Cita: sezione 9 ha scritto: Leggo dal dizionario del Corriere. Infame: di azione che rende spregevole chi la compie e che, in casi specifici, ha anche lo scopo di disonorare la persona contro cui è rivolta Ora, Scalfaro è stato qui definito "infame" e "impunito", come corrotto e approfittatore di fondi neri. Sbaglio, o quello scandalo (quello del "non ci sto") è finito con la condanna di chi accusò Scalfaro? http://archiviostorico.corriere.it/1994 ... 3566.shtmlDunque, tenendo presente la definizione di infame, chi è l'infame qui, chi è stato accusato senza alcun fondamento o chi lo ha accusato, e lo accusa?E sì che, volendo, di cose da imparare ce ne sarebbero, su Scalfaro, sia in positivo che in negativo. Purtroppo, non si vuole usare la ragione. Sezione.... prima di dare dell'infame ai presenti e prima di riportare pseudo verità di facciata (o di "partito"), dovresti DOCUMENTARTI a dovere. Perchè, come ti ho detto, rischi di fare l'ennesima figura barbina. Tratto dal libro: Piombo rosso. La storia completa della lotta armata in Italia dal 1970 a oggiDi Giorgio Galli http://www.ibs.it/code/9788884905079/ga ... toria.htmlFONDI NERI DEL SISDEda pag 267 a pag. 276 Gli anni definiti di transizione dalla prima alla peraltro incompiuta seconda Repubblica, sono caratterizzati, per quanto riguarda i servizi, soprattutto dalla vicenda dei «fondi neri» del Sisde (1992-93) e dalla lotta alla mafia che, dagli omicidi di Falcone e Borsellino (1992) culmina con l'arresto di Riina (1993), per sfociare negli attentati della primavera-estate '93. Altro evento importante è l'omicidio di Ilaria Alpi e di Miram Hrovatin, nel 1994. Occorre tenere presente che le vicende della lotta alla mafia coinvolgono il numero uno del Sisde, generale Mario Mori (dell'Arma) e il precedente numero tre, questore Bruno Contrada. Le tre vicende (fondi neri, mafia, Ilaria Alpi) concorrono nel fornire un quadro d'insieme dei servizi prima della svolta delle elezioni del 1994. Esse vanno però analizzate separatamente, a partire dalla prima.
La faccenda dei fondi neri ha due precedenti che vanno ricordati: il primo immediato, l'altro di cinque anni prima. Il 17 marzo 1992 il Quirinale comunicò l'insediamento di una commissione di esperti per lo studio di una ristrutturazione dei servizi, dopo le polemiche su «Gladio». L'8 febbraio '93 il ministro della Difesa, Fabio Fabbri (Psi), annunzio che cessavano di far parte dei servizi, per tornare alle amministrazioni di provenienza, 427 persone su 4441 (313 del Sismi, 129 del Sisde, 25 del Cesis, la struttura di coordinamento).
Dopo lo scoppio dello scandalo, la riforma, che poteva apparire più urgente, venne invece accantonata dal governo Ciampi, che ritirò il disegno di legge in materia il 3 dicembre '93. Si possono supporre pressioni dei servizi, rese possibili perché la vicenda dei fondi neri coinvolgeva varie personalità politiche. Tra esse Oscar Luigi Scalfaro, nel frattempo divenuto presidente della Repubblica dopo le elezioni del 1992 e le dimissioni anticipate di Cossiga, comunque in scadenza del mandato settennale. E proprio a Scalfaro si riferisce l'altro precedente che risale al 1987.
Convocato dalla Commissione affari costituzionali della Camera, quale ex ministro dell'Interno (del governo Craxi), la sua audizione sui servizi segreti viene così riassunta: «Le pressioni politiche sui servizi segreti ci furono, o per lo meno Scalfaro ne è convinto. Ma, sottoposto a un fuoco di fila di contestazioni, non ha saputo o non ha voluto fornire ulteriori assicurazioni. "
I servizi - disse al 'Corriere della Sera' l'8 agosto '87, in una intervista che scatenò un mare di polemiche, non ancora sopite (e confermata in Commissione) - non si sarebbero mai prestati a strumentalizzazioni, anche le più meschine e personalistiche. Io ritenni che tentativi fossero avvenuti, ma non chiesi ulteriori par-ticolari, sia perché il direttore del Sisde Parisi non aveva fatto nessun accenno che potesse farle ipotizzare, sia perché l'assoluta ortodossia di comportamento dei servizi chiudeva ogni problema. Se così fosse stato, sarei intervenuto senza riguardi per chicchessia". Scalfaro si diffonde anche a spiegare quali sarebbero potuti essere i comportamenti illeciti. "Si può chiedere protezione per una persona che si teme sia in grave pericolo e si può determinare un controllo nella vita della stessa da usarsi per altri fini; ci si può rivolgere ai servizi per avere conferma che dei pericoli incombono su una persona e si può essere spinti da altri interessi; di fronte a richieste, le più legittime, un controllo protettivo o preventivo può far emergere fatti privati relativi alla persona o a parenti o ad amici, fatti idonei a far sorgere pettegolezzi validi per varie strumentalizzazioni interessanti".
E su questi temi "tra il pettegolo e il meschino è più facile ceder di fronte a richieste insinuanti o per scambiare critiche malevole, senza inizialmente dame alcun peso particolare. E poiché qui non chiedo un dossier a un funzionario o una fotocopia a un archivista, il dialogo non appare in contrasto con severe norme di comportamento. Ma questo terreno, che può parere meno grave, è l'anticamera di passi ben più pesanti, e soprattutto è la melma dove intingono il pane gli spregiudicati di ogni razza e colore, ed è il terreno che apre la via alle peggiori lotte di potere dentro e fuori i partiti". "Ma come si fa - ha commentato l'indipendente di sinistra Rodotà - a usare espressioni così forti e poi dire che si tratta solo di ipotesi? Dovremmo credere che su una materia così delicata sia stato costruito un castello di supposizioni?" Perplesso è anche il comunista Massimo Pacetti, che osserva: "Scalfaro dice che non ci sono responsabilità dei servizi segreti, ma soltanto responsabilità politiche: gli abbiamo chiesto di spiegarsi meglio, ma non lo ha fatto"».
È del tutto evidente il carattere fuorviante delle affermazioni di Scalfaro. Non di «pettegolezzi» si tratta, ma della costruzione di un potere parallelo. A proposito di protezione, mancano pochi mesi all'omicidio di Ruffilli, lasciato senza protezione. E di mancata protezione si parlerà, dopo un quindicennio, per Marco Biagi. Ma gli accenni a «critiche malevole», alla «melma», al «meschino», hanno singolare attinenza a quanto accadrà coi fondi neri del Sisde (con coinvolgimento del citato Parisi). Per questo si è potuto ipotizzare «un complotto contro il Quirinale?» In realtà non vi fu alcun complotto, ma le malversazioni erano così diffuse e la sicurezza dell'impunità tanto radicata, che una normale inchiesta giudiziaria giunse a minare la credibilità delle istituzioni, già compromesse dalla bufera di Mani Pulite - che dal 17 febbraio '92 aveva investito i partiti (mentre i servizi seguivano con particolare interesse l'attività di Antonio Di Pietro).
La magistratura romana stava indagando su un procedimento per bancarotta fraudolenta. Racconta un testimone qualificato, il giudice Francesco Misiani, a suo tempo simpatizzante della sinistra extra-parlamentare: «A sprofondare nei debiti era stata la Miura Travel, di proprietà di Edoardo Bonamici, un generale in pensione con alle spalle un periodo di addetto militare a Bruxelles e una lunga consuetudine di collaborazione con i servizi segreti. Era il gennaio del 1993. Il sostituto procuratore Leonardo Frisani si era lasciato convincere dall'allora maggiore Enrico Cataldi a trasformare una banale indagine per bancarotta in qualcosa di più. Se non altro perché una cosa non tornava: i due soci dell'agenzia fallita, di mestiere facevano le spie. Michele Finocchi era capo di gabinetto del Sisde dal 1987; dallo stesso anno Gerardo Di Pasquale era responsabile della direzione logistica del servizio segreto civile. Erano state dunque disposte intercettazioni telefoniche e ambientali. Nell'assoluta inconsapevolezza di dove si sarebbe arrivati e di quanto, solo un mese prima, era avvenuto nell'ufficio del sostituto procuratore Antonino Vinci.» Cataldi, poi colonnello del Ros dei carabinieri, è così descritto: «Un investigatore atipico, refrattario a divise, pennacchi e mostrine, capace di trovare l'impossibile... cresciuto alla nidiata del colonnello Mori, comandante del Ros e protagonista di uno scontro palese, prima con il sostituto procuratore Antonino Vinci e quindi con il procuratore capo Michele Coirò, che arrivò a chiederne l'allontanamento al comandante generale dell'Arma». Dunque nessun complotto, semmai «inconsapevolezza di dove si sarebbe arrivati», ma uno spaccato tipico della situazione descritta (di Stato nello Stato), anche con elementi di competizione interna ai servizi: un «investigatore atipico», che entra in conflitto con la magistratura, cresciuto alla scuola di quel Mori che giun-gerà al vertice del Sisde e ritroveremo nell'arresto di Riina. Il 7 luglio è la volta di Malpica, che, sebbene raggiunto da un avviso di garanzia, minimizza. Il 19 luglio viene arrestato Antonio Galati.
Il giorno successivo si costituiscono Michele Finocchi e Rosamaria Sorrentino». Ancora un giorno e la situazione precipita, con la sua prima ammissione: «I soldi sono miei. Li ricevevo per essere meno fiscale nei controlli». Il 23 luglio si costituisce Gerardo Di Pasquale, che, come gli altri arrestati, dichiara che i soldi «sono premi per il lavoro svolto nel servizio». Il 28 luglio Ciampi rimuove Finocchiaro dalla direzione del Sisde e lo sostituisce con Domenico Salazar. In agosto, a San Marino, nella locale filiale del Credito san-marinese, vengono sequestrati altri 35 miliardi su conti intestati ai funzionari arrestati, che per Malpica, come gli altri fondi rintracciati, «non sono premi, ma affidati dal servizio in via fiduciaria. Il 28 ottobre Maurizio Broccoletti si presenta in Procura accompagnato da Di Pasquale e Galati e consegna la prima parte del cosiddetto libro paga del servizio. Un lungo elenco di politici, prefetti, carabinieri, giornalisti, magistrati. Il 30 ottobre Malpica crolla. Spiega che ha mentito su indicazione del ministro dell'Interno Mancino e del capo dello Stato Scalfaro. Aggiunge di aver regolarmente versato, in qualità di direttore del Sisde, cento milioni mensili ai ministri dell'Interno che si sono succeduti da Scalfaro in poi».
Il Quirinale è coinvolto. Già il 26 ottobre «Epoca» «pubblica alcune foto che ritraggono Marianna Scalfaro, figlia del capo dello Stato, a passeggio con l'architetto Adolfo Salabé, che vanta una nomina conferitagli da Paolo VI di "gentiluomo di camera" e un incarico di ex consulente del Quirinale. Fa l'imprenditore in nome e per conto dei servizi, cura la ricostruzione di alloggi, è proprietario di Baia Parahelios, cinquanta ettari di ulivi e cipressi a Poggio Catino, meta di coppie clandestine, barbe fìnte, ministri e uomini del sottogoverno in cerca di quiete e discrezione a 660.000 lire al giorno». Come non pensare all'abitudine dei servizi a gestire alloggi, come in via Gradoli? Ma ora la situazione precipita: «II 2 novembre si costituisce Antonio Galati. Conferma le accuse di Broccoletti e Malpica, consegna gli originali delle ricevute di pagamento allegate al libro mastro del servizio, di cui è il custode. Nel pomeriggio del 3 novembre la notizia delle accuse rivolte a Scalfaro e a Mancino è battuta dalle agenzie. Quella sera stessa gli italiani ascoltano il messaggio del capo dello Stato»", a reti televisive unificate. Dice: «Non ci sto, non per difendere la mia persona, che può uscire di scena in ogni momento, ma per tutelare con tutti gli organi dello Stato l'istituto costituzionale della presidenza della Repubblica».
Il giorno dopo, il 4 novembre '93, il messaggio è ovviamente riportato da tutti i giornali e su «la Repubblica» Scalfari così commenta, sotto il titolo Un commando di mascalzoni: «Un precipizio, con la lira allo sbando, tassi di interesse di nuovo in salita, inflazione in ripresa, tessuto economico a pezzi. L'incubo della secessione nordista rischierebbe di diventare una realtà. Situazioni di avventure potrebbero materializzarsi. Ho fatto i capelli bianchi sulle vicende di questo Paese, ma debbo in coscienza confessare di non avere mai assistito a una tempesta istituzionale, politica e morale di queste proporzioni e gravida di così enormi pericoli».
La tempesta si rivelerà un bicchier d'acqua. È la conseguenza del fatto che i servizi sono diventati uno Stato nello Stato, con la tolleranza (o la rassegnazione) della classe politica. Ma sarà la magistratura a cavarla dai guai. A questo punto il racconto di Misiani è di grande interesse.
È preceduto dall'ironica affermazione che la situazione «rivelò, come di incanto, una delle anime di Magistratura democratica e della sinistra: quella pronta a rispondere all'appello per la difesa delle istituzioni»"'. Ilari intitola un capitolo «Le difficili scelte della Procura di Roma». Ma ecco la testimonianza, dall'interno, di Misiani: «Non manca di fare osservare che nessuna legge prevede che il Sisde dovesse fornire danari al ministero dell'Interno per adempiere compiti istituzionali. Se non altro perché il Viminale disponeva di un suo fondo destinato a questo scopo. Eppure, quanti si erano avvicinati dall'82 in poi alla guida del Viminale negavano l'esistenza di quei versamenti mensili, con un'eccezione, Amintore Fanfani che aveva spiegato in un'intervista al "Corriere della Sera" che sì quei soldi li aveva ricevuti, ma a fini istituzionali. Ad accrescere la pressione ambientale sulla decisione da prendere, le fluttuazioni incontrollate della lira sotto una forte spinta speculativa, la prospettiva di veder sfumare le elezioni generali per l'inizio del 1994. La Procura, con una costruzione giuridica ardita, si spoglia di una pane del procedimento ipotizzando la liceità delle dazioni di danaro, ma, contestualmente invitando ad approfondire l'uso che realmente ne è stato fatto dai singoli ministri. Gli ex titolari del ministero dell'Interno, Vincenzo Scotti e Antonio Gava, vengono dunque iscritti al registro degli indagati con l'accusa di concorso in peculato e il loro fascicolo trasmesso al tribunale dei ministri. La posizione del capo dello Stato, come previsto dalla Costituzione, è congelata. Per Nicola Mancino, allora ministro dell'Interno in carica, viene chiesta l'archiviazione. Il timore condiviso da Mele e Coirò era che una volta definita la posizione dei politici coinvolti nell'inchiesta i presupposti di quella scelta potessero essere rimessi in discussione da nuove rivelazioni. Insomma che la Procura fosse costretta a inseguire la strategia di rivelazioni a orologeria degli indagati.
Fu allora che arrivò in soccorso la trovata di Saviotti. Giovane di sinistra, di Magistratura democratica, molto ascoltato tanto da Coirò quanto da Mele faceva parte del cosiddetto pool antieversione. Spiegò che un modo per imbrigliare i cinque del Sisde esisteva. Lo sì poteva trovare nel Codice penale, all'articolo 289, "attentato agli organi costituzionali". Nella giurisprudenza si era persa la memoria dell'ultima volta in cui era stata contestata questa norma. Anche se i più anziani tra i sostituti procuratori corsero con il ricordo agli anni dell'emergenza. Contestare il 289 agli indagati significava porli in una situazione senza vie d'uscita. Ogni ulteriore chiamata in correità dì uomini politici in carica o comunque con responsabilità istituzionali li avrebbe precipitati nella condizione di indagati per un reato gravissimo, da cui sarebbero usciti con condanne pesantissime, la reclusione non inferiore a dieci anni, qualora non sì tratti di delitto più grave. Ipotizzare un reato di quel genere mi sembrava francamente eccessivo. La misi sul grottesco: "È un reato impossibile, da guerra civile. Neanche durante il terrorismo ci si è spinti tanto in là". Mele obiettò: "E il codice che prevede questo reato. Quindi, si può contestare". Il 6 novembre viene arrestata Rosamaria Sorrentino. Due giorni dopo, toccherà all'ex segretaria di Malpica, Ma-tilde Martucci, la "Zarina", come la chiamavano al Sisde. Il 289 produce l'effetto previsto. Nessuno degli indagati è disposto più a parlare».
La tempesta viene placata così. Non riesplode neanche quando «nella tarda serata del 7 gennaio '94 giunse alle redazioni dei giornali la notizia che da alcuni giorni Parisi era iscritto nel "registro degli indagati" della Procura di Roma per favoreggiamento. Sconvolto, il capo della polizia telefonò a Mele per chiedergli se era vero e, avutane risposta negativa, diffuse una secca smentita. Ma dai titolari dell'indagine giunse invece la conferma della notizia, che comparve così sui giornali dell'8. La stampa riferì che solo un intervento di Mancino avrebbe dissuaso Parisi dal presentare le dimissioni». Capo del Sisde, capo della polizia, Parisi rimane dunque al suo posto grazie al ministro che attribuì al solo Malpica la responsabilità della versione ufficiale sui miliardi sequestrati.Alla luce di tutto ciò... rispondi a questa domanda: chi sarebbero gli infami?
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_________________ "…stanno uscendo allo scoperto ora, amano annunciare cosa stanno per fare, adorano la paura che esso può creare. E’ come la bassa modulazione nel ruggito di una tigre che paralizza la vittima prima del colpo. Inoltre, la paura nei cuori delle masse risuona come un dolce inno per il loro signore". (Capire la propaganda, R. Winfield)
"Onesto è colui che cambia il proprio pensiero per accordarlo alla verità. Disonesto è colui che cambia la verità per accordarla al proprio pensiero". Proverbio Arabo
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