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22/02/2014, 22:52

Ho visto rom occupare un suolo privato (il luogo in cui lavoravo) appartenente all'Azienda Trasporti di Roma perché il giudice (un cane) aveva assegnato lì la sua residenza provvisoria. Naturalmente il rom si era portato dietro baracca e baraccopoli. In quei giorni ricordo il parking era diventato una discarica a cielo aperto e un giorno ho rischiato addirittura un frontale con un gabbiano che volava a bassa quota in cerca di cibo (immondizia).

http://www.iltempo.it/roma-capitale/cronaca/2013/04/13/minorenne-ai-domiciliari-gratis-nel-parcheggio-atac-1.1128787
Ultima modifica di Dea Imperfetta il 22/02/2014, 22:52, modificato 1 volta in totale.

23/02/2014, 09:17

Diglielo Dea ...! [;)]

(Quel .."Triangolo" sotto la tua "firma" mi ricorda Qualcosa ....) [:246]

23/02/2014, 13:19

MaxpoweR ha scritto:

Magari se mi dessi una risposta precisa, una road map, qualche cavillo legale a cui appigliarsi che non siano le solite chiacchiere che ormai conosciamo tutti molto bene allora potrei anche convincermi.



Io te la posso anche dare una road map... ma già immagino la tua risposta.

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http://www.beppegrillo.it/2014/01/europ ... ntana.html

Perché non vuoi dargli la possibilità di provarci supportandolo ANCHE con il tuo voto? Questi sette punti non sono in buona parte aderenti a ciò che vogliamo anche noi? Per esempio l'abolizione del fiscal compact o la possibilità di sforare il parametro del 3%?!?

Certo che se il M5S alle prossime europee prendesse >30% avremmo qualche speranza in più che quanto proposto sopra venisse fatto...

Se poi non faranno o non proveranno a fare quello che hanno promesso saremo qui a ridiscuterne. Ma per il momento il M5S ha SEMPRE fatto (o provato a fare) ciò che si era promesso di fare.

23/02/2014, 18:20

di Gianni Lannes
Uno affidabile per il lavoro finale che porterà l'Italia dentro il baratro. Pier Carlo Padoan? In Argentina lo ricordano per unica ragione: aver spinto il Paese sudamericano nell’abisso economico. Ex dirigente del Fondo monetario internazionale, ex consulente della Bce ed ex vice segretario dell’Ocse. Ecco un telegrafico identikit del nuovo titolare dell’economia telecomandata dall'estero. In altri termini, uno sicuro per il sistema di potere dominante.

Rammentate cosa dichiarò un anno fa il neo ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan? Testuale: «La riforma Fornero è stato un passo importante per la risoluzione dei problemi dell’Italia». Avete capito ora cosa ci attende?

Scelto personalmente dal presidente abusivo della Repubblica Giorgio Napolitano e osannato dai mass media italiani. Sentite cosa scrisse di lui sul “New York Times” il premio Nobel per l’economia Paul Krugman: «Certe volte gli economisti che ricoprono incarichi ufficiali danno cattivi consigli; altre volte danno consigli ancor peggiori; altre volte ancora lavorano all’Ocse».

Un passo indietro: Padoan era responsabile in Argentina per conto del Fondo monetario internazionale nell’anno in cui il Paese sudamericano fece bancarotta.

Allora a cosa si riferiva il professor Krugman? Padoan è stato l’uomo che ha gestito per conto del Fondo monetario internazionale la crisi argentina. Nel 2001, Buenos Aires fu costretta a dichiarare fallimento dopo che le politiche liberiste e monetariste imposte dal Fmi (suggerite da Padoan) distrussero il tessuto sociale del Paese. In quegli anni il neo ministro si occupò anche di Grecia e Portogallo. Krugman scrisse in un altro articolo che furono proprio le ricette economiche «suggerite da Padoan a favorire la successiva crisi economica nei due Paesi».

Ecco cosa ha detto Padoan a proposito della crisi greca: «La Grecia si deve aiutare da sola, a noi spetta controllare che lo faccia e concederle il tempo necessario. La Grecia deve riformarsi, nell’amministrazione pubblica e nel lavoro». In altre parole, Atene avrebbe dovuto rendere il lavoro molto più flessibile, alleggerendo (licenziando) la macchina della pubblica amministrazione.

Nel marzo del 2013, quando la Grecia era sull’orlo del collasso indotto dalle speculazioni finanziarie, l’allora numero due dell’Ocse suggerì direttamente: «C’è necessità che il governo greco adotti una disciplina di bilancio rigorosa e di un continuo sforzo di risanamento dei conti pubblici, condizioni preventive per il varo di misure a sostegno dello sviluppo».

Mister Padoan è stato per quattro anni responsabile per conto del Fmi della Grecia. Successivamente, ha influenzato le politiche economiche di Atene in qualità di vice presidente dell’Osce.

Dopo la cessione definitiva della Banca d'Italia e della riserva aurifera nazionale (depositata a New York invece che a Roma) ai privati (grazie soprattutto a Napolitano), vanno in onda gli ultimi affari sporchi che distruggeranno definitivamente le risorse naturali dello Stivale.

http://sulatestagiannilannes.blogspot.i ... ssato.html

renzi dopo il giuramento ha affermato,che era ora di mettersi al lavoro........quello di affondare definitivamente l'italia..........................spero di sbagliarmi.......[;)]

24/02/2014, 11:28

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24/02/2014, 11:37

Una volta le nazioni venivano annesse con la politica o la forza militare... Oggi con i servizi segreti e la finanza...

Benvenuti nel Quarto Reich... Benvenuti nel NWO

Ucraina, ministro delle Finanze: ci servono 35 miliardi dollari

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L’Ucraina chiede la convocazione di una conferenza internazionale di donatori, per raccogliere “all’incirca 35 miliardi di dollari” necessari per evitare il tracollo economico del Paese. Lo ha annunciato il ministro delle Finanze ad interim, Yuri Kolobrov.

Dopo la svolta politica a Kiev, con lo spodestamento del presidente Yanukovich, la scelta di un capo di Stato ad interim e la convocazione di presidenziali anticipate, ora l’emergenza diventa quella finanziaria. L’appello del governo ad interim (quello nuovo dovrebbe essere al varo entro mercoledì) giunge mentre nella capitale ucraina è attesa Catherine Ashton. Il capo della diplomazia europea discuterà le possibili opzioni per approntare in tempi veloci aiuti finanziari: l’Ue sembra favorevole a un prestito tramite il Fondo Monetario Internazionale.

http://www.imolaoggi.it/2014/02/24/ucra ... i-dollari/

Capito a cosa servono le tasse che paghiamo e i soldi del MES?
Ultima modifica di Atlanticus81 il 24/02/2014, 11:38, modificato 1 volta in totale.

24/02/2014, 11:50

Atlanticus81 ha scritto:

Una volta le nazioni venivano annesse con la politica o la forza militare... Oggi con i servizi segreti e la finanza...

Benvenuti nel Quarto Reich... Benvenuti nel NWO

Ucraina, ministro delle Finanze: ci servono 35 miliardi dollari

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L’Ucraina chiede la convocazione di una conferenza internazionale di donatori, per raccogliere “all’incirca 35 miliardi di dollari” necessari per evitare il tracollo economico del Paese. Lo ha annunciato il ministro delle Finanze ad interim, Yuri Kolobrov.

Dopo la svolta politica a Kiev, con lo spodestamento del presidente Yanukovich, la scelta di un capo di Stato ad interim e la convocazione di presidenziali anticipate, ora l’emergenza diventa quella finanziaria. L’appello del governo ad interim (quello nuovo dovrebbe essere al varo entro mercoledì) giunge mentre nella capitale ucraina è attesa Catherine Ashton. Il capo della diplomazia europea discuterà le possibili opzioni per approntare in tempi veloci aiuti finanziari: l’Ue sembra favorevole a un prestito tramite il Fondo Monetario Internazionale.

http://www.imolaoggi.it/2014/02/24/ucra ... i-dollari/

Capito a cosa servono le tasse che paghiamo e i soldi del MES?


ma quello che è successo in UCRAINA
è incredibile
rovesciano un governo
democraticamente eletto
e decidono di stare con l'europa..
e la merkel, quella tr*ia, scusate,
ex post dice alla timoshenko,
quella trombata alle elezioni
e arrestata per corruzione,
di "lavorare per l'unità.."

MA QUANTO FA SCHIFO QUESTO MONDO??

24/02/2014, 12:01

questo e ' i bordello che viene sbandierata come .........democrazia [;)]

24/02/2014, 17:05

"... rovesciano un governo democraticamente eletto ..." da chi, da Putin?
[:246]

25/02/2014, 17:26

http://www.rischiocalcolato.it/2014/02/ ... -mese.html

Grecia. Lavori a tempo pieno da 180 a 350 euro al mese

Per un lavoro a tempo pieno 350 euro al mese : con la crisi trovare un impiego in Grecia è diventato una missione quasi impossibile e i datori di lavoro ne approfittano per imporre condizioni di lavoro sempre più dure.

Dall’inizio della crisi, ad Atene sono sorti decine di call center, dove la paga mensile è di 350 euro e dove la maggior parte degli impiegati sono giovani qualificati che non riescono a trovare lavoro altrove. Vi lavorano anche persone di età superiore ai 50 anni : le condizioni di lavoro sono dure ma almeno ricevono un po’ di soldi.

Generazione 1000 euro, il libro di Alessandro Rimassa e Antonio Incorvaia, che denunciava la precarietà e l’insicurezza economica dei giovani in Europa, nel 2006 è diventato un best seller. In Grecia il fenomeno era stato soprannominato “generazione 700 euro” e nessuno si aspettava che nel 2014 la media dei salari diventasse ancora più bassa e che i datori di lavori dicessero “prendere o lasciare”.

I call center in Grecia rappresentano la deriva del mercato del lavoro. Oltre ai salari umilianti, la maggior parte di queste aziende fanno contratti di lavoro mensili, se non addirittura di 15 giorni, con paghe orarie di 3 euro.

In alcuni casi le persone restano un mese in prova senza essere pagate e allo scadere dei 30 giorni vengono mandate via. Spesso l’azienda pubblica il nome delle persone licenziate, per accrescere la pressione. Una precarietà accelerata che oramai tocca sempre più settori di attività.

Poco tempo fa un giornale greco online aveva assunto un giornalista a tempo pieno per 250 euro netti al mese. Un suo collega riceveva 300 euro, ma lavorava in nero.

All’aeroporto di Atene un’azienda di servizi a terra impiega salariati pagati 180 euro al mese, per 30 ore di lavoro la settimana.
Una parrucchiera si è vista ridurre il salario a 200 euro al mese. Nei grandi centri commerciali da qualche tempo i conteggi dei salari sono divisi in due categorie : metà delle ore di lavoro vengono pagate, mentre l’altra metà non viene pagata e viene considerata “servizio benevolo”.

Stella, 38 anni, ha iniziato a lavorare nel 2011 come baby-sitter in una casa in un quartiere residenziale di Atene. Quando aveva iniziato il suo salario era di 400 euro per 20 ore di lavoro settimanali. Oggi è sempre di 400 euro ma per 43 ore di lavoro la settimana.
Il suo datore di lavoro le ha detto che troverà la stessa situazione altrove.
“Sto cercando qualcosa d’altro ma non trovo niente. Otto ore al giorno, sei giorni la settimana e il salario non va mai oltre i 450 euro al mese. Con l’obbligo di non rimanere incinta. Ma ci riteniamo fortunati con il poco che abbiamo. Penso a chi è più giovane di me : noi almeno abbiamo avuto tempi migliori.”

(Fonte : balkans.courriers.info)

L’articolo Grecia. Lavori a tempo pieno da 180 a 350 euro al mese sembra essere il primo su Ticinolive.

25/02/2014, 19:27

Uscire dall'incubo dell'Euro

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Alberto Montero

Tradotto da Giuseppe Quaresima

I - Passano i mesi, diventano anni, e la possibilità che i paesi periferici dell’Eurozona superino questa crisi attraverso un percorso diverso da una soluzione di rottura si allontana sempre di più all’orizzonte. Contro quanti insistono nel sostenere che esistano soluzioni riformiste capaci di affrontare l’attuale situazione di deterioramento economico e sociale, la realtà si sforza di dimostrare che la fattibilità di queste proposte richiede una condizione previa ineludibile: la modificazione radicale della struttura istituzionale, delle regole di funzionamento e della linea ideologica che guida il funzionamento dell’Eurozona.

Il problema di fondo è che questo contesto risulta funzionale ed essenziale al processo di accumulazione del gran capitale europeo; ma è anche funzionale, ed è qualcosa che dobbiamo avere sempre presente, al consolidamento del ruolo egemonico della Germania in Europa, e del ruolo al quale essa aspira nel nuovo ambito geopolitico multipolare in costruzione. Per questo motivo possiamo avanzare almeno due argomenti fondamentali per rafforzare la tesi della necessità della rottura del contesto restrittivo imposto dall’euro, se si desidera aprire il ventaglio di possibilità a percorsi di uscita da questa crisi che consentano una minima possibilità di emancipazione per l’insieme dei popoli europei.

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Il primo argomento è che la soluzione alla crisi imposta da parte delle élite dominanti a livello europeo è, di per sé, una soluzione di rottura, attuata da queste in nome proprio e a proprio vantaggio. Le politiche di austerità costituiscono l’espressione più evidente del fatto che queste élite si trovano in una posizione di forza tale, rispetto al mondo del lavoro, da potersi permettere di rompere in maniera unilaterale e definitiva il patto implicito in base al quale si erano creati, rafforzati e mantenuti i welfare state europei. Queste élite sanno perfettamente che una classe lavoratrice precarizzata, de-ideologizzata, destrutturata e che ha perso ampiamente la sua coscienza di classe, è una classe lavoratrice indifesa, priva della capacità di resistenza necessaria per preservare le strutture di benessere che la proteggevano dall’inclemenza della mercantilizzazione dei bisogni economici e sociali essenziali. Le concessioni fatte durante il capitalismo fordista del dopoguerra sono a rischio di eliminazione perché, tra le altre cose, la privatizzazione del welfare state offre opportunità di guadagno tali da consentire il recupero della caduta del saggio di profitto.

Il secondo argomento è che non si può dimenticare, come invece sembra si faccia, la natura acquisita dal progetto di integrazione monetaria europea da quando venne posto in essere e da quando si cominciarono ad attuare le dinamiche economiche da esso promosse. Il problema essenziale è che l’eurozona è un ibrido che non evolve verso una federazione (con tutte le conseguenze che questo avrebbe in termini di cessione di sovranità), e si mantiene esclusivamente in un ambito di unificazione monetaria perché questa dimensione, insieme alla libertà di movimenti di capitali e di beni e servizi, è sufficiente per plasmare un mercato di grandi dimensioni che permetta un maggior livello di riproduzione del capitale, che elimini i rischi delle svalutazioni monetarie competitive da parte degli Stati, e che faciliti la dominazione di alcuni Stati su altri sulla base dell’apparente neutralità attribuita ai mercati.

Proprio per questo, l’Europa – e con essa la sua espressione di “integrazione” più avanzata che è l’euro – si è trasformata in un progetto esclusivamente economico, messo a servizio delle oligarchie industriali e finanziarie europee, con l’aggravante che in questo processo le oligarchie hanno cooptato la classe politica nazionale e sovranazionale, inibendo in questo modo i meccanismi di intervento politico in ambito economico, e restringendo i margini per qualsiasi tipo di riforma che non torni a vantaggio delle oligarchie stesse. Di conseguenza, questo spazio difficilmente può essere identificato e difeso da parte delle classi popolari europee come quella “Europa dei Cittadini” alla quale, una volta, la sinistra aveva aspirato.

II

Di fatto, esistono una serie di elementi che spiegano perché l’euro sia stato, nella prospettiva dei popoli europei, un progetto fallito fin dal principio: da un lato, tanto le politiche di aggiustamento strutturale attuate durante il processo di convergenza precedente all’introduzione dell’euro, quanto le politiche perseguite dalla sua entrata in vigore, hanno ridotto i tassi di crescita economica, con il conseguente impatto sulla creazione di posti di lavoro; dall’altro, l’assenza di una struttura fiscale di ridistribuzione del reddito e della ricchezza o di qualsiasi meccanismo di solidarietà che realmente risponda a questo principio ha reso difficile la riduzione dei disequilibri delle condizioni di benessere tra i cittadini degli Stati membri; infine, va evidenziato che le asimmetrie strutturali esistenti tra le diverse economie a partire dal periodo iniziale del progetto sono andate via via aumentando durante questi anni, rafforzando la struttura centro-periferia all’interno dell’Eurozona e consolidando la dimensione produttiva della crisi attuale.

Se a tutto questo aggiungiamo che le politiche messe in atto per salvare l’euro sono politiche dirette a preservare gli interessi dell’élite economica europea contro il benessere delle classi popolari, si riafferma l’idea di un rapido allontanamento dalla possibilità di identificare l’Eurozona con un processo di integrazione che i popoli europei possano riconoscere come proprio e costruito in base alle proprie aspirazioni.

Si può concludere, quindi, che l’euro – inteso non solo come una moneta in quanto tale, quanto come un complesso sistema istituzionale e una dinamica funzionale messa al servizio della riproduzione ampliata del capitale su scala europea – è la sintesi più cruda e perfetta del capitalismo neoliberista. Un capitalismo che si sviluppa nel contesto di un mercato unico dominato dall’imperativo categorico della competitività, e nel quale si è prodotto un vuoto delle sovranità nazionali – per non dire delle sovranità popolari – a tutto vantaggio di una tecnocrazia che agisce politicamente a favore delle élite europee, senza il benché minimo interesse alle condizioni di benessere delle classi popolari. E se siamo d’accordo sul fatto che per queste ultime la creazione dell’euro va intesa come un progetto fallito, la questione che sorge irrimediabilmente è che cosa le classi popolari possano fare – almeno quelle dei paesi periferici sopra le quali si sta esercitando con maggiore intensità il peso delle politiche di aggiustamento economico – di fronte ad un futuro che sembra così privo di speranza e nel quale le opzioni di riforma in senso solidale sono di fatto bloccate da catene sempre più strette.

La risposta a questa domanda dipende da quale concezione si ha della crisi attuale, delle dinamiche che la mantengono attiva, e delle prospettive di evoluzione delle relazioni politiche ed economiche all’interno dell’Eurozona che potrebbero invertire la situazione attuale, o, al contrario, consolidarla.

III

A mio avviso, la crisi presenta attualmente due dimensioni difficilmente riconciliabili e che favoriscono il consolidamento dello status quo presente.

La prima dimensione è finanziaria e si incentra sul problema dell’indebitamento generalizzato che, nel caso della maggior parte dei paesi periferici, ha avuto inizio come problema di debito privato, convertitosi in debito pubblico quando è stato riscattato dallo Stato – e in questo modo socializzato – il debito del sistema finanziario. I livelli che ha raggiunto l’indebitamento, tanto privato come pubblico, sono così elevati che è impossibile che questo debito possa essere rimborsato completamente, e di questo bisogna essere assolutamente coscienti, date le conseguenze pratiche. Per questo, e per il fatto che, privati di moneta nazionale, alcuni Stati membri sperimentano tassi di crescita del debito molto superiori a quelli del Pil, il peso del debito si fa insostenibile e si trasforma in una bomba ad orologeria che prima o poi scoppierà senza possibilità di soluzione.

La seconda dimensione è reale e si concretizza nelle differenze di competitività tra le economie centrali e le economie periferiche. Queste differenze sono, con vari altri fattori, all’origine della crisi, e il problema di fondo è che non solo non si stanno riducendo, ma addirittura si stanno ampliando. Inoltre, l’interpretazione della riduzione degli squilibri esterni delle economie periferiche all’interno dell’Eurozona come un sintomo del fatto che siamo in una fase di transizione verso il superamento della crisi è chiaramente distorta, perché non considera in maniera adeguata la tremenda ripercussione del periodo di stagnazione economica sulle importazioni.

Il legame tra entrambe le dimensioni della crisi è assicurato dalla posizione dominante raggiunta dai paesi centrali rispetto a quelli periferici e, concretamente, dalla posizione raggiunta dalla Germania nello spazio dell’Eurozona, rilevante non solo per il suo peso economico, ma anche per il suo controllo politico delle dinamiche di riconfigurazione dell’Eurozona, sviluppate col pretesto di essere le soluzioni della crisi, ma che agiscono, di fatto, per rafforzare l’egemonia tedesca.

Se a questo aggiungiamo le peculiarità della sua struttura, caratterizzata dalla debolezza cronica della sua domanda interna – e, per questo, dall’esistenza ricorrente di un eccesso di risparmio nazionale – e la potenza della domanda estera dei suoi beni – che è alla base dei suoi continui surplus commerciali – avremo la prova del fatto che quello che sembrava essere un circolo virtuoso di crescita per tutta l’Eurozona ha finito per convertirsi in un giogo per le economie periferiche, sbocco privilegiato dei flussi finanziari attraverso i quali la Germania metteva a frutto l’eccesso di risparmio interno e il surplus commerciale, riciclandoli sotto forma di debito estero collocato nella periferia.

In questo modo, la Germania ha riconvertito la sua posizione creditoria in una posizione di dominazione quasi egemonica che le permette di imporre le politiche necessarie ai suoi interessi. Questo implica, in pratica, che qualsiasi soluzione di natura cooperativa per risolvere la crisi è automaticamente rifiutata mentre si rafforzano, al contrario, le soluzioni di natura competitiva tra economie le cui diseguaglianze in termini di competitività già si sono dimostrate insostenibili in un contesto così dissimile e asimmetrico come è quello dell’Eurozona.

E così è tanto tragico quanto sconsolante assistere all’accondiscendenza con la quale i governi dell’Eurozona periferica assumono e applicano politiche che stanno aggravando le differenze strutturali preesistenti e che, per questo, non fanno altro che accentuare le differenze in termini produttivi e di benessere tra il centro e la periferia, senza che possa essere intravista nessuna possibilità di soluzione: i processi di deflazione interna non solo comprimono il potere d’acquisto ma aumentano il peso reale del debito a livello interno, sia di quello privato (a causa della deflazione salariale), sia di quello pubblico (a causa del differenziale tra i tassi di crescita del Pil e del debito pubblico), con l’aggravante che qualsiasi apprezzamento del tasso di cambio dell’euro si traduce in un’erosione dei benefici di competitività spuri conseguiti attraverso la deflazione salariale. Si tratta, proprio per questo, di un cammino verso l’abisso del sottosviluppo.

È proprio per questo che, se non si producono cambiamenti strutturali radicali (che passano tutti per meccanismi di trasferimento fiscale in chiave redistributiva), l’Eurozona si consoliderà come uno spazio asimmetrico di accumulazione di capitali, nel quale le economie periferiche si vedranno condannate a districarsi in una soluzione di equilibrio senza crescita – utilizzando un eufemismo economicistico – o, nel peggiore dei casi, l’Eurozona stessa finirà per saltare totalmente o parzialmente in aria.

Il problema è che queste riforme radicali non solo non sono all’ordine del giorno nell’agenda europea, ma sono anche sistematicamente bloccate dal veto della Germania. Di fatto, credo sia facilmente constatabile come in questi momenti, in seno all’Eurozona, esistano tensioni tra gli interessi delle élite economiche e finanziarie europee e quelli delle classi popolari dell’insieme dell’Eurozona, più marcate rispetto alle classi popolari degli Stati periferici; tra gli interessi della Germania e di altri Stati del centro e quelli degli Stati della periferia; e tra le proposte di soluzione della crisi imposta da dette élite e Stati e la logica economica più elementare, quella che resta espressa nelle principali identità macroeconomiche che riassumono le interrelazioni tra i saldi dei settori privato, pubblico e estero di un’economia. Tutte queste tensioni, debitamente gestite da coloro che detengono il potere nei differenti ambiti in cui esso si esprime, sono funzionali al consolidamento di un’Eurozona asimmetrica (con il significato già segnalato) e dominata dalla Germania.

IV

Queste tensioni, per concludere, riducono enormemente la possibilità di un’uscita dalla crisi, guidata dalle classi popolari, che non sia di rottura, così come è stato evidenziato all’inizio di questo testo. Il problema politico che si presenta appare evidente quando si consideri che gli unici che stanno immaginando questa possibilità di rottura unilaterale (di uscita dall’euro, per l’appunto) sono i partiti nazionalisti di estrema destra, che si appropriano così di un crescente sentimento di insoddisfazione popolare nei confronti dell’euro stesso, rispetto a una sinistra che continua ad invocare l’opzione di riforme che si scontrano direttamente con gli interessi di coloro che hanno posto a proprio servizio le potenzialità di dominio imperiale attraverso l’economia facilitate dall’euro. Da questo punto di vista, sarebbe opportuno smettere di visualizzare l’Euro semplicemente come una moneta, per arrivare ad assimilarlo concettualmente ad un’arma di distruzione di massa che sta distruggendo non solo il benessere dei popoli europei, ma anche quel sentimento europeista basato sulla fratellanza tra questi popoli che fu costruito con tanto sforzo.

Il problema di credibilità diventa ancora più grave per la sinistra quando, per promuovere le riforme necessarie, si appella all’attivazione di un soggetto, la “classe lavoratrice europea”, che agisca come avanguardia nella trasformazione della natura stessa dell’Eurozona. Il problema è che mai come ora la condizione della classe lavoratrice in Europa si è trovata così deteriorata quanto a coscienza e identità di classe, senza dover aggiungere che quanto detto non mina in nessun caso l’evidenza che la relazione salariale continua ad essere la pietra angolare del sistema capitalistico. Come scriveva recentemente Ulrich Beck, viviamo la tragedia di trovarci in momenti rivoluzionari senza rivoluzione e senza soggetto rivoluzionario. Non c’è nulla.

Ciò nonostante, l’orizzonte sarebbe più chiaro se la sinistra fosse capace di dare una risposta credibile ad una questione che si rifiuta di considerare e che, tuttavia, può manifestarsi prima o poi nello scenario europeo e, concretamente, in Grecia: cosa potrebbe fare un governo di sinistra che raggiungesse il potere in un unico paese della periferia? Dovrebbe sperare che nel resto dell’Eurozona si manifestassero le condizioni obiettive per procedere alla sua riforma, essendo cosciente che questo esige il voto unanime dei 27 Stati? O dovrebbe approfittare del ventaglio di opportunità che la storia le ha permesso di aprire e promuovere l’uscita del proprio paese dall’euro?

Come è ovvio dare una risposta a tale domanda non è facile: tuttavia, eluderla non ha alcun senso. Per questo è necessario riconoscere – per iniziare – che nel contesto dell’euro non c’è nessun margine per politiche realmente trasformatrici che possano agire a vantaggio delle classi popolari. Anzi, oserei affermare che in questo contesto non c’è nessun margine per la politica, perché la politica è stata sequestrata dal sistema istituzionale sviluppato per fornire una patente di legittimità a una moneta dietro la quale manca qualsiasi progetto di costruzione di una comunità politica che integri i popoli d’Europa. Risulta, quindi, un controsenso reclamare processi costituenti, quando la condizione preliminare affinché processi simili possano realizzarsi pienamente è la rottura con il contesto istituzionale, politico, economico e legale imposto dell’euro. Una comunità può rifondarsi attraverso un processo costituente solo se lo fa senza vincoli preliminari nelle condizioni di partenza, vincoli imposti da fuori e che operano danneggiando gli interessi delle stesse classi popolari che reclamano questo processo costituente.

Per dirlo in altri termini, la rottura con l’euro non è condizione sufficiente ma necessaria per qualsiasi progetto di trasformazione sociale emancipatrice al quale la sinistra possa aspirare. Per questo, rivendicare la rivoluzione in astratto e, contemporaneamente, cercare di preservare la moneta unica e le istituzioni e le politiche che le sono consustanziali in questa Europa del Capitale, fino a quando si diano le condizioni europee per la loro riforma, costituisce una contraddizione in termini, priva di credibilità agli occhi di quelle classi popolari che sembrano aver identificato il nemico con maggiore chiarezza dei dirigenti della sinistra stessa.

È proprio per questo che fino a quando questa contraddizione non verrà compresa e superata, e i discorsi politici ed economici diventino entrambi di rottura e vadano in parallelo; fino a quando l’uscita dall’euro non sia percepita solo come un problema, ma anche come una parte della soluzione alla situazione di dipendenza delle economie periferiche, che offra loro la possibilità di ristrutturarsi e trovare il proprio percorso di sviluppo nella produzione e nell’elargizione di benessere in una forma più auto-centrata e meno dipendente dalle relazioni con l’economia mondiale; fino a quando non smetterà di incatenarci la paura di rompere le catene dell’euro, per la mancanza di certezze assolute su come potrebbe essere la nostra vita futura fuori dall’euro stesso (la stessa paura che ha incatenato coloro che negavano la possibilità di rompere con il gold standard dopo la grande depressione degli anni Trenta del secolo scorso); fino a quando tutto questo non accadrà, mi resta solo da pronosticare, ahimè, un lungo periodo di sofferenza sociale e economica per i popoli e i lavoratori della periferia europea.

[align=right]Source: TLAXCALA: Uscire dall'incubo dell'Euro [/align]
Ultima modifica di Wolframio il 25/02/2014, 19:28, modificato 1 volta in totale.

26/02/2014, 07:41

Immagine

http://bastacasta.altervista.org/p10497/

26/02/2014, 18:50

Non fate l’errore, cari lettori, di credere davvero che quella di Graziano Delrio sia stata la classica scivolata su una buccia di banana frutto dell’inesperienza. Non è così. Perché il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio è tutto tranne che un politico inesperto: è furbo, preparato e naviga a vari livelli nei marosi della politica attiva da qualche decennio. Se parla, sa cosa dice. E quando ha parlato di aumentare la tassazione sui Bot dall’attuale 12,5% non ha dato fiato a una voce dal sen sfuggita: ha testato la piazza, su preciso mandato. È come nel rugby: la prima mischia ordinata della partita serve a testare la consistenza del pacchetto avversario. Chi vince la prima, impone le regole tutta la partita. Magari non fisicamente, ma sicuramente psicologicamente.


Non a caso, il comunicato con cui Palazzo Chigi ha tentato di tamponare l’incidente diplomatico alla vigilia del voto di fiducia è la classica toppa peggio del buco: si dice infatti sì che l’intenzione non è quella di imporre nuove tasse bensì di abbassare quelle attuali, ma si parla anche di rimodulazione delle aliquote per finanziare l’abbattimento del cuneo fiscale. Quindi, non si esclude affatto che quel 12,5% possa diventare 15%. O magari 20%. Tanto, come ha detto Delrio, la vecchietta con i suoi Bot non starà male per questo. Tanto più che servirà a qualcosa di importante, ovvero l’abbattimento del costo del lavoro per aiutare i giovani a essere assunti e gli imprenditori ad assumere....................................................

x tutto l'articolo
http://www.comedonchisciotte.org/site/m ... &sid=12989

26/02/2014, 22:57

"..non potendo svalutare la moneta ...si svaluta il lavoro.."
"..non potendo svalutare la moneta ...si svaluta il lavoro.."
"..non potendo svalutare la moneta ...si svaluta il lavoro.."
"..non potendo svalutare la moneta ...si svaluta il lavoro.."



Grecia. Lavori a tempo pieno da 180 a 350 euro al mese

25 febbraio 2014

http://www.ticinolive.ch/2014/02/25/gre ... o-al-mese/


Forza su... che tra poco tocca a noi..... [:o)]

27/02/2014, 16:30

Un modo per nascondere idea patrimoniale in Europa del 10%, auspicata e poi smentita?
Fmi invoca la redistribuzione del reddito e la tassazione sulle attività dei ricchi considerate nocive per l'economia.

NEW YORK (WSI) - Jonathan Ostry, Andrew Berg e Charalambos Tsangarides: sono i tre economisti del Fondo Monetario Internazionale che hanno stilato l'analisi dal titolo "Redistribution, Inequality, and Growth", ovvero "Redistribuzione, Diseguaglianze e Crescita", lanciando un messaggio molto chiaro: "Tassare i ricchi è un fattore positivo per l'economia".

I tre invocano la redistribuzione del reddito, in un momento in cui il mondo intero fa fronte alle proteste del popolo contro le lobby e i detentori del potere.

"Sebbene ci siano considerevoli controversie su tali questioni, non dovremmo saltare alla conclusione secondo cui la cura delle diseguaglianze potrebbe peggiorare la crescita", hanno scritto i tre esperti, secondo cui invece "gli interventi a sostegno dell'eguaglianza potrebbero davvero sostenere la crescita".

"Molti ritengono che la redistribuzione del reddito mini la crescita". Se ciò fosse vero, "allora le tasse e i trasferimenti potrebbero essere un cattivo rimedio: una cura che sarebbe peggio della malattia".

Ma gli autori del rapporto affermano che una tale conclusione non è avallata dai fatti, dal momento che, di norma, nei casi in cui è avvenuta, "alla riduzione delle diseguaglianze sono invece seguiti tassi di crescita più veloci e più duraturi".

I tre hanno citato i benefici che si otterrebbero tassando quelle attività dei ricchi che vengono considerate nocive per l'economia, come per esempio la speculazione finanziaria eccessiva, e trasferendo anche i pagamenti ai più poveri, al fine di permettere loro di mandare i figli a scuola.

Ma cosa vuole esattamente il Fondo Monetario Internazionale? Indiscrezioni nell'ultimo anno hanno alimentato critiche continue: ha fatto parlare di sé soprattutto l'idea della patrimoniale in Europa del 10% per abbattere il debito, seguita poi da quella sull'imposizione di una aliquota fino al 71%.


http://www.wallstreetitalia.com/article ... dditi.aspx

di certo in europa non hanno molta fantasia,cambiano i nomi,le modulazioni,ma sempre di tasse si parla....................[;)]
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