Ci siamo accorti che il mondo ai nostri confini è in fiamme? E che le colonne di fumo sono visibili quasi a occhio nudo? Ma chi è stato a provocarle? Terroristi? No, comuni cittadini, disperati, esasperati dall’ingiustizia sociale e stremati dalla crisi. In altre parole, i veri terroristi contro cui gli Stati, Occidente compreso, si sono armati negli ultimi dieci anni. Apriamo bene gli occhi, aguzziamo le antenne. Prima la Tunisia, poi Algeria ed Egitto e, appena al di là dell’Adriatico, anche l’Albania è prossima all’esplosione. Se credete alla versione semplificata dei media, secondo cui la popolazione ha deciso di porre fine a regimi poco o nulla democratici, allora continuate pure a dormire sonni tranquilli. Però fate attenzione, perché i paesi a ferro e fuoco non sono mai stati così tanti e così vicini nello stesso istante. Inoltre, alcuni di questi paesi, seppur controvoglia, sono considerati partner strategici del democratico Occidente, non paesi-canaglia, anche se forse molto più ambigui nei confronti del terrorismo. Il quasi-defunto Mubarak è sicuramente un dittatore mascherato da Presidente della Repubblica, ma è stato anche un ago della bilancia in una regione-polveriera. La sua fine (fonti israeliane lo danno tra l’altro malato terminale di cancro) non può essere priva di conseguenze imprevedibili: un effetto-Yemen in Egitto, con la notevole differenza di legami economici, politici e diplomatici nei confronti dell’Occidente e di Israele, potrebbe essere la scintilla che provocherà un conflitto mondiale. In altre parole, potrebbe anche essere il segnale che qualcosa stia sfuggendo di mano anche a chi ha sempre mantenute salde le redini degli eventi. Del resto, se appena al di fuori dell’Unione Europea i conti si regolano con il sangue, anche al di qua dei confini i focolai non sono pochi. Abbiamo visto quel che è successo in Grecia e come è successo. Parigi ha avuto i suoi guai con le pensioni. Ora in Belgio, sicuramente con più aplomb, la popolazione sta manifestando contro un governo che manca da otto messi malgrado le elezioni, e contro una crisi economica non certo più mite di quella greca, tanto che l’unica soluzione sembrerebbe una secessione della parte fiamminga. E che dire dell’Italia, dove abbiamo assistito alle prove tecniche di rivoluzione, culminate nell’inferno del 14 dicembre scorso a Roma? Fin quando si terranno a bada i malumori con gli scandali sessuali di Berlusconi, possiamo anche sperare che la gente dimentichi: del resto, le bagarre servono soprattutto per distrarre e assorbire le attenzioni. Ma se l’entità della nostra crisi è proporzionata al chiasso creato in queste settimane su quattro prostitute per silenziarla, allora prepariamoci al peggio, che potrebbe verificarsi tra poche settimane, quando la cassa integrazione finirà per molti. Caro Berlusconi, se sei disposto a lasciarti massacrare in questo modo – il potere del resto ha il suo prezzo e regnare è sempre anche espiare – che cosa mai ci starai nasconendo, vittima del tuo stesso lessico messianico di qualche anno fa?
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