
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha ordinato al Pentagono di studiare una serie di opzioni per la riduzione delle truppe americane in Corea del Sud.
La notizia l’ha rivelata il New York Times . E a poche settimane dallo storico incontro di Trump con il leader della Corea del Nord, Kim Jong-un, assume un signifcato decisamente importante.
La riduzione delle truppe come parte dei negoziati?
Secondo i funzionari che hanno rivelato queste informazioni al quotidiano newyorchese, la riduzione delle truppe Usa in Corea non sarebbe il frutto di un accordo fra Pyongyang e Washington. Tuttavia, non va neanche sottovalutato che queste stesse fonti abbiano detto che, in caso di pace, la necessità di mantenere 28.500 soldati sul suolo coreano sarebbe quantomeno da rivedere.
In questa volontà di Trump convivono due esigenze. Una è quella già espressa dal presidente Usa ai suoi alleati Nato e a quelli asiatici. Secondo il presidente americano, le forze statunitensi proteggono gli alleati senza essere adeguatamente compensati. Quindi, a detta dell’amministrazione Usa, o gli alleati pagano di più, oppure devono rimpiazzare gradualmente le forze Usa con quelle nazionali.
Inoltre, sempre secondo la Casa Bianca, la presenza militare degli Stati Uniti non ha avuto alcun ruolo di deterrenza né con la Cina né con il programma nucleare della Corea del Nord. E tutto si è trasformato in un grosso dispendio di soldi.
Non va dimenticato che questa scelta coincide non solo con l’incontro con Kim, ma anche con i difficilissimi e tesi negoziati con la Corea del Sud su come condividere il costo della forza militare. Come ricordato dal Nyt, “In base ad un accordo che scade alla fine del 2018, la Corea del Sud paga circa la metà del costo della manutenzione dei soldati – oltre 800 milioni di dollari l’anno. L’amministrazione Trump chiede di pagare praticamente l’intero costo della presenza militare”. E su questa scoglio, si è arenata la trattativa
Dall’altro lato, vi sono anche ragioni strategiche di più ampio respiro. Gli Stati Uniti stanno attuando una sorta di grande ritirata strategica. Per circa due decenni, hanno esteso la loro presenza militare in tutto il mondo. Ma adesso cominciano a comprendere l’insostenibilità di questa scelta, dovendosi confrontare con altre potenze e soprattutto in territori anche lontanissimi dalla madrepatria.
Il Pentagono ha forti dubbi
La direttiva lanciata dalla Casa Bianca ha destato forti perplessità sia all’interno del Pentagono che in molti segmenti dell’intelligence e del dipartimento di Stato. In molti, temono che qualsiasi riduzione delle forza Usa possa indebolire l’alleanza ora Stati Uniti e Corea del Sud e sollevare timori nel vicino Giappone.
I timori del Pentagono sono due. Il primo è quello di indebolire le alleanze regionali ma anche di rendere autonomi i partner asiatici. Se la Corea del Sud può fare a meno della presenza delle forze armate americane e se il Giappone inizia a militarizzarsi (anche a seguito di queste scelte dell’amministrazione Usa), molti ritengono probabile che i lacci di Washington con Tokyo e Seul si allentino molto.
Di fatto, questo significherebbe perdere preziosi alleati in una regione di fondamentale importanza per gli interessi americani, soprattutto in chiave anti cinese.
Il secondo timore è quello di togliere la “pistola” puntata contro la Corea del Nord proprio nel momento in cui Kim Jong-un appare pronto a scendere a patti. L’idea che hanno in molti è che la riduzione della presenza miliare americana autorizzi la Corea del Nord a rivedere le sue volontà di compromesso. Insomma, senza quei 28mila soldati Usa al confine, Pyongyang potrebbe anche scegliere di rivedere al rialzo le sue pretese.
Questa idea è stata particolarmente considerata nella precedente amministrazione, quella di Barack Obama. E l’ha confermato anche Christine Wormuth, ex funzionaria della politica del dipartimento della Difesa sotto Obama: “Sarebbe sciocco rinunciare a qualcosa del genere all’inizio delle discussioni, visto il lungo record nordcoreano di accordi irrisolti”.
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