Accolta la richiesta dell’ex Sisde. Ingroia non aveva depositato alcuni verbali
(...) comincerà l’8 novembre. La seconda notizia, invero datata, è che la giustizia italiana fa schifo: Contrada fu arrestato nel Natale 1992 e passò qualcosa come 31 mesi e sette giorni di carcerazione preventiva, accusato da vari pentiti di aver passato informazioni a Cosa nostra e di aver favorito la fugadi Totò Riina. Neseguì una cronologia allucinante: 5 aprile 1996, condannato a dieci anni; 4 maggio 2001, assolto in Appello; 12 dicembre 2002, la Cassazione annulla l’assoluzione e ordina di rifare l’Appello; 25 febbraio 2006, nuova condanna a dieci anni in Appello; 10 maggio 2007, la Cassazione conferma la condanna; ed eccoci infine a ieri, 24 settembre 2011, accettazione della richiesta di revisione al terzo tentativo, complice la perseveranza dell’avvocato Giuseppe Lipera. Fanno un totale di 19 anni, questo per rendere giustizia a una persona che ne sta per compiere 80 ed è decisamente malandato di salute: da ricordare che il 28 dicembre 2007, ricoverato al reparto detenuti dell’Ospedale Cardarelli di Napoli, fu lo stesso Contrada a chiedere le dimissioni volontarie dall’ospedale per via delle condizioni inaccettabili del reparto, «un vero e proprio lager» come il suo legale ebbe a definirlo
L’INTERROGATORIO
Ed eccoci alla terza notizia, forse la più inquietante. Nel ricorso dell’avvocato Lipera, da quanto inteso, si chiede anche la citazione dei magistrati Antonio Ingroia, Alfredo Morvillo e Giancarlo Caselli, e questo per via di un episodio che per l’accettazione della revisione pare sia stato decisivo. L’episodio riguarda un vecchio interrogatorio del pentito Vincenzo Scarantino, già protagonista di balle clamorose e purtroppo accreditate nel processo per la strage via D’Amelio: il pm Antonio Ingroia, infatti, raccolse alcune deposizioni di questo Scarantino ai danni di Bruno Contrada e Silvio Berlusconi, ma poi, quando si accorse che mancava ogni riscontro alleaccuse, non riversò i verbali dai fascicoli processuali e soprattutto non li riversò neppure nel fascicolo del pubblico ministero, sottraendolo così a ogni valutazione della difesa e omettendo ogni indagine a riguardo. Come sappiamo tutto questo? È lo stesso Ingroia ad averlo raccontato nel suo recente libro Nel Labirinto degli Dei, a pagina 81: «Avevo interrogato Vincenzo Scarantino», scrive Ingroia, «che si era autoaccusato di avere organizzato il furto della Fiat 126 usata come autobomba in via D’Amelio. Indagini più recenti della Procura di Caltanissetta sembrano, comunque, aver definitivamente smascherato Scarantino come depistatore e falso pentito». Parentesi: cheè esattamente quello che è successo anche per Massimo Ciancimino, individuato come mistificatore a Caltanissetta ma dapprima sfruttato a Palermo per più di tre anni. Ma Ingroia prosegue: «Interrogai Scarantino una sola volta... era stato lui a mettere sul piatto due temi di prova apparentemente appetitosi: nuove accuse a carico di Bruno Contrada, all’epoca già inquisito e in custodia cautelare per concorso esterno in associazione mafiosa; e, addirittura, dichiarazioni che coinvolgevano il già allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi in oscure vicende di traffico di stupefacenti». Roba pesante, dunque: c’era da indagare per verificare la fondatezza delle dichiarazioni oppure per verificare, se false, quale manovra o depistaggio fosse in corso. Ma ecco, la procura di Palermo si fermò solo al primo caso: «Le dichiarazioni a carico di Contrada erano apparentemente riscontrabili, quelle che riguardavano Berlusconi, invece, erano generiche e sostanzialmente indimostrabili... L’esito fu sconfortante... Non era stato acquisito alcun riscontro che si potesse considerare individualizzante a carico di Contrada». E anche a carico di Berlusconi, ovviamente. Che fare? Ingroia ne parlò col contitolare del processo Contrada, il pm Alfredo Morvillo, e poi anchecol capo della ProcuraGian Carlo Caselli: «Decidemmo di non servirci delle sue dichiarazioni accusatorie. Esse pertanto non furono mai utilizzate né per il processo Contrada né nei confronti di Berlusconi».
Una buona ragione, evidentemente, per farle sparire: e così fu. Al punto che anche Bruno Contrada e il suo legale, Giuseppe Lipera, solo nel gennaio 2011 hanno appreso dell’esistenza dell’interrogatorio di Scarantino e solamentedal libro di Ingroia: «Quanto ho letto mi ha destato stupore e sbigottimento», disse Contrada in luglio scorso, «poiché nel processo che mi riguarda non si parlò mai di accuse che Scarantino avrebbe rivolto nei miei confronti, né mai seppi di questa circostanza; ricordo benissimo che nel fascicolo del pm non c’era alcun atto riguardante un interrogatorio a Scarantino né successivi accertamenti della polizia giudiziaria». Nel libro di Ingroia, come visto, si legge che le dichiarazioni di Scarantino «non erano convincenti, come non lo era il teste», ma a quanto pare non fu fatta nessuna indagine per capire il motivo delle false accuse.
Da qui, con anni di ritardo, una serie di domande che anche il tribunale di Caltanissetta ritiene quantomeno legittime: chi suggerì quelle accuse, e perché? A quando risalgono le dichiarazioni di Scarantino? Perché non furono riversate nel fascicolo? Oltretutto Ingroia, nel libro, scrive di accertamenti negativi «sconfortanti» operati dalla polizia giudiziaria: che fine hanno fatto? E perché - come fece ad esempio Falcone col pentito Pellegriti - non si è proceduto per calunnia contro il ballista Scarantino? Stiamo parlando, nel caso di Contrada, di un iter processuale che ha ribaltato di continuo sentenzedi condannae diassoluzione, e dove non c’è dichiarazione o testimonianza che non abbia pesato complessivamente sul piatto della bilancia: «Sarebbe stato un tassello importante per scoprire chi complottava nei miei confronti», si legge nell’esposto, «macosì si ha impedito alla difesa di esercitare tutte le azioni che avrebbero potuto chiarire il contesto in cui è maturata la vicenda giudiziaria che mi riguarda». L’avvocato Lipera sostiene addirittura che il processo avrebbe potuto prendere una piega diversa, che Contrada avrebbe potuto uscirne assolto. Diciamo che qualche dubbio, dato il balletto delle sentenze, è perlomeno legittimo. Altri dubbi riguardano sicuramente Antonio Ingroia e la procura di Palermo, ormai specializzati in pataccari da sfruttare (sinché utili) salvo arrestarli o farli sparire quando la situazione si comprometta. È stato così per Massimo Ciancimino, portato in palmo di mano perpiù di tre anni e poi preservato - con le manette - dall’intervento di altre procure. È stato così per il pentito Vincenzo Scarantino. Bisognerebbe capire se ce ne siano altri.
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..justitia italiana,ogni tanto si dimentica qualcosa,o x scrivere le sentenze sarebbe piu' veloce una lumaca............................