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ArTisAll ha scritto:


Intanto..... qualcuno si sta dando tanto da fare per piazzare un nuovo proprietario.





Dall'Ilva al mega gasdotto gli affari segreti di Emma


Due partite economiche enormi, finora percepite come se in comune non avessero nulla. In realtà gli interessi che si agitano nelle retrovie rendono le questioni sempre più legate. Da una parte l'Ilva di Taranto, l'acciaieria che sta cercando una nuova vita dopo le vicende giudiziarie che hanno coinvolto la proprietà (famiglia Riva). Dall'altra il Tap, Trans adriatic pipeline, il progetto di gasdotto che dovrebbe far arrivare sulle coste del Salento il gas del Mar Caspio. Sotto traccia si stanno muovendo colossi energetici esteri e gruppi italiani, tutti intenzionati a spingere un piano che, secondo quanto è in grado di ricostruire il Giornale, si basa su uno scambio: l'esecutivo guidato da Matteo Renzi dà il via libera al progetto di gasdotto, cercando di abbattere le resistenze locali, e in cambio i grossi gruppi internazionali che sono dietro al Tap contribuiscono al salvataggio dell'Ilva mettendo in palio ricche commesse per il gruppo.


Soluzione apparentemente lineare, che però presenta nodi intricati. Un esempio? Da mesi in pole position per rilanciare l'Ilva, in cordata con i franco-indiani di ArcelorMittal, c'è il gruppo Marcegaglia, uno dei più importanti nella trasformazione dell'acciaio. Per realizzare il Tap ci vorranno centinaia di chilometri di tubi fatti proprio di acciaio. Esattamente gli stessi prodotti che Ilva e Marcegaglia avrebbero un grande interesse a fornire. Dettaglio per niente secondario: Emma Marcegeglia, che con il fratello Antonio è a capo del gruppo di famiglia, è anche presidente dell'Eni, colosso petrolifero che teoricamente dovrebbe partecipare con i russi di Gazprom alla realizzazione di un gasdotto concorrente, il South Stream. E qui il terreno minaccia di farsi sdrucciolevole con l'ombra lunga del conflitto d'interessi.


Ma chi c'è dietro al Tap? Gli azionisti rilevanti sono gli azeri di Socar (20%), gli inglesi di British Petroleum (20%), i norvegesi di Statoil (20%) e i belgi di Fluxys (19%). Sul piatto la realizzazione di un gasdotto da 870 chilometri che partirà dal confine tra Turchia e Grecia e approderà sulle coste del Salento, in località San Foca. L'obiettivo è far arrivare ogni anno in Italia 10 miliardi di metri cubi (eventualmente raddoppiabili) di gas proveniente dall'Azerbaijan (Mar Caspio). Da un punto di vista burocratico manca l'autorizzazione unica del ministero dello Sviluppo, oggi guidato da Federica Guidi, già presidente dei giovani di Confindustria nell'era Marcegaglia. È un'opera da 45 miliardi di dollari, inutile dire che ci sono commesse da far venire l'acquolina in bocca.


È proprio qui che si annoda il filo che porta all'Ilva. Il gruppo, oggi in mano al commissario Piero Gnudi (ex presidente Enel), perde a rotta di collo e deve effettuare interventi di risanamento ambientale per circa 1,8 miliardi di euro. In più deve cercare di garantire il futuro di 12mila dipendenti. La cordata ArcelorMittal-Marcegaglia, data in vantaggio per il coinvolgimento nel gruppo siderurgico, non ha nessuna intenzione di sborsare cifre simili. Di più, la Marcegaglia spa non vuole scucire un euro. Lo si apprende inequivocabilmente dall'ultimo bilancio 2013 («Si stanno valutando le migliori forme di partecipazione a un eventuale riassetto societario dell'Ilva», che però «non dovranno impegnare finanziariamente il gruppo»), più chiaro di così si muore. I franco-indiani e il gruppo Marcegaglia (ma anche eventuali pretendenti alternativi, tra cui gli altri indiani di Jindal e a quanto pare gruppi cinesi) vogliono la polpa buona dell'Ilva. Ma cosa ne guadagna l'acciaieria?


Il Giornale ha parlato con fonti che stanno sviluppando il dossier. Nessuno se la sente di uscire allo scoperto, ma il disegno riferito è chiaro. Il Tap ha bisogno di 800 chilometri di tubi, di cui 105 per il passaggio sotto l'Adriatico e 8 per il percorso in Italia. L'Ilva già adesso ha diversi tubifici nello stabilimento di Taranto. Il gruppo Marcegaglia, da tempo partner dell'Ilva, tra le altre cose è specializzato nella fornitura di tubi. Il gioco sarebbe fatto. Solo nei prossimi mesi si vedrà fino a che punto potrà svilupparsi.


Di certo già adesso emerge qualche contorno anomalo. Come conciliare con la posizione dell'Eni il fatto che la sua presidente si appresterebbe a fare affari fornendo tubi al Tap, ovvero al gasdotto concorrente rispetto al South Stream sviluppato dal Cane a sei zampe? Tanto più che la posizione della Marcegaglia al vertice del colosso energetico era già stata collegata al rischio di conflitto d'interessi in quanto la società di famiglia è un gruppo energivoro. E chissà che l'operazione non possa preludere a futuri colpi di scena. Non è una novità che il progetto South Stream non stia attraversando un grande momento. E magari l'Eni potrebbe aver buttato un occhio sul gasdotto destinato ad approdare sulle coste del Salento. Ma anche in quel caso, se è destinato a diventare fornitore del Tap, il gruppo Marcegaglia non sarebbe in una posizione da manuale.



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Capito la Emma?



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MessaggioInviato: 16/10/2014, 23:22 
Articolo semplicemente fantastico .. ecco chi sta arrivando a Taranto e quale sarà il futuro dello stabilimento ILVA
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Addio Ilva: il bacio mortale di Mittal
Di ilsimplicissimus

Possiamo tranquillamente dare l’addio all’Ilva. La speranza di veder rifiorire il grande complesso di Taranto tramonta definitivamente con la sempre più vicina vendita all’Arcelor Mittal, l’affossatore della siderurgia europea, che la Ue ha sconsideratamente lasciato in balia di qualunque pescecane. Qualcuno, disinformato o pagato dalla disinformatia nazionale, osa persino vaneggiare di una ristrutturazione del complesso in modo da renderlo una fabbrica normale e non una sorta di Bopal italiana. Ma sono illusioni da quattro soldi: i veleni dell’Ilva ce li terremo tutti per il poco tempo che la fabbrica continuerà a funzionare.

Come dovrebbe essere noto, Mittal, tycoon indiano la cui fortuna nasce dalla svendita delle acciaierie dell’ex impero sovietico e poi cresciuto grazie ai capitali finanziari anglo statunitensi che detengono il controllo reale della omonima multinazionale, è a capo di una di quelle nefande corporation che vive della massimizzazione dei profitti nel breve periodo (“l’orizzonte delle imprese di Mittal è il singolo trimestre” come denuncia il parlamentare europeo Lambert) e nell’acquisizione di aziende che vengono depredate di clienti e commesse per poi spostare la produzione dove più conviene o in alternativa abbassare drasticamente salari e manodopera. E’ storia: la Mittal nel 2006 acquisì la più grande azienda dell’acciaio in Europa, la Arcelor basata in Francia, per poi abbandonare a se stessi gli altiforni di Liegi, Grandange, Charleroi e Florange oltre a numerosi stabilimenti di lavorazione, nonostante le promesse, i giuramenti di ammodernare e salvare ambiente e occupazione: l’unico scopo era quello di acquisire il marchio e i relativi clienti per poi far produrre l’acciaio altrove. Un altrove che spesso acquisisce le forme di città ormai fantasma nell’est europeo, in Bosnia, Repubblica Ceka, Polonia, Ucraina, per non parlare del Kazakistan, dell’Ucraina o della stessa India. Ed è da notare che l’operazione truffaldina riuscì grazie all’appoggio di Chirac e di Junker, allora primo ministro lussemburhese.

E non solo loro: la Arcelor fece una furiosa resistenza all’acquisizione ostile della Mittal, ma Washington intervenne pesantemente a tirare i fili attraverso Goldman Sachs quando il colosso europeo pensò a una fusione con la russa Severstal, mettendo in pericolo gli equilibri che piacciono, come si è visto, alle amministrazioni americane: solo con questi “aiutini” ( a cui partecipò anche la Thissen Krupp tedesca e la complice italiana di Goldman, ovvero Banca Intesa) la Mittal di gran lunga inferiore come tecnologia, anzi votata alle produzioni di bassa qualità e anche meno capitalizzata riuscì ad acquisire la rivale.

Tutto molto furbo, molto contemporaneo, molto competitivo, molto multinazionale. Mi piacerebbe dire emblematico sia del liberismo che della subalternità europea oltre che dei giochi nazionali che si svolgono delle dietro il velame dell’unione continentale. E quindi si dovrebbe supporre che grazie al suo cinismo, la Arcelor Mittal sia una floridissima azienda. Invece ha circa venti miliardi di debiti, vale a dire più della sua capitalizzazione in borsa ed è stata via via degradata dalle società di rating. Eppure il consumo di acciaio su scala mondiale è cresciuto nonostante la crisi a causa della richiesta gigantesca dei Paesi emergenti, mentre il prezzo è salito solo di una frazione della quantità per due ragioni collegate: la produzione di acciaio nei Paesi in via di sviluppo è ancora molto frazionata e localizzata, dunque molto concorrenziale, mentre nei Paesi dove si potrebbero vendere i prodotti a maggior valore aggiunto, il crollo della domanda aggregata, dovuto allo sbaraccamento dei diritti del lavoro e dunque all’abbassamento dei salari, ha penalizzato le vendite. E i disoccupati creati dalla stessa Mittal sono una goccia che si aggiunge a tutto questo. Di fatto si tratta di un’azienda in rapido declino che accompagna quello ormai in coma di un modello basato sulla redditività a breve termine, che guarda solo ai profitti immediati degli azionisti e nemmeno per sbaglio all’interesse collettivo che è poi la fonte primaria della domanda.

Naturalmente questo contesto esclude che la Arcelor – Mittal faccia qualche investimento che possa mettere a rischio i profitti immediati: non ne ha mai fatti da nessuna parte accontentandosi dello sfruttamento selvaggio della manodopera finché dura. Quindi per bene che vada l’Ilva rimarrà una fabbrica di veleni, anche peggio di ora, fino a che la sua produzione non sarà spostata altrove e il complesso diventerà nient’altro che un guscio vuoto. Certo è sorprendente che tutti i recenti esempi di questo modus operandi, non contino nulla, che Junker, forse non disinteressato promotore dell’operazione Arcelor, sia diventato presidente della commissione Ue, che i governi italiani del tutto implicati in un modello ormai in putrefazione, cerchino di liberarsi in questo modo del problema Ilva. E’ ovvio che vendere il complesso di Taranto a una simile multinazionale, se non in un quadro che veda la partecipazione azionaria anche dello stato, significa continuare ad avvelenare la città più di prima in vista di una chiusura morbida e mediata, con l’unico vantaggio di allontanare la politica compiacente dall’epicentro del disastro.

Del resto essa per prima è divenuta portatrice dei valori Mittal, secondo cui licenziando, razionalizzando, avvelenando, sottopagando, si ottengano risultati straordinari: alla fine c’è sempre il buio in fondo al tunnel.


fonte : http://ilsimplicissimus2.wordpress.com/ ... di-mittal/


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MessaggioInviato: 20/10/2014, 01:20 
Bonifiche Ilva, i Riva: "Non con i nostri soldi"



Adriano si è opposto alla richiesta di utilizzare la somma di 1,2 miliardi sequestrata al fratello Emilio per il risanamento ambientale dell'area. Il gip di Milano si è riservato di decidere. I Pm: serve un concordato
di Alfredo Faieta





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La famiglia Riva si oppone all'utilizzo dei soldi che le sono stati sequestrati in Svizzera per il risanamento ambientale dell'Ilva di Taranto. La notizia è emersa oggi durante l'udienza a porte chiuse tenuta al Tribunale di Milano dal giudice per le indagine preliminari Fabrizio D'Arcangelo, che deve decidere sulla proposta avanzata dal commissario straordinario dell'acciaieria, Piero Gnudi, di utilizzare per le bonifiche la somma di 1,2 miliardi sequestrata a Emilio Riva, nel frattempo scomparso, e al fratello Adriano Riva, che si è opposto. Per ora, dunque, I soldi restano nei forzieri di Ubs e Aletti, in attesa che il gip sciolga la riserva (non è stata indicata una data) sulle questioni messe sul tavolo durante l'udienza di questa mattina, da cui molti si aspettavano uno sblocco della situazione.



Le attese, infatti, erano per una decisione positiva, alla luce della norma ad hoc introdotta nel febbraio di quest'anno dal governo di Matteo Renzi, grazie alla quale l'ingente somma avrebbe potuto rientrare in Italia per essere utilizzata da Gnudi per dare corpo al piano di risanamento ambientale, imprescindibile per riportare in piena operatività il grande stabilimento pugliese e favorire l'acquisto da parte di uno dei gruppi che si sono candidati.


Da quel che è trapelato dopo l'udienza, si comprende invece che il percorso è ancora irto di ostacoli e che il lieto fine è tutt'altro che scontato. Innanzitutto perché i difensori di Adriano Riva, azionista di minoranza del gruppo Riva Fire-Ilva, hanno posto una questione di costituzionalità. Se il gip la riterrà ricevibile dovrà attivare la Corte Costituzionale, con i tempi che ne conseguono; in caso contrario egli stesso potrà rigettarla per manifesta infondatezza o irrilevanza.


La procura invece non si è opposta a questo meccanismo, ma ha messo sul tavolo una serie di questioni sostanziali che, a parer dei pm Stefano Civardi e Mauro Clerici, andrebbero valutate attentemente. Il nodo centrale del ragionamento è la certezza che i fondi vengano effettivamente utilizzati per la messa in regola degli impianti. La norma voluta dal governo prevede che si proceda a un aumento di capitale di Ilva, ma se la società dovesse fallire prima del compimento dei lavori dove andrebbero a finire queste somme? Entrerebbero nel riparto dei creditori, in massima parte banche, e a Taranto resterebbero solo le macerie ambientali.


Per evitare questo pericolo la strada da percorrere sarebbe quella dell'entrata in una procedura concorsuale della società, ad esempio sotto l'egida di una Prodi bis o altra norma creata ad hoc. Una volta messa in salvo la continuità aziendale, sulla quale adesso vi sono molti dubbi, si potrebbe procedere con il grande riassetto delle attività, sia ambientale sia economico. Ma questo vuol dire che la famiglia Riva dev'essere totalmente estromessa dalla proprietà e che non abbia più alcuna voce in capitolo neanche nella sua cessione.




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MessaggioInviato: 22/10/2014, 00:15 
Regione Puglia: Anonymous attacca il sito ufficiale



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Qui si (ri)sana?


COMUNICATO STAMPA DI LEGAMBIENTE

Ilva: il passato finalmente a processo, ma il futuro resta un mistero. Legambiente: irrisolti i gravi problemi di inquinamento, resta poco tempo


Ilva: ha avuto finalmente inizio il processo per disastro ambientalle. Legambiente nazionale e Legambiente Puglia si sono costituiti quale parte civile, in difesa del popolo inquinato. Ma se il passato va a processo per Legambiente rimangono irrisolti i gravi problemi di inquinamento del più grande impianto siderurgico d'Europa e resta poco tempo per dare risposte esaustive alla richiesta di un futuro sostenibile.


«L'Ilva di Taranto sembra essere sull'orlo del baratro, considerata l'incertezza sulle decisioni che assumerà la magistratura milanese sulla richiesta di utilizzare i fondi sequestrati alla famiglia Riva per realizzare i lavori previsti dall'AIA e la procedura d'infrazione aperta dalla Commissione europea nei confronti dell'Italia per le violazioni ambientali dell'Ilva.
Non è un caso se, in una situazione tendenzialmente di stallo, rispetto a quelli che sono gli adempimenti previsti dalle prescrizioni dell'AIA, si torni ad adombrare l'ipotesi sia di un nuovo intervento della magistratura sia di un nuovo decreto (l'ennesimo) del governo.


È indispensabile un'accelerazione che dia risposte sui futuri assetti proprietari e sulle risorse finanziarie».
È questo il commento di Stefano Ciafani, Francesco Tarantini e Lunetta Franco, rispettivamente Vice Presidente nazionale di Legambiente, Presidente di Legambiente Puglia e Presidente del Circolo Legambiente di Taranto dopo la costituzione di parte civile di Legambiente nel processo per disastro ambientale Ilva, l'esito interlocutorio della richiesta avanzata dal Commissario Ilva di utilizzo dei fondi sequestrati alla famiglia Riva e all'indomani delle nuove osservazioni rivolte all'Italia dalla Commissione europea.


La Commissione aveva già inviato all'Italia due lettere di costituzione in mora, nel settembre 2013 e nell'aprile 2014, con le quali invitava le autorità italiane ad adottare misure per assicurare che l'esercizio dell'impianto Ilva venisse messo in conformità con la direttiva sulle emissioni industriali e con altre norme UE in vigore in materia ambientale. Sebbene alcune carenze siano state risolte, sussistono ancora diverse violazioni della direttiva sulle emissioni industriali e carenze, quali l'inosservanza delle condizioni stabilite nelle autorizzazioni, l'inadeguata gestione dei sottoprodotti e dei rifiuti e protezione e monitoraggio insufficienti del suolo e delle acque sotterranee. La maggior parte dei problemi deriva dalla mancata riduzione degli elevati livelli di emissioni non controllate generate durante il processo di produzione dell'acciaio. Ai sensi della direttiva sulle emissioni industriali, le attività industriali ad alto potenziale inquinante devono essere munite di autorizzazione. L'Ilva ha un'autorizzazione per svolgere le sue attività ma non ne rispetta le prescrizioni in numerosi settori. Di conseguenza, l'impianto sprigiona dense nubi di particolato e di polveri industriali, con conseguenze potenzialmente gravi per la salute della popolazione locale e per l'ambiente circostante.


«Passano i mesi ma le "manifestazioni di interesse" non si tramutano in proposte concrete e sulle effettive intenzioni di Arcelor Mittal, visti i precedenti in Europa, pesano gravi interrogativi.


I lavori per l'AIA appaiono fermi e del passaggio al metano previsto dall'ex commissario Bondi e dall'ex sub commissario Edo Ronchi si sono perse persino le tracce. Per fortuna la produzione è fortemente ridotta e, grazie a questo, le emissioni rilevate da ARPA Puglia appaiono nei limiti. A ciò - continuano Ciafani, Tarantini e Franco - si aggiungono i piccoli e grandi incidenti che nel frattempo si sono verificati all'interno dello stabilimento, i quali aggravano gli interrogativi sulle già precarie condizioni dell'Ilva in termini ambientali e di sicurezza. La Commissione ha concesso all'Italia due mesi per rispondere: noi riteniamo che, a fronte dei ritardi accumulati, solo dando pieni poteri e risorse certe e adeguate ad un Commissario "ambientale" si potranno cambiare le sorti di un territorio costretto a vivere in una situazione, al momento, senza via d'uscita.
Lo ribadiamo: o si risana lo stabilimento o si chiude. Non ci sono alternative».


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“O si risana lo stabilimento o si chiude„.

Non basta!.... È da risanare l'ambiente deturpato (con tanto di magna magna e menefreghismo) per troppo tempo.












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MessaggioInviato: 22/10/2014, 14:05 
Cita:
«L'Ilva di Taranto sembra essere sull'orlo del baratro, considerata l'incertezza sulle decisioni che assumerà la magistratura milanese sulla richiesta di utilizzare i fondi sequestrati alla famiglia Riva per realizzare i lavori previsti dall'AIA e la procedura d'infrazione aperta dalla Commissione europea nei confronti dell'Italia per le violazioni ambientali dell'Ilva.
Non è un caso se, in una situazione tendenzialmente di stallo, rispetto a quelli che sono gli adempimenti previsti dalle prescrizioni dell'AIA, si torni ad adombrare l'ipotesi sia di un nuovo intervento della magistratura sia di un nuovo decreto (l'ennesimo) del governo.


Ma non ho capito, questi tizi hanno inquinato ed a pagare le spese della bonifica devo essere io? (cittadino italiano) Che usino i soldi dei Riva per ripulire, anzi gli confischino tutto il patrimonio e lo usino per risistemare tutto.



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Cita:
MaxpoweR ha scritto:


Ma non ho capito, questi tizi hanno inquinato ed a pagare le spese della bonifica devo essere io? (cittadino italiano)
Che usino i soldi dei Riva per ripulire, anzi gli confischino tutto il patrimonio e lo usino per risistemare tutto.



E in galera a pagare per i loro crimini!



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Noi siamo al tramonto, la notte è ancora tutta davanti, ma alla fine il sole sorgerà anche stavolta. Quello che cambia, è quello che i suoi raggi illumineranno. Facciamo che domani sotto il Sole ci sia un mondo migliore.
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giovedì 30 ottobre 2014

Controentusiasmo (razionale..)


Comunicato stampa del Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti


«Il miliardo di euro sequestrato, una volta concluso il processo, doveva risarcire lo Stato del danno erariale causato dai Riva. Se si usano questi soldi per applicare l'AIA del siderurgico è evidente che non ci sarà alcun risarcimento per le casse pubbliche» «Era il 14 maggio del 2013 quando circa 1 miliardo di euro in prodotti veniva dissequestrato con la scusante che “senza quei soldi non si poteva applicare l’AIA”. A distanza di un anno e 5 mesi, accompagnati da minacce e ricatti nei confronti di cittadini e lavoratori, la situazione in fabbrica e fuori è notevolmente peggiorata. Il GIP di Milano, Fabrizio D’Arcangelo, ha accolto la richiesta che il commissario straordinario Piero Gnudi ha avanzato lo scorso 11 settembre 2014


Oggi come allora, 1,2 miliardi di euro vengono “restituiti” per essere destinati interamente all'applicazione dell'AIA. Nulla di questa somma sarà destinato alle bonifiche; neanche un euro per risarcire Taranto, una città massacrata dall'inquinamento, anche dell'Ilva. La notizia del dissequestro di queste somme è stata presentata come una conquista!! Aggiungi un appuntamento per oggi il commissario Gnudi,una parte di politici,l'associazione degli industriali ionici,alcune organizzazioni sindacali e perfino legambiente urlano vittoria...ma tra le righe dichiarano a voce unanime che "ADESSO SI PUO CONTINUARE A SPERARE". Beh, certamente.. a TARANTO le "certezze" sono un optional...dobbiamo vivere di "speranze".


L'unica CERTEZZA è l'aumento dei tumori infantili al 21%...ma nessuno ovviamente dei "soddisfatti" ne parla. Analizzando quindi la "nuova notizia", ci sorgono spontanee alcune domande: Quando sarà materialmente disponile la somma dissequestrata? In quale dei paradisi fiscali sono state nascoste queste somme sequestrate sulla carta alla famiglia Riva? A quanto ammonta il debito che l’ILVA ha accumulato fino ad oggi considerando il prestito ponte, le pendenze verso le ditte d’appalto, le spese di gestione ecc…? Siamo sicuri che i Riva non ricorreranno in appello E cosa accadrebbe qualora un giudice in appello invertisse la decisione? Se la "crisi di liquidità" è tale che anche questo mese si paventa la mancanza dello stipendio, credono davvero "lor signori" che il problema sia risolto e che si può stappare qualche bottiglia? L'apoteosi della contraddittorietà, però, viene raggiunta se si considera l'assoluta divieto dell'Unione Europea a ogni forma di aiuto di Stato alle imprese private.


Troppo spesso si dimentica, infatti, che per quanto commissariata ,l'Ilva è una azienda privata. Il miliardo di euro sequestrato, una volta concluso il processo, doveva risarcire lo Stato del danno erariale causato dai Riva. Se si usano questi soldi per applicare l'AIA del siderurgico è evidente che non ci sarà alcun risarcimento per le casse pubbliche. Si sta a tutti gli effetti usando i soldi dei cittadini. A tutte le domande precedenti, dunque, ne aggiungiamo ancora un'altra: è legittimo un tale aiuto di Stato a una impresa privata? Diverso sarebbe stato se le risorse fossero destinate alle bonifiche e alla riqualificazione ambientale del territorio, devastato anche dall'Italsider pubblica negli anni passati. A nostro avviso, questa ulteriore concessione è la conferma che in questo territorio la “vendita di fumo” continua imperterrita».
Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti





Comunicato stampa di Angelo Bonelli
«Ci sono consiglieri comunali, parlamentari che hanno esultato per lo sblocco del 1,2 miliardi di euro sequestrati ai Riva affermando che è stato applicato “il principio chi inquina paga”!


Ma applicare l'AIA negli impianti di proprietà degli stessi Riva non è applicare il principio chi inquina paga! Mai sciocchezza così grande era stata pronunciata! Nessun principio chi inquina paga è stato applicato, perchè quei soldi non saranno utilizzati per fare le bonifiche nelle aree contaminate, nei terreni agricoli interdetti al pascolo perché inquinati dalla diossina. Quei soldi non saranno utilizzati per disinquinare il mare e le falde, per risarcire agricoltori, allevatori , mitilicoltori e chi ha subito danni alla salute o la perdita dei propri cari. Il principio chi inquina paga non è stato applicato e chi lo dice o è in malafede o deve tornare a studiare. Rimettere a posto gli impianti a norma era un obbligo di legge che i Riva non hanno mai fatto perché così hanno aumentato i profitti,ma così facendo le terre,le acque di Taranto e la vita dei tarantini sono state contaminate. Sia chiaro mettere a posto gli impianti dei proprietà dei Riva con i soldi dei Riva non è applicare il principio chi inquina paga, perchè le terre, le acque e la vita di Taranto continua ad essere disseminata di veleni!».






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venerdì 7 novembre 2014


Aiuti di stato ai "poveri" privati


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Peacelink: Investigazione europea sugli aiuti all'ILVA

La Commissione Europea ha cominciato a investigare sulle somme che, attraverso decreti e provvedimenti vari, sono state concesse all’Ilva dal Governo italiano.
PeaceLink ha informato la Commissione Europea delle criticità che a suo avviso potevano costituire gli «aiuti di Stato» varati sotto forma di prestiti-ponte, somme previste nei decreti legislativi varati negli ultimi anni, per la garanzia del futuro di Taranto e delle bonifiche.
Pochi giorni fa PeaceLink ha informato la Commissione, in particolare la Direzione Generale Concorrenza, del fatto che le somme liberate dal Tribunale di Milano - che ha applicato norme scritte dal Governo Italiano - sarebbero dovute rimanere ben protette a garanzia soprattutto del futuro di Taranto, per quando davvero le bonifiche fossero state progettate e avviate.


Invece, il Governo Italiano ha trascurato il fatto che l’Ilva è un’azienda ancora privata e che, secondo il principio europeo della concorrenza leale, non si possano utilizzare fondi statali per le attività correnti di alcuna impresa.


Si potrebbe configurare un aiuto di Stato nel momento in cui queste somme fossero confiscate e, a procedimento penale concluso, lo Stato non riuscisse più a recuperarle in quanto il Tribunale di Milano ha sostituito la garanzia monetaria in titoli derivanti dall’aumento del capitale di Ilva equivalente al 1,2 miliardo di euro trasferito. Titoli che potrebbero perdere in futuro il loro valore iniziale. A quel punto, lo Stato si troverebbe con un pugno di mosche in mano e la somma a garanzia delle bonifiche dei terreni da condurre e dei risarcimenti ai cittadini andrebbe irrimediabilmente persa. PeaceLink continuerà ad operare a livello europeo perché i diritti dei cittadini vengano tutelati.
L'operato del Governo italiano va fermato in nome del rispetto delle direttive europee.
(Peacelink)



Ilva, entro 15 giorni 5 risposte alla Ue

L’ultimatum scadrà il 20 novembre e al netto della considerazione che il premier Matteo Renzi ha palesato per la burocrazia di Bruxelles, le otto pagine inviate dalla direzione generale per la concorrenza della Commissione europea al Governo italiano lasciano intravedere foschi scenari per l’Ilva di Taranto.


Come anticipato ieri dalla Gazzetta, la richiesta di chiarimenti indrizzata all’esecutivo non solo non fa sconti all’Italia ma anzi mette in serio dubbio tutta la successione di decreti e provvedimenti che i governi Monti-Letta-Renzi hanno varato negli ultimi due anni per cercare di dare una prospettiva allo stabilimento siderurgico di Taranto, ai suoi 20mila addetti, al settore manifatturiero italiano, pur al cospetto di una perizia che ha definito quell’acciaieria fonte di malattie e morte per operai e cittadini.


Sono cinque i quesiti ai quali la Commissione Europea pretende risposte. Il primo riguarda la situazione finanziaria dell’Ilva. Il Governo Renzi aveva già scritto alla commissione, sostenendo che l’Ilva non poteva essere considerata come una impresa in difficoltà, ma da Bruxelles scrivono che i dati forniti a sostegno di tale tesi sono insufficienti e per dunque si sollecita la consegna di bilanci e documenti riguardanti gli anni 2012-2013-2014. Poi c’è il capitolo della responsabilità ambientale, sul quale la Commissione addirittura chiede una lista dettagliata di tutti i provvedimenti autorizzativi in materia ambientale violati dall’Ilva dal 1996 a oggi, alla luce del principio «chi inquina paga». La commissione chiede atti, sentenze, rinvi a giudizio e tutta la documentazione giudiziaria riguardante lo stabilimento di Taranto, chiedendo inoltre di quale connessione ci sia tra l’inquinamento contestato con sentenza della Cassazione nel 2005 e l’inquinamento attuale. Viene, poi, sollecitata copia del piano industriale dell’Ilva dopo la nomina del commissario Piero Gnudi - piano industriale in realtà ancora non redatto - e una relazione su tutte le azioni prese.


Poi vengono i nodi economici, assai complicati da sciogliere. La Commissione europea, che scrive qualche giorno prima il gip di Milano disponga il trasferimento di un miliardo e 200 milioni di euro sequestrati ai fratelli Riva per frode fiscale nel capitale sociale dell’azienda, contesta la disposizione normativa che lo permette, arrivando a sostenere che «a seguito del trasferimento delle somme, lo Stato italiano diventerà azionista di Ilva»: e quel diventerà, appunto, è stato scritto a trasferimento non ancora autorizzato.


A tal proposito, Bruxelles pone due domande a dir poco imbarazzanti: «per quale motivo somme depositate presso un fondo statale e amministrate da un soggetto pubblico (Equitalia giustizia, ndr) non rappresentino risorse statali? E perché il loro trasferimento ad Ilva in ottemperanza ad un atto normativo (il decreto legge Ilva-Terra dei fuochi dell’agosto 2014, ndr) non sia imputabile allo Stato?»


Quindi c’è la questione riguardante il prestito ponte, in due tranche da 125 milioni di euro l’una, contratto dal commissario Gnudi con un pool di banche per garantire il pagamento degli stipendi e dei fornitori. La Commissione europea ritiene infatti che avendo considerato quel prestito prededucibile (ovvero a pagamento prioritario in caso di insolvenza) sia da considerare aiuto di Stato per il rischio che lo Stato ha in termine di potenziale riduzione della possibilità di soddisfacimento di eventuali crediti nei confronti dell’Ilva in caso di fallimento. E a dimostrare il coinvolgimento dello Stato nella pratica del prestito ponte, la Commissione europea cita riunioni svoltesi al ministero dello Sviluppo Economico con gli enti locali per stabilire la priorietà da dare ai pagamenti dei debiti Ilva dopo l’ottenimento dei prestiti ponte.


L’ultimo quesito riguarda l’ambiente. La Commissione europea alla luce del protocollo sottoscritto nell’estate del 2012 tra Governo e enti locali per interventi urgenti di bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione, contesta il fatto che tale interventi, fatti per riparare i danni provocati dall’inquinamento prodotto dall’Ilva, siano finanziati dallo Stato. «La Commissione è dell’avviso - si legge nella lettera - che gli interventi di bonifica previsti dal protocollo, sebbene non effettuati sull’area dove insiste lo stabilimento dell’Ilva, sono intesi a bonificare aree adiacenti che risultano altamente inquinate direttamente a causa di Ilva».
(GdM)



Ilva, la Ue ipotizza aiuti di Stato. Nel mirino prestito ponte e decreto 'Terra dei fuochi'

La Commissione europea indaga su presunti aiuti di Stato concessi all'azienda siderurgica Ilva e chiede al governo italiano risposte entro il 20 novembre. La Commissione vuole capire se "lo Stato italiano diventerà azionista di Ilva". La Dg Concorrenza della Commissione ha inviato, lo scorso 20 ottobre, una lettera di otto pagine al governo italiano - dal titolo eloquente "Presunti aiuti a Ilva" - in cui si chiedono ulteriori informazioni, dopo una prima missiva inviata a fine maggio, su tre presunte misure di aiuto, dal trasferimento di fondi sequestrati dalla magistratura al prestito-ponte concesso all'azienda, passando per le bonifiche di aree inquinate con fondi pubblici.


Nuove grane europee per il commissario governativo dell'Ilva Piero Gnudi, dunque. L'Ue chiede chiarimenti sulla situazione economica dello stabilimento siderurgico più grande d'Europa, sulla sua programmazione industriale e si adombrano sospetti di violazione delle norme sulla concorrenza ed aiuti di Stato alle imprese private, con riferimento alle stampelle concesse dagli ultimi governi a suon di decreti, leggasi sblocco delle somme sequestrate per reati fiscali ai Riva e convertite in azioni di Ilva spa e prestito-ponte concesso dalle banche con la garanzia del governo.


La Commissione europea chiede delucidazioni sulle ultime due leggi approvate sull'Ilva, in particolare la "Ilva-Terra dei fuochi" che prevede il trasferimento delle somme sequestrate dai pm milanesi nell'inchiesta a carico di Emilio Riva (morto ad aprile) e suo nipote Adriano, indagati per frode fiscale. In virtù della norma, le somme sequestrate sono state sbloccate dal gip di Milano e saranno intestate al fondo unico di Giustizia, gestito da Equitalia per diventare azioni di Ilva. La Commissione quindi si chiede se lo Stato italiano diventerà così azionista del siderurgico. Quanto al prestito-ponte di 250 milioni di euro (per metà già erogato) concesso da un pool di banche con la garanzia della prededucibilità da parte del governo (cioè la priorità di credito in caso di fallimento o insolvenza), la Commissione ritiene che si tratti di un vero e proprio aiuto di Stato (al ministero dello Sviluppo economico si sono tenute riunioni con associazioni di categoria ed enti locali per garantire la priorità al pagamento di fornitori e stipendi).


La Commissione intende fare i conti in tasca all'Ilva. Chiede di indicare l'ammontare delle esigenze di liquidità di Ilva al momento della concessione del prestito-ponte di 125 milioni di euro e copie dei bilanci degli anni 2012 e 2013, nonché informazioni sulla situazione finanziaria aggiornata ad ottobre 2014 per capire se l'Ilva è o non è da considerare impresa in difficoltà. Le ragioni esposte nella precedente lettera del governo Renzi, secondo cui l'Ilva non è da considerare in difficoltà, sono state ritenute insufficienti. Fra le richieste, anche copia del piano industriale, che nonostante dovesse seguire a breve quello ambientale approvato prima dell'estate, non è ancora pronto.


Quanto alle questioni ambientali, la Commissione chiede all'Ilva copia delle sentenze dei magistrati e dei provvedimenti di sequestro e misure cautelari a carico dei proprietari e legali rappresentanti di Ilva. In particolare viene chiesto di spiegare la connessione fra inquinamento contestato con la sentenza passata in giudicato nel 2005 e l'inquinamento attuale contestato dalla magistratura tarantina nel maxi procedimento per disastro ambientale e dalla stessa Commissione che ha aperto a carico dell'Italia una procedura d'infrazione per violazione delle norme sull'inquinamento ambientale. La Commissione vuol sapere se nel caso di acquisizione di Ilva e costituzione di una new company (dove confluiscono impianti, personale ed attività industriale) ed una bad company (dove restano contenziosi e perdite), le richieste di risarcimento per danni ambientali possano subire limitazioni, alla luce del principio "chi inquina paga". Per lo stesso principio, la Commissione si chiede come mai sia lo Stato a pagare i 119 milioni di euro per le bonifiche delle aree vicine allo stabilimento inquinate a causa dell'Ilva.


La Commissione vuole una risposta entro il 20 novembre, altrimenti potrebbe ingiungere all'Italia di fornire le informazioni richieste o addirittura aprire una procedura d'investigazione formale. Dopo aver ricevuto la lettera, il commissario governativo Piero Gnudi nei giorni scorsi è volato a Bruxelles per cercare di fornire tutti i chiarimenti del caso.




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Cosa succede ai moli dell'Ilva quando piove?



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Che il minerale vada tutto il dilavato in acqua?
Così sembrerebbe da queste immagini messe in da un anonimo informatore in occasione dei recenti temporali (venerdì 7 nov)





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Come è possibile che disastri di questa portata stiano passando inosservati?

Quando non potremo più tornare indietro, quando i frutti di questo comportamento scellerato si ritorceranno contro i responsabili e contro quei giornalisti complici che hanno taciuto, allora forse si renderanno conto che tutto questo non conviene ad alcuno! [xx(]



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infatti -_-



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Cita:
Aztlan ha scritto:

A loro che si sono messi i soldi in tasca e andranno a vivere altrove, non può fregare di meno... [xx(]


Se lo scempio continuerà su questa linea sta tranquillo che a breve non si avrà altro posto dove andare.. [V]



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Lo so bene, cara shighella, ma loro, che si credono furbi, non vedono al di là del proprio naso e dei prossimi anni...

...tra 50 anni, se continua così, pagheranno insieme agli altri, visto che non possono trasferirsi su un altro pianeta,

ma per allora sarà troppo tardi per tutti noi.


Ecco perchè dobbiamo fermarli, visto che loro continueranno su questa strada fino alla fine.



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lunedì 17 novembre 2014

Basta che funzioni...


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Ma l’ambiente no!


Secondo indiscrezioni apparse sul quotidiano ‘La Repubblica’, ArcelorMittal avrebbe presentato un’offerta d’acquisto per rilevare lo stabilimento siderurgico jonico. Stando a quanto appresso verrebbero riconfermate il mantenimento degli attuali livelli di occupazione, l'intenzione di investire nel gruppo per il rilancio della produzione e la volontà di rilevare l’Ilva nella sua interezza. Latita però la questione ambientale


Un primo significativo passo per la cessione dello stabilimento siderurgico jonico è stato compiuto. Secondo indiscrezioni apparse quest’oggi sul quotidiano ‘La Repubblica’, ArcelorMittal, avrebbe presentato un’offerta d’acquisto, nella quale però non ci sarebbero ancora indicazioni economiche, mentre verrebbero riconfermate il mantenimento degli attuali livelli di occupazione, l'intenzione di investire nel gruppo per il rilancio della produzione e la volontà di rilevare l’Ilva nella sua interezza. Nello specifico Il polo di Taranto, per l'attività fusoria, di Genova e di Novi Ligure, per le attività di laminazione.


Sembra dunque che sia stata attesa le condizione posta dal commissario Piero Gnudi e dal ministro dello Sviluppo Economico Federica Guidi: preservare l'occupazione. Ancora non del tutto limpide invece le questioni inerenti l’attuazione degli investimenti necessari in materia di risanamento ambientale. Questione nient’affatto trascurabile questa, che potrebbe far capitolare Taranto dalla padella estremamente unta dei Riva alla brace dei franco indiani. La trattativa comunque è solo agli inizi e di certo non mancheranno i colpi di scena.
(Cosmopolismedia)






Prima offerta per Ilva da Marcegaglia e gli indiani



Entra nel vivo la gara per la conquista dell'Ilva. ArcelorMittal, leader mondiale del settore siderurgico con una produzione di 91 milioni di tonnellate, ha presentato l'offerta non vincolante per l'acquisto del gruppo italiano. La multinazionale dell'acciaio, che in Italia ha scelto come partner il gruppo Marcegaglia, ha così deciso di compiere il primo, significativo passo in una competizione che si annuncia ancora ricchi di colpi di scena e che a breve potrebbe anche vedere in campo la Cassa Depositi e Prestiti. La prima mossa ufficiale, comunque, porta per ora la firma di ArcelorMittal.


Secondo quanto risulta a Repubblica nell'offerta presentata non ci sarebbero ancora indicazioni economiche, mentre verrebbero riconfermate il mantenimento degli attuali livelli di occupazione, l'intenzione di investire nel gruppo per il rilancio della produzione e la volontà di rilevare l'Ilva nella sua interezza. Il gruppo, infatti, poggia essenzialmente sui tre poli di Taranto, per l'attività fusoria, di Genova e di Novi Ligure, per le attività di laminazione. Fondamentale, per ArcelorMittal è poter contare non solo sulle attività produttive di Taranto, ma anche sullo stabilimento di Genova-Cornigliano, che ha rinnovato i suoi impianti e che, soprattutto, mette a disposizione un milione di metri quadrati affacciati sul mare, una piattaforma logistica ideale da cui servire i mercati europei.


Le condizioni poste dal commissario straordinario del governo Piero Gnudi, che alle banche nei giorni scorsi ha chiesto di procedere con la seconda tranche del prestito-ponte, sono sostanzialmente note: preservare l'occupazione e attuare tutti gli investimenti in materia ambientale. Argomenti che non possono essere messi in discussione, come ha più volte spiegato anche il ministro dello Sviluppo Economico Federica Guidi. ArcelorMittal chiede però di concentrare in una "bad company" tutte le partite "incagliate" e le sofferenze dell'Ilva, riunendo attività e occupati nella nuova "good company" che entrerebbe nella rete internazionale del gruppo che produce acciaio in oltre sessanta Paesi del mondo.


Mentre appare in questo momento più defilata la posizione del gruppo indiano Jindal, resta invece confermato l'interesse per l'Ilva da parte del gruppo Arvedi. A sostegno della famiglia siderurgica potrebbe presto scendere in campo anche la Cassa Depositi e Prestiti. L'amministratore delegato Giovanni Gorno Tempini ha infatti confermato nelle scorse settimane l'interesse di Cdp per un settore "strategico" come quello dell'acciaio, in un Paese che è ancora il secondo produttore europeo.
(Rep)






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Cita:
La multinazionale dell'acciaio, che in Italia ha scelto come partner il gruppo Marcegaglia...




Ma certo che come partner è stato scelto il gruppo Marcegaglia, visto che a Emma, family & “friends” occorrono tanti tubi nuovi e scintillanti per installare il gasdotto mar Caspio--->Italia.



Emma con tutta la crew:

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