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greenwarrior ha scritto: Cita:
I problemi li abbiamo tutti, ma adesso basta con il vittimismo.
L' INDA SPA, azienda leader nel settore accessori per il bagno ha chiuso il suo stabilimento di Caravate (Varese). MASCIONI SPA Cuvio ( Varese ), 300 esuberi . WHIRPOOL SPA (ex IGNIS ) Comerio ( Varese ), chiusura di un intero reparto, da 300 a 500 esuberi.
I beni di consumo li pagate il doppio ????????? Ma vieni in Lombardia a vedere i prezzi dei beni di consumo e poi ne riparliamo. Il costo della vita da noi è il triplo, ma non lo sono gli stipendi.
Un insegnante siciliano, guadagna quanto uno di Bolzano. Un postino siciliano guadagna quanto uno milanese, ma i costi sono ben diversi.
Il metano costa il doppio in alta Italia dove fà più freddo e poco in Sicilia dove lo si usa raramente.
Sappiamo tutti quanto sia difficile aprire un attività dalle vostre parti senza dover scendere a compromessi con la mafia, ma credi che da noi sia diverso? Forse nei piccoli paesi, ma non nelle grandi città.
Quello che è diverso è la reazione verso questi abusi, che denota un diverso senso civico da quello esistente in meridione.
Solo voi siete i fautori del vostro destino e del vostro futuro, datevi da fare, fate la guerra e ribellatevi.
Si hai ragione dobbiamo fare la guerra per questo,leggi e aggiornati!:
Petizione al Parlamento Europeo
Premesso che:
L’Unione Europea è fondata, tra l’altro, sulla libertà, democrazia, uguaglianza, stato di diritto e diritti di persone appartenenti a minoranze di ogni tipo (art. 2 – Trattato sull’Unione);
La Sicilia è parte integrante dello Stato italiano, di cui costituisce una Regione ad autonomia differenziata per disposizione della Costituzione della stessa Repubblica (art. 116 della Costituzione della Repubblica Italiana e “Statuto Speciale della Regione Siciliana” alla stessa Costituzione allegato ai sensi della disposizione finale XVII della Costituzione medesima);
Considerato che:
Lo Stato italiano ha violato e continua a violare in maniera grave, sistematica e persistente i diritti politici, economici e sociali della Sicilia in spregio del proprio stesso ordinamento costituzionale, in particolar modo a partire dal 1957, anno in cui venne disattivata unilateralmente e senza modifica costituzionale alcuna l’Alta Corte per la Regione Siciliana, strumento di garanzia per i conflitti di competenza tra Stato Italiano e Regione Siciliana, e dal quale anno in poi si è posta in essere tutta una giurisprudenza costituzionale tanto incompetente quanto abrogativa che ha, nella forma, mortificato i diritti dei cittadini siciliani ad avere il proprio autogoverno e, nella sostanza, negato alla Sicilia ogni forma di coesione economica, sociale e territoriale per mantenerla viceversa in uno stato permanente di dualismo e colonialismo interno incompatibile con le finalità proprie dell’integrazione europea;
I sottoscrittori di questo petizione
chiedono
al Parlamento Europeo di approvare una mozione di condanna dello Stato italiano ed una diffida allo stesso per il rispetto dei diritti dei cittadini europei di Sicilia ed oggetto di una discriminazione strisciante indegna di un Continente che si vuole modello di integrazione sociale e di diritti di cittadinanza; nonché
di costituire un gruppo politico e tecnico di studio che elabori una serie di proposte istituzionali, anche mediante aggiunta di specifico protocollo o di modifiche ai Trattati, al fine di rendere compatibili, nel massimo grado possibile, le prerogative autonomistiche della Sicilia, in molti punti pari più a quelle di uno stato sovrano membro dell’Unione che non ad una sua “regione” o ripartizione politico-amministrativa interna, con l’integrità territoriale e politica dello Stato italiano e con gli ordinamenti europei attualmente vigenti.
(I sottoscrittori)
Motivazioni storiche:
La Sicilia è il Paese europeo che da più lungo tempo gode di istituzioni parlamentari, insieme al Regno Unito. Se l’Europa di oggi è fondata sulla democrazia rappresentativa, che trova nei Parlamenti la propria massima espressione, è indubbio che tale istituzione trovi la sua prima forma riconoscibile nelle monarchie di origine normanna: la Sicilia, appunto, e l’Inghilterra. La trasformazione delle primitive “assise” o “colloqui” in Parlamenti fu progressiva e di essa troviamo certa testimonianza già nella prima Inghilterra normanna, nell’Althing islandese e nei proto-parlamenti siciliani dell’XI secolo.
La certa trasformazione di quelle primitive assemblee in “Parlamenti” si può datare dalla partecipazione dei rappresentanti delle città accanto ai grandi lord e prelati: in Inghilterra questo passaggio lo si registra nella Magna Charta di Giovanni Senza Terra del 1215; in Sicilia, precocemente, con il Parlamento di Palermo che nel 1130 acclamò il primo Re di Sicilia invocando la natura regia che la Sicilia aveva avuto nell’Antichità. Da allora questo istituto si andò consolidando e fu convocato con sempre maggiore regolarità. Già nel primo XIII secolo il Parlamento Siciliano, sotto Federico II imperatore, diede la prima moderna legislazione ad un Continente ancora semi-barbarico. Durante la Rivoluzione Nazionale del Vespro (1282-1302) la Sicilia si diede la prima moderna forma di Monarchia costituzionale secondo la quale il Re non avrebbe potuto più dichiarare guerre o raccogliere tributi senza il consenso Parlamento (Parlamento di Catania, 1296) mentre la funzione legislativa veniva definitivamente condivisa tra Corona e Parlamento, il quale nel tempo avrebbe preso a convocarsi con regolarità ogni tre anni. Analoga maturazione avrebbe avuto il più noto Parlamento inglese solo tra la metà del XIV secolo e la “Glorious Revolution” (1688). La maggior fortuna che ebbe quest’ultimo nell’influenzare la politica europea non può cancellare il primato della piccola isola che, invece, nei secoli andò lentamente diventando sempre più marginale.
Ad ogni modo, nei secoli, pur perdendo la Sicilia i re “propri” ed entrando in “unione personale” con altre monarchie, riuscì ad imporre a tutti i sovrani il giuramento preventivo di rispettare le “Costituzioni e Capitoli” del Regno prima di prendere la Corona. Per secoli, sino alle guerre napoleoniche, la Sicilia conservò le proprie istituzioni rappresentative e la propria indipendenza interna.
Proprio durante le guerre napoleoniche le due corone “parenti” si rincontrarono: sotto protezione britannica il “vecchio” Parlamento siciliano elaborò (1812) una Costituzione moderna e liberale, la prima in uno stato di lingua italiana, sul modello di quella inglese. La Sicilia partecipò da paese in guerra alla lotta contro Napoleone e, teoricamente, era “paese vincitore” al Congresso di Vienna e ottenne in esso, per il proprio re, la restituzione della Corona di Napoli.
In quest’occasione si assisté però al primo strappo incostituzionale che caratterizzò la storia contemporana siciliana: contrariamente alla Costituzione siciliana del 1812 che proclamava solennemente l’indipendenza della Sicilia, il re di Sicilia e Napoli, annesse la prima alla seconda, assumendo l’ambiguo titolo di “Re delle Due Sicilie”, sospendendo le libertà fondamentali, sciogliendo il Parlamento e riducendo la Sicilia ad una sorta di governatorato coloniale assoggettato al Continente.
I Siciliani non accettarono mai quell’abuso: dal 1816, anno della illegittima fusione delle Corone, sino al 1860, anno dell’Unità d’Italia, presero le armi quattro volte (1820, 1837, 1848, 1860) contro l’usurpatore borbonico. Nel 1848, per diciotto mesi, il Regno di Sicilia poté essere ricostituito, questa volta nel segno di una possibile “Confederazione italica” cui lo stesso avrebbe dovuto partecipare, e la costituzione e le leggi del vecchio e secolare Regno di Sicilia furono richiamate in vigore e “adattate ai tempi”.
Lentamente, però, le tradizionali aspirazioni nazionali siciliane s’incontrarono con quelle nuove, miranti all’unità d’Italia, anche per la difficoltà della Sicilia da sola di liberarsi dalla tirannia borbonica. E fu così che, poche settimane dopo l’ultima insurrezione fallita del 1860, i Siciliani non opposero significativa resistenza alla “Spedizione dei Mille” con la quale, sotto protezione inglese, Garibaldi assumeva la “Dittatura della Sicilia” in nome di Vittorio Emanuele già potenzialmente “Re d’Italia”.
Il Governo della Dittatura (maggio-dicembre 1860) rese temporaneamente la Sicilia stato indipendente da Napoli e richiamò in vigore le leggi e i provvedimenti del cessato Regno di Sicilia sino a quando, nel 1849, l’usurpazione non era ritornata. Lo stesso tentò di convocare, secondo lo Statuto del 1848, il Parlamento di Sicilia per decidere forme e modi per fare confluire, con le dovute garanzie e la dovuta autonomia, uno Stato come la Sicilia dotato di secolare sovranità, nel più ampio Stato italiano che si andava a formare. La Sicilia doveva aderire liberamente e non da paese conquistato all’unità d’Italia. Il governo piemontese, tuttavia, impedì manu militari che quel parlamento si convocasse e, in sua vece, fondò l’annessione della Sicilia all’Italia su un “plebiscito-farsa”, a voto palese e comunque non libero, in cui, infatti, appena 667 furono i NO all’annessione incondizionata al Regno d’Italia.
Seguì una brutale conquista e colonizzazione della Sicilia, asservita all’economia dell’Italia settentrionale alla pari di un remoto possedimento coloniale. Per circa ottant’anni la Sicilia fu sottoposta ad uno sfruttamento devastante, alternato da leggi marziali e per mezzo di una dilagante corruzione per spegnere il dissenso. Per la prima volta nella sua storia questa gloriosa Terra fu marchiata d’infamia come “Terra della mafia” e milioni di suoi abitanti furono costretti ad un esodo che mai aveva conosciuto nella sua millenaria storia.
I crimini contro l’umanità commessi dallo Stato italiano in Sicilia, dalla strage dei contadini di Bronte del 1860 alla strage del pane di Via Maqueda del 1944 non sono ripercorribili in questa nota, ma non hanno ancora il dovuto posto nella memoria collettiva del Paese e dell’Umanità.
In questo contesto si inserisce l’occupazione alleata della Sicilia, durante il II conflitto mondiale, con la quale, per il generale malcontento e la posizione dell’Italia di paese sconfitto, si prospettò la possibilità che la Sicilia diventasse un paese a sé stante.
Gli equilibri politici internazionali non fecero propendere per una sanzione così dura contro l’Italia e, nonostante le forti pressioni, si optò per mantenere la Sicilia all’interno dello Stato italiano, riconoscendo però alla stessa un’amplissima autonomia legislativa, amministrativa, finanziaria e finanche giudiziaria e di ordine pubblico.
Gli Alleati consegnarono la Sicilia all’Italia nel febbraio del 1944, la quale costituì per essa l’Alto Commissariato per la Sicilia che avrebbe dovuto traghettare l’Isola dall’amministrazione centralizzata a quella autonoma. Nel dicembre del 1944 l’Alto Commissario fu coadiuvato da una Consulta regionale, sorta di parlamento provvisorio, composta dai rappresentanti di tutti i partiti politici, con l’esclusione di quelli indipendentisti, nonché degli “stati generali” di tutte le categorie produttive della Sicilia.
Questa Consulta al proprio interno elaborò (1945) un progetto di Statuto di Autonomia, su basi sostanzialmente confederali e lo sottopose per l’approvazione al Governo statale. Lo Stato italiano, dopo breve negoziazione, accettò quello Statuto, quale vero e proprio patto pacificatorio tra Italia e Sicilia, con Regio Decreto del 15 maggio del 1946, qualche giorno prima che un referendum nazionale trasformasse lo Stato italiano da monarchia a repubblica.
L’Assemblea Costituente della Repubblica italiana (1946-48) discusse ed approvò quel modello di autonomia, prevedendolo intanto all’interno della propria Costituzione, al fianco di altre autonomie differenziate (dicembre 1947) e poi (febbraio 1948) recependolo integralmente come Legge costituzionale speciale.
Nonostante ciò, però, lo Stato italiano non ha cessato di boicottare sin dall’inizio l’Autonomia dei Siciliani passando, tutt’al più, dal modello repressivo e coloniale che sino ad allora aveva regolato i rapporti tra l’Isola e il Continente con un nuovo tipo di colonialismo, quello dei trasferimenti, dell’assistenzialismo e delle clientele, per “comprare” il consenso di talune classi dirigenti isolane in cambio della rinuncia sostanziale all’attivazione di quelle prerogative autonomistiche in grado di dare alla Sicilia uno sviluppo autopropulsivo e pari dignità di cittadinanza ai suoi abitanti.
Anche qui sarebbe troppo lungo un elenco dei torti e delle violazioni subite dopo la concessione dell’Autonomia ma si ricordi almeno il vulnus più grave che questa ha subito, da cui poi ne sarebbero derivati molti altri e sempre più duri.
L’Autonomia, proprio per la sua eccezionalità, poggiava su una corte di giustizia costituzionale paritetica, l’Alta Corte per la Regione siciliana che, fra gli altri compiti, dirimeva i conflitti di competenza tra Stato e Regione.
Tale corte non potè dare avvio ai propri lavori prima del 1948 e funzionò regolarmente sino al 1957, nonostante i continui boicottaggi dello Stato. Nel 1957, poco dopo la composizione della prima Corte Costituzionale, lo Stato “rinviò” la nomina dei giudici in scadenza dell’Alta Corte, in attesa…che una legge costituzionale stabilisse meglio il rapporto che doveva instaurarsi tra le due corti costituzionali. Quel “rinvio” equivalse ad una disattivazione. Da allora ad oggi le sue funzioni sono illegittimamente esercitate dalla Corte Costituzionale, che non è il giudice costituito per legge a dirimere le questioni di costituzionalità delle norme vigenti in Sicilia né dei conflitti Stato-Regione, e questa Corte ha provveduto, a colpi di sentenze, a ridimensionare prima e progressivamente ad annullare poi, ogni parte vitale dello Statuto Speciale del 1946. Le reiterate richieste da parte del mondo siciliano di rinnovare la Corte “fantasma” non hanno trovato esito alcuno sino ad oggi. Le ultime sentenze della Corte Costituzionale, infine, nel 2010, hanno addirittura rinnegato la propria stessa giurisprudenza ed hanno semplicemente azzerato il disposto letterale dello Statuto siciliano. Lo squilibrio è ormai insanabile, la misura è colma. I cittadini siciliani non possono vivere ulteriormente nella discriminazione e nell’illegalità.
Motivazioni giuridiche:
Dal punto di vista giuridico interessa che queste violazioni non hanno soltanto un rilievo interno all’ordinamento giuridico italiano, ma sono gravemente lesive degli obblighi che l’Italia ha contratto aderendo all’Unione Europea. Nel seguito si farà dunque riferimento alle norme come riportate nei testi consolidati del Trattato sull’Unione Europea, del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea e della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea.
Il mancato rispetto dello Statuto Speciale della Regione Siciliana crea di fatto una discriminazione continua, in tutti gli atti dipendenti dalla volontà politica dello Stato italiano ma anche, nel principio, una condizione permanente di assenza dello “stato di diritto” e quindi, implicitamente, tanto della piena libertà e democrazia, quanto del rispetto delle minoranze, nell’accezione ampia di cui all’art. 2 del Trattato sull’Unione Europea.
L’Italia ha violato altresì gravemente l’art. 3 del medesimo Trattato in quanto, in assenza dei diritti riconosciuti alla comunità siciliana, e nel persistere ormai da 150 anni di una condizione oggettivamente strutturata secondo canoni di colonialismo interno, pregiudica definitivamente il “benessere” del Popolo siciliano (comma 1), la “coesione economica, sociale e territoriale” della Sicilia con il resto d’Europa (comma 3), il rispetto della diversità culturale e linguistica e della “salvaguardia e sviluppo del patrimonio culturale” siciliano, oggetto di continua assimilazione da parte di quello italiano (comma 3).
L’Italia ha violato il riconoscimento della propria stessa identità nazionale insita nella propria struttura costituzionale, nella parte in cui questa istituisce l’Autonomia Speciale della Sicilia, esplicitamente riconosciuta e tutelata dall’art. 4 del Trattato sull’Unione, nonché il generale principio di sussidiarietà di cui all’art. 5, il quale, in quanto generale, non può riguardare solo i rapporti tra Stati e Unione ma anche tra Stati ed autonomie regionali e locali.
L’Italia ha violato l’art. 6 del Trattato sull’Unione in quanto questo richiama la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea. Infatti la fondamentale Carta dei Diritti appare anch’essa violata apertamente in più punti: i divieti di discriminazione su base etnica e culturale di cui agli articoli 21 e 22, l’eleggibilità al Parlamento Europeo di cui all’art. 39, la sottrazione delle cause di costituzionalità al “giudice precostituito per legge” di cui all’art. 47 stante l’avocazione unilaterale delle stesse dall’Alta Corte per la Regione Siciliana alla Corte Costituzionale, in nome di un “principio di unità giurisprudenziale” che, forse argomentabile in un ordinamento giuridico chiuso, appare del tutto fuori luogo nell’attuale condizione di strutturale subordinazione della giurisprudenza degli stati a quella europea, e quindi di vero e proprio “sistema” continentale di giurisprudenze che non può ammettere una suprema fonte interna ad un solo stato per solo principio.
La “difficoltà” di elezione dei cittadini di Sicilia al Parlamento Europeo merita ancora una particolare denuncia.
L’Italia riconosce alla Sicilia una soggettività politico-istituzionale autonoma ma poi, nella propria legge elettorale interna, e “a differenza” di altre autonomie speciali, come quella della Val d’Aosta o quella del Trentino-Alto Adige/Suedtirol, pone uno sbarramento elettorale calcolato a livello nazionale. In tal modo una formazione politica regionale dovrebbe conseguire percentuali pari al 40/50 % in Sicilia per poter avere rappresentanti propri al Parlamento Europeo. Quindi un siciliano, se da un lato si vede riconosciuta un’autonomia speciale significativa di una distinta soggettualità geopolitica, viene poi “forzato” a passare dalle formazioni politiche nazionali se vuole avere speranze realistiche di essere rappresentato in Europa. Ma vi è di più. La Sicilia non ha circoscrizione elettorale propria e la divide con la Sardegna, altra regione a statuto speciale fortemente discriminata nella rappresentanza parlamentare; un’unica circoscrizione cui viene assegnato un numero irrisorio di eurodeputati (meno che quelli della vicina Malta). Poi i seggi sono distribuiti alle circoscrizioni non in base alla popolazione o in base ad una rappresentanza degressivamente proporzionale (come accade tra stati europei fra i quali i rappresentanti sono attribuiti proporzionalmente in modo più favorevole ai piccoli stati) ma, al contrario, in proporzione ai voti effettivi con un effetto che di fatto distorce la rappresentanza parlamentare a favore delle regioni più popolose in maniera progressivamente proporzionale. L’elettore delle isole, infatti, “scoraggiato” nella possibilità di poter esprimere candidature realmente proprie, va strutturalmente a votare meno che nel Continente. Da ciò nasce un’attribuzione ridotta di seggi che, sommata alla magra spartizione tra Sicilia e Sardegna e allo sbarramento elettorale su base nazionale, rende praticamente irrilevante la voce dei rappresentanti delle due maggiori isole del Mediterraneo al Parlamento europeo.
Tale limitazione viola peraltro esplicitamente anche l’art. 10 del Trattato sull’Unione. Lo stesso articolo è violato anche nella composizione dei componenti il Consiglio. Se infatti la Sicilia è correttamente rappresentata dallo Stato italiano nel Consiglio Europeo, non così lo è nel Consiglio propriamente detto poiché tutte le funzioni esecutive ed amministrative sono devolute alla Regione che ne risponde democraticamente nei confronti del proprio Parlamento o, per le pochissime funzioni statali residue, sono devolute comunque al Presidente della Regione nel rango di Ministro della Repubblica italiana. Il Ministro italiano non è quindi competente a rappresentare la Sicilia in Consiglio per l’eccezionale forma di autonomia di cui la Sicilia gode nell’ordinamento italiano. Senza modifica di trattati o aggiunta di protocolli, nei quali si potrebbe dare la rappresentanza separata in Consiglio alla Sicilia sulle materie di propria competenza (in pratica tutte o quasi), l’Italia avrebbe l’obbligo di concordare con la Sicilia il rappresentante comune dello Stato italiano in Consiglio ovvero istituire sui deliberati un continuo sistema di consultazioni e di autorizzazioni da parte dell’autorità regionale competente, sistema che ad oggi non esiste. L’Italia, partecipando al Consiglio, elude così l’Autonomia siciliana contribuendo a formare da sola, e non di concerto con la Sicilia, la volontà delle istituzioni europee di cui fa parte su materie originariamente riservate alla competenza della Regione Siciliana.
Le politiche economiche italiane, poi, forti dell’elusione del conflitto di interessi strutturale tra Sicilia e Italia derivante dalla mancata applicazione dello Statuto Speciale, non si sono mai o quasi mai ispirate alla leale collaborazione tra amministrazioni pubbliche che la stessa Costituzione italiana prevede e, in tal modo, non solo non hanno contribuito in alcun modo a ridurre i divari di livelli di sviluppo tra le varie parti del Paese (come sistematicamente avviene a danno di tutto il Mezzogiorno sin dalla stipula del Trattato di Roma) ma non hanno tenuto in nessun conto la peculiare condizione di marginalità delle proprie regioni insulari, violando in tal modo gli artt. 174 e 175 del Trattato sul funzionamento dell’Unione. La Costituzione italiana prevede, infatti, per entrambe le Regioni insulari uno Statuto speciale volto a ridurre questo divario che, almeno nel caso della Sicilia, poi risulta completamente disatteso nei fatti.
L’Italia, infine, avendo riconosciuto lo Statuto Siciliano all’interno della propria Costituzione con legge costituzionale del 1948 che a sua volta riconosceva analoga concessione del maggio 1946 (ancora “Regno d’Italia” e non “Repubblica italiana”) su proposta della Consulta Siciliana, in tal modo ha dato vita ad una forma di Autonomia che ha natura pattizia, cioè di vera e propria Convenzione tra Italia e Sicilia volta a sanare le precedenti incostituzionalità ed illegittimità che avevano caratterizzato lo storico processo di integrazione della Sicilia con l’Italia. Tale Convenzione era pienamente vigente al 1° gennaio 1958 e l’Italia avrebbe avuto l’obbligo di porne il coordinamento con gli ordinamenti comunitari per mezzo di apposite norme o protocolli o regime assimilabile a quello dei “Paesi e Territori d’Oltremare” già alla nascita della Comunità Economica Europea e poi successivamente nei vari trattati sino alla norma prevista dall’art. 351 del vigente Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea in materia di convenzioni preesistenti all’integrazione europea. La totale noncuranza dell’Italia nei confronti dei propri obblighi interni nei confronti della Sicilia non può in alcun modo pregiudicare i diritti di quest’ultima.
Esemplificazioni e conseguenze:
In conseguenza dei colpi di mano dall’origine o progressivamente realizzati dallo Stato italiano le parti più vitali della Carta Autonomistica, quelle che avrebbero consentito di porre termine ad ogni ingiustizia interna allo Stato italiano e discriminazione fra cittadini, sono state bandite o rinviate sine die. A titolo di mero esempio si rappresenta l’assenza di:
- gran parte delle norme attuative dello Statuto che si sarebbero dovute produrre negli anni immediatamente seguenti la sua concessione e che ancora attendono dopo 65 anni la loro emanazione;
- l’attivazione di un ordinamento tributario autonomo, nei limiti previsti dallo Statuto, con deliberazione autonoma, da parte della Sicilia, dei tributi da istituire, alla pari degli stati membri dell’Unione, il quale non configurerebbe “aiuto di stato”, giacché non deliberato dallo Stato italiano ma derivante da una fonte di produzione legislativa autonoma e fondato sul principio di responsabilità per il quale, con i propri tributi, e nel quadro dell’armonizzazione dei conti delle amministrazioni pubbliche europee, la Sicilia avrebbe dovuto far fronte alle proprie esigenze;
- l’applicazione generalizzata del principio di territorialità nell’attribuzione del gettito tributario, sempre al pari degli stati sovrani, secondo cui rileva non la sede o il domicilio del soggetto passivo, bensì il luogo in cui si manifesta il presupposto d’imposta;
- la devoluzione generalizzata del demanio e del patrimonio dello Stato (con la rilevante eccezione di quello militare) alla Regione ed ai suoi enti locali;
- la corretta e certa determinazione del Fondo di Solidarietà Nazionale da destinare agli investimenti che avrebbero consentito di superare il gap storico tra Sicilia e resto del paese dal punto di vista infrastrutturale;
- la compartecipazione della Sicilia, con istituto proprio, alla gestione delle riserve valutarie, con funzioni implicite, quindi, di Banca Centrale Nazionale attribuita per il territorio della Regione Siciliana ad istituto autonomo in parità con gli altri membri del S.E.B.C. e la necessità, pertanto, di adeguare la peculiare e pregressa posizione della Sicilia con adeguato protocollo ai trattati europei;
- la devoluzione di tutte le funzioni amministrative ed esecutive dallo Stato alla Regione, con la sola eccezione di quelle di difesa e rappresentanza estera, compresa la creazione di authorities regionali di controllo secondo il principio europeo consolidato dell’home country control (energia, telecomunicazioni,…);
- la soppressione delle province e delle prefetture e la loro sostituzione con liberi consorzi di comuni ed organismi periferici della Regione medesima;
- la partecipazione strutturale col rango di Ministro del Presidente della Regione al Consiglio dei Ministri italiano nella qualità di capo della residua amministrazione statale in Sicilia;
- l’esenzione daziaria sull’importazione di beni capitali per i settori agricolo ed agro-industriale (da negoziare, per le modalità attuative, con le istituzioni europee competenti);
- la gestione autonoma del proprio debito pubblico, con possibilità di ricorrere a prestiti interni e direttamente al risparmio pubblico;
- l’istituzione delle sezioni civile e penale della Corte di Cassazione competenti per il territorio della Regione;
- la legislazione, gestione e controllo autonomo nei vitali settori del credito, delle assicurazioni e della finanza;
- la regionalizzazione della Polizia di Stato;
- l’autonomia nella scuola, nell’università e nella ricerca, dove poter insegnare e studiare lo Statuto Speciale della Regione così come la storia, l’arte, la musica e la letteratura e lingua siciliana, quest’ultima conformemente al riconoscimento previsto dalla Carta Europea per le lingue regionali e minoritarie;
- la compartecipazione della Sicilia alla formazione degli atti comunitari europei su materie di competenza costituzionale della stessa nonché l’autonoma attuazione di detti atti nel territorio della Regione siciliana.
Come si vede, quindi, la Costituzione italiana attribuisce alla Regione Siciliana una pluralità di competenze ordinariamente attribuita a veri e propri stati sovrani. Nella sostanza la Regione è dunque uno stato confederato all’Italia che non può essere trattato alla stregua di qualunque ente locale avente natura meramente amministrativa. Lo Statuto, e quindi la Costituzione italiana di cui esso è parte integrante ed indissolubile, riconosce pertanto alla Sicilia natura di comunità politica autonoma avente i suoi specifici diritti.
La violazione unilaterale e sistematica di questi diritti ha comportato nel tempo: una sistematica sottomissione degli interessi siciliani a quelli italiani, una sperequazione infrastrutturale e sociale sempre più ampia, un ruolo economico di tipo coloniale in cui la Sicilia è condannata a non partecipare allo sviluppo economico del Continente, sfavorendo slealmente l’economia della parte più ricca del Paese (questo sì è aiuto di Stato) e, quel che è peggio, surrogando i diritti della Sicilia con una serie di altrettanto illegittimi trasferimenti dallo Stato all’Isola (e da decenni sempre più attinti alle risorse comunitarie e oggi dell’Unione), intanto insufficienti a coprire le risorse di cui lo Stato si appropria indebitamente e il costo-opportunità del mancato sviluppo dell’Isola, ma anche inefficaci in quanto alimento unicamente del clientelismo, dell’assistenzialismo, di burocrazie pubbliche pletoriche e, in ultima analisi, di un generalizzato malaffare che paradossalmente poi viene imputato caratterialmente ai siciliani con una pubblicistica di stampo razzista, dalle televisioni ai film e finanche ai cartoni animati, nei quali al “cattivo” e al “mafioso” viene spesso dato accento siciliano.
Il clientelismo, a sua volta, insieme a sbarramenti elettorali e difficoltà di ogni tipo interposte alla formazione di nuova offerta politica, impedisce alla Sicilia ed ai Siciliani di far sentire la propria voce secondo gli ordinari canali della democrazia. Partiti, schieramenti e giornali “nemici” a Roma, diventano sodali in Sicilia contro gli interessi dei Siciliani. E tutto ciò nel XXI secolo appare intollerabile.
Per tutto quello che precede i sottoscrittori si appellano al rispetto dei diritti costituzionali della Sicilia per uscire dal sottosviluppo, per la liberazione possibile dalla mafia e da ogni altra illegalità, per una propulsione autonoma che possa condurre a vere condizioni di pari opportunità e continuità territoriale per i siciliani, fuori dall’assistenzialismo e dalla subalternità.
Senza l’applicazione dello Statuto saranno inutilmente disperse, come in passato, preziose risorse europee quali quelle dei fondi strutturali, giacché queste non potranno incidere sui reali rapporti coloniali che incatenano la Sicilia all’Italia.
Senza l’applicazione dello Statuto i Siciliani saranno sempre sudditi, piegati dalla richiesta del “favore” al posto di ciò che è invece un “diritto”.
Solo con l’applicazione dello Statuto potranno essere superate definitivamente le cancrene che oggi attanagliano l’Isola affinché questa possa camminare sulle proprie gambe, per mezzo di responsabilità e non di privilegi, come qualunque normale parte o regione d’Europa.
La Sicilia lotta ormai da almeno sei secoli per l’Autogoverno e sinora l’aver delegato ad altri il proprio destino ha prodotto soltanto un lento ed inesorabile declino.
I sottoscritti chiedono quindi a gran voce l’osservanza dello Statuto Speciale di Autonomia per porre fine a tale intollerabile discriminazione e violazione dei propri diritti costituzionali.