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MessaggioInviato: 19/06/2013, 10:16 
Parla il professore di Harvard Niall Ferguson. La Francia non è certamente un caso isolato. "La disoccupazione giovanile nei paesi latini dell'Europa è una bomba pronta a esplodere".



NEW YORK (WSI)- I potenti del mondo e i leader europei sono convinti che alla fine la ripresa dell'economia globale ci sarà. Ma ovunque, e non solo in Eurozona, monta la rabbia dei cittadini: sono sempre di più coloro che vedono un tenore di vita dignitoso come un miraggio.

Proteste e manifestazioni dilagano in qualsiasi parte del globo, dalla Svezia al Brasile, dove la frase miracolo economico, proferita fino a qualche anno fa, non risuona più nelle strade.

Il grande malato del globo rimane l'Eurozona, piegata dalle misure di austerity. Ora si parla di impegno verso la crescita, ma i danni al tessuto economico e sociale sono gravissimi.

Niall Ferguson, professore dell'Università di Harvard, afferma così chiaramente in una intervista rilasciata al canale televisivo Cnbc che l'elevato tasso di disoccupazione in Europa e le aspettative di una crescita deludente nei mercati emergenti genererà maggiori proteste.

Per Ferguson, la prossima città che corre il rischio di "bruciare" per le proteste e per i disordini sociali è Parigi. "Le grandi città europee, con Parigi, sono in cima alla lista dei siti estremamente vulnerabili. E Parigi ha una tradizione di disordini urbani più di ogni altra città nel mondo".

Nel paese, continua Ferguson, l'economia va male. Ma la Francia non è certamente l'unica a essere chiamata in causa. "La disoccupazione giovanile nei paesi latini dell'Europa è davvero una bomba pronta a esplodere".

http://www.wallstreetitalia.com/article ... state.aspx

il tutto grz all'improvvisazione con cui e' stata gestita la questione dell'unione europea,diciamo con tanto dillettantismo......[:(!]


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MessaggioInviato: 19/06/2013, 12:01 
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"Parigi potrebbe bruciare questa estate"


Ah beh... mica dormono come noi i francesi....



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"…stanno uscendo allo scoperto ora, amano annunciare cosa stanno per fare, adorano la paura che esso può creare. E’ come la bassa modulazione nel ruggito di una tigre che paralizza la vittima prima del colpo. Inoltre, la paura nei cuori delle masse risuona come un dolce inno per il loro signore". (Capire la propaganda, R. Winfield)

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MessaggioInviato: 19/06/2013, 12:27 
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Thethirdeye ha scritto:

Cita:


"Parigi potrebbe bruciare questa estate"


Ah beh... mica dormono come noi i francesi....


La mia paura è che senza una coordinazione di intenti e un progetto a medio-termine preciso e organizzato le rivolte popolari che pure rappresentano uno scossone vengano represse con maggiore violenza di quella che abbiamo potuto assistere negli ultimi mesi finendo in niente e facendo uscire il "Sistema" più forte e coeso di prima.

Come il Sistema ha realizzato un "Progetto Europa" così bisognerebbe che i popoli creassero un "Progetto Anti-Europa" o meglio un "Progetto Neo-Europa"



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MessaggioInviato: 19/06/2013, 13:16 
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Atlanticus81 ha scritto:
La mia paura è che senza una coordinazione di intenti e un progetto a medio-termine preciso e organizzato le rivolte popolari che pure rappresentano uno scossone vengano represse con maggiore violenza di quella che abbiamo potuto assistere negli ultimi mesi

Questo è quasi scontato......

Le cose che ci fanno vedere sui paesi che si stanno "scaldando",
direi che sono abbastanza palesi..... aspettiamoci di tutto amici cari...



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MessaggioInviato: 19/06/2013, 20:10 
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Atlanticus81 ha scritto:

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Thethirdeye ha scritto:

Cita:


"Parigi potrebbe bruciare questa estate"


Ah beh... mica dormono come noi i francesi....


La mia paura è che senza una coordinazione di intenti e un progetto a medio-termine preciso e organizzato le rivolte popolari che pure rappresentano uno scossone vengano represse con maggiore violenza di quella che abbiamo potuto assistere negli ultimi mesi finendo in niente e facendo uscire il "Sistema" più forte e coeso di prima.

Come il Sistema ha realizzato un "Progetto Europa" così bisognerebbe che i popoli creassero un "Progetto Anti-Europa" o meglio un "Progetto Neo-Europa"


x realizzare un progetto anti europa sarebbe necessario un unita' d'intenti del popolo che attualmente non vedo.o in alternativa un personaggio che possa catalizzare tali aspettative......[;)]


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MessaggioInviato: 20/06/2013, 18:27 
ULTIME DAL MES: STATI E RISPARMIATORI DEVONO
PAGARE LA RICAPITALIZZAZIONE DELLE BANCHE


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DI PIERO VALERIO
tempesta-perfetta.blogspot.it

http://www.altrainformazione.it/wp/2013 ... rettyPhoto

E voi direte, ma cosa c’è di nuovo sotto il sole? E’ dall’inizio della crisi dell’eurozona che governi e contribuenti pagano per il salvataggio delle banche e attraverso la manipolazione mediatica la cosa ormai è diventata una prassi comunemente accettata. La novità però questa volta è che i tecnocrati di Bruxelles, in vista del prossimo Consiglio europeo di fine mese, hanno messo nero su bianco su un documento ufficiale regole, metodi, cifre, vincoli per descrivere come si deve svolgere l’intero processo, lasciando poco spazio all’improvvisazione e all’immaginazione.

In pratica i criminali hanno finalmente confessato la loro colpa, sperando negli effetti terapeutici dell’outing e spiegando chiaramente agli europei quanto ancora devono pagare (e si tratta di cifre da capogiro) per tenere in piedi l’idiozia dell’euro.

Qualcuno diceva che il miglior modo per nascondere la verità, è renderla palese e visibile a tutti. Ecco, confidando nella nostra incapacità di interpretare gli eventi e capire la realtà che ci gira intorno, pare che i tecnocrati e i politicanti europei abbiano decisamente intrapreso questa strada.

Ma vediamo come funzionerà l’ennesimo meccanismo infernale messo a punto da tecnocrati e banchieri per distruggere la democrazia, l’economia reale, la coesione sociale. Già sapevamo che gli accordi del MES, Meccanismo Europeo di Stabilità, prevedevano al loro interno, oltre al sostegno diretto agli stati (che serviva poi a finanziare le banche in difficoltà, vedi il caso Irlanda, Spagna e Cipro, o a pagare i creditori francesi e tedeschi, vedi il caso Grecia e Portogallo), anche la possibilità di ricapitalizzare le banche “zombie” dell’eurozona. Ora conosciamo i termini in cui avverranno queste operazioni di ricapitalizzazione, e vi anticipo già che saranno ancora dolori, lacrime e sangue per tutti i contribuenti, che già hanno dovuto una prima volta pagare e stanno ancora pagando per mettere in piedi la trappola del MES. Insomma nell’eurozona, fra mille indecisioni e tentennamenti, di una cosa possiamo sempre essere certi: la socializzazione delle perdite bancarie e la privatizzazione dei profitti non è più una raccapricciante anomalia dovuta all’emergenza ma la prassi, la normalità, la forma principale di “buon governo” dell’economia e della finanza. E siccome, come abbiamo anticipato, i capitali necessari per salvare l’intero settore bancario fallito raggiungono a spanne numeri ciclopici, non sappiamo quanto saranno ancora bravi gli europei a reggere l’urto e capaci di bere l’amaro calice. E’ davvero così difficile capire che ciò che sta accadendo in Europa corrisponde alla più grande espropriazione collettiva di ricchezza mai avvenuta nella storia dell’umanità?

Prima però di analizzare nei dettagli il piano micidiale, vediamo da cosa nasce tutto l’affanno e la fretta con cui i tecnocrati sono arrivati a concepire il documento e le procedure incriminate. In Europa, per usare una metafora, c’è un vero e proprio iceberg gigantesco che giace nella profondità degli abissi, nel più assoluto riserbo e silenzio degli addetti ai lavori, e solo sporadicamente emerge in superficie: il credito in sofferenza delle banche (in inglese bad loan o NPL, Non Performing Loan). In pratica una parte sempre più ingente e in continuo aumento degli attivi di bilancio delle banche è ormai inesigibile o incagliato, perché il debitore (che sarebbero poi i privati mutuatari, le aziende, i governi e le stesse banche) è fallito o è tecnicamente insolvente. Questo processo vizioso, simile ad un enorme cane che si morde la coda, come sappiamo è stato innescato dalle misure di austerità imposte a tutta l’Europa per salvare proprio le banche: i governi tassano i cittadini e le aziende, tagliano le spese pubbliche, rastrellano capitali da destinare al settore bancario, ma così facendo deprimono l’economia, costringono al fallimento i debitori privati e le banche alla fine hanno più danni che benefici dalle politiche rigoriste, perché se da una parte ricevono capitali freschi dai governi, dall’altra perdono sempre di più la possibilità di recuperare i crediti pregressi contratti con il settore privato. L’immagine del colapasta è forse quella più efficace per descrivere il fenomeno: la liquidità arriva abbondante dall’alto ma se ne va subito attraverso i buchi (di bilancio) che intanto si aprono in basso. Ma di quali cifre stiamo parlando?

Arrivati a questo punto la faccenda diventa sempre più nebulosa e confusa, perché grazie alla complicità che esiste fra gli organismi di vigilanza europei (BCE, banche centrali, EBA) e le stesse banche, è molto difficile e complicato se non impossibile capire quanto ci sia di vero e di falso nei bilanci bancari. Secondo alcune stime, il totale del credito in sofferenza nell’eurozona ammonta a circa €720 miliardi, di cui €500 miliardi relativi alle banche della periferia. Il calcolo però è molto approssimativo perché si riferisce soltanto a ciò che viene riportato pubblicamente sui bilanci bancari e all’andamento aggiornato periodicamente dell’indice NPL delle banche, che come si può notare dal grafico sotto, soprattutto nelle periferia più colpita dalle misure di austerità, ha avuto una progressione esponenziale in questi ultimi anni, con una media di incremento del 2,5% l’anno. A causa del meccanismo perverso descritto in precedenza, per l’Italia attualmente l’indice NPL è arrivato a sfiorare punte del 13,4% sul totale degli attivi bancari, raggiungendo così in questa particolare classifica Spagna e Portogallo, ma rimanendo sempre dietro alle due prime della classe: Grecia con il 25% e Irlanda con il 19%.

CONTINUA>>>>
http://www.altrainformazione.it/wp/2013 ... rettyPhoto



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MessaggioInviato: 21/06/2013, 11:22 
Se neanche dinanzi a tali crimini i cittadini saranno in grado di sollevarsi e dire BASTA! ...

... allora è inevitabile il ritorno in catene come i neri in america nei campi di cotone...

[:(]



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MessaggioInviato: 21/06/2013, 22:12 
Mi sa che la vicenda si complica... [xx(] [xx(] [xx(]

Ho letto il sottostante articolo di M. Blondet, che consiglio a tutti per capire COSA ci attende... Purtroppo non posso linkarlo interamente perchè è disponibile solo per gli abbonamenti.

Dentro il superstato, a nostra insaputa

http://www.effedieffe.com/index.php?opt ... aid=256784

Se l’orgoglio francese non avesse opposto la sua «eccezione culturale» nell’ultimo negoziato Usa-Europa sulla liberalizzazione degli scambi, sarebbe stato taciuto completamente – e noi non ce ne saremmo nemmeno accorti – un ulteriore passo in avanti del progetto mondialista più grosso, decisivo ed occulto: il Mercato comune Transatlantico, in gergo orwelliano Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP). Ossia la creazione degli Stati Uniti Useuropa, con l’inglobamento del nostro continente nel sistema giudiziario, brevettuale, poliziesco americano, compresa l’estrema liberalizzazione finanziaria vigente in Usa.

(L’articolo è disponibile solo per gli abbonamenti attivi)


Cmnq, riguardo il nacsente TTIP si trova altro in rete e in chiaro:

L'Associazione Transatlantica, un passo verso la moneta unica e il governo mondiale

http://www.asianews.it/notizie-it/L%27A ... 27173.html

Voluta da Obama e da un gruppo di lavoro Usa-Ue, dovrebbe porre nuove regole, favorendo la globalizzazione delle imprese. Ma i benefici economici sono molto piccoli. A meno che non ci si attende un azzeramento di dollaro, euro, Federal Reserve, Banca Centrale Europea.

Milano (AsiaNews) - I comuni cittadini europei ed americani dovrebbero iniziare a porsi qualche domanda sul reale significato e contenuto del concetto di sovranità popolare; il resto del mondo - ed in particolare i Paesi asiatici - deve interrogarsi su quali effetti produrranno sui propri sistemi economici gli orientamenti strategici che stanno venendo alla luce. Quali orientamenti? Quelli per arrivare ad una moneta unica mondiale e ad un governo mondiale, accelerando il passo. È quanto sembrano proporre all'unisono il presidente americano Barack Obama e i funzionari (non eletti) dell'Unione Europea che nei giorni scorsi hanno lanciato l'idea di forgiare una nuova forma di Associazione Transatlantica, la TTIP (l'acronimo inglese di Transatlantic Trade and Investment Partnership).

Il 12 di questo mese, lo ha affermato Obama nel suo discorso annuale al parlamento americano; il giorno precedente, lo aveva auspicato lo HLWG (United States-European Union High Level Working Group on Jobs and Growth). Tale "gruppo di lavoro" congiunto tra Usa ed Unione europea, molto poco noto, ma di così "alto livello" - come indica il nome stesso del comitato - deve avere coperture politiche elevate perché i suoi suggerimenti vengano immediatamente ripresi nella massima istanza costituzionale americana: c'è evidentemente un progetto politico ben delineato di cui i cittadini delle maggiori e più antiche democrazie parlamentari del mondo non ne erano al corrente ed i cui confini e finalità non sono ancor'ora ben chiari. Le ragioni ufficiali sono chiarite dalla stessa premessa del documento congiunto redatto dal suddetto "gruppo di lavoro" [1]: insieme Usa e Ue costituiscono circa il 50 % del Pil mondiale e generano il 30 % degli scambi commerciali del pianeta.

Che cosa renderebbe necessaria questa nuova Associazione Transatlantica? Secondo quanto afferma il documento stesso le motivazioni sarebbero le seguenti:

1) espandere la reciproca apertura dei mercati;

2) eliminare le barriere non tariffarie "oltre il confine";

3) significativamente ridurre le differenze di leggi e regolamenti che disciplinano i vari settori;

4) sviluppare la cooperazione nel fissare nuove regole e principi comuni, imponendo discipline anche alle imprese di proprietà statale combattendo il localismo economico e favorendo invece la globalizzazione delle imprese anche di minori dimensioni medie e piccole.

Si tratta di un progetto a dir poco ambizioso: di fatto significa ridurre drasticamente le competenze dei parlamenti eletti. Stabilire, infatti, "regole e principi comuni", significa sovrapporre un ulteriore livello legislativo. Ai mille vincoli e condizionamenti sovrannazionali già ora esistenti - emanati da organismi non eletti, quali la Commissione Europea, le Nazioni Unite, l'organizzazione Mondiale del Commercio ecc. - verrebbero dunque ad aggiungersi quelli derivanti dai nuovi comitati di coordinamento e di controllo dell'Alleanza Transatlantica. Le prerogative parlamentari in materie economiche - nei sistemi democratici il cuore del mandato rappresentativo - verrebbero a quel punto completamente svuotate.

A fronte di una così grave limitazione della democrazia e delle prerogative dei parlamenti eletti ci sarebbe da attendersi almeno dei significativi benefici economici. Viceversa, in un documento della Commissione Europea [2] (disponibile solo in inglese) si afferma che il beneficio netto (molto aleatorio e tutto da dimostrare nel concreto) sarebbe dello 0,5% del Pil - e di poco meno per gli Usa. Di fatto si tratta di un'inezia e sarebbe facile elencare altre iniziative che potrebbero fornire maggiori prospettive di crescita economica sperata. Difficile è, perciò, credere che l'obbiettivo di chi ha messo in cantiere il progetto dell'Alleanza Transatlantica sia davvero quello di promuovere lo sviluppo economico. Più verosimile è in realtà che questo progetto di mercato comune transatlantico sia finalizzato al lancio di una moneta comune euro-americana in sostituzione del dollaro e dell'euro. Un blocco economico euro-americano avrebbe infatti bisogno di un sistema di cambi fissi o rischierebbe di sfaldarsi immediatamente. Da un cambio fisso euro-dollaro ad una moneta unica e ad un'unica banca centrale euro-americana il passo è davvero breve. Per farlo occorre, però, sbarazzarsi dell'esistente: il dollaro, l'euro, la Federal Reserve, la Banca Centrale Europea. Per ora il tutto potrebbe sembrare fantascienza o meglio fanta-economia. Ma il collasso di questo sistema è ormai di fatto già nei numeri e ci si può persino spingere a pronosticare un periodo, connesso ad una nuova stagione di crolli della borsa [3], a partire probabilmente da questa primavera. Lo stesso vale per le sue banche centrali, la Federal Reserve e la Banca Centrale Europea: il bilancio di entrambe è ormai talmente pieno di titoli "tossici" (diciamolo chiaramente una volta tanto: crediti inesigibili) che una loro sopravvivenza come entità indipendenti è praticamente davvero poco probabile.

Da tutto ciò se ne può dedurre quali siano davvero le motivazioni dell'Alleanza Transatlantica: un progetto di fusione monetaria e delle banche centrali. Sembra quasi di assistere al lancio di un progetto di fusione tra due società quotate in borsa e d'altra parte essendo entrambe - BCE e Fed - delle entità private, davvero è un po' come se lo fosse. Inoltre sono entrambe nello stesso settore d'affari, entrambe hanno conseguito un potere sovrano, il diritto di emettere moneta avente valore, in regime di monopolio.

Ad AsiaNews, sin dal 2007 [4] abbiamo riferito (e più volte ci siamo tornati) sui progetti di introdurre una nuova valuta per giungere poi a una moneta mondiale. Tutto lascia supporre che siamo ormai prossimi al "lancio". Fortunati - ci permettiamo di commentare - quei Paesi che sapranno sottrarsi al furto della loro indipendenza e sovranità nazionale: in Europa, i disastri della centralizzazione monetaria ed economica sono sotto gli occhi di tutti.



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Deckard ha scritto:

Mi sa che la vicenda si complica... [xx(] [xx(] [xx(]

Ho letto il sottostante articolo di M. Blondet, che consiglio a tutti per capire COSA ci attende... Purtroppo non posso linkarlo interamente perchè è disponibile solo per gli abbonamenti.

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Se l’orgoglio francese non avesse opposto la sua «eccezione culturale» nell’ultimo negoziato Usa-Europa sulla liberalizzazione degli scambi, sarebbe stato taciuto completamente – e noi non ce ne saremmo nemmeno accorti – un ulteriore passo in avanti del progetto mondialista più grosso, decisivo ed occulto: il Mercato comune Transatlantico, in gergo orwelliano Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP). Ossia la creazione degli Stati Uniti Useuropa, con l’inglobamento del nostro continente nel sistema giudiziario, brevettuale, poliziesco americano, compresa l’estrema liberalizzazione finanziaria vigente in Usa.

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Cmnq, riguardo il nacsente TTIP si trova altro in rete e in chiaro:

L'Associazione Transatlantica, un passo verso la moneta unica e il governo mondiale

http://www.asianews.it/notizie-it/L%27A ... 27173.html

Voluta da Obama e da un gruppo di lavoro Usa-Ue, dovrebbe porre nuove regole, favorendo la globalizzazione delle imprese. Ma i benefici economici sono molto piccoli. A meno che non ci si attende un azzeramento di dollaro, euro, Federal Reserve, Banca Centrale Europea.

Milano (AsiaNews) - I comuni cittadini europei ed americani dovrebbero iniziare a porsi qualche domanda sul reale significato e contenuto del concetto di sovranità popolare; il resto del mondo - ed in particolare i Paesi asiatici - deve interrogarsi su quali effetti produrranno sui propri sistemi economici gli orientamenti strategici che stanno venendo alla luce. Quali orientamenti? Quelli per arrivare ad una moneta unica mondiale e ad un governo mondiale, accelerando il passo. È quanto sembrano proporre all'unisono il presidente americano Barack Obama e i funzionari (non eletti) dell'Unione Europea che nei giorni scorsi hanno lanciato l'idea di forgiare una nuova forma di Associazione Transatlantica, la TTIP (l'acronimo inglese di Transatlantic Trade and Investment Partnership).

Il 12 di questo mese, lo ha affermato Obama nel suo discorso annuale al parlamento americano; il giorno precedente, lo aveva auspicato lo HLWG (United States-European Union High Level Working Group on Jobs and Growth). Tale "gruppo di lavoro" congiunto tra Usa ed Unione europea, molto poco noto, ma di così "alto livello" - come indica il nome stesso del comitato - deve avere coperture politiche elevate perché i suoi suggerimenti vengano immediatamente ripresi nella massima istanza costituzionale americana: c'è evidentemente un progetto politico ben delineato di cui i cittadini delle maggiori e più antiche democrazie parlamentari del mondo non ne erano al corrente ed i cui confini e finalità non sono ancor'ora ben chiari. Le ragioni ufficiali sono chiarite dalla stessa premessa del documento congiunto redatto dal suddetto "gruppo di lavoro" [1]: insieme Usa e Ue costituiscono circa il 50 % del Pil mondiale e generano il 30 % degli scambi commerciali del pianeta.

Che cosa renderebbe necessaria questa nuova Associazione Transatlantica? Secondo quanto afferma il documento stesso le motivazioni sarebbero le seguenti:

1) espandere la reciproca apertura dei mercati;

2) eliminare le barriere non tariffarie "oltre il confine";

3) significativamente ridurre le differenze di leggi e regolamenti che disciplinano i vari settori;

4) sviluppare la cooperazione nel fissare nuove regole e principi comuni, imponendo discipline anche alle imprese di proprietà statale combattendo il localismo economico e favorendo invece la globalizzazione delle imprese anche di minori dimensioni medie e piccole.

Si tratta di un progetto a dir poco ambizioso: di fatto significa ridurre drasticamente le competenze dei parlamenti eletti. Stabilire, infatti, "regole e principi comuni", significa sovrapporre un ulteriore livello legislativo. Ai mille vincoli e condizionamenti sovrannazionali già ora esistenti - emanati da organismi non eletti, quali la Commissione Europea, le Nazioni Unite, l'organizzazione Mondiale del Commercio ecc. - verrebbero dunque ad aggiungersi quelli derivanti dai nuovi comitati di coordinamento e di controllo dell'Alleanza Transatlantica. Le prerogative parlamentari in materie economiche - nei sistemi democratici il cuore del mandato rappresentativo - verrebbero a quel punto completamente svuotate.

A fronte di una così grave limitazione della democrazia e delle prerogative dei parlamenti eletti ci sarebbe da attendersi almeno dei significativi benefici economici. Viceversa, in un documento della Commissione Europea [2] (disponibile solo in inglese) si afferma che il beneficio netto (molto aleatorio e tutto da dimostrare nel concreto) sarebbe dello 0,5% del Pil - e di poco meno per gli Usa. Di fatto si tratta di un'inezia e sarebbe facile elencare altre iniziative che potrebbero fornire maggiori prospettive di crescita economica sperata. Difficile è, perciò, credere che l'obbiettivo di chi ha messo in cantiere il progetto dell'Alleanza Transatlantica sia davvero quello di promuovere lo sviluppo economico. Più verosimile è in realtà che questo progetto di mercato comune transatlantico sia finalizzato al lancio di una moneta comune euro-americana in sostituzione del dollaro e dell'euro. Un blocco economico euro-americano avrebbe infatti bisogno di un sistema di cambi fissi o rischierebbe di sfaldarsi immediatamente. Da un cambio fisso euro-dollaro ad una moneta unica e ad un'unica banca centrale euro-americana il passo è davvero breve. Per farlo occorre, però, sbarazzarsi dell'esistente: il dollaro, l'euro, la Federal Reserve, la Banca Centrale Europea. Per ora il tutto potrebbe sembrare fantascienza o meglio fanta-economia. Ma il collasso di questo sistema è ormai di fatto già nei numeri e ci si può persino spingere a pronosticare un periodo, connesso ad una nuova stagione di crolli della borsa [3], a partire probabilmente da questa primavera. Lo stesso vale per le sue banche centrali, la Federal Reserve e la Banca Centrale Europea: il bilancio di entrambe è ormai talmente pieno di titoli "tossici" (diciamolo chiaramente una volta tanto: crediti inesigibili) che una loro sopravvivenza come entità indipendenti è praticamente davvero poco probabile.

Da tutto ciò se ne può dedurre quali siano davvero le motivazioni dell'Alleanza Transatlantica: un progetto di fusione monetaria e delle banche centrali. Sembra quasi di assistere al lancio di un progetto di fusione tra due società quotate in borsa e d'altra parte essendo entrambe - BCE e Fed - delle entità private, davvero è un po' come se lo fosse. Inoltre sono entrambe nello stesso settore d'affari, entrambe hanno conseguito un potere sovrano, il diritto di emettere moneta avente valore, in regime di monopolio.

Ad AsiaNews, sin dal 2007 [4] abbiamo riferito (e più volte ci siamo tornati) sui progetti di introdurre una nuova valuta per giungere poi a una moneta mondiale. Tutto lascia supporre che siamo ormai prossimi al "lancio". Fortunati - ci permettiamo di commentare - quei Paesi che sapranno sottrarsi al furto della loro indipendenza e sovranità nazionale: in Europa, i disastri della centralizzazione monetaria ed economica sono sotto gli occhi di tutti.



Queste cose i c.d. "complottisti" le denunciano da ANNI.
Icke in testa......

Ma non erano tutti una manica di "paranoici"? [}:)] [:(!] [}:)]


Cmq, grazie Deckard per la segnalazione.....



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20 giugno. La tabella qui accanto (clicca per ingrandire) mostra la somma di denaro che il sistema bancario tedesco ha investito nei paesi cosiddetti PIIGS. 750 miliardi di euro. Essa ci dice perché l'abbandono dell'euro da parte della Germania è un'ipotesi del tutto irrealistica.


«Non saranno i Paesi in crisi ad abbandonare l'euro, ma la Germania a lasciare il resto dell'Europa al proprio destino». Negli ultimi mesi molti commentatori si sono lasciati andare a considerazioni simili: con tutta probabilità si tratta di ipotesi di fantafinanza o di pure provocazioni e niente più, perché in fondo i legami di Berlino con il resto del Vecchio Continente sono così stretti e irreversibili che una "fuga" tedesca resta improponibile. E proprio per questo motivo il mercato non sta adeguatamente prezzando il "rischio Paese" della stessa Germania.

Un legame ormai indissolubile

Un buon motivo per cui la Germania non può permettersi colpi di testa simili sono proprio i suoi stretti legami nei confronti dell'Europa "periferica". Calcola Filippo Lanza, gestore di HI Numen Credit Fund, che l'esposizione della Germania verso i periferici (vedi tabella sopra) sia nel complesso pari a circa 750 miliardi di euro. A questo valore si arriva considerando i diversi salvataggi effettuati negli ultimi due anni (Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna e Cipro), lo squilibrio del sistema Target 2 che misura i prestiti concessi oltre frontiera dalle banche commerciali e la quota a carico della Bundesbank del piano di riacquisti di titoli europei della Bce (il cosiddetto Smp) e del meccanismo Ela (Emergency Liquidity Assistance) utilizzato da alcune banche centrali dei paesi in difficoltà. Non si tratta di poco, perché una cifra simile è l'equivalente di qualcosa come il 28% dell'intera ricchezza prodotta entro i confini teutonici (vedi grafico).

Se a questo valore si dovessero poi aggiungere i rapporti commerciali e gli investimenti che Berlino ha nei confronti dell'Italia, il bilancio sarebbe ancora più pesante e i legami con l'Europa ovviamente ancora più stretti. «Del resto – conferma Lanza – al di là delle schermaglie, Berlino ha sempre votato, con larghe maggioranze, in favore delle soluzioni proposte alle diverse problematiche emerse in Europa e i due membri più critici, Juergen Stark e Axel Weber, sono stati di fatto allontanati dalla Bce per essere rimpiazzati con figure più "allineate" come Joerg Asmussen e Jens Weidmann».



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Il mercato prezza correttamente il «rischio Germania»?

Ma il fatto che il legame fra la Germania e l'Europa sia così indissolubile apre un altro interrogativo piuttosto interessante: viste le premesse, siamo davvero sicuri che il rischio di credito dell'emittente tedesco sia stato analizzato correttamente dal mercato? Che i Bund abbiano beneficiato della "fuga dal rischio" e i loro rendimenti si siano ridotti oltre quanto realmente meritato sulla base dei fondamentali macroeconomici del Paese è una ovvietà della quale si è ampiamente parlato nei mesi scorsi. A un risultato del tutto analogo si può però arrivare anche analizzando i Credit default swap (Cds), i derivati che funzionano alla stregua di un'assicurazione contro il fallimento di un emittente.

«Allo stato attuale – spiega Lanza - i valori dei Cds implicano una probabilità di default di circa il 20% nei prossimi 5 anni per l'Italia e attorno al 2,5% per la Germania». Quando però analizziamo gli eventi in maniera congiunta (vedi grafico qui sotto), le possibilità di un


default tedesco a seguito di un insolvenza italiana salgono all'11-12% che rimane, secondo Lanza, un valore estremamente ridotto se si tiene conto proprio di quanto analizzato in precedenza sulla convergenza europea e sui legami indissolubili fra Berlino e il resto del Vecchio Continente (Italia compresa).

I pesi con cui il mercato misura il rischio tedesco e quello italiano sono quindi palesemente differenti, così come è evidente che in un mondo più equilibrato si debba andare verso un riavvicinamento di questi valori. Come possa avvenire la convergenza fra Italia e Germania (intesa come rendimenti dei titoli di Stato, o di spread se preferite) resta il nodo cruciale del discorso. Le alternative sono evidenti: o Roma assomiglierà più a Berlino (la convergenza "buona"), oppure il contrario (lo scenario "critico"). «La sensazione è che con l'impianto costruito non senza fatica dalla Bce di Mario Draghi, che offre aiuto ai Paesi in difficoltà con il debito in cambio di riforme strutturali, si stia andando nella direzione giusta», osserva con fiducia Lanza. Il problema, probabilmente, è che la strada per arrivare a questo traguardo rischia di essere ancora molto lunga.

* Fonte Il Sole 24 Ore punto it del 19 giugno 2013


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Comunque sia, andasse in pezzi 'st'euro! [:(!]



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Ufologo 555 ha scritto:

Comunque sia, andasse in pezzi 'st'euro! [:(!]


....x il bene di tutti........................ [;)]


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'Italia sfiancata dall'Europa'
Intervista all'economista Maurizio Guandalini g

di Francesco Chyurlia

Il dibattito, dai toni accesi, sulla coesione europea e sulla capacità dei singoli stati di ritrovare la strada della crescita mantenendo saldi i principi della costruzione comunitaria, non accenna a placarsi. E la crisi economica non ha fatto che acuire le lacune strutturali dell’Eurozona. Da destra e da sinistra, in Italia, piovono critiche sui limiti di un processo che, dopo la costruzione della moneta unica, necessita per la sua legittimazione di un sistema fiscale europeo, di un’unione politica europea, per poi concludersi con la nascita degli Stati Uniti d’Europa.

La più recente boutade in merito è stata quella del leader del PdL, Silvio Berlusconi, il quale ha sostenuto che per risanare il Paese, bisognerebbe sforare il più gravoso degli impegni europei, vale a dire il tetto del 3% tra deficit e Pil. Per l’economista Maurizio Guandalini, editorialista, analista finanziario indipendente, “l’uscita di Berlusconi contro l’Europa è legittima. Il problema è che proprio lui, nel 2011 ha firmato dalla notte al giorno il fiscal compact, uno dei provvedimenti più duri imposti da Bruxelles, praticamente l’austerità a tutto tondo”.

Esiste una via d’uscita che salvi l’euro e permetta agli Stati membri di non venir triturati dalla crisi economica?
“Sì, il problema è di leadership: andare in Europa e alzare la voce è un nostro diritto. Siamo stati troppo genuflessi, zitti, esecutori pedissequi di dettami che hanno ridotto allo stremo il nostro paese, mentre altri stati hanno avuto dilazioni a sforare, la Francia ad esempio, senza drammi o leziosi ditini alzati. Dobbiamo rivendicare la nostra autorità che purtroppo fino ad ora è un fantasma: abbiamo preferito legittimarci agli occhi di funzionari e mandanti teutonici, ricevendo anche delle sberle spesso sopra le righe, ai limiti del buongusto. Attenti che le elezioni europee sono alle porte, nel 2014 e le forze politiche si stanno posizionando per una campagna elettorale che avrà toni fortemente antieuropea, antiburocrati, antibanche”.

Ma c’è un’alternativa costruttiva?
“Una cosa è palese: questa Europa, ci ha stufato. Come ci hanno stancato gli appelli liturgici che va cambiata, della serie ‘c’è l’Europa dell’economia e non quella politica’. E fino a quando ce lo diranno? Fino all’ultimo respiro? Attenti che a tirare troppo la corda si rompe. L’Europa dei vertici equivale all’annuncio gracchiante, a basso volume, delle stazioni ferroviarie. Non incide, non si sente. Routine pura e dura. Non si possono seppellire e imbalsamare delle generazioni, in vita, con vincoli di qua, vincoli di là, con continue prove di sana e robusta costituzione, salvo poi accorgersi, ad esempio, che le ricette bolse e fatiscenti del Fondo Monetario (qualcuno ricorda i disastri fatti negli ex paesi comunisti dell’Est?) in Grecia hanno fatto più danni che bene. Morale: ci becchiamo anni di austerità, pontificata, per poi, alla fine della corsa, portarci a casa un ‘scusate, ci siamo sbagliati’”.

Così però non si rischia di uscire dall’Europa e di non poter più tornare alla vecchia sovranità nazionale...
“Il timore è che cresca il sentimento anti-europeo: ma quel sentimento c’è già. Bisogna muoversi, ora. Per evitare, poi, strappi dai risvolti drammatici. Perché è inutile negarlo, siamo oltre la disputa euro sì, euro no: ma Europa sì, o Europa no. C’era più Europa-Europa con Mitterand e Kohl. Un lustro fa. E, in Italia, i partiti si stanno posizionando su questo terreno. Grillo, collegato ai movimenti degli altri paesi europei (in Spagna c’è stata una manifestazione partecipata contro l’austerità), punterà sui puri e duri contro i banchieri; Berlusconi, sofferente dei suoi destini giudiziari, comunque non rinuncerà ad un campagna anti, dimenticando che il vice presidente della Commissione europea è roba sua e che si trova, a Strasburgo, accucciato tra i popolari della Merkel. Il Pd? Nella mossa Bersani-Epifani di ritornare ai primordi post elettorali, Pd-Sel con l’aggancio dei grillini dissidenti, si cela la strategia, propria dei socialisti europei, mirata a cambiare le carte di un Europa che, così come è messa, sta finendo”.

Che ruolo avranno in questo confronto interno i G8, i G20?
“La discussione sull’Europa, su quello che fa, su come viene governata non è una discussione a sé. Il medesimo discorso vale per i vari vertici come il G8 o il G20: cosa contano? Cosa decidono? E poi via via la riflessione cade sugli organismi internazionali. Lo dico con franchezza e decisione: non credo alle ricette fantasmagoriche per rimetterci in sesto ‘pontificate’ dai vari G8. La stessa diffidenza ce l’ho verso le agenzie di rating, le banche d’affari, che predicano ricette dal futuro roseo, degli organismi internazionali, che dopo il tonfo americano del 2008 Obama ci aveva promesso di cambiare in una notte”.

Questo discorso vale anche per il Fondo monetario o la Banca mondiale?
“Il Fondo Monetario Internazionale dispensatore di ricette, sempre quelle, in tutto il mondo è un carrozzone delle previsioni del giorno dopo con soluzioni fotocopia per tutti paesi in crisi. Hanno ridotto la Grecia in macerie, avevano previsto un aumento del Pil nel 2012, invece è sceso del 6%, con recessione e disoccupazione ai massimi. Ricordo il Fondo dispensatore delle sue pozioni magiche nei paesi dell’Est che lasciavano il comunismo: privatizzazioni di massa delle aziende e la gente alla fame. Dei capolavori di cesello mai sanzionati. Con delle leadership a capo di questi organismi internazionali con discusse capacità, diciamo che il merito è troppo legato al padrinato politico del capo bastone di turno (vedi le genuflesse suppliche della Lagarde verso Sakozy). So che c’è il rischio di cadere nel vortice della retorica ma non di ricette salvifiche dobbiamo parlare e nemmeno di riforme ma di cambio dei modelli economici. Il boom non è mai per sempre: lo sa il Brasile che dopo uno sviluppo straordinario ora traballa. Ecco, mi preoccupano più le manifestazioni di piazza di un paese indicato tra le teste di ponte dello sviluppo mondiale che il refettorio irlandese del G8”.

Maurizio Guandalini, editorialista, analista finanziario indipendente, ha insegnato all’Alta Scuola di Economia dell’Università Cattolica, è nella Fondazione Istud, la più antica business school privata italiana dove è chairman di eventi internazionali. E’ stretto collaboratore del prof. Victor Uckmar, il più importante esperto di diritto tributario italiano e internazionale, con il quale ha scritto decine di libri, in particolare le diverse edizioni del Global Business. Guandalini ha curato diverse edizioni di libri stranieri, in particolare del guru dell’economia Kenichi Ohmae.


http://www.televideo.rai.it/televideo/p ... 99Eurozona


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MessaggioInviato: 24/06/2013, 15:26 
Alert: "debito pubblico Italia al 144% Pil"

Grazie Monti: troppo tardi per ridurre il buco di bilancio, dopo che la
ricetta di austerity ha creato una tra le peggiori recessioni della storia.
E le banche italiane soffrono per la crisi dell'euro.


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http://www.wallstreetitalia.com/article ... 4-pil.aspx

ROMA (WSI) - Il deficit di bilancio dell'Italia si attesterà al 3 per cento del Pil nel 2013, mentre il debito pubblico segnerà un picco al 144 per cento del Pil. Le previsioni sono contenute nel rapporto annuale della Banca dei regolamenti internazionali, e sono state elaborate in base alle cifre previsionali di Ocse e Fondo monetario internazionale.

Nell'area dell'euro le tensioni sui debiti pubblici "hanno compromesso la qualità degli attivi" delle banche, mentre il ristagno dell'economia ne ha abbassato i ricavi. "Sono cresciute le sofferenze, specie presso le banche italiane e spagnole, portando a un brusco aumento degli accantonamenti per perdite su crediti". Lo rileva la banca dei regolamenti internazionali nel capitolo sulle banche inserito nel suo rapporto annuale.

Da una tabella, emerge che nel 2012 le banche italiane monitorate, tre, sono state le uniche a registrare come insieme un livello negativo di utili al lordo delle imposte, un meno 0,06 per cento rispetto agli attivi totali. Gli accantonamenti sulle perdite hanno raggiunto lo 0,95 per cento degli attivi, ma in questo caso il dato più elevato è quello della Spagna con un 1,49 per cento.

Detto questo, "il culmine della crisi è passato", afferma la Banca dei regolamenti internazionali, e ora l'obiettivo deve esser quello di tornare a una crescita forte e sostenibile. Ma secondo l'istituzione, che ha sede a Basilea questo, questo non può che passare per la strata del rigore sulle finanze pubbliche e delle riforme strutturali dell'economia. E mettendosi in antitesi con coloro che chiedono di allentare l'austerità sui bilanci, la Bri afferma nel suo rapporto annuale che "i governi devono raddoppiare gli sforzi sui conti pubblici".

Ma tutti sono chiamati a fare la loro parte. Gli organi di regolamentazione devono adeguare le regole a un sistema finanziario sempre più interconnesso e assicurare che le banche si dotino di risorse commisurate ai rischi.

E contestando un'altra argomentazione dei fautori della linea morbida, la Bri esorta esplicitamente le Bance centrali ad orientarsi verso lo studio delle opportune strategie di uscita dalle misure anticrisi tenute negli anni passati.

In questi anni si sono viste costrette a cercare modi per allentare maggiormente le politiche monetarie. Ma le banche centrali non possono risolvere i problemi strutturali che impediscono il ritorno a una crescita, non possono risanare i bilanci delle famiglie e delle istituzioni finanziarie, dice la Bri, non possono garantire la sostenibilità dei conti pubblici e soprattutto non possono attuare le riforme strutturali economiche e finanziarie necessarie per ricondurre le economie sulla strada della crescita reale.

Le politiche di allentamento delle banche centrali durante la ripresa sono state un modo per "prendere in prestito" tempo: Ma ora questo tempo deve essere usato saggiamente, avverte l'istituzione, perché il saldo fra costi e benefici "si sta deteriorando".

L'Italia è tra i paesi con il minor bisogno di correggere i conti pubblici da qui al 2040, tenendo conto delle spese legate all'invecchiamento della popolazione. E' quanto emerge dal rapporto annuale della Banca dei regolamenti internazionali, che contiene una tabella proprio sul fabbisogno di risanamento dei paesi sui periodo 2014-2040.

Intanto l'istituzione afferma, riguardo al bisogno della correzione dei conti, che in Italia serve una correzione pari a 4 punti percentuali di Pil, il terzo dato più basso tra i paesi avanzati dopo Svezia (1,3 punti) e Germania (3,4 punti).

La Francia ha bisogno di correggere i conti per 5,4 punti di Pil, prosegue la Bri, la Spagna per 10,4 punti, la Gran Bretagna per 13,2 punti e gli Usa per 14,1 punti. Maglia nera il Giappone, che avrà bisogno di una correzione da 14,9 punti.

(TMNEWS)



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MessaggioInviato: 24/06/2013, 16:06 
Ma una cosa positiva... UNA dico io, l'avrà mai fatta il governo Monti?

E siccome il governo Letta non è nient'altro che il suo naturale seguito cosa potremo aspettarci di diverso?

[:(!]



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