Berlino, l’autista-eroe è morto prima dell’attacco. E Amri ha fatto più scali di un charter in avaria 
Ricordate il camionista eroe, quello che ha lottato come un pazzo per evitare che Anis Amri si schiantasse sulla folla al mercatino di Berlino? Bene, è morto due ore prima che il tunisino entrasse in azione. Quindi, o rientriamo nella categoria dei “walking deads” oppure è l’ennesima bufala che ci hanno spacciato per realtà, addirittura avanzando l’ipotesi che proprio l’intervento del cittadino polacco avesse limitato a 12 il numero delle vittime. E non lo dico io, lo dice l’autopsia. Anis Amri – o chi per lui, tanto sono morti entrambi e non lo sapremo mai – ha sparato alla testa dell’autista polacco “tra le 16.30 e le 17.30”: lo scrive la Bild, citando i risultati dell’esame autoptico.

Lukasz Urban ha perso molto sangue e può anche essere stato ancora in vita, quando Amri si è lanciato contro la folla al mercatino di Natale, “ma i medici escludono che sia stato in grado di agire con consapevolezza e quindi di aggrapparsi al volante durante l’attentato”. Ad avvalorare l’ipotesi della lotta aveva contribuito anche il racconto di Ariel Zurawski, cugino di Urban e proprietario della ditta di trasporti per cui lavorava: dopo aver identificato il cadavere, l’uomo ha fatto sapere che il volto del cugino era pieno di tagli. Stando ai risultati dell’ autopsia, Urban è invece stato raggiunto dal colpo di pistola almeno due ore e mezzo prima dell’attacco, avvenuto poco dopo le 20. Che cadavere ha visto il cugino?
Bene ma non basta. Quella che ho usato come immagine di copertina è la foto che la Questura di Milano ha diffuso poco fa e che ritrae Anis Amri al suo arrivo in stazione dopo essere sceso dal treno preso a Torino: sono le 00.58 del 23 dicembre. Poco dopo salirà sull’autobus sostitutivo della Linea 1 della metropolitana e, alle 3.08, arriverà alla stazione di Sesto San Giovanni. Di lì a poco, lo scontro a fuoco e la sua morte. Ma non basta, perché poco fa abbiamo scoperto, sempre su ricostruzione della polizia attraverso i filmati delle telecamere di sorveglianza, che Amis Amri, dopo essere passato da Lione e Chambery (dove vi ricordo era in visita quel giorno Francois Hollande, quindi c’era più polizia che aria da respirare), prima di arrivare a Torino si era fermato anche alla stazione di Bardonecchia, nel torinese. Stando a quanto ricostruito finora, Amri è salito a Chambéry alle 17,44.

Poi, pur avendo un biglietto fino a Milano, è sceso a Porta Nuova (sebbene inizialmente fosse stato ipotizzato a Porta Susa alle 20,18), dove per arrivare ha per forza preso un treno locale in una delle due stazioni italiane che il Tgv incrocia dopo il confine, appunto Bardonecchia, oltre che Oulx. Insomma, Amri ha fatto più scali di un volo trovato su Kayak, quelli che per fare Milano-Londra ti fanno passare da Kuala Lumpur ma risparmi. Mancava soltanto che indossasse una maglietta con scritto “Contengo olio di palma” e che prendesse a testate un capotreno e le avrebbe fatte tutte: eppure ha attraversato, da solo, i confini di tre Paesi. Ok Schenghen, ok la mancanza di controlli fisici ma c’era un mandato di cattura europeo spiccato dalle autorità tedesche e si temeva che fosse passato dalla Francia per raggiungere l’Italia, dove aveva trascorso quattro anni in carcere e poteva avere dei contatti per coprirsi la fuga.
C’è poi la questione dei poliziotti eroi di Sesto San Giovanni. I quali apprendiamo, da “Libero” di oggi, essere il primo, quello ferito, guarito a tempo di record, tanto da aver passato Natale in famiglia e poter beneficiare di un periodo di convalescenza nella sua casa vicino Udine (qualche dettaglio di troppo per uno che corre dei rischi, direi), mentre chi ha ucciso Amri sarebbe sparito. “A casa, in Sicilia (a Canicattini Bagni, in provincia di Siracusa), non è ancora tornato. E non si sa quando questo accadrà, si è sfogato il padre di Luca, Giuseppe. Abbiamo trascorso il Natale senza di lui ma lo abbiamo sentito e ci ha detto che è tranquillo. Se lui è sereno, lo siamo anche noi. Aspettiamo di poterlo vedere, non sappiamo bene quando potrà accadere. Non ci è stata fornita una data precisa: aspettiamo solo di poterlo riabbracciare. Una cosa è certa: non siamo preoccupati per lui”.

Quindi, è nascosto in un posto sicuro? “Dubbi che dal ministero dell’Interno respingono con decisione. Il mancato rientro a casa di Scatà non è in alcun modo legato all’ episodio di Sesto San Giovanni, filtra dal Viminale. Un modo per dire che le ipotesi sono due: o il poliziotto siciliano, dopo la sparatoria, continua a essere in servizio, oppure ha deciso di trascorrere l’eventuale periodo di ferie altrove”. Non volendo pensare che sia regolarmente in servizio dopo l’accaduto, essendo oltretutto un agente in prova, appare strano un atteggiamento da “mollo tutto e vado ai Caraibi per fine anno”, non avvertendo i genitori. A meno che i genitori non abbiamo la consegna del silenzio, cosa più che probabile. Strano però, perché sempre a “Libero” il padre del poliziotto ha confermato che “questa notte (ieri, ndr), mia figlia ha notato nelle vicinanze di casa nostra una pattuglia della polizia. Segno che siamo sotto protezione ma questo non ci spaventa”.
Dunque, la famiglia sarebbe sotto protezione, il figlio non si sa dove sia e la versione ufficiale dello scontro a fuoco dopo un controllo di routine degenerato rimane l’unica accreditata e credibile. Una domanda continua a girarmi per la testa dal 23 dicembre: davvero è possibile che un uomo con esperienza decennale nell’intelligence come il ministro dell’Interno, Marco Minniti, abbia fatto i nomi dei poliziotti per una leggerezza o per eccesso di entusiasmo? E pensate che lo stesso sia accaduto per Paolo Gentiloni, un altro che i palazzi del potere li bazzica da un po’, Farnesina inclusa, dove si gestiscono i sequestri all’estero e la privacy è la regola aurea? Non è che potrebbe esistere la certezza che a quei due ragazzi non succederà niente, per il semplice fatto che la faccenda non è andata per filo e per segno come raccontato, se non magari soltanto nella sua ultima parte, quella dell’epilogo mortale?

E che ora, giustamente, lo Stato vuole evitare fughe di notizie o versioni discordanti, tutelando o “nascondendo” i protagonisti? Ma davvero Amri è andato da solo a Sesto San Giovanni e si è imbattuto nel controllo, dopo aver atteso due ore in zona stazione Centrale a Milano? Non è che in quella piazza è stato portato volutamente, quasi spinto nelle braccia dei due agenti di polizia in pattuglia? Non ci sono immagini delle telecamere a Sesto San Giovanni, anche solo dei frame, evitando quelle più truci del confronto a fuoco? La fantasia ci porterebbe a fare una domanda: c’era qualcun’altro alle 3 del mattino a Sesto San Giovanni, come spesso capita quando sta per accadere qualcosa e occorre vigilare sul fatto che tutto vada per il verso giusto? Ovvero che il “terrorista” venga ridotto al silenzio. Tombale. Dubito lo sapremo mai.
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