Che cosa ci possiamo aspettare in futuro?
Io credo che sia indispensabile fare delle previsioni perché le nostre politiche di
investimento dovranno essere in linea con le previsioni da noi fatte.
Queste politiche però dovranno essere necessariamente flessibili perché le
previsioni possono rivelarsi parzialmente o anche totalmente errate e la nostra
abilità dovrà consistere nell’essere capaci di adattarci ai cambiamenti senza cadere in
trappole mentali che ci portino a difendere dogmaticamente quello che avevamo
previsto.
Da quando è esplosa questa crisi economica, posso dire di aver letto di tutto e di
più, osservando che, molto spesso, i commentatori ed i giornalisti sono impregnati
di pregiudizio nei confronti delle vicende in corso, a causa della loro testardaggine
nel voler portar avanti una teoria precedentemente abbracciata. Come spesso
accade alla mente umana, queste persone finiscono per cogliere solamente quegli
aspetti che confermano le loro teorie ed i loro pregiudizi iniziali, limitando così la
loro capacità di pensiero e di previsione nei confronti del futuro.
Credo di poter dire che noi non abbiamo pregiudizi poiché il nostro scopo è solo
quello di comprendere il modo migliore per investire il denaro in futuro.
Personalmente, ritengo che il problema dei problemi, in futuro, sarà l’ammontare
dei debiti pubblici e il solo modo di risolvere efficacemente il problema dell’enorme
debito pubblico in Italia, così come nella maggior parte degli stati occidentali, sia
quello di provocare inflazione.
Ai cosiddetti esperti sfugge qualcosa riguardante il debito pubblico. In buona
sostanza essi sostengono che (ed è assolutamente vero) in caso di aumento
dell’inflazione il debito pubblico non sarà più sottoscritto ai tassi di interesse attuali
ma a tassi di interesse superiori, in linea con l’inflazione.
CIO’ E VERO MA IL DEBITO PUBBLICO GIA’ EMESSO AD UN TASSO
D’INTERESSE PREFISSATO NON SUBIREBBE ALCUNA VARIAZIONE
DI RENDIMENTO.
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Il debito pubblico italiano é solo per il 17% circa indicizzato (CCT 9,56% - CCT
EU 1,35% E BTP EURO I 6,65% - Vedi tabella I allegata).
Tutti gli altri titoli non sono indicizzati e la vita media del debito è di 7,13 anni (vedi
tabella II allegata).
Rileviamo inoltre che, intelligentemente, i tecnici del dipartimento del tesoro
italiano hanno ridotto i titoli a tasso variabile dal 63% del 1993 al 17% del 2009.
Questo significa che ai politici è stato servito su un piatto d’oro la possibile
soluzione del gravissimo problema del debito pubblico!
Il debito pubblico italiano ha un costo mediamente del 3,6%. Se per 7 anni
fossimo di fronte ad un’inflazione del 10%, il debito pubblico italiano si ridurrebbe
ogni anno del 6,4%. In pochi anni quindi, il debito pubblico potrebbe essere
riportato al 75-80% del PIL, percentuale questa sicuramente accettabile dai mercati
(ricordiamo che il trattato di Maastricht prevedeva un debito pubblico al 60%).
L’obiezione più corrente è che i risparmiatori non accetterebbero una soluzione di
questo genere. Sicuramente questa non è una soluzione che va sbandierata ai 4
venti ma io non riesco ad immaginare manifestazioni pubbliche di risparmiatori a
reddito fisso.
D’altra parte l’alternativa a questa soluzione sembra essere quella proposta dalla
cancelliera tedesca Merkel e cioè quella della politica “lacrime e sangue” abbracciata
anche dal nostro Ministro delle finanze Tremonti.
Teoricamente è possibile ridurre il debito tagliando la spesa ma, a mio parere, è
praticamente impossibile se non si vuole rischiare la “pace sociale”.
E’ sicuramente più agevole ridurlo creando inflazione e in buona sostanza facendo
pagare ai sottoscrittori del debito pubblico il costo del riequilibrio dei conti
pubblici.
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L’inflazione potrebbe avere un ulteriore impatto positivo sul debito pubblico
riducendo la spesa pubblica in condizioni di relativa “pace sociale”; questo per
motivi che potremmo definire psicologici ma estremamente importanti.
Supponiamo di avere di fronte una serie di dipendenti con uno stipendio pari a
mille euro mensili. Se l’inflazione fosse pari al 10%, ecco che sarebbe possibile
mantenere i salari nominali pari a mille euro, senza dover intaccare il valore
nominale di ciò che il dipendente percepisce anche se in verità, con questo livello
d’inflazione, il suo potere d’acquisto diminuirebbe del 10%. Al contrario,
analizzando un caso di deflazione, in cui il potere d’acquisto aumenti, ad esempio,
del 10%, ci si troverebbe nella situazione in cui lo stato dovrebbe ridurre il salario
del 10%: una soluzione ritenuta inaccettabile e sicuramente meno percorribile del
caso in cui, dato l’aumento dei prezzi, il valore nominale del salario resti lo stesso.
L‘obiezione potrebbe essere che i sindacati difficilmente accetterebbero una
soluzione del genere.
Certo, però, il governo avrebbe in mano una carta per poter ad esempio aumentare
i salari non del 10% ma del 5% con ulteriore sollievo per le finanze pubbliche.
Negli Stati Uniti si sta portando avanti questa politica immettendo liquidità sul
mercato.
Si è già annunciato un programma per 600 miliardi di dollari ma potremmo arrivare
a 1000 miliardi.
Secondo i vari opinionisti, si tratterebbe di uno stratagemma per far indebolire il
dollaro, aumentando così le esportazioni americane con l’intento di arginare anche
il tasso di disoccupazione statunitense, vicino al 10%. Analizzando però questi dati,
emerge chiaramente l’effetto più importante di questa manovra: una riduzione di
mille miliardi su un debito pubblico pari a circa undici mila miliardi significherebbe
una riduzione del debito pubblico americano vicino al 10%.
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Ma, se gli americani possono concedersi quest’opportunità, la situazione europea
appare assai differente. Non dimentichiamoci infatti che nel vecchio Continente, i
vari stati della CEE non detengono alcun potere sulla Banca centrale e che la
maggior parte dei Paesi europei non hanno più una valuta di riferimento propria,
ma sono tutti ugualmente assoggettati alla moneta unica, l’euro. Conseguentemente,
la politica dell’immissione monetaria non è più prerogativa degli Stati, ma sarebbe
possibile soltanto per i burocrati della Comunità economica europea che sono
fortemente influenzati dalla Germania.
Altro grande vantaggio degli Stati Uniti: gran parte del debito pubblico americano è
espresso in dollari e quindi, se il dollaro dovesse svalutarsi (come loro potrebbero
auspicare) , ecco che lo Stato si ritroverebbe ad aver ridotto sensibilmente il peso
del proprio debito pubblico. Al contrario, gli stati della Comunità economica
europea non hanno una singola valuta di riferimento per ogni Paese, e quindi il loro
indebitamento è espresso principalmente in euro.
Visto l’atteggiamento della FED americana che ha sposato in pieno le teorie di
Krugman e che intende quindi immettere sul mercato liquidità, si creerà in questo
modo un’inflazione potenziale ed una riduzione del debito pubblico certa.
Considerazioni alla mano, ritengo che gli Stati Uniti non corrano il rischio di
insolvenza per questa loro possibilità di immettere liquidità e di indebolire il
dollaro, rimborsando il proprio debito pubblico in moneta svalutata.
Se la mia preoccupazione non riguarda pertanto l’America, l’atteggiamento degli
Stati della Comunità economica europea mi lascia perplesso. Ho infatti
l’impressione che la classe dei burocrati miri a difendere la moneta unica, il cambio
ma soprattutto, l’idea di non inflazionare il mercato. A condizionare questi tipi di
scelta è certamente la Germania, stretta nella morsa del ricordo del proprio passato
storico, non così lontano, in cui l’inflazione aveva raggiunto livelli parossistici,
mettendo in ginocchio il Paese e facendolo scivolare velocemente nella
disperazione, terreno fertile per la propaganda nazista.
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La Germania quindi, preferirebbe imporre a tutti gli altri Stati europei una politica
di “lacrime e sangue” (come sta accadendo in Grecia, e come vorrebbero applicare
anche in Irlanda, Portogallo ed altri Paesi), caratterizzata dalla volontà di imporre la
riduzione della spesa pubblica con gravi ripercussioni sulla pace sociale.
Questo ragionamento è tuttavia estremamente rischioso e potrebbe sfociare nel
dramma poiché, nel caso in cui uno degli Stati dovesse fallire, dichiarando così il
proprio stato di insolvenza nei confronti dei risparmiatori che hanno sottoscritto il
loro debito pubblico, immediatamente dopo i mercati reagirebbero in modo
parossistico, aumentando drammaticamente i tassi a cui i governi dovrebbero
sottostare per collocare il loro debito pubblico. Ciò innescherebbe un’escalation
pazzesca poiché indurrebbe tutti a riconsiderare le previsioni del debito pubblico
che, dovendo essere collocato a tassi di interesse superiori, provocherebbe
immediatamente un disastro totale.
Si sentono spesso delle proposte bizzarre per cercare di arginare questa crisi. Per
esempio l’idea della Merkel di emettere bond che avrebbero sin dall’inizio
incorporato il rischio di rimborsare soltanto l’80%. E’ evidente che questa visione
non tiene conto delle preoccupazioni dei risparmiatori che, testando l’incapacità da
parte dello Stato di pagare il 20%, non sarebbero mai disposti a sottoscrivere il
rimanente 80% del debito pubblico a tassi d’interesse normali. Questa proposta
dunque, sponsorizzata anche dalla stessa cancelliera tedesca, non può certamente
essere presa in considerazione poiché sfida ogni logica del buonsenso.
Ho l’impressione che molti commentatori e molti risparmiatori pensino che, la
ricchezza accumulata nei paesi occidentali sia tale da permettere di poter intervenire
in situazioni di emergenza applicando una specie di patrimoniale straordinaria.
Vedi ad esempio Giuliano Amato su il Sole 24 Ore di Domenica 9 Gennaio 2011.
Ricordiamo che Amato fu primo ministro quando venne imposto un prelievo dello
0,6% su tutti i depositi bancari.
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Chi asserisce queste cose però non sa far di conto.
La situazione del debito pubblico italiano del 2011 è ben diversa da quella del 1992.
Il debito pubblico è oltre i 1800 miliardi di euro. Per riportarlo al 60% come
previsto da Maastricht il debito pubblico dovrebbe essere ridotto di 900 miliardi.
Supponendo di applicare una patrimoniale che incida percentualmente su ognuno
dei 13 milioni di nuclei familiari, dovremmo chiedere ad ogni nucleo famigliare
circa 70.000 euro.
Ottimisticamente voglio pensare che almeno il 30% dei nuclei familiari italiani sia in
grado di sborsare una patrimoniale di,supponiamo, almeno 80.000 euro.
Ancora ottimisticamente voglio supporre che il 10% sia in grado di pagare 80.000
euro, che un 10% sia in grado di pagare 120.000 euro e che un 10% sia in grado di
pagare 500.000 euro. In questo caso avremmo i seguenti numeri:
1.300.000 nuclei fam. x 80.000 euro = 104 miliardi
1.300.000 nuclei fam. x 120.000 euro = 156 miliardi
1.300.000 nuclei fam. x 500.000 euro = 650 miliardi.
Totale = 910 miliardi.
Ma è realistico chiedere queste cifre agli italiani? Io ho l’impressione che siamo nel
mondo dei sogni. Qualche “cervellone” potrebbe obiettare che parte di questa
patrimoniale potrebbe essere pagata dalle aziende. Le aziende in questo momento
faticano a sopravvivere. Figuriamoci se possono fare uno sforzo del genere.
E a tutto questo si aggiunga il costo che in termini di prodotto interno lordo
potrebbe avere una manovra di questo genere.
Escluso quindi lo scenario dello stato di insolvenza parziale, ci troveremo di fronte
a due sole possibilità: lo stato di insolvenza totale, oppure l’attuazione di una linea
d’azione comune analoga a quella americana, frutto di un incontro tra gli esponenti
della comunità economica europea.
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Ecco allora che, inflazionando il mercato, si porterebbe il livello di indebitamento
del debito pubblico a livelli accettabili rispetto al PIL.
Analizziamo quindi con attenzione il tipo di investimenti adatti all’ipotesi in cui le
autorità monetarie accettassero l’inflazione.
Io ritengo le valute un veicolo per fare investimenti e non un investimento fine a se
stesso e pertanto di mio scarso interesse.
Se però dovessi scommettere direi che nel futuro sia il dollaro che l’euro sono
destinati a perdere di valore nei confronti di valute “nuove” quali il Rublo russo, il
Real brasiliano, lo Yuan cinese.
Analizziamo quindi i possibili investimenti:
1 - Reddito fisso: sin troppo ovvio senza bisogno di tante spiegazioni che sarebbe
un investimento assolutamente penalizzato.
2 -Titoli azionari: tendenzialmente le Borse dovrebbero beneficiare di questo tipo
di scenario. Io ritengo però che vadano fatte anche delle considerazioni di carattere
sociale.
2/a- L’inflazione comunque non prescinderà dal fatto che gli Stati non perderanno
l’occasione, in caso di aumento dei titoli azionari, di aumentare le imposte. Lo
scenario inflazionistico darebbe quindi alle autorità fiscali un ottimo alibi per tassare
l’aumento dei titoli azionari.
2/b- Ritengo che per il futuro sarà molto importante avere un controllo stretto del
proprio danaro oppure un rapporto diretto con chi lo gestisce. I veri danni, sul
piano sociale, dell’espansione del debito dei primi sette anni dell’attuale secolo, non
si sono ancora pienamente visti e, da discreto conoscitore del genere umano,
ritengo che difficilmente gli individui accetteranno di ridurre i loro standard di vita
e, di conseguenza, potranno essere tentati di amministrare i soldi di terzi in modo
poco chiaro. Per intenderci credo che i casi Parmalat, Cirio ed Enron saranno in
futuro all’ordine del giorno e l’acquisto di titoli azionari comporta la delega in
bianco a persone sconosciute.
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3 - Fondi di investimento: vale per i fondi quello che ho appena detto per i titoli
azionari con un peggiorativo. Le strutture che possono compiere operazioni poco
chiare sono due: il management della società dove finisce il danaro ed il
management del fondo stesso.
4 - Oro: sono stato uno dei sostenitori dell’acquisto di oro ma a questi prezzi io
non ne ho più il coraggio.
5 - Immobili:
5/a- In Italia e nei Paesi sviluppati nello scenario da me previsto sarebbero
sicuramente destinati a rivalutarsi ma in misura inferiore alle rivalutazioni a cui
potremmo assistere in Paesi con un debito pubblico contenuto con “pace sociale”,
stabilità politica e prezzi ancora relativamente bassi. Inoltre vale per gli immobili
quello che abbiamo detto per i titoli azionari: in caso di rivalutazione assisteremmo,
nei Paesi ad alto debito pubblico, ad una pressione fiscale in deciso aumento.
5/b- Immobili in Paesi politicamente stabili, socialmente tranquilli, senza debito
pubblico e con prezzi ancora relativamente bassi. Sono tanti e alcuni sono
emergenti e poco conosciuti mentre altri sono appena emersi e sono maggiormente
conosciuti. Tra i primi citerei la Cina ed il Vietnam, mentre tra i secondi citerei la
Russia, l’Estonia, la Lituania e la Lettonia. Personalmente preferisco i secondi
perché da me meglio conosciuti. Voglio anche ricordare che i Paesi Baltici hanno
fatto una politica di difesa del cambio che ha comportato lacrime e sangue ma che i
popoli di quei Paesi (abituati a soffrire) hanno accettato. Oggi i mercati immobiliari
di questi Paesi sono già in ripresa.
Iniziative immobiliari: L’investimento che da imprenditore prediligo è
l’investimento in iniziative immobiliari sempre in Paesi politicamente stabili,
socialmente tranquilli e senza debito pubblico. La mia preferenza è determinata dal
fatto che alla rivalutazione immobiliare posso aggiungere il plus valore
imprenditoriale. La mia esperienza mi dice che, avendo ottenuto dei risultati vicini
al 20% all’anno fino al 2008 in Russia, in Estonia, in Lettonia ed in Lituania, nei
prossimi anni in questi Paesi sarà relativamente facile ripetere queste performance.
Se invece lo scenario inflazionistico non dovesse prevalere e la situazione dei debiti
pubblici dei Paesi Occidentali dovesse scappare di mano, assisteremmo ad uno
scenario sicuramente peggiore e probabilmente drammatico.
Credo di poter dire che in questo caso tutti gli investimenti verrebbero penalizzati
e, a parte il periodo iniziale, anche la liquidità.
Infatti la perdita di fiducia dei risparmiatori, in caso di default, sarebbe tale da
bloccare risparmiatori e consumatori.
Questo potrebbe sfociare anche in forti tensioni sociali. Ma al di là di un primo
momento di sbandamento, io credo che l’unica possibilità per le banche centrali e
per i governi sarà quella di inflazionare il mercato. Quindi anche in questo caso
come nel caso precedente gli investimenti da attuare sarebbero gli stessi.
Si tratta solo di stabilire quanto durerà la Banca Centrale Europea sulle sue
posizioni. Io credo che questo periodo sarà piuttosto limitato perché la
sopravvivenza degli Stati e dei loro sistemi politici diverrà a quel punto, nonostante
la Merkel, ben più importante del controllo dell’inflazione.
La grande differenza sarà che nel 1° caso l’inflazione sarà controllata. Nel 2° caso
sarà totalmente fuori controllo.
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