Cita:
[color=blue]Decentramento fiscale. I bugiardi del federalismo
di Luca Antonini *
È davvero avvilente, se non sconcertante, constatare la fortissima campagna di disinformazione che si è aperta, soprattutto negli ultimi giorni, sul federalismo fiscale. Cito, a esempio ed emblema di questa mistificazione, l’articolo di Gianluigi Bizioli, «Il federalismo fiscale è ben al di là da venire», pubblicato sul Riformista del 21 gennaio, che ha anche ottenuto una certa risonanza mediatica. Eppure Bizioli è della Fondazione Achille Grandi per il bene comune. Ora, proprio il bene comune implicherebbe perlomeno una minima attenzione a non propinare versioni completamente falsate delle cose.
Sembra invece che predomini la logica per cui «vale tutto»; e quindi proprio contro il bene comune, che chiede invece un confronto leale e serio, critico fin quanto si vuole, ma pur sempre basato sulla verità, ci si può permettere di scrivere il contrario di quello che avviene. «Tanto» la materia è complicata e quindi l’uomo della strada non è in grado di verificare.
Per esempio, l’articolo afferma che con il decreto sul federalismo fiscale le regioni, anche quelle virtuose, «non potranno agevolare determinati settori (ad esempio le organizzazioni non-profit) né determinati soggetti, ad esempio le famiglie numerose». Non si capisce che cosa abbia letto Bizioli: il decreto approvato dal Consiglio dei ministri prevede esattamente il contrario di quello che lui scrive. L’articolo 5, quarto comma, del decreto dispone espressamente, e con chiarezza assoluta, che le regioni potranno prevedere, per la prima volta in Italia, «detrazioni in favore della famiglia» sull’addizionale regionale all’Irpef. L’art. 4, primo comma, prevede, rimandando all’articolo 16 della legge Irap, che le regioni potranno differenziare l’Irap per settori di attività e categorie di soggetti (quindi anche per gli enti non-profit) e addirittura azzerarla. Mi si perdoni il tecnicismo, ma era necessario essere precisi per dimostrare l’errore.
La disinformazione propinata da Bizioli è peraltro solo un esempio, l’ultimo in termini cronologici, di questo penoso tentativo di mistificazione mediatica, che annovera molti altri protagonisti che si sono cimentati nella stessa opera. Basti ricordare che recentemente l’onorevole Marco Stradiotto (del Pd) ha portato all’attenzione dei media una serie di dati sui gettiti della nuova imposta comunale, semplicemente «dimenticandosi» un particolare grande come una montagna, ovvero l’esistenza di un fondo perequativo che ridimensiona fortemente i più e i meno che ha indicato come perdite o guadagni di gettito dei comuni italiani.
O ancora l’economista Tito Boeri, che alle stime del dipartimento Finanze sul costo della deduzione Ici per gli enti ecclesiastici si limita a metterla in discussione non con una diversa stima, ma con ragionamenti del tipo: «È impossibile che sia così poco». Alla faccia della scientificità! D’altra parte il federalismo fiscale è una delle più importanti riforme della legislatura e interseca tanto la risalente questione meridionale quanto la più recente questione settentrionale, messa in evidenza ormai da parecchi autori: basti citare, per tutti, Il sacco del Nord, di Luca Ricolfi. Era quindi prevedibile che una riforma di queste dimensioni, in un contesto di questa complessità, si potesse prestare alle più diverse e spesso banali strumentalizzazioni.
Non ne mancheranno, anche in futuro: stiamo tranquilli e non facciamoci illusioni. Nello stesso tempo, per fortuna, a fronte di questa ridicola babele, non è mancato chi ha guardato e analizzato il processo con grande competenza e oggettività.
Mi permetto quindi di consigliare qualche buona lettura: per esempio alcuni articoli apparsi sul Corriere della sera a firma di Alberto Quadrio Curzio, il più autorevole degli economisti italiani, accademico dei Lincei. Ha scritto il contrario di quanto afferma Bizioli. Cito, di Quadrio Curzio, «Nel 2011 lo scatto decisivo per completare il federalismo fiscale» del 29 dicembre 2010, dove si afferma: «I decreti attuativi stanno procedendo bene sia per metodo sia per sostanza»; «in poco più di un anno è stato fatto un lavoro molto apprezzabile… che segna un ulteriore passo dallo Stato centralista alla Repubblica federalista».
Ma si vedano anche gli interventi del 2 settembre 2009, «Le tasse? Il federalismo le farà scendere», e quello del 3 settembre 2010, «Federalismo e sussidiarietà (ben) combinati aiuteranno l’Italia». In questi articoli Quadrio Curzio prende atto che sul federalismo fiscale è stato fatto un imponente lavoro, che se compreso nei suoi reali termini può essere definito il più imponente processo di razionalizzazione della finanza pubblica substatale realizzato nella nostra storia repubblicana.
Non è esagerazione. Si è trattato di un processo diretto a raddrizzare quello che il ministro Giulio Tremonti ha giustamente definito come «l’albero storto» della finanza decentrata. Un’operazione davvero complessa, perché diretta a raddrizzare storture ereditate, accumulate e stratificate all’interno di un trentennio tutto sostanzialmente caratterizzato dalla cultura della cosiddetta finanza allegra. Una cultura e una prassi politica che oggi, prima ancora che per una volontà politica nazionale, occorre radicalmente superare per rispetto degli obblighi comunitari e per mantenere quella credibilità internazionale che è condizione di affidabilità sui mercati finanziari.
Il federalismo fiscale sta cambiando la faccia dell’Italia, è un fortissimo attacco a posizioni di rendita che si sono incrostate e stratificate per decenni. Basti pensare al superamento della spesa storica, che ha sistematicamente finanziato l’inefficienza, e all’introduzione del criterio dei costi e dei fabbisogni standard. Questi ultimi si stanno determinando per le 12 funzioni fondamentali degli enti locali, definite (a dispetto di quanto dice Bizioli) nella legge 42 del 2009.
A partire dal 2011 ed entro il 2013 ogni comune e ogni provincia avrà quindi il proprio parametro di finanziamento razionale cui rapportarsi e in base al quale riceverà anche i fondi perequativi. Senza più sprechi legittimati dall’alto. È chiaro che questo processo dà molto fastidio al cosiddetto «partito della rendita», che invece su quelle disfunzioni tenta di costruire la propria fortuna. È chiaro che queste forze tenteranno il tutto per tutto per fermare questo processo, utilizzando anche l’arma vigliacca della disinformazione.
*presidente della Commissione paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale (Copaff)
PER CAPIRE
Alcuni termini fondamentali per orientarsi nella riforma federalista.
DETRAZIONI IN FAVORE DELLA FAMIGLIA
Sono già previste nel decreto sul fisco regionale. Come le regioni spagnole, anche quelle italiane, per la prima volta nella storia, potranno prevedere detrazioni per i figli a carico, sulla addizionale regionale all’Irpef, aggiuntive rispetto a quelle statali.
IRAP
È l’Imposta regionale sulle attività produttive introdotta in età Prodi-Visco, odiata da imprenditori,
professionisti, commercianti, artigiani, controproducente per lo sviluppo economico. L’abolizione è nel programma del centrodestra. Il decreto sul fisco regionale prevede la possibilità per le regioni di modularla fino ad azzerarla.
FONDO PEREQUATIVO
Servirà a compensare i mancati introiti, o a ridurre le eccedenze, che le regioni e i comuni dovessero registrare con l’entrata in vigore del federalismo. Ma tutto in base ai costi e fabbisogni standard, e non più in base alla spesa storica, che finanzia anche inefficienza.
DECRETI ATTUATIVI
Sono in tutto otto, e riguardano fra l’altro la ripartizione fra Stato centrale ed enti locali delle entrate fiscali (imposte dirette, iva, tasse sulla casa e sulle auto), come pure i criteri omogenei per la stesura dei bilanci e la responsabilità di chi amministra denaro pubblico.
SUSSIDIARIETA’
Sono tutte le mansioni e le iniziative che enti privati, non-profit, religiosi svolgono a favore della società (per esempio ricerca, cultura, assistenza), alleggerendo il carico sugli enti pubblici.
SPESA STORICA
Quanto finora spendevano gli enti locali, sprechi compresi, diventava la base di calcolo per assegnare denaro pubblico negli anni successivi. Risultato: spesa sempre in espansione.
FABBISOGNI STANDARD
Costi dei servizi (sanità, trasporti, viabilità…) che verranno fissati per gli enti locali, tenendo come modello le aree del Paese meglio amministrate, quanto a spesa e qualità dei servizi. Alle regioni modello («benchmark») dovranno avvicinarsi le altre; benchmark ottimali si stanno fissando anche per comuni e province; i maggiori costi dovranno essere eliminati o finanziati con tasse locali su cui i politici saranno giudicati dagli elettori.
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