
In queste ore nel Mediterraneo centrale stanno incrociando due portaerei americane: la Uss Abraham Lincoln (Cvn-72) e la Uss John Stennis (Cvn-74). Le due unità, insieme alle loro reciproche scorte che vanno a formare quello che si chiama Csg acronimo di Carrier Strike Group, sono impegnate in esercitazioni congiunte che vedono la partecipazione anche di asset degli alleati regionali degli Usa.
Il comunicato della Us Navy
Il comando della Sesta Flotta, di base a Napoli, ha rilasciato un comunicato in cui si afferma che le operazioni in mare delle due portaerei offrono la “rara opportunità” di addestrare i due Csg in operazioni simultanee. “Le operazioni di due portaerei qui nel Mediterraneo mettono in mostra l’intrinseca flessibilità e la modularità del potere marittimo mentre dimostrano la risolutezza del nostro impegno al mantenimento della stabilità e della sicurezza della regione” sono state le parole del vice ammiraglio Lisa Franchetti, comandante della Sesta Flotta Usa.
“Queste operazioni combinate potenzieranno la prontezza al combattimento e l’interoperabilità con alleati chiave e partner, e assicureranno che le nostre forze siano meglio preparate per eseguire una vasta gamma di operazioni in ogni tempo e in ogni luogo in tutto il mondo” ha infine aggiunto l’ammiraglio.
Segnali alla Russia ma non solo
Vedere due portaerei contemporaneamente nel Mediterraneo era un fatto che non succedeva dal 2016, quando la Uss Eisenhower e la Uss Truman erano state schierate simultaneamente in questo particolare e ormai delicato teatro.
Le due unità che attualmente stanno incrociando nel Mare Nostrum sono nel bel mezzo di un avvicendamento di porto di stanza con la Stennis di base a Kitsap-Bremerton (nello stato di Washington) e la Lincoln a Norfolk (in Virginia). Le portaerei si sono incrociate nel Mediterraneo sulla via delle loro nuove basi che saranno rispettivamente Norfolk per la Stennis e San Diego per la Lincoln.
Questo “incrocio fatale”, però, non è affatto casuale: come fanno sapere dal comando del Csg 12 della Lincoln, le operazioni in quella porzione di Mediterraneo prospiciente la Libia sono un chiaro segnale alla Russia e alla sua politica di espansione verso questo importante bacino di mare: gli Stati Uniti non intendo abdicare dal proprio ruolo di gendarmi della politica internazionale e tanto meno in un teatro così delicato come quello del Mediterraneo, sempre più crocevia di interessi strategici globali come ben evidenziato anche dall’attività cinese nell’area.
A riprova del fatto che il destinatario di questo messaggio sia proprio la Russia è anche la presenza a bordo della Lincoln dell’ambasciatore americano a Mosca, Jon Huntsman, che ha rilasciato un’intervista alla Cnn in cui ha sottolineato l’importanza di questa dimostrazione di forza nel Mediterraneo.
“Quando hai 200mila tonnellate di diplomazia che incrociano nel Mediterraneo – cosa che io chiamo diplomazia, o diplomazia operativa avanzata – non serve dire niente altro” ha detto al network statunitense l’ambasciatore “hai tutta la fiducia in te stesso per sederti e cercare di trovare soluzioni per i problemi che ci hanno diviso per tanti, tanti anni”.
Questa esercitazione congiunta non è però solo un segnale verso Mosca – o Pechino – ma anche un messaggio agli alleati della Nato e partner locali che indicano che Washington non intende dimenticarsi di un teatro così importante come il Mediterraneo sempre più esposto a penetrazioni da parte di altri attori globali o regionali, e non capita certo casualmente: il degenerare della crisi libica di questi giorni ha mostrato l’Europa, oltre che ancora una volta divisa, totalmente imbelle dal punto di vista diplomatico e operativo.
Due portaerei a poche miglia marine dalle coste libiche, come diceva l’ambasciatore, sono un messaggio preciso e non fraintendibile per Haftar, al-Sarraj, la Russia, l’Egitto, la Francia e anche per l’Italia che era stata in qualche modo “delegata” dal presidente Trump di occuparsi della gestione di quel teatro e che si è ritrovata con un ginepraio che non ha saputo gestire in modo accorto e lungimirante, ma cercando, come spesso accade alla diplomazia italiana, di “accontentare tutti” e quindi avendo come risultato quello di non aver accontentato nessuno.
In questo senso non ci stupiremmo se un eventuale prossimo diretto intervento Usa nella questione, anche militare, fosse stato segretamente richiesto da Palazzo Chigi essendoci trovati davanti all’impossibilità di gestire le ingerenze francesi, egiziane e russe nella corsa di Haftar verso Tripoli.
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