Ultima modifica di Lawliet il 19/10/2010, 17:27, modificato 1 volta in totale.


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Indice "Tracce di UFO nella Letteratura"; topic.asp?TOPIC_ID=4630
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MessaggioInviato: 23/10/2010, 17:27 
Minorenni italiani: allarme povertà e criminalità

Sabato 23 Ottobre 2010

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Fonte:
http://www.laveracronaca.com/index.php? ... &Itemid=29


È allarme per i minori italiani, sempre più stretti nella morsa della povertà e che tendono sempre più a cadere nella trappola dell’illegalità; il dato si evince da due differenti relazioni, non collegate tra loro, che mettono in evidenza numeri inquietanti. La prima indagine è stata condotta dall’Istat e mostra come, in Italia, sia in aumento la povertà diffusa tra i minori; la seconda relazione è stata presentata dal Nucleo investigativo dei Carabinieri di Roma e certifica un aumento del fenomeno dei baby – pusher, vale a dire spacciatori minori e, nel caso specifico, con meno di 14 anni.

Andiamo a leggere i dati.

Parlando di povertà, in Italia sono 1 milione e 765 mila i minori che vivono in questo stato, vale a dire il 17% del totale; di questi, circa 650 mila versano in condizioni di assoluta povertà, vale a dire sono considerati i più poveri tra i poveri. I dati, che fanno riferimento all’anno 2009, sono stati diffusi dall’Istat nelle scorse ore in occasione di un seminario promosso dall'Unicef, in collaborazione con altre associazioni, volto a trovare una soluzione a questa piaga sociale.
La povertà minorile, dai dati presentati, è in forte aumento se si considerano gli ultimi 13 anni ed è presente maggiormente al sud, dove si trovano circa il 70% del totale degli indigenti minori; anche il numero di bambini in condizione di assoluta povertà aumenta spostandoci verso il Mezzogiorno, e tra le famiglie con almeno due figli a carico. Nel corso del seminario, i rappresentanti dell’Unicef hanno sottolineato come la povertà stia raggiungendo, in Italia, livelli preoccupanti e come sia di conseguenza necessario assumere misure idonee a contrastare il fenomeno.


Parlando di minori, sempre nelle scorse ore è stato diramato un altro dato inquietante; secondo una relazione presentata al congresso nazionale della Societa' italiana di pediatria da parte del nucleo investigativo dei carabinieri di Roma, sono in aumento i baby – pusher, vale a dire spacciatori con meno di 18 anni; nella maggior parte dei casi si tratta di ragazzi scelti appositamente da adulti, in quanto non imputabili, per spacciare sostanze stupefacenti. Il numero dei baby – pusher, secondo i dati forniti dai carabinieri, sarebbe aumentato soprattutto nel 2009 e dall’identikit tracciato si tratterebbe per lo più di studenti, con meno di 14 anni e di nazionalità italiana dediti a compiere questo tipo di attività soprattutto davanti a locali frequentati da loro coetanei. Dai dati riportati si evince come, nel 2009, gli adolescenti arrestati per reati connessi alla droga siano stati 823, mentre 1163 sarebbero i ragazzi segnalati all'autorità giudiziaria. La maggior parte degli arrestati ha 17 anni, tuttavia sono ampiamente rappresentate anche fasce più giovani; il 28% ha 16 anni, il 14% ne ha 15 e il 4% ha 14 anni.

Da segnalare che, a differenza della povertà minorile che, come detto, risulta esser maggiormente diffusa nel Mezzogiorno; parlando di baby - pusher il fenomeno è concentrato soprattutto nel Nord Italia (41,10%), poi nel Sud e Isole (36,89%) e Centro (22%).


Francesco Onorati



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Edilizia: dal 2009 persi 250 mila posti, altrettanti a rischio nel 2011

Pesante anche la perdita del fatturato: dall'inizio del 2008 la contrazione e' stata del 17,3%, con punte per segmenti produttivi come le macchine per l'edilizia e i laterizi, che hanno superato il 50%.Roma, 22 ott. (Adnkronos) - Occupazione e fatturato a picco per la filiera delle costruzioni. In un anno e mezzo, dal gennaio 2009 a giugno 2010, il settore gia' ha perso 250 mila addetti e all'orizzonte incombe la minaccia di altrettanti posti di lavoro a rischio nei prossimi mesi: infatti, l'emorragia continua e in assenza di misure urgenti per tamponarlo, il bilancio, a fine 2011, si prospetta molto pesante con 500 mila posti, complessivamente, 'bruciati' dall'inizio della crisi. Pesante la perdita del fatturato: dall'inizio del 2008, la contrazione e' stata del 17,3%, con punte per segmenti produttivi come le macchine per l'edilizia e i laterizi, che hanno superato il 50%. Le previsioni, per il 2010, indicano in 323 miliardi e mezzo il giro d'affari ed era di 386 miliardi due anni fa.E' questo lo stato di salute, decisamente grave, tratteggiato dal rapporto su 'Il sistema italiano delle costruzioni' presentato, oggi, da Federcostruzioni, che, con le sue 70 associazioni, rappresenta la piu' importante organizzazione associativa di settore del sistema economico italiano. Nel sistema delle costruzioni lavorano circa 3 milioni di persone, di cui quasi 2 milioni nelle costruzioni e circa 1 milione nei settori collegati. Gli occupati rappresentano il 16,8% degli addetti che operano nelle imprese dell'industria e dei servizi. ''Si sta assistendo all'abbandono di un settore nevralgico per la nostra economia'', e' l'allarme lanciato dal presidente di Federcostruzioni e dell'Ance, Paolo Buzzetti.

Particolarmente preoccupante e' il calo dell'occupazione. Dei 250 mila posti persi, 180 mila sono quelli nelle costruzioni, 24 mila nel comparto dei servizi all'ingegneria e alla progettazione e 46 mila tra le imprese produttrici di materiali, macchine e tecnologie. ''In assenza di provvedimenti- ha detto il vicepresidente di Federcostruzioni Andrea Negri- oltre a quelli gia' persi, sono a rischio, altri 250 mila posti di lavoro a fine 2011 e la perdita del fatturato potrebbe attestarsi intorno al 12-13 per cento''.

La mancanza di provvedimenti a sostegno delle costruzioni, avverte Federcostruzioni, avra' la conseguenza di aumentare la disoccupazione e di aggravare l'attuale stato di crisi. Se si sbloccassero i finanziamenti gia' previsti per le costruzioni grazie alla capacita' del settore di trasformare ogni aumento di 1 miliardo di euro di nuova produzione in 23.620 nuovi posti di lavoro, di cui 15.100 nelle costruzioni e 8.520 nei settore collegati, si consentirebbe non solo al settore ma all'intero Paese di recuperare buona parte della ricchezza perduta.

Lungo e' l'elenco dei programmi, che interessano il comparto, rimasti bloccati, denuncia Federcostruzioni. A 16 mesi dall'approvazione da parte del Cipe del piano di opere prioritarie rimangono da assegnare 3,7 miliardi di euro (33%); a 19 mesi dalla decisione di destinare 1 miliardo all'edilizia scolastica, restano da assegnare 407 milioni di euro per nuovi interventi ancora da identificare; dei 413 miliardi di euro assegnati per opere piccole e medie da realizzare nel Mezzogiorno piu' di 250 interventi immediatamente cantierabili sono fermi perche' le risorse sono bloccate. Gli altri 389 milioni previsti per la seconda parte del piano sono stati definanziati e destinati ad altri tipologie di interventi. E, ancora, del miliardo destinato al finanziamento di piani di riduzione del rischio idrogeologico del ministero dell'Ambiente a 11 mesi dalla decisione del Cipe rimangono da assegnare 900 milioni di interventi per il Sud. Il piano per l'edilizia carceraria non e' stato ancora approvato.

''Sapevamo fin dall'inizio della crisi- ha detto Buzzetti- che i soldi non ci sono e che occorre fare scelte di rigore. Ma ora ci si dica con chiarezze se le risorse ci sono o meno e, a quel punto, vediamo cosa fare. ma vogliamo essere trattati da associazioni e imprenditori maturi quali siamo''.

''Da sempre - ha aggiunto Buzzetti - le costruzioni svolgono una funzione determinate di tipo anticongiunturale. Negli altri Paesi europei, dalla Spagna alla Francia, dall'Inghilterra alla Germania, sono state attivate politiche specifiche di sostegno, immettendo risorse e accelerando le procedure, consentendo l'apertura di cantieri piccoli e grandi. Insomma in Europa il rigore si e' accompagnato a politiche di sviluppo. Ma se e' vero che il nostro Paese si trova in una situazione piu' critica, non si comprende come mai i programmi finanziari approvati, le risorse stanziate restino nei cassetti. Con l'effetto di vedere scomparire decine di migliaia di piccole e medie imprese, intaccando un tessuto produttivo che dalla fine degli anni Novanta ha evitato al nostro Paese di entrare in recessione ben prima dello scoppio della crisi finanziaria di fine 2008''.

E piena e' la sintonia tra il settore delle costruzioni e quello della progettazione. ''Anche il settore della progettazione, non puo' piu' accettare promesse e parole, ma esige fatti concreti, azioni dirette a snellire le procedure burocratiche, a velocizzare i pagamenti, a rivedere regole che penalizzano la qualita' e l'efficienza'', ha detto il presidente dell'Oice, Braccio Oddi Baglioni, si e' ''schierato'' accanto ai costruttori in una logica di sistema in cui si deve muovere il settore, nella proclamazione dello ''stato di agitazione'' dell'intera filiera delle costruzioni, rappresentata all'interno di Confindustria.

In particolare Oddi Baglioni ha messo in rilievo ''il crollo verticale subito dalle societa' di progettazione anche nel mese di settembre, appena registrato dal nostro Osservatorio''. Scarsa domanda pubblica, gare aggiudicate con ribassi sempre maggiori, pagamenti delle prestazioni con ritardi dai nove mesi a due anni, questi i motivi che portano, di fatto, nel nostro Paese - ha detto Oddi Baglioni - molte imprese e societa' al fallimento.

Fonte
http://www.adnkronos.com/IGN/Altro/Edil ... 61631.html


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MessaggioInviato: 27/10/2010, 17:01 
Disoccupazione giovanile e colpe delle famiglie
Oscar Giannino

Viogliamo dirlo che in realtà gran parte della diosoccupazione giovabnile nel nostro Paese è figlia di un colossale errore culturale, più e prima che della debolezza del nostro tessuto produttivo? A me par proprio così, anche se è impopolare dirlo. E mi sembra sia confermato dall’indagine Excelsior Unioncamere rielaborata da Confartigianato di cui ha scritto oggi il Corriere della sera.

Ogni anno, agli studenti in università, sottopongo questionari su svariati argomenti. Non sono tenuti a rispondere, e garantisco naturalmente l’anonimato, ma chiedo loro di farlo per consentirmi di conoscere meglio chi mi trovo di fronte, che cosa pensi e quali idee si sia fatto non solo delle materie che studia, ma soprattutto della professione per la quale ciascuno ha in mente di prepararsi, del mondo del lavoro e dell’Italia più in generale. Anno dopo anno, accumulo questi piccoli test su un campione di un centinaio di studenti quasi sempre alla fine della laurea di specializzazione, ragazzi che in media hanno più 26 o 25 anni che 23 o 24 come dovrebbe essere. Chiedo anche che esperienza di lavoro abbiano accumulato, chi di loro abbia trascorso almeno più di quattro settimane impegnandosi in lavori a tempo o part time, reperiti come e con quale soddisfazione. Il test comprende anche una domanda sulla prima retribuzione attesa, per un’eventuale occupazione a tempo indeterminato. E poi una sulla remunerazione che sarebbe da ciascuno considerata ragionevole e giusta per lavorare a tempo pieno, al di là di quella ottenibile.

Nel mio campione annuale, gli universitari giungono a fine studi senza avere un’esperienza di lavoro vera in circa i due terzi dei casi, e in alcuni anni si sale addirittura a tre quarti. L’anno scorso, la media delle risposte alla domanda “ma tu quanto davvero riterresti giusto esser pagato, per un lavoro che credi di poter svolgere al meglio”, ha barrato la casella 2600-2800 euro. Netti, s’intende. Commentando, dissi scherzando che se mi indicavano in quale galassia stesse il pianeta in cui poteva avvenire una cosa simile, li avrei seguiti nel viaggio siderale. Seriamente, aggiunsi, le vostre aspettative sono così grossolanamente distanti dal vero perché conoscete poco la realtà del lavoro, ne avete un’idea sbagliata e per questo ancor più frustrante di quanto la realtà del mercato sia problematica in sé.

E’ impopolare dirlo, in un Paese dove a prevalere – anche nell’informazione – è la continua denuncia del lavorio sfruttato, del precariato che rapina presente e speranze future di famiglia dei giovani, e delle imprese che pagano poco e vogliono molto. Ma a me sembra che la difficoltà del lavoro giovanile molte volte dipenda da altro. Da un enorme condizionamento culturale, figlio del balzo in avanti nel benessere avvenuto in una sola generazione – tra fine anni 70 e soprattutto negli 80 – mentre per altri Paesi ha richiesto decenni. Moltissime famiglie – anche tra i redditi medi e bassi – tengono artificialmente i propri figli il più a lungo possibile “protetti” da ogni esperienza concreta di lavoro, da ogni seria consapevolezza delle remunerazioni realmente percepite per mansione e qualifica. La licealizzazione e l’università di massa realizzano così un doppio paradosso: un esercito di studenti (e d’insegnanti) frustrati poi perché le scelte d’indirizzo non corrispondono affatto né alla realtà del mercato del lavoro italiano, né tanto meno alle sue remunerazioni, e insieme l’impossibilità di perseguire sul serio merito ed eccellenza.

Non è solo il mio modestissimo test annuale, a comprovarlo. L’ennesima e ben più autorevole conferma è venuta da Confartigianato e dal rapporto Excelsior Unioncamere sulle difficoltà di reperimento di manodopera da parte delle imprese italiane. Apprendiamo così che se la disoccupazione è oggi all’altissima percentuale del 27,9% per i giovani tra 15 e 24 anni, essa al nwetto di un problema forte che continua a sussistere al Sud potrebbe praticamente azzerarsi o quasi altrove se solo formazione e aspettative dei giovani fossero indirizzate al mondo del lavoro vero, e non a uno che non c’è se non nelle menti delle loro ipertutelanti famiglie. Perché anche in questo difficile 2010 il 26,7% del fabbisogno di lavoro delle imprese italiane risulta insoddisfatto. Al vertice della classifica dei lavori rifiutati dai giovani, qualifiche tecniche come quella di installatori di infissi, panettieri e pastai, tessitori e maglieristi, addetti all’edilizia e pavimentatori, falegnami e verniciatori, saldatori e conciatori. Come si vede, qui non stiamo parlando di braccianti o muratori non specializzati, ma di quella che per secoli è stata l’aristocrazia del lavoro artigianale e d’opificio, tramandata con lunghi tirocini per la formazione di un capitale di conoscenza che non è solo manuale, ma interagisce oggi con macchinari e processi avanzati e specializzati.

In Germania questo non avviene, perché quel Paese ha avuto la lungimiranza di mantenere un canale di formazione professionale ad alta priorità nelle scelte sia dell’istruzione pubblica che delle famiglie. Dipendesse da chi scrive, parificherei in tutto e per tutto il tirocinio e l’apprendistato nelle piccole imprese, in quelle artigianali e di commercio, al titolo professionale dispensato dal sistema pubblico, oggi scartato dal più delle famiglie e dai giovani ignorando che retribuzioni per mansioni tecniche specializzate sono superiori a quelle impiegatizie a cui i laureati finiscono spesso per incanalarsi, pieni di delusione.

Ma non bastano solo le riforme ordinamentali e della formazione. Ciò che serve davvero è un cambio di mentalità. Ed è l’intero Paese a doverlo fare. Riconciliarsi con il lavoro vero significa spingere i figli fin da giovanissimi a sporcarsi le mani, a non disprezzare la manualità, a mettersi alla prova, a uscire di casa anche dieci anni prima di quanto ormai capiti. Apriamo tutti gli occhi, questa deve essere la parola d’ordine. Se in larga misura la disoccupazione giovanile deriva da un difetto percettivo, l’incapacità di vedere è nostra, non figlia di un destino cinico e baro.

Fonte
http://www.chicago-blog.it/2010/10/24/d ... -famiglie/


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MessaggioInviato: 28/10/2010, 20:21 
DISOCCUPAZIONE: CGIA, SENZA LAVORO OLTRE 2,5 MILIONI DI PERSONE

(ASCA) - Roma, 28 ott - L'esercito dei disoccupati reali in Italia e' composto da oltre 2.621.000 persone: ben 528.592 in piu' rispetto al numero calcolato ufficialmente dall'Istat.

E' quanto afferma la Cgia di Mestre che, a seguito delle dichiarazioni fatte in mattinata dal Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, ha aggiornato il dato della disoccupazione reale presente in Italia.

Il risultato, spiegano gli artigiani mestrini, altro non e' che la somma dei disoccupati ufficiali con i cosiddetti sfiduciati. A differenza di quanto sostenuto dal Governatore Draghi, infatti, la Cgia non ha incluso i 600.000 cassaintegrati che, pur non avendo temporaneamente una occupazione, percepiscono comunque un sussidio.

Ne dettaglio, in Campania, la disoccupazione reale e' al 20,1% (5,8 punti in piu' rispetto al dato ufficiale calcolato dall'Istat), in Puglia al 17,5% (+4), in Calabria al 17,3% (+ 5,7) e in Sicilia al 16,8% (+1,8). Nel Mezzogiorno il dato medio si attesta al 17,2%. A livello nazionale, invece, si colloca al 10,2%: quasi 2 punti in piu' rispetto al dato ufficiale calcolato dall'Istat.

Fonte
http://www.asca.it/regioni-DISOCCUPAZIO ... to-18.html


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MessaggioInviato: 28/10/2010, 20:22 
DRAGHI: CENTRELLA (UGL), CASSINTEGRATI NON SONO DISOCCUPATI


(ASCA) - Roma, 28 ott - ''Non solo per una ragione meramente statistica ci rifiutiamo di considerare i sospesi dal lavoro, o cassaintegrati, dei disoccupati''. Lo afferma il segretario generale dell'Ugl, Giovanni Centrella, commentando i dati di Bankitalia sulla disoccupazione e sottolineando che ''pur rispettando l'autorevolezza del governatore Draghi ed essendo consapevoli delle gravi ripercussioni che sta avendo la crisi sul lavoro pubblico e privato, non e' possibile mettere sullo stesso piano disoccupati e cassaintegrati, perche' gli ammortizzatori sociali sono uno strumento che consente alle aziende di affrontare una congiuntura negativa, senza intaccare i livelli occupazionali, e ai lavoratori di continuare a percepire uno stipendio benche' ridotto, mantenendo il posto di lavoro''.

Per Centrella ''e' importante mantenere alta l'attenzione su un problema cosi' grave come quello della disoccupazione, ma bisogna farlo partendo dai dati reali per individuare misure strutturali e non solo emergenziali, come e' appunto la cassa integrazione, attraverso il contributo di piu' soggetti istituzionali sotto la guida del ministero del Lavoro''.

Fonte
http://www.asca.it/news-DRAGHI__CENTREL ... -ORA-.html


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MessaggioInviato: 31/10/2010, 09:03 
Qualcuno che ha il coraggio di dire come stanno effettivamente le cose, esiste.....



Marcegaglia, Paese fermo: iniziativa governo non c'è
"Riprendere il senso delle istituzioni, uscire dalla paralisi, altrimenti l'Italia non ce la farà"

30 ottobre, 20:22

Immagine

Fonte:
http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche ... 51714.html

CAPRI (NAPOLI) - ''Il Paese e' in preda alla paralisi e l'iniziativa del governo non c'e', in un momento difficilissimo dell'economia''. Lo dice la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, che chiede alla politica ''di riprendere il senso delle istituzioni, uscire dalla paralisi, altrimenti l'Italia non ce la fara'''.

Marcegaglia, che commenta gli ultimi scandali chiedendo alla politica di "ritrovare il senso della dignità delle istituzioni", chiede anche di riprendere "l'agenda delle riforme vere per ridare crescita e occupazione al Paese". Secondo Marcegaglia, tuttavia, "Confindustria non dice che la responsabilità è del presidente del Consiglio. Bisogna - chiarisce - che la politica nel suo complesso reagisca".

"Continuo a pensare che andare a votare in questa situazione è molto complicato. Resto dell'idea che non si debba andare alle elezioni, perché ad aprile c'é il piano di crescita e competitività da approvare in Europa. Abbiamo bisogno di serietà e che si facciano le cose per il Paese". Lo ha detto Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, a Capri per il convegno dei giovani industriali.

FIAT: "SONO D'ACCORDO CON MARCHIONNE" - Rispetto alle ultime denunce dell'amministratore delegato della Fiat, Confindustria é "chiaramente a supporto della Fiat". Lo ha detto la presidente di Viale dell'Astronomia, Emma Marcegaglia, a Capri con i giovani imprenditori. "Quel che sta facendo Marchionne è riportare l'attenzione sui problemi di competitività delle imprese" ha spiegato poi, sottolineando come "il Paese deve andare avanti e trovare soluzioni. Io - ha concluso - sono d'accordo con Marchionne ma é anche vero che ci sono tante imprese che continuano, a ragione, ad investire in Italia".

''Non pensiamo che la Fiat voglia lasciare l'Italia'', ha spiegato Marcegaglia, aggiungendo che quelle poste dall'Ad di Fiat sono questioni che interessano la totalita' delle imprese. Oltre a problemi di competitivita', Marchionne pone infatti anche il tema del ''governo degli stabilimenti, per il quale cercheremo di evitare che ci siano rotture con i sindacati, ma che va affrontato. La questione l'abbiamo affrontata anche al tavolo delle parti sociali e intanto bisogna andare avanti anche sull'assenteismo 'malato', per il quale bisogna trovare una soluzione''. Secondo Marcegaglia, in ogni caso, se e' vero che le imprese ''hanno tutte gli stessi problemi'', e' pur vero che continuano ad investire in Italia ''anche con molte difficolta'''.

FISCO: "BISOGNA ASSOLUTAMENTE FARE RIFORMA" - ''La riforma fiscale bisogna assolutamente farla''. Lo ripete la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, a Capri per intervenire al convegno dei giovani imprenditori. Secondo Marcegaglia, infatti, ''bisogna tagliare la spesa pubblica, fare la lotta all'evasione e trovare risorse per ridurre le tasse al lavoro e alle imprese''.

''Una nuova ondata di fango lambisce la credibilita' delle istituzioni e del governo''. Lo ha detto il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia parlando ai giovani imprenditori e ripetendo che questo Paese ''deve tornare ad avere il senso delle Istituzioni dello Stato''. ''Per noi che facciamo impresa - ha aggiunto - e' piuttosto squallido che molti deputati pensino al loro futuro, ad andare di qua e di la', piuttosto che all'oggi del Paese, al bene del Paese''.

"INDIGNA TENORE DIBATTITO POLITICO ATTUALE" - ''Per non perdere posizioni competitive il Paese non deve perdere il senso di se' e in questo momento il rischio mi sembra forte. Se ogni giorno il dibattito politico viene travolto da questioni che nulla hanno a che fare con un'agenda seria, noi ci arrabbiamo e ci indigniamo''. Lo ha detto il presidente di Confindustria in occasione del suo intervento all'assemblea dei giovani imprenditori a Capri.



_________________
"…stanno uscendo allo scoperto ora, amano annunciare cosa stanno per fare, adorano la paura che esso può creare. E’ come la bassa modulazione nel ruggito di una tigre che paralizza la vittima prima del colpo. Inoltre, la paura nei cuori delle masse risuona come un dolce inno per il loro signore". (Capire la propaganda, R. Winfield)

"Onesto è colui che cambia il proprio pensiero per accordarlo alla verità. Disonesto è colui che cambia la verità per accordarla al proprio pensiero". Proverbio Arabo

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MessaggioInviato: 31/10/2010, 09:29 
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Thethirdeye ha scritto:


Qualcuno che ha il coraggio di dire come stanno effettivamente le cose, esiste.....

Non ti fidare mai della "grande industria"... [;)]
Non trovi strano che fino a poco tempo fà questa donna era c... e camicia con il governo?
Poi, da un pò di tempo a questa parte...mi piacerebbe sapere i retroscena di questo strano fatto, o forse è facile immaginarli...non gli hanno dato quel che volevano [8D]



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