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Ma la Merkel ha già vinto... è evidente



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"…stanno uscendo allo scoperto ora, amano annunciare cosa stanno per fare, adorano la paura che esso può creare. E’ come la bassa modulazione nel ruggito di una tigre che paralizza la vittima prima del colpo. Inoltre, la paura nei cuori delle masse risuona come un dolce inno per il loro signore". (Capire la propaganda, R. Winfield)

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ULTIMA CONDANNA: PER L'ITALIA SARA'
LA FINE, E LETTA OBBEDIRA'


24 agosto 2013

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http://www.vocidallastrada.com/2013/08/ ... ra-la.html

Siamo definitivamente spacciati, perché abbiamo accettato tutte le clausole-capestro dei trattati europei. Prima Maastricht, poi il Fiscal Compact, il Mes e l’Europact, cui ora si aggiungono le concessioni di spesa pubblica offerte il 3 luglio all’Italia dalla Commissione Europea e il futuro Rf, il trattato per la nascita del Redemption Fund per i debiti pubblici dell’Eurozona. Tutto questo, avverte Paolo Barnard, a patto che il paese aderente adotti “stringenti misure di aggiustamento della spesa pubblica”. E cioè: dovremo «tagliare la spesa pubblica in servizi, sanità, istruzione e infrastrutture», amputare ulteriormente salari e pensioni, «privatizzare tutto ciò che è rimasto pubblico, inclusa l’acqua e le infrastrutture vitali del paese». Non solo: dovremo anche «licenziare fette d’impiego pubblico anche tra gli impieghi vitali come insegnanti, vigili del fuoco, polizia e sanitari», oltre a «liberalizzare ogni settore dell’economia, anche quelli strategici per l’interesse pubblico», nonché «ridurre al minimo il welfare e gli ammortizzatori sociali».


La verità, sostiene Barnard nel suo intervento, è che ormai «il governo dell’Italia intera risiede a Bruxelles presso la Commissione Europea e a Francoforte presso la Banca Centrale Europea, e non più a Roma, in virtù dei Trattati europei», tutti ratificati dal nostro paese. Trattati-capestro che «hanno privato il nostro governo di ogni reale potere (esecutivo, monetario e parlamentare) trasferendoli appunto a Bruxelles e a Francoforte». Di conseguenza, «il governo di Roma e il Parlamento italiano sono oggi istituzioni di facciata, con poteri risibili e nessun potere sovrano di sostanza».

Devastante, quindi, il corollario dell’odierno funzionamento dell’Unione Europea e soprattutto dell’Eurozona, i cui trattati contengono tutti queste severissime imposizioni. «Ora – aggiunge Barnard – la cosa da capire è che esse sono il dogma, la Bibbia, la spina dorsale dell’ideologia neoliberista e neoclassica delle élite del Vero Potere, cioè degli speculatori finanziari, dei tecnocrati bancari e dei mega-industriali».

I diktat che stanno per “terminare” definitivamente la nostra economia «sono la loro linfa vitale, la loro mira primaria, il loro tutto: sono in realtà questi dogmi, Bibbia, spina dorsale, raccolti in quella clausola, che devono essere imposti a milioni di cittadini e ai loro governi, e i trattati assieme alla Ue stessa e all’Eurozona sono solo il veicolo per imporli». In altre parole: «A noi hanno raccontato che i trattati, la Ue e l’Eurozona sono il cuore di tutto, sono il goal finale di un grande lavoro, le istituzioni-cardine del futuro europeo. Ma non è vero. Il cuore di tutto, il goal ultimo, l’istituzione-cardine del futuro europeo è quella clausola neoliberista e neoclassica socialmente distruttiva, che deve devastare intere società ed esautorare gli Stati per il profitto di pochi».


Tutto il resto, «cioè i trattati, la Ue stessa e l’Eurozona» sono solo «uno scivolo ben oliato con cui imporre quella distruzione del bene pubblico». Senza questo scopo, l’attuale Europa – compreso l’euro – perde significato. Sicché, oggi accade che «quell’impotente pupazzetto anemico di Letta deve in realtà obbedire all'adozione di “stringenti misure di aggiustamento della spesa pubblica”», e ovviamente lo farà. Tagliare l’Italia, o quel che ne resta, «per l’esclusivo profitto di un nugolo di grandi speculatori del Vero Potere, portando ulteriore distruzione all’ economia vitale per noi cittadini, che siamo milioni». Ebbene, «sta accadendo», mentre l’agenda politica nazionale si attarda ancora a divertirsi con Renzi e Berlusconi.


Fonte: http://www.libreidee.org



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MessaggioInviato: 26/08/2013, 13:38 
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Thethirdeye ha scritto:

Ma la Merkel ha già vinto... è evidente


,,ha gia' vinto,certo,ma se fosse una vittoria monca,(tipo pd)le cose sarebbero molto differenti.....[;)]


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MessaggioInviato: 31/08/2013, 14:41 
Luciano Canfora: L’UE, inattesa realizzazione del sogno di Hitler.......

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“Mi chiedo che cosa significhi questa ideologia europeista. Ne deduco che esista un valore denominato Europa. Ma allora vorrei capire se esiste anche un valore Asia o Africa. Perchè non dichiararsi asiatisti o africanisti, piuttosto che europeisti? E l'Australia, dove la mettiamo? Non si sente l'esigenza di uno spirito australianista?”

Luciano Canfora, noto filologo e appassionato studioso di storia antica, ha recentemente dato alle stampe la sua ultima fatica (“Intervista sul potere”, ed. Laterza), una lunga digressione sotto forma di intervista su una moltitudine di temi: dal senso della democrazia a Napoleone, da Mao ai rapporti tra Sparta ed Atene, da Tucidide all'Euro. E proprio sul senso politico e sociale di quest'ultimo dedica l'ultimo capitolo, intitolato significativamente “Elite e popolo”.

Messo sotto fuoco incrociato lo spirito internazionalista, ciò che le élites propongono in sua vece è una poco elegante riduzione linguistica del coacervo di interessi che ha spostato e sta spostando immense somme di denaro dalle tasche dei cittadini alle loro. Ciò avviene nel nome di quella dottrina europeista che riempie quotidianamente pagine di giornali e programmi televisivi. Dottrina che permette all'AD della Fiat di delocalizzare lasciando a casa migliaia di lavoratori. “Non bastano i vantaggi che mi offre l'Italia, dichiara Marchionne, perchè se vado in Serbia posso guadagnare di più…mi da un certo fastidio chi sostiene chi ci siano “dottrine” adatte a giustificare comportamenti del genere. Tutto dipende, ripeto, dai rapporti di forza.”

A tale riguardo la denuncia di Canfora è precisa: “l'equilibrio delle forze si è spostato nettamente a favore di questi ceti tecnocratici ristretti, che non intendono farsi governare dal potere politico. Al contrario, sono essi che non solo lo influenzano, lo rimbrottano e lo limitano, ma addirittura lo contrastano apertamente e lo soverchiano”.

Quindi lo scenario attuale vede un apparato politico (che dovrebbe regolamentare la vita sociale nel nome del massimo profitto per i cittadini) succube di quelle forze elitiste, e si ritrova ad assecondare ogni loro capriccio, semantica inclusa. Tutto ciò si traduce in una “perdita di sovranità degli Stati nazionali, in particolare dell'Italia, rispetto all'influenza dei mercati finanziari.”

Questo stato di cose, nel quale i cittadini sono destinati a perdere sempre più potere a favore delle élites, è determinato da un processo ben definito: “via via che si internazionalizza la produzione cresce enormemente il potere di ricatto della grande industria e delle banche.”

La globalizzazione è quindi quel processo che permette a grandi industrie e banche di entrare a pieno titolo nelle aule parlamentari per far valere i propri interessi a tutto svantaggio di quelli dei cittadini.

Ma il profitto (di cui banche e corporation sono gli attuali maggiori difensori) non è anche fautore dello sviluppo?

“Il problema è esattamente questo: se si debba ritenere che il profitto sia un valore assoluto, in quanto unico possibile motore dello sviluppo, o se lo sviluppo stesso possa essere un fatto sociale, che non si basa necessariamente sul tornaconto individuale. E' un dilemma con cui siamo alle prese da secoli. Io sono convinto che i capitalisti non siano benefattori dell'umanità e che la crescita economica non passi necessariamente per l'esaltazione di un egoismo esasperato, individuale o collettivo.”

Eppure ci dicono che le attuali politiche europee siano l'unico approdo sensato per evitare il disastro del ritorno alle monete locali.

“Io contesto alla radice l'attuale retorica europeista. Ci viene fatto credere che questo tipo di costruzione, che notoriamente ci penalizza rispetto alla megapotenza tedesca, sia l'unica possibilità di realizzare delle aggregazioni significative a livello internazionale. Invece ne esistono altre.”

L'intervistatore a questo punto pone una domanda essenziale: “Lei giudica l'ingresso nell'euro una scelta fallimentare?”

“Sì. Capisco il PD che la difende, ma è solo perchè non ha altro da dire. Se si toglie l'euro, che ci ha rovinati, tutta l'esperienza di governo del centrosinistra, con Romano Prodi e con Carlo Azeglio Ciampi, è finita.

Che cosa hanno combinato gli eredi del PCI, da quando quel partito si è sciolto? Hanno procurato agli italiani un po' di miseria in più tramite la scelta di entrare nell'euro, compiuta per giunta in modo autocratico, senza alcun referendum. Mi sembra piuttosto che stiamo smantellando metodicamente lo Stato sociale proprio in nome dell'Europa…

siamo di fronte a un'enorme ondata di disagio e di rifiuto da parte dei cittadini, ai quali è stato impedito di dire la loro quando dall'alto calavano decisioni pesantissime o, peggio ancora, presentate in maniera ingannevole. L'introduzione dell'euro venne esaltata come un grande passo in avanti e invece ha portato al dimezzamento dei salari. Facciamo una terapia di salasso dei contribuenti e di macelleria sociale senza limiti solo per poter dire che l'Europa, cioè la Germania con i suoi vassalli nordici, è una grande potenza?

Non mi pare un valore per cui sacrificarsi. Non abbiamo un governo (se ce l'abbiamo, è quello tedesco), non abbiamo un esercito, non abbiamo una statualità di tipo elvetico o statunitense. Abbiamo solo una moneta, che serve alla Germania per imporre all'eurozona i suoi prodotti, peraltro validissimi, mentre noi italiani rinunciamo ad avere una forza espansiva sui mercati.

Inoltre, per puntellare tutto ciò, bisogna bastonare la Grecia, mettere in ginocchio la Spagna, schiaffeggiare il Portogallo, stangolare Cipro…. Ma neanche la Santa Alleanza arrivava a tanto. E non si intravede una prospettiva a questo calvario.”

Dall'analisi appena letta sembra che non esista attualmente alcuna alternativa, nessuna "exit strategy". E invece…

“Secondo me i tedeschi terranno in piedi l'euro finchè farà comodo alla loro economia, ma hanno già pronta una via di uscita. Tutta l'Europa orientale è ai loro piedi. Polacchi, sloveni, slovacchi, romeni, bulgari sono in ginocchio con il piattino in mano e riconoscono la Germania come paese leader. In fondo così si realizza il grande sogno del Fuhrer, il primo vero “europeista”. L'unico suo errore fu pensare di raggiungere quel risultato con i carri armati.”

Bene, le Merkel ha raggiunto quegli scopi europeisti che Hitler non riuscì a portare a termine. Evidentemente l'euro è ben più potente dei carri armati. A parità di manipolazione mediatica e propaganda, s'intende.

Ma esiste una qualche cura, un vaccino contro questo morbo che ha ormai infettato tutta l'Europa?

“A mio parere, il luogo dove le tendenze oligarchiche dominanti possono e devono essere messe in discussione è il laboratorio immenso costituito dal mondo della formazione e della scuola..è lì che l'educazione antioligarchica, su base critica, può farsi strada.”

http://lospaziodeglistati.blogspot.it/2 ... l?spref=fb


Ultima modifica di Atlanticus81 il 31/08/2013, 14:42, modificato 1 volta in totale.


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MessaggioInviato: 04/09/2013, 19:46 
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"Finita la crisi esistenziale dell'Ue"

Van Rompuy: "Ma quella economica, di crescita e lavoro è ancora qui con noi"


BRUXELLES - "La crisi esistenziale dell' eurozona è finita. Ma la crisi economica, di crescita e lavoro, è ancora con noi" e quindi "non è tempo per compiacersi: la spensieratezza potrebbe mettere in pericolo gli sforzi fatti ed i risultati raggiunti". Lo ha detto il presidente del Consiglio Ue, Herman Van Rompuy. Nel giorno in cui Eurostat ha confermato i dati sul Pil in crescita, ha aggiunto che "cominciamo a vedere risultati concreti" sottolineando che i segnali di crescita "sono disomogenei, modesti, forse fragili, ma positivi".

Parlando alla conferenza annuale degli ambasciatori Ue, Van Rompuy ha ricordato che "a differenza di un anno fa, ora è largamente riconosciuto che l'eurozona resterà intatta e si sta persino espandendo con l'adesione della Lettonia".

Ha quindi affermato che "gli sforzi nazionali, il nostro lavoro collettivo e l'impegno preso dalla Bce hanno aiutato a far tornare la fiducia", ma - citando un proverbio olandese ("la fiducia se ne va a cavallo e torna a piedi") - ha affermato che la fiducia "forse torna a piedi, ma sta tornando".

Ed ha aggiunto che "anche i nostri partner nel mondo, che spesso hanno sottovalutato in passato la nostra volontà politica di difendere l'euro e l'Unione, ora ce lo riconoscono".

Il presidente del Consiglio Ue ha quindi detto che "lavoro e crescita restano le priorità top, la stabilità era solo una precondizione" per uscire dalla crisi: "Abbiamo tutti il dovere di restare allerta e continuare a spingere verso le riforme a sostegno di crescita e lavoro e a contribuire ad assicurare finanze pubbliche solide".

4.09.2013 - 15:07

Red. Online

[align=right]Source: CdT.ch - Mondo - "Finita la crisi esistenziale dell'Ue" [/align]




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Vedo una lucciola in fondo al tunnel, se è giovane e bella le dò un passaggio. [:p] purchè non mi chieda troppi soldi.


Ultima modifica di Wolframio il 04/09/2013, 19:50, modificato 1 volta in totale.


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Atlanticus81 ha scritto:
A tale riguardo la denuncia di Canfora è precisa: “l'equilibrio delle forze si è spostato nettamente a favore di questi ceti tecnocratici ristretti, che non intendono farsi governare dal potere politico. Al contrario, sono essi che non solo lo influenzano, lo rimbrottano e lo limitano, ma addirittura lo contrastano apertamente e lo soverchiano”.

Ancora per poco... ancora per poco..... [:o)]



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FRANCOFORTE (WSI) - I mercati attendono il verdetto della Bce. Oggi l'istituto annuncerà alle 13.45 ora italiana la decisione sui tassi di rifinanziamento che, secondo il consensus, rimarranno fermi al minimo storico dello 0,5%.

La trepidazione è soprattutto per le parole del presidente Mario Draghi, che inizierà a parlare alle 14.30 ora italiana.

In un contesto di Bce scossa da profonde spaccature, il banchiere dovrà riuscire a dare un messaggio chiaro e deciso ai mercati, per non alimentare una volatilità che è pronta a esplodere sull'azionario da un momento all'altro. Una cosa è certa: la frammentazione interna al Comitato esecutivo della Bce rischia di minare la credibilità dell'istituto.

Nelle ultime settimane, infatti, nonostante le rassicurazioni di Mario Draghi sul fatto che i tassi di interesse potrebbero essere tagliati ancora, prima la Bundesbank di Jens Weidmann, poi lo stesso ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schauble, hanno contraddetto il comunicato ufficiale, affermando che la Bce potrebbe alzare i tassi, e sarebbe anzi pronta a farlo.

Ma lo scenario che Draghi ha di fronte non è per niente rassicurante: la crisi di governo in Italia potrebbe alimentare da un momento all'altro attacchi speculativi contro i BTP, mentre l'Europa è interessata da una crescita senza occupazione.

Qual è stato l'errore che Draghi ha compiuto? Probabilmente l'eccessivo ottimismo, di cui si sono macchiati tanti altri leader europei, per non parlare di quelli italiani. Draghi ha infatto previsto una ripresa dei fondamentali dell'economia europea in ogni meeting della Bce, a partire dal dicembre del 2011. E il dilemma è che queste sue parole hanno aumentato le attese sui tassi di interesse a livelli che lui stesso considera "non giustificati".

"In un momento in cui la ripresa è nella sua fase iniziale, è importante che il presidente della Bce limiti ogni brusca reazione al rialzo dei tassi", avverte, in una intervista a Bloomberg, Alan Clarke, economista di Scotiabank a Londra". Perchè la ripresa dei tassi scatenerebbe il rialzo degli interessiche paesi come l'Italia devono pagare sui loro debiti. E sarebbe di nuovo tutto punto, a capo.

http://www.wallstreetitalia.com/article ... mismo.aspx

...quando si dice di avere le idee chiare.................[:I]


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Credo che questa notizia sia interessante sia per quanto riguarda l'eurozona sia per quanto riguarda la situazione internazionale (vedi Siria)

Stretta tra l’Unione europea e la Russia, l’Armenia molla Bruxelles per Putin

L'ex Repubblica sovietica sceglie di entrare a far parte dell'Unione commerciale eurasiatica con buona pace dei negoziati di libero scambio in corso da mesi con Bruxelles. Decisivo un incontro lampo a porte chiuse tra il presidente armeno e Vladimir Putin.

Tra l’Unione europea e la Russia, l’Armenia sceglie Putin. Il presidente dell’ex Repubblica sovietica, Serzh Sarkisian, ha confermato che il Paese ha scelto di entrare a far parte dell’Unione commerciale eurasiatica promossa da Mosca rinunciando a firmare l’accordo di libero scambio con i paesi dell’Ue. Una notizia che ha sorpreso tutti a Bruxelles visti i negoziati in corso da mesi e maturata dopo un incontro lampo tra Sarkisian e Putin. Il Cremlino si aggiudica così un altra pedina in quella che, nelle intenzioni del presidente russo, dovrebbe costituire una specie di “Ue russa”.

Non è un caso che la notizia sia stata data in anteprima dal sito ufficiale del Cremlino dopo l’incontro a porte chiuse tra Sarkisian e Putin: “I due presidenti hanno affermato la loro intenzione a contribuire allo sviluppo dell’integrazione economica del territorio euroasiatico. Per questo l’Armenia ha deciso di entrare a far parte dell’Unione commerciale eurasiatica e di partecipare alla futura formazione dell’Unione economica Euroasiatica”.

Un incontro piuttosto misterioso e dall’esito a sorpresa. Prima di tutto per lo scarso preavviso (è stato Putin a chiederlo solo tre giorni prima) e secondo perché getta al vento mesi di fitti negoziati tra Bruxelles e Yerevan per far entrare il Paese nello spazio di libero scambio dell’Unione europea. A Bruxelles si è caduti dalle nuvole, tant’è che i rappresentanti Ue nella capitale armena si sono riuniti d’urgenza per parlare del da farsi. Una cosa sola è sicura: l’entrata nell’Unione commerciale eurasiatica preclude per sempre all’Armenia l’entrata nella Deep and Comprehensive Free Trade Agreement (DCFTA) dell’Unione europea.

Visto l’avanzato stadio dei negoziati con l’Ue (completamento di alcuni aspetti tecnici a inizio luglio e firma attesa al summit di Vilnius il prossimo novembre), all’incontro tra Sarkisian e Putin deve essere successo qualcosa di importante. A pesare potrebbe essere stato il ruolo che la Russia sta giocano (e potrebbe giocare) nel conflitto tra Armenia e Azerbaigian a Nagorno Karabakh, repubblica autoproclamatasi indipendente dall’Azerbaigian situata nel Caucaso meridionale (lo scorso giugno Mosca ha venduto 1 miliardo di dollari di carri armati, artiglieria e razzi all’Azerbaijan).

Quello che è sicuro è che Putin è stato molto convincente. Lo stesso presidente armeno, intervistato al suo rientro in patria, è apparso piuttosto in difficoltà: “Abbiamo (pausa) avuto un dettagliato scambio di idee sull’integrazione euroasiatica e posso confermare il desiderio dell’Armenia di entrare a far parte di questa unione doganale e di fare la sua parte nella costituzione dell’Unione economica euroasiatica”.

Inevitabile l’imbarazzo per la porta chiusa in faccia a Bruxelles e goffo il tentativo di Sarkisian di metterci una pezza: “Non vogliamo dire addio al dialogo con l’Ue. Negli ultimi anni, con l’aiuto dei nostri partner europei, abbiamo avviato importanti riforme istituzionali, riforme che continueranno anche in futuro”.

Di sicuro Putin può dirsi soddisfatto. Lo Zar mette così a segno un altro colpo nella sua strategia di costituzione di quella che, come annunciato nel novembre 2011, dovrebbe essere una specie di “Ue russa”, un’ipotetica unione politica ed economica ispirata all’integrazione tra i paesi dell’Unione europea e oggi composta da Russia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e, appunto, Armenia. Nelle intenzioni di Putin, lo spazio economico eurasiatico, entrato in vigore il primo gennaio 2012, dovrebbe servire da apripista per la costituzione di una vera e propria Commissione eurasiatica, modellata sulla base della Commissione europea e ruotante attorno alla grande Russia.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/09 ... in/701803/

Qua si gioca a Risiko sulla nostra pelle.. ciascuno ha messo i propri "carrarmatini" sui vari settori.

Fra un po' tireranno i dadi...

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MessaggioInviato: 06/09/2013, 19:08 
Vogliono portarci verso una Totale Distruzione Monetaria come accadde in Germania

Oggi abbiamo la necessità di un aumento del volume di denaro. Ancor più, di sovranità monetaria. Ad ogni modo, il volume di denaro dovrebbe esser aumentato fino a quando i livelli dei prezzi delle materie prime, saranno saliti al punto tale da coprire i costi di produzione e lasciare un margine di onesto profitto ai produttori di materie prime: finchè il reddito nazionale non sarà sufficiente nel portare la struttura legittima obbligazionaria privata in sospeso e finchè non si fornisca sufficiente occupazione per quelli che vorranno lavorare. Non solo i “giovani“, come vi stanno martellando l’idea nella testa, ma TUTTI. Indistintamente.

Dopo aver raggiunto tale livello, il flusso di denaro dovrebbe esser aumentato solo come aumenterebbe l’effettiva produzione fisica della ricchezza. Una volta che il livello dei prezzi raggiungerebbe il tetto necessario, ulteriori emissioni di denaro dovrebbero avvenire solo quando aumenterebbe la produzione fisica. Altrimenti, avrà luogo un ulteriore ed indesiderabile aumento dei prezzi.






Il sistema finanziario italiano potrebbe esser regolato entro pochi mesi per raggiungere il prezzo richiesto delle materie prime e per assorbire i disoccupati: TUTTI, ripeto. Non solo i “giovani“.

Per meglio comprendere, vorrei narrarvi la storia di quel che successe in Germania e di quello che – probabilmente – accadrà in Italia se il popolo italiano non si risveglierà dal torpore mediatico indotto, iniziando a prendere il controllo del sistema monetario che è nelle mani di internazionalisti anti-patriottici.

La prima guerra mondiale finì nel 1918. Il 31 marzo 1919 (poco prima della conferenza di “pace” e della firma del trattato di Versailles), i livelli dei prezzi della Germania erano più alti solo del 117%: non più di quanto non lo fossero prima dell’inizio della Prima guerra mondiale. Questo aumento dei prezzi fu più contenuto rispetto a quanto avvenne negli USA. Il debito pubblico della Germania – a partire dall’inizio della Prima guerra mondiale fino al 31 marzo 1919 - ebbe un aumento di 130MLD di Marchi. In termini di dollari, sarebbero circa 30MLD. Gli Stati Uniti aumentarono il proprio debito pubblico per un importo analogo.


La struttura finanziaria tedesca non si trovava in nessuna condizione per giustificare la distruzione della moneta, se non quella dell’intenzione pianificata con i prestatori di denaro internazionali

Secondo i termini del Trattato di Versailles, praticamente tutto d’oro della Germania fu portato via, assieme al 75% dei depositi di ferro minerale e miniere. Inoltre, portarono via tutte le sue colonie e circa il 25% di altre proprietà fisiche.

I termini del trattato furono diabolici. In realtà, diretti a distruggere il popolo tedesco. Dal momento della firma del trattato nel giugno 1919 fino agli inizi del 1922, i poteri monetari internazionali che erano controllati dalla Reichsbank e dal governo tedesco, si stavano manipolando per ottenere il controllo della proprietà fisica reale in Germania


Arrivarono al punto di cambiare drasticamente le leggi bancarie della Germania, in modo tale da poter prendere in prestito dalla Reichsbank importi illimitati ed acquistare la proprietà fisica con la consapevolezza che – successivamente – il prestito avrebbe potuto essere rimborsato con moneta senza valore (vi ricorda qualche cosa, tutto questo? Non è forse quello che sta accadendo attualmente?, ndr)

Per darvi l’idea del volume di moneta che produssero in Germania, basterà solo osservare quello che accadde al livello dei prezzi. Vorrei ricordare che – durante la guerra – i livelli dei prezzi tedeschi non fu aumentato tanto quanto lo fecero negli Stati Uniti.

Nel 1920 il livello dei prezzi in Germania aumentò del 1500% rispetto al livello prebellico. Nel 1921 raggiunse il 3500% rispetto al livello prebellico. Nel 1922 fu del 147,000% rispetto al livello prebellico e dal 23 ottobre - quando la valuta perse completamente il suo valore – fu del 709MLD% rispetto al livello prebellico.

In altre parole, gli internazionalisti predatori stamparono marchi privati #8203;#8203;e li immisero nel flusso di denaro con lo scopo dichiarato di distruggere il sistema monetario della Germania. Tutto ciò, significò la distruzione di tutte le polizze assicurative e di tutte le ipoteche di proprietà reali del popolo tedesco.


I banchieri internazionali (gli stessi di oggi, ndr) si erano già preparati. Ottennero il controllo fisico della proprietà e poterono così pagare i prestiti – molti dei quali furono manipolati attraverso la privata Reichsbank – con i soldi senza valore.

Quello che successe in Germania fu definito erroneamente INFLAZIONE. Non fu un’inflazione tedesca. Fu una questione d’inflazione di denaro privato, perpetrata da intriganti internazionali. L’inflazione non fu un’inflazione dei soldi del governo. Fu un’inflazione delle banconote private della Reichsbank. I funzionari della Reichsbank – un’istituzione privata – furono responsabili per l’emissione di moneta in volume sufficiente a distruggere l’intera struttura bancaria e rendere senza valore tutto il denaro della Germania.

La stessa cosa accadrà senza dubbio in Italia ed in tutti gli Stati europei, se la gente continuerà a permettere che il sistema monetario venga manipolato da coloro che ne hanno il completo controllo negli ultimi venti anni.


Ne trarranno profitto proprio come fecero con la Germania, acquisendo il possesso delle proprietà fisiche. Con la distruzione del sistema monetario, cesseranno di esistere anche gli unici diritti per la protezione dell’individuo, della sua proprietà, dei suoi diritti civili e religiosi.

Chiunque si vorrà erudire e/o indagare sulla distruzione della valuta “tedesca” o della sua rivalutazione francese ed italiana nel 1920, dovrebbe leggere “Foreign Currency and Exchange Investigation Conducted by Gold and Silver Inquiry of the United States Senate” ai sensi della Risoluzione 469 del 67° Congresso. Questo documento non è più in stampa, ma lo potete trovare in alcune librerie.

Che dire?

Alla fine, studiare la storia vi aprirà gli occhi su molti temi. Questa si ripete perché – chi ne manovra i fili e la gestisce - ha le stesse finalità portate a lungo termine. Svegliatevi e spegnete la TV che manipola i vostri cervelli!

http://www.stampalibera.com/?p=66218

http://www.gamerlandia.net/2013/02/02/v ... -germania/


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MessaggioInviato: 10/09/2013, 08:34 
Una precisazione. La destra norvegese non rappresenta breivik.
Anzi la destra subì un tracollo per colpa di breivik.

E un'altra precisazione. Non si può definire xebofobo un partito norvegese che denuncia l'islamizzazione del proprio paese.

Coalizione - Gli xenofobi sono alleati con i conservatori

Norvegia, voto choc: il partito di Breivik
verso il governo

Schiaffo ai laburisti, vince la destra

È il giorno di Erna, la ragazza dell'Ovest che si avvia a diventare primo ministro. Ed è il giorno di Siv, la nemesi. La conservatrice Erna Solberg e la leader del Partito del Progresso Siv Jensen sono i volti della destra norvegese che ieri ha vinto le prime elezioni politiche dalle stragi del 22 luglio 2011. Un voto che segna la fine della coalizione rosso-verde guidata da Jens Stoltenberg e che sdogana definitivamente la formazione anti-immigrati alla quale nel 1999 aderì l'autore del doppio attacco di due anni fa, Anders Behring Breivik che osserva dalla cella del carcere di massima sicurezza di Ila, il suo ghigno come una condanna su un Paese che vuole dimenticare.

«Ho lavorato duro per dare ai conservatori una nuova piattaforma» dice Erna, l'inflessibile «Merkel del Nord» che ha incentrato il suo progetto su taglio delle tasse, innovazione, competitività e ha accettato il rischio di una pragmatica apertura ai populisti di Siv. Con tre quarti dei seggi scrutinati, il blocco di centro-destra formato da conservatori, Partito del Progresso, liberali e cristiano-democratici conquista una maggioranza di 96 seggi su 169. Nei prossimi giorni saranno da definire gli equilibri di una coalizione dalla quale, dichiara Solberg, non sarà più possibile escludere la formazione della Jensen. Non sarà facile per Erna, decisa a costruire «un ponte» tra il centro e la destra populista, concordare una strategia di governo con Siv. L'alleanza necessaria a battere il centro-sinistra dovrà superare divergenze inconciliabili emerse già prima del voto, ad esempio sui campi per richiedenti asilo proposti dal Partito del Progresso. L'ultima speranza per i laburisti, primo partito, è che i rivali non trovino un accordo.

Malgrado quarant'anni di storia e un radicamento territoriale che ne fa una delle maggiori forze dell'arco politico norvegese, il Partito del Progresso era sempre stato tenuto fuori da coalizioni di governo per la sua identità troppo tagliata sulla difesa di un'originaria purezza culturale costruita su un mix di valori cristiani e umanitarismo. Negli anni la retorica di partito è scivolata su posizioni sempre più antimusulmane, fino al celebre discorso del 2009 nel quale la stessa Jensen metteva in guardia da un'islamizzazione strisciante. Toni che richiamano sinistramente i proclami affidati da Breivik al suo manifesto pubblicato poche ore prima di stroncare 77 vite nell'assalto al quartiere governativo di Oslo e al campo estivo della gioventù laburista sull'isola di Utoya. Un attacco pianificato per anni con l'obiettivo dichiarato di scuotere la classe dirigente e fermare le politiche multiculturaliste della sinistra che rischiavano di consegnare la Norvegia e l'Europa all'onda islamica. La preparazione dell'attentato cominciò nel 2002. Proprio quell'anno un ramo locale dell'organizzazione giovanile del Partito del Progresso scelse come presidente l'allora 23enne Breivik.

Dopo Utoya, il partito ha condannato senz'appello la peggiore strage sul suolo norvegese dalla Seconda guerra mondiale, rimosso i dirigenti più controversi, abbassato i toni sull'immigrazione e spostato il focus sulle riforme economiche e sul ridimensionamento del ruolo dello Stato. «Siamo un partito liberale» ripete Jensen, che ha sempre respinto l'etichetta di leader «populista», «a meno che populista non significhi risolvere i problemi quotidiani della popolazione«. Tra le sue proposte, la revisione della regola d'oro che stabilisce un tetto del 4% oltre il quale è proibito attingere al Fondo petrolifero sovrano da 750 miliardi di dollari, un limite per proteggere una ricchezza destinata alle generazioni future. Anche Erna Solberg ha puntato sul Fondo, proponendo di modificarne l'assetto amministrativo, curato sin dal 1996 da un ramo della Banca centrale norvegese: l'idea è assegnare settori diversi del Fondo a più soggetti, per favorire un management competitivo. Il nuovo governo sarà chiamato a un ripensamento complessivo di un sistema economico troppo dipendente dalle pur immense riserve petrolifere.
In lista con i laburisti, anche 33 sopravvissuti di Utoya che su quell'esperienza hanno fondato un rinnovato impegno politico, «la generazione 22 luglio».
Maria Serena Natale


Ultima modifica di rmnd il 10/09/2013, 08:37, modificato 1 volta in totale.


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MessaggioInviato: 10/09/2013, 08:58 
...poi solo una piccola precisazione,il voto e'stato libero,ed ognuno ha fatto scelte proprie,quindi non vedo tutte ste preoccupazioni........[;)]


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11/09/2013 - retroscena


Oslo, la generazione Utoya
sfida gli eredi di Breivik



AFP

Uno dei manifesti di Erna Solberg, la «Merkel del nord», che ha trionfato alle elezioni di domenica









In Parlamento 4 superstiti della strage, ma è boom di xenofobi



monica perosino




Anche la Norvegia, alla fine, è scivolata a destra, come la Svezia e la Finlandia. La socialdemocrazia scandinava è finita domenica. Dopo otto anni di governo laburista, i conservatori guidati da Erna Solberg, la «Merkel del nord», hanno vinto le elezioni, ma per formare la nuova maggioranza avranno bisogno del sostegno di liberali, Cristiano democratici e del Partito del Progresso, arrivato terzo con il 16,4% dei voti. Lo stesso in cui militò Anders Breivik, l’estremista di destra che il 22 luglio 2011 uccise 77 persone a Oslo e sull’isola di Utoya.



A due anni dal massacro sembra che i norvegesi abbiano dimenticato i proclami urlati in tribunale e i moventi di Breivik o che comunque siano stati convinti dalla retorica del populismo e dell’anti-immigrazione. Ma tra i seggi del Parlamento ci sarà qualcuno che ha già promesso di dare battaglia: «Noi non dimentichiamo i compagni massacrati in nome dell’odio». Sono la «generazione 22 luglio», i giovani laburisti sopravvissuti alla strage, 33 candidati nelle liste della coalizione di Jens Stoltenberg. Quattro di loro sono stati eletti domenica. «Ci spaventa che il Partito progressista entri in Parlamento - dice Vegard Grøslie Wennesland, 29 anni -. La loro campagna elettorale si è basata soprattutto sulla xenofobia: è così che si crea un Paese che ha paura, un Paese che odia».



Breivik aveva scelto come obiettivo proprio i laburisti, accusandoli di aver permesso alla Norvegia di diventare una società multiculturale.



Il neo eletto Fredric Holen Bjoerdal, 23 anni, è da ieri il più giovane deputato norvegese: «Mi dedico alla politica non per l’orrore che ho vissuto, ma nonostante questo». A Utoya, Bjoerdal aveva salvato un gruppo di compagni in preda al panico guidandoli da un nascondiglio all’altro mentre fuggivano dalla follia omicida di Breivik. «Dopo quello che è successo la maggior parte dei miei amici ha rinunciato alla politica. Io no. Io ho la sensazione di dover continuare la lotta per quelli che non possono più farlo».



Durante la campagna elettorale tutti i partiti avevano evitato l’argomento Utoya, nessuno voleva essere accusato di strumentalizzare la strage. Ma le allusioni si sprecavano, soprattutto sui mancati investimenti del governo per la sicurezza nazionale. Morton Höglund del Partito del progresso sosteneva che i laburisti avrebbero dovuto utilizzare i soldi ricavati dal petrolio norvegese per acquistare elicotteri alla polizia. Il giorno del massacro di Utoya l’unico elicottero disponibile non era pronto. «Sarà difficile sedere in Parlamento a pochi metri di distanza – dice Wennesland –. Noi, la generazione “22 luglio” e loro. Ma da quel giorno per me è tutto più chiaro: qualcuno ha cercato di uccidermi per quello in cui credo. Lo ha fatto perché pensava che la soluzione ai problemi politici fosse la violenza. Proprio questo ha reso più forte la mia motivazione a partecipare alla democrazia».



Mentre Breivik sparava, Wennesland si era barricato con altri compagni in una casetta di legno rossa. Lui si era nascosto sotto il letto. Il suo amico Haavard Vederhus, leader della sezione giovanile di Oslo, è stato ucciso. Dopo gli attacchi, Wennesland lo ha sostituito.



Gli analisti politici a più riprese hanno sottolineato che la vittoria della destra non va ricercata negli errori di Stoltenberg, ma nella voglia di cambiamento di un Paese immerso in una «noia nazionale», inconsapevole del benessere in cui vive la Norvegia, senza debito pubblico, con tassi di crescita (2,5%), di disoccupazione (3%) e di inflazione (1%) impensabili in Europa. «Diamo per scontato che possiamo fare liberamente politica - dice ha Wennesland -, ma non dovremmo farlo. Mai. Per questo noi sopravvissuti alla rabbia abbiamo il dovere di continuare a lottare».



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http://www.wallstreetitalia.com/article ... embri.aspx

Il potere Ue: sospendere i diritti dei paesi membri

BRUXELLES (WSI) - "Nell'ultimo discorso sullo Stato dell'Unione proferito lo scorso anno, in un momento di sfide che la legislazione ha affrontato nei nostri stati membri, ho parlato della necessità di costruire un ponte tra la persuasione politica e le procedure specifiche di violazione da un lato, e quella che definisco l'opzione nucleare dell'Articolo 7 del Trattato (dell'Unione europea), ovvero la sospensione dei diritti degli stati membri". E' quanto ha detto il presidente della Commissione europea, Josè Manuel Barroso" nel suo discorso sullo stato dell'Unione.

Barroso è tornato a parlare della questione spinosa che riguarda il potere conferito all'Unione europea di sospendere in determinati casi e in via momentanea i diritti degli stati membri.

"L'esperienza ha confermato l'utilità del ruolo della Commissione come arbitro indipendente e obiettivo - ha continuato - Dovremmo consolidare questa esperienza attraverso un quadro più generale, che dovrebbe basarsi sul principio dell'eguaglianza tra gli stati membri, e che dovrebbe essere attivato solo quando esiste un grave rischio sistemico che minaccia la legge, scatenato da fattori predefiniti".

La Commissione, ha precisato Barroso, si "farà avanti con un comunicato sulla questione. Ritengo che questo dibattito sia la chiave per la nostra idea di Europa. Ciò non significa che la sovranità nazionale o la democrazia saranno limitate. Ma abbiamo bisogno di un meccanismo europeo robusto che influenzi l'equazione quando sono in gioco i principi comuni di base. Esistono alcuni valori non negoziabili che l'Unione europea e i suoi stati membri devono e dovranno difendere sempre".

ARTICOLO 7 (SOSPENSIONE DI ALCUNI DIRITTI CHE RISULTANO DALL'APPARTENZA ALL'UNIONE)

1 - Su proposta ragionevole presentata da un terzo dei paesi membri, dal Parlamento europeo o dalla Commissione europea, il Consiglio, con l'approvazione di una maggioranza pari a 4/5 dei suoi membri e dopo aver ottenuto il consenso del Parlamento europeo, potrebbe stabilire che esiste un chiaro rischio di grave violazione da parte di uno stato membro dei valori che si riferiscono all'articolo 2 (quello in cui sono riportati i valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, della legge e del rispetto per i diritti dell'uomo). Prima di stabilire (la violazione), il fornendo raccomandazioni...Il Consiglio verificherà regolarmente le basi su cui una tale valutazione sia stata effettuata.

2 - Il Consiglio europeo, agendo su base unanime sulla proposta di un terzo degli Stati membri o della Commissione europea, e dopo aver ottenuto l'approvazione del Parlamento europeo, potrebbe dichiarare l'esistenza di una grave e persistente violazione da parte di uno stato membro dei valori a cui si riferisce l'articolo 2, dopo aver invitato lo stato membro a presentare le sue osservazioni.

3 - Nel caso in cui la deliberazione secondo il paragrafo 2 sia avvenuta, il Consiglio, agendo secondo una maggioranza qualificata, potrebbe decidere di sospendere alcuni diritti derivanti dall'applicazione dei trattati, allo stato membro in questione, includendo i diritti di voto del funzionario che rappresenta il governo dello stato membro all'interno del Consiglio. Nel fare ciò, il Consiglio prenderà in considerazione le possibili conseguenze di una sospensione dei diritti e degli obblighi di persone fisiche e giuridiche. Gli obblighi che lo stato membro in questione deve osservare secondo il trattato continueranno a essere vincolanti.

4 - Il Consiglio, agendo secondo una maggioranza qualificata, potrebbe decidere successivamente di modificare o revocare le misure intraprese secondo il paragrafo 3, in risposta ai cambiamenti della situazione che ha portato all'imposizione (della sospensione dei diritti umani).

5 - Le intese di voto che si applicano al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio per gli scopi di questo articolo sono contenuti nell'articolo 354 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.

ARTICLE 7 [7] [‘Suspension of certain rights resulting from Union membership’, Article I-59 (ex Article 49 TEU)] .

1 - On a reasoned proposal by one third of the Member States, by the European Parliament or by the European Commission, the Council, acting by a majority of four-fifths of its members after obtaining the consent of the EuropeanParliament, may determine that there is a clear risk of a serious breach by a Member State of the values referred to in Article 2. Before making such a determination, the Council shall hear the Member State in question and may address recommendations to it, acting in accordance with the same procedure. The Council shall regularly verify that the grounds on which such a determination was made continue to apply.

2 - The European Council, acting by unanimity on a proposal by one-third of the Member States or by the European Commission and after obtaining the consent of the European Parliament, may determine the existence of a serious and persistent breach by a Member State of the values referred to in Article 2, after inviting the Member State in question to submit its observations.

3 - Where a determination under paragraph 2 has been made, the Council, acting by a qualified majority, may decide to suspend certain of the rights deriving from the application of the Treaties to the Member State in question, including the voting rights of the representative of the government of that Member State in the Council. In doing so, the Council shall take into account the possible consequences of such a suspension on the rights and obligations of natural and legal persons. The obligations of the Member State in question under the Treaties shall in any case continue to be binding on that State.

4 - The Council, acting by a qualified majority, may decide subsequently to vary or revoke measures taken under paragraph 3 in response to changes in the situation which led to their being imposed.

5 - The voting arrangements applying to the European Parliament, the European Council and the Council for the purposes of this Article are laid down in Article 354 of the Treaty on the Functioning of the European Union.

ARTICOLI DEL TRATTATO DI LISBONA.


Insomma in poche parole, se scoppiassero rivolte per crisi economiche gravi, in un paese dell'eurozona, non sarebbero più garantiti i diritti fondamentali, ad esempio votare il proprio parlamento e governo.
Però in Grecia è già così. anche se tutti i giornalisti europei fanno finta di nulla...


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MessaggioInviato: 11/09/2013, 16:45 
Questo articolo è un pò vecchio però ancora attuale

http://www.rischiocalcolato.it/2013/06/rivelazione-siamo-come-la-grecia-di-maurizio-blondet.html

Rivelazione: siamo come la Grecia (di Maurizio Blondet)

Addio progetto Letta di mobilitare qualche miliardo per «il lavoro dei giovani», un alleviamento dell’Iva o dell’Imu. Erano tutti sogni, ed abbiamo dovuto apprenderlo dal Financial Times: il nostro Tesoro ha un «buco» di forse 8 miliardi, la cifra che Letta stava cercando senza riuscirci, creata in segreto dai suoi «tecnici» sopraffini per truccare i conti pubblici, in modo da farci apparire in grado di «entrare nell’euro».
Il trucco risale agli anni ’90, ed ha avuto certo la benedizione di Romano Prodi. Nel ’95, il deficit italiano era del 7,7%; doveva essere ridotto a meno del 3%. Nel ’98, infatti, bussammo alla porta dell’euro con il 2,7% di deficit: miracolo! In regola! Fummo ammessi nella moneta unica, e i politici italioti festeggiarono. Tutti quanti. Silvio Berlusconi, anziché eccepire, si entusiasmò a punto da regalare ad ogni italiano (ricordate?) una piccola calcolatrice per facilitarvi il cambio Euro-Lira; poi tornò ai suoi bunga-bunga. Una cima, un genio.

Ora si scopre che il «miracolo» era fatto a caro prezzo, inventando con banche straniere prodotti derivati complicatissimi che (dice il Financial Times) hanno «consentito al Tesoro di scaglionare i pagamenti dovuti alle banche straniere su un periodo più lungo ma, in alcuni casi, a termini più svantaggiosi per l’Italia».

l segreto necessitò di una pezza nel 2012: vi si prestò il governo Monti, cercando di nascondere agli italiani la verità. Senza riuscirci: l’Italia, si ricorderà, costretta a rivelare che aveva pagato a Morgan Stanley 2,57 miliardi di euro, dopo che la banca aveva esercitato una clausola sui contratti derivati che avevano per oggetto swap su tassi di interesse e swap option concordati con l’Italia nel 1994.

Per Repubblica, «La ristrutturazione dei derivati nel 2012 è collegata all’esigenza delle banche (una ventina delle solite: le tre grandi italiane, le principali europee e le maggiori d’affari anglosassoni) di ridurre ilrischio Italia. In sostanza la crisi ha portato gli istituti specialisti in titoli di Stato a presentare il conto dei vecchi derivati. Ed è qui che emerge una perdita potenziale di 8,1 miliardi».

Ma non bastano 8 miliardi. Sempre per Repubblica, «c’è poi l’anomalia degli swap rinegoziati a un prezzo “off market”, cioè con una forte perdita iniziale per l’erario. Anomalia probabilmente dovuta al fatto che i contratti originari erano in realtà prestiti mascherati che il Tesoro è oggi costretto a rimborsare a caro prezzo».

Chi era stato a fare quegli affari pessimi, da cretini disonesti, da venditori di tappeti? Silenzio. Vietato chiedere. Omertà totale dei «tecnici» al governo e dei «tecnici» intoccabili a Bankitalia. Unico indizio, l’inspiegabile trasferimento-promozione, da parte di Mario Monti, di Anna Maria Tarantola, la strapagatissima altissima dirigente di Bankitalia, da Bankitalia alla strapagatissima presidenza Rai. Adesso, ilFinancial Times ci dice che nell’occasione in cui Morgan Stanley pretese il suo bottino esercitando la clausola di rottura sul contratto derivato, si seppe che il Tesoro «deteneva contratti derivati per coprire 160 miliardi di debito, ossia il 10% dei titoli di Stato in circolazione».

Abbiamo fatto finta di avere i conti a posto, mentre sforavamo del 10%, ossia per 160 miliardi: una bomba ad orologeria nei nostri conti, tenuta segreta dall’omertà. Solo adesso ci viene detto che direttore del Tesoro, all’epoca, era Mario Draghi: il responsabile del trucco, il grande genio e venerato maestro da tutti i giornalisti italioti. Il nome intoccabile non è mai stato fatto: lo fa il Financial Times, indicando come corresponsabili Vincenzo La Via (capo del dipartimento debito), e Maria Cannata, head of the Treasury’s debt management agency. Tre pagatissimi, espertissimi «tecnici»: idioti e disonesti insieme, che dovrebbero – semplicemente – essere in galera per alto tradimento.

Ma silenzio, non si può dire. Sono i competentissimi tecnici. I Venerati Maestri. Che ci hanno portato a questa disastrosa situazione nel segreto. «Solo una manciata di dirigenti italiani, presenti e passati», dice il Financial Times, «hanno chiara la situazione complessiva, secondo fonti governative». I politici non sapevano.

Tutto avvenne a loro insaputa. Forse non capivano.

Se non capite bene quel che è successo, non siete i soli. Ma vi basti la conclusione: lorsignori hanno fatto lo stesso trucco della Grecia, per entrare nell’euro senza averne le condizioni di bilancio giuste. Dovevamo starne fuori, ma avevano una gran fretta di farci entrare, lorsignori. Ci vietarono persino di discuterne: «complottisti, fascisti, antisemiti, tacete!». Ecco il risultato.

Siamo noi la Grecia, dieci volte più grossa.

Già prima della ultima rivelazione, ce l’aveva detto Mediobanca: «L’Italia è a alto rischio di insolvenza. Nei prossimi sei mesi dovrà chiedere aiuti all’Unione europea… Rischia il default come in Argentina».

Oggi i nodi vengono al pettine e rivelano l’ovvio: lo Stato italiano è insolvente e fa finta di non esserlo. Si chiama bancarotta fraudolenta.

Facciamo un po’ di conti sul tovagliolo di carta: ai 90 miliardi di euro annui che dobbiamo pagare di interessi sul debito di 2000 miliardi, si deve aggiungere il debito – 50 miliardi, forse più – che le amministrazioni pubbliche hanno verso i fornitori privati, ossia le ditte italiane: debiti che già si sa non verranno onorati se non in minima parte. Del resto, quando mai i parassiti pubblici onorano un debito, un contratto stipulato coi cittadini? Mai, non sia mai.

Ma continuiamo i conti. Lorsignori hanno preso l’impegno, preso con la UE, di ridurre il debito italiano dal 120% (oggi verso il 140%) del Pil, al 60%: a botte di 50 miliardi l’anno che ci devono togliere dalle tasche di noi contribuenti, in aggiunta ai 90 di interessi passivi che già ci tolgono. Ma ce la farà, lo Stato, a torchiarci fino a questo punto? Abbiamo appena appreso, da Attilio Befera (altro competentissimo tecnico) che la sua agenzia non riesce a riscuotere 545 miliardi, già messi in conto come tributi dovuti: cifra assolutamente impossibile, irreale, da fantasy. Al massimo, con tutta la forza coattiva pubblica a sua disposizione, Befera riesce a far pagare l’11-12% delle somme messe a ruolo.

Dunque lo Stato, il settore pubblico intero, è insolvente. Insolvente in modo colossale rispetto agli impegni prese, e alle sue stesse pretese fiscali ormai inesigibili. Ciò si assomma all’insolvenza delle banche, rovinate per essersi riempite di titoli pubblici che – ora che il rendimento richiesto dai mercati riprende a salire, e i decennali rendono ormai il 4,7% – si stanno svalutando nelle casseforti (sono titoli vecchi, che danno meno interesse: se li vuol realizzare, la banca deve venderli con adeguato sconto).

Insomma, insolvenza su insolvenza. Bancarotta su bancarotta. Centinaia di miliardi che si aggiungono ai 2 trilioni del debito pubblico. Con l’attuale situazione, nemmeno gli interessi riusciamo a pagare; figurarsi tutti i buchi che saltano fuori a sorpresa.

Se ci fosse qualcuno ancora con la testa sul collo in qualche poltrona di potere in Italia, ne trarrebbe le logiche conclusioni. Che sono quelle proposte dall’economista comunistoide Guido Viale su Manifesto(guardate a cosa siamo ridotti): «Unica soluzione, ristrutturare il debito».

Ristrutturare il debito, ossia ripudiarne una parte consistente (30-50%) per alleggerirne l’onere per la Stato e i contribuenti, e rinegoziarne le scadenze e gli interessi, scegliendo per esempio di non pagarlo alle banche estere. È una pura e semplice necessità, se si vuole scongiurare la distruzione totale della nostra economia che ancora funziona, e alla fine il default totale comunque inevitabile, alla greca, nel prossimo – e inevitabile – futuro.

Contestualmente, dice Viale, uscire dall’euro. Uscita «che probabilmente si verificherà in ogni modo, come conseguenza dello sfascio di tutto l’edificio dell’Ue a cui ci sta portando la sua governance» di idioti e criminali.

Capito? Questa è la sola soluzione. «Si tratta di operazioni complesse» dice Viale, ed è il meno che si possa dire: si tratta di mesi di difficoltà di tipo «bellico» per la popolazione, ma al termine delle quali c’è la luce e la speranza.

Ma naturalmente, nessun governo italiota lo farà. Nessun tecnico Bankitaliota la proporrà, né è semplicemente capace di farlo. Nessun politico ne avrà il coraggio. Sono tutti coalizzati per tenerci nell’euro, e farci pagare gli interessi sul debito, più tutti i buchi che hanno fatto con la loro incompetenza in segreto. Il che significa: ci imporranno un prelievo patrimoniale da lacrime e sangue. Una Imu moltiplicata sulle case, capannoni e fabbriche e campi, e una ruberia sui depositi bancari: di quelle da far sembrare Giuliano Amato un frugale passerotto. E il bello è che tutto questo non basterà.

Comunque vada, ci portano a fare la Grecia. Perché, altrimenti, la classe tecnico-politica dovrebbe ammettere di aver sbagliato tutto, di aver commesso enormi disonestà, di averci legato a destini altrui, di averci svenduto per una ideologia ed interessi anti-nazionali, saccheggiandoci inoltre per mantenere la classe di tre milioni di parassiti pubblici, a loro contigua. E questo, non l’ammetteranno mai.

A voi le conclusioni sul da fare, cittadini. Se siete ancora cittadini.


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non so se questo estratto di un intervento di draghi fosse gia' postato,cmq ricordarlo e' sempre' utile

“l’Italia prosegue sulla strada delle riforme”, indipendentemente dall’esito elettorale e sottolineando che il processo delle riforme continua come se fosse inserito “il pilota automatico"

dal fatto quotidiano

se c'e' qualkuno che volenti o nolenti dirige le operazioni in italia,a cosa serve pagare 1000 parlamentari e relativo governo,se alla fin dei conti non contano nulla,come sempre detto siamo in amministrazione fiduciaria,e di cio' dobbiamo ringraziare chi ci ha condotto in questo disastro [:(!]


Ultima modifica di ubatuba il 12/09/2013, 17:56, modificato 1 volta in totale.

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