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MessaggioInviato: 18/09/2010, 18:09 
Questa è una buona notizia, la conferma che all' interno del movimento la moralità è ancora nelle mani di chi ha fondato la Lega.
E' ovvio che più un movimento cresce, più è difficile tenerne il controllo ( i parassiti e gli infiltrati esistono ovunque ).
Se uno sgarra nella Lega, viene sistematicamente allontanato e per sgarro intendo tutto ciò che esula dagli ideali dello statuto, che comprendono modi di comportamento nella gestione della cosa pubblica, moralità e correttezza.
Poi come ben sappiamo, tutto il mondo è paese.[:)].

Sesto Calende (Va). Dopo 20 anni di giunta di sinistra si è insediata una giunta di centrodestra, capitanata da un sindaco della Lega.
Prima azione intrapresa, pulizia istituzionale e riordino delle competenze.
Gli autisti dei pulmini scolastici, erano pagati 8 ore per un lavoro effettivo di 2, il sindaco per le restanti 6 ore ha loro assegnato compiti in ambito pubblico, il risultato è stata la rivolta di chi ha usufruito per anni di agi pagati dalla comunità.
Io stesso, negli anni in cui sono stato consigliere comunale, mi sono trovato di fronte a gente pagata da noi, che non aveva voglia di lavorare.
Di fronte ad un azione decisa da parte degli amministratori, questi personaggi urlano ai quattro venti l' arrivo del regime.
Io li manderei in miniera con pala e picco.



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MessaggioInviato: 18/09/2010, 18:16 
Caro Green...... ma che te pagano per fare propaganda? [:D]



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"…stanno uscendo allo scoperto ora, amano annunciare cosa stanno per fare, adorano la paura che esso può creare. E’ come la bassa modulazione nel ruggito di una tigre che paralizza la vittima prima del colpo. Inoltre, la paura nei cuori delle masse risuona come un dolce inno per il loro signore". (Capire la propaganda, R. Winfield)

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MessaggioInviato: 18/09/2010, 18:24 
Cita:
Thethirdeye ha scritto:


Caro Green...... ma che te pagano per fare propaganda? [:D]


Lo faccio gratis, sono un volontario. [:D]

Ritengo giusto mettere a disposizione determinate informazioni, servono per farsi un quadro chiaro delle varie realtà che spesso sfuggono all' attenzione dei media.
Le realtà politiche più significative, sono quelle che si vivono nei piccoli centri, dove è più facile farsi un idea di che cosa valga la classe politica italiana.
Certamente non sono tutte rose e fiori, ma per lo meno aiuta ad essere ottimisti. [:X]



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MessaggioInviato: 18/09/2010, 18:40 
Cita:
greenwarrior ha scritto:

Le realtà politiche più significative, sono quelle che si vivono
nei piccoli centri, dove è più facile farsi un idea di che cosa
valga la classe politica italiana.



Tranquillo Green....... il valore della classe politica itaGliana
si percepisce anche nelle grandi città. Paro paro..... [8)]



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MessaggioInviato: 18/09/2010, 19:30 
Cita:
Thethirdeye ha scritto:

Cita:
greenwarrior ha scritto:

Le realtà politiche più significative, sono quelle che si vivono
nei piccoli centri, dove è più facile farsi un idea di che cosa
valga la classe politica italiana.



Tranquillo Green....... il valore della classe politica itaGliana
si percepisce anche nelle grandi città. Paro paro..... [8)]


Intendevo dire, che nelle piccole realtà è meno facile fare i furbi. [;)]


Ultima modifica di greenwarrior il 18/09/2010, 19:30, modificato 1 volta in totale.


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MessaggioInviato: 18/09/2010, 19:42 
Cita:
greenwarrior ha scritto:
Intendevo dire, che nelle piccole realtà è meno facile fare i furbi. [;)]


Ah ok...... beh, hai pienamente ragione.
Le grandi città, in questo senso, sono molto dispersive... [;)]



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MessaggioInviato: 20/09/2010, 02:12 
La Padania? L’ha inventata la Fondazione Agnelli

Cita:
Nella corposa bibliografia che la Lega sta probabilmente inviando al presidente Fini, illustre padano-scettico, c’è un testo vecchio di 18 anni, che ultimamente è tornato sulle scrivanie degli uomini che contano nel Carroccio (Maroni l’ha citato due giorni fa, e l’altroieri sulla Padania campeggiava la copertina che riproduciamo in pagina). Perché della Padania, intesa come entità storico-geografica dotata di un suo preciso Dna, non c’è traccia solo nei comizi del primo Bossi, negli studi di Gianfranco Miglio o negli slogan di Pontida.
Se si torna indietro, agli anni originari della concretissima mitologia leghista, precisamente al ’92, si ritrova un volume redatto da un pool di studiosi super partes e pubblicato da un istituto autorevole come la Fondazione Giovanni Agnelli di Torino, con un titolo che potrebbe sembrare scandaloso per i tutori dell’Unità italiana: «La Padania, una regione italiana in Europa». La Padania? Una regione italiana? Ecco, in quel numero dei Quaderni della Fondazione intitolata al creatore della Fiat, non solo si dà per scontata l’esistenza della Padania, una vasta area riconducibile alla valle del Po, ma si propongono ipotesi di riforma che, se le facessero Bossi o Calderoli, provocherebbero verosimilmente una crisi di governo. L’analisi degli studiosi chiamati in quel ’92 dalla prestigiosa fondazione torinese rischiano, se rilette oggi, di far venire un colpo a Gianfranco Fini. Leggere per credere. Non solo l’Unità d’Italia, a parere degli eruditi autori del volume, «fu decisa in modo affrettato e non certo sulla base di criteri di adeguata corrispondenza tra capacità di governo ed esigenze economiche e sociali di un territorio», ma l’affermazione politica della Padania sarebbe addirittura di auspicio in un’ottica europea. Leggiamo cosa scrivevano, ricordando che non stanno parlando Borghezio o Speroni, ma storici dell’economia, docenti di Analisi delle istituzioni della Bocconi e di Economia politica della Statale di Milano: «La posizione della Padania - spiegano - continua ad essere potenzialmente felice. Situata geograficamente all'incrocio di due macro-assi dello sviluppo europeo, l'asse longitudinale nord-sud che attraversa il cuore dell'Europa, e il nuovo asse di sviluppo latitudinale est-ovest, che congiunge il dinamismo del sistema iberico con i nuovi spazi di formazione del Centro Est Europeo, la Padania può costituire un elemento di riequilibrio in Europa, impedendo che lo spostamento verso Nord crei differenziali di sviluppo e quindi nuove patologie economiche. Si può quindi parlare di ruolo europeo per la Padania».
In altre parole, la formazione di uno spazio politico padano (progetto che è poi la mission elettorale della Lega) sarebbe auspicabile per controbilanciare lo sviluppo disarmonico tra Nord e Sud Europa. Ma non è tutto. Una cartina pubblicata in quel volume si spinge molto più in là, molto più di quanto possa spingersi la Lega, per non essere tacciata di aspirazioni separatiste. Mentre Miglio teorizzava le tre macro Regioni, gli studiosi della Fondazione Agnelli proponevano una razionalizzazione ancora più radicale dell'istituto regionale. In parole semplici, in quel lavoro si ridisegnavano i confini interni della nazione, partendo dall’idea che le regioni non dovessero essere più venti ma dodici, con la soppressione di quelle sotto il milione e mezzo di abitanti. Tolte le cinque a statuto speciale, rimanevano sostanzialmente sette aree macroregionali che coincidevano grosso modo con gli stati preunitari, con un’entità specifica come appunto la Padania. Un’eresia da leghisti con le corna e i campanacci? No, l’analisi di un gruppo di serissimi politologi. Qualcuno, nella Lega, ha ripreso in mano quella cartina dell’Italia, insieme ad altri testi (dagli anni ’70 in poi) in cui si descrivono le radici e le prospettive della Padania. Anche perché in fondo, ragionano i leghisti, è già successo che una «espressione geografica» (così il principe di Metternich parlava dell’Italia) sia diventata una nazione.


http://www.ilgiornale.it/interni/la_padania_lha_inventata_fondazione_agnelli/25-06-2010/articolo-id=455968-page=0-comments=1



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MessaggioInviato: 20/09/2010, 02:17 
http://www.storiain.net/arret/num125/artic4.asp

In un'analisi storica, le ragioni dell'ondata autonomistica
che oggi sta mettendo in discussione l'unità nazionale
A CHI CONVIENE DIVIDERE L'ITALIA IN DUE?


Cita:
Il problema della secessione sollevato da Bossi ha dato all'Italia, paese emotivo e quindi incapace di analizzare pragmaticamente i problemi politici, sociali ed economici, un nuovo motivo di lite. Sul tema non si discute, ci si accapiglia, si viene alle mani, si agitano i servizi segreti, i "patrioti" mettono in scena la rappresentazione di un'Italia passata al tritatutto, i "secessionisti" vedono nello strappo la soluzione di tutti i mali. Ragionamenti e controragionamenti hanno la solita impostazione infantil-viscerale a causa della quale l'elettorato italiano va al voto con idee chiarissimamente confuse. Sul problema della secessione queste idee sono ancora più nebulose. Per contribuire a chiarirle pubblichiamo questa intervista al professor Ettore A. Albertoni, professore ordinario di Storia delle dottrine politiche e delle istituzioni, autore di "Il federalismo nel pensiero politico e nelle istituzioni", testo notevole, anche dal punto di vista storico, per conoscere e capire un tema del quale molto si chiacchiera ma poco si conosce.

Professor Albertoni, da qualche mese i politici dei partiti centralisti hanno iniziato una preconcetta opera di "demolizione comunicativa" che ha per oggetto la Padania: il sociologo Ilvo Diamanti continua a ripetere, nei suoi interventi su il Sole 24 Ore che "la Padania é un'invenzione di Bossi"; il parlamentare ulivista Furio Colombo ha detto in aula "La Padania non esiste!"; ultimi in ordine di tempo i Presidenti di Camera e Senato, Luciano Violante e Nicola Mancino, hanno ufficialmente bandito il termine "Padania" dai verbali delle sedute, vietandone la trascrizione.
Tuttavia risulta evidente che tali interventi sono la dimostrazione di una tremenda paura da parte dello Stato verso le istanze di libertá e di identitá della nostra terra, una paura malamente dissimulata dai tentativi di minimizzare il fenomeno. Secondo lei la Padania é una realtá virtuale o storicamente esistente?
Clicca sulla immagine per ingrandire
ALBERTONI: "Innanzitutto bisogna partire da una considerazione storica ovvia. I popoli padani e alpini che sono collocati territorialmente nelle attuali Regioni Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Piemonte, Trentino-Alto Adige, Valle d'Aosta, Veneto e, in parte, Marche da secoli costituiscono, pur con le innegabili diversitá esistenti, una comunitá naturale fondata su un condiviso patrimonio di valori e di cultura. In secondo luogo é certo che l'analisi economica e sociale piú aggiornata ed attendibile ha da tempo individuato nella mappa delle "regioni economiche d'Europa" una ben esistente e reale Padania (come si evince infatti dallo studio della Fondazione Agnelli pubblicato nel 1992 e significativamente intitolato "La Padania, una regione italiana in Europa"). La Padania, quindi, esiste eccome!
Va anche ricordato che alcune Regioni del Centro-Nord sin dalla metá degli anni '70, come ha dichiarato pubblicamente e recentemente Guido Fanti, diedero vita ad iniziative di studio e di approfondimento proprio di quella precisa e vivente realtá che é la Padania. E' piuttosto singolare che si voglia affrontare oggi il federalismo che é, per una parte considerevole, problema territoriale, negando validitá ad una posizione come quella della Lega Nord, che ha il merito di reintrodurre nel dibattito sulla riforma costituzionale (sia in ambito italiano che europeo), il tema della Padania; tema che é, stranamente, considerato valido ed elogiato solo se studiato da Fondazioni legate al potere economico o da politici ed amministratori emiliani appartenenti all'ex partito comunista. Occorre, perció, parlare sempre di piú di Padania perché é un modo assai pragmatico, democratico e coinvolgente di affrontare il presente e il futuro".

In tutti i casi di indipendenza acquisita da noi esaminati, una delle ragioni principali della lotta per l'autogoverno é stata quella della provenienza territoriale prevalente dei dipendenti pubblici da una sola area dello Stato. Che significato istituzionale ha questa motivazione centrale e così importante e quali considerazioni si possono fare sul caso padano?
ALBERTONI: "Il problema della burocrazia é cruciale, in particolare nel nostro caso. Nello Stato Italiano vi sono circa 4/5 milioni di funzionari pubblici (non si sa bene neppure quanti) e si parla di oltre 200 mila leggi. Questa pesantissima realtá burocratica e normativa blocca un processo che parte dal basso, perché alla base territoriale e sociale non ci sono forze adeguate per poter avviare processi di cambiamento incisivo: la struttura statale é enorme, pachidermica e fondata sull'esasperazione predatoria del fiscalismo rapace dello Stato centralista. Ecco dunque che nasce la necessitá urgente di avere dei nuovi quadri concettuali ed operativi di riferimento (e in questo caso la Padania é un quadro di riferimento molto importante) per una significativa azione. Non possiamo, infatti, pensare a microsoggetti istituzionali e a microentitá giuridico-politiche. Nel processo di federalizzazione "per separazione" proposto dalla Lega Nord vi devono essere delle strutture autosufficienti a tutti i livelli (partendo dai comuni, passando attraverso le associazioni di comuni, o ex province, e le regioni economiche), fino ad arrivare all'Europa, in una dinamica che deve comunque partire dal basso, dalla base naturale che sono i popoli con i loro bisogni, interessi ed ideali. E' evidente quindi che il problema delle burocrazie non territoriali ma reclutate altrove genera enormi scompensi a danno di tutti.
"Nel caso italiano il problema non é tanto quello di una semplice dualitá fra Nord e Sud, ma piuttosto quello di una differenziazione fra le diverse grandi aree che compongono lo Stato (aree insulari, area padana, area toscana, ecc., ciascuna con proprie caratteristiche). L'elemento paradossalmente unificante l'attuale Repubblica centralista, uniformatrice e, tendenzialmente, illiberale ed autoritaria (nel senso dell'autoritarismo poliziesco), é una classe politica che ha ormai un peso sempre piú ridotto e una burocrazia che ne ha uno sempre maggiore. La classe politica conta sempre meno ed è diventata istericamente e acriticamente "unitaria"; l'appello a Silvio Pellico é dichiarazione d'impotenza. La burocrazia poi ha due strati: da un lato i "peones", che provengono prevalentemente dal Sud, dove si é sviluppata come naturale sbocco lavorativo una classe di funz"ionari di bassa qualifica, di scarso peso, ma di grande fedeltá centralista; dall'altro il grande "generone alto-burocratico romano", che é il vero problema della democrazia italiana. Quest'ultimo strato ha un peso specifico enorme a livello di direzioni generali di ministeri, di alti comandi, di strutture tecnico-amministrative, bancarie e, soprattutto, dell'economia diretta dallo Stato. Esso costituisce l'elemento cementificatore piú consistente della nostra fatiscente ed arcaica organizzazione pubblica.
L'attuale squilibrio territoriale si é sempre basato sul vecchio principio "al Nord gli affari, e a tutto il resto d'Italia, Sud e Roma cioé, la Pubblica Amministrazione". Cosi oggi é pacifico che la Padania si trovi in una condizione di inferioritá, direi senz'altro di tipo coloniale. Certo la Padania, popoli ed élites, ha le sue responsabilitá, poiché ha abdicato completamente alla guida della Repubblica per anni, pensando che fosse sufficiente sviluppare la propria vocazione economica, imprenditoriale e commerciale e che tutto il resto sarebbe automaticamente seguito. Anche la politica ha comunque una grandissima colpa, perché non é mai stato affrontato seriamente (diversamente da altri Paesi) il tema della cultura della Pubblica Amministrazione, che dovrebbe oggi piú che mai basarsi sui risultati, l'efficienza e la responsabilitá nei confronti dei cittadini. In ogni caso anche il problema del "corpo burocratico" dello Stato va letto in una nuova ottica; é necessario ragionare in termini di precisa localizzazione ambientale e territoriale (guardando alla dimensione padana, sarda, siciliana, ecc.) e di contesto europeo. A identitá precise e consapevoli di popoli, territori ed istituzioni deve corrispondere un funzionariato adeguato ed in sintonia".

Nella sua risposta ha accennato al "federalismo per separazione". Giá in altri interventi scientifici e culturali ha avuto modo di sviluppare questo concetto; che cosa intende esattamente con tale espressione? E come si concilia il suddetto percorso giuridico e politico con il diritto di secessione e il principio di autodeterminazione?
ALBERTONI: "Per poter capire appieno il significato dell'espressione "federalismo per separazione" é prima indispensabile analizzare storicamente e comparativamente i diversi fenomeni di federalizzazione. In passato il federalismo é sempre stato una formula di unione; gli esempi al riguardo sono evidenti. Il caso peculiare dell'epoca moderna é quello delle 13 colonie dell'America del Nord di lingua inglese che diventano 13 Stati, si confederano tra loro e poi danno vita ad una federazione (e pluribus unum). Anche la vicenda della Svizzera é significativa, poiché fino al 1848 ebbe un assetto altamente confederativo, e successivamente passó ad una pur moderata centralizzazione federalistica dei poteri. Sono esperienze queste di "federalismo per aggregazione", cioé formule politico-istituzionali che portano alla sintesi di quel ricordato principio tipico americano che dice "e pluribus unum".
"Oggi peró i processi di federalizzazione non sono piú improntati al raggiungimento di una unitá e omogeneitá sedicente "nazionale"; al contrario essi si basano sulla tutela e sulla coesistenza delle diversitá ("ex uno plures"). Le radici di questa inversione di tendenza si possono cogliere giá nella nascita dello Stato tedesco del secondo dopoguerra. La Germania del 1949 era un paese lacerato per gli eventi della seconda guerra mondiale e che usciva dalla esperienza totalitaria e centralista in massimo grado del nazismo; il nuovo Stato non elaboró una costituzione federale ma una legge suprema, il Grundgesetz (peraltro mai accettata dal Land piú grande, la Baviera), che incominció a separare tra loro delle entitá istituzionali reali che erano state concentrate coattivamente nella struttura monolitica e statuale del nazionalsocialismo: la logica dei Lander si contrappose palesemente al principio nazional-centralista:
"Un Führer, un Reich, un popolo". E' altrettanto importante il recente caso della federalizzazione belga, frutto di un lavoro progettuale durato oltre 20 anni, che ha prodotto una divisione netta fra le due aree etnico-linguistiche, con l'organizzazione ordinata in cinque livelli di potere istituzionale retto dalla sussidiarietá.
Questi nuovi processi istituzionali dimostrano che, piú si procede verso quella che io chiamo la "societá plurale", la "societá multipla", dove il grado di complessitá sociale aumenta, piú i passaggi di separazione, delimitazione e nuova articolazione territoriale dei poteri di governo e gestione si fanno complessi, difficili e non schematizzabili "a priori". D'altronde l'elemento determinante nella destrutturazione degli Stati nazionali é stata ed é l'Europa. L'unione continentale rappresenta un momento di profonda svolta nella concezione giuridica e politica dei rapporti fra individui e comunitá. Infatti appare ormai chiaro che l'Europa sta nascendo come aggregazione non di realtá statuali classiche, ma di entitá in cui, su una storia comune, una geografia e una economia accomunanti, uno scambio culturale e sociale continuo, si inseriscono dei processi di alto sviluppo socio-economico e di nuove integrazioni, tali da generare, come giá avviene, la nascita di veri e propri soggetti istituzionali (come la Padania, la Catalogna, la regione Rhones-Alpes, il Baden-Wurttemberg e altre).
"In questo quadro dunque si puó piú che legittimamente parlare di "federalismo per separazione", e cioé di un percorso che afferma come prioritaria e preliminare per la costruzione federale l'autonomia e l'identitá delle comunitá che dovranno, successivamente, federarsi in una prospettiva che, peró, non é piú quella dello Stato-nazione ma dell'Europa-continente. Si tratta di una strada che ha al tempo stesso un notevole valore di innovazione nei processi riaggregativi in ambito italiano ed europeo, e che si basa sul principio internazionalmente riconosciuto dell'autodeterminazione dei popoli. La fase che stiamo vivendo presenta quindi caratteristiche di novitá assolute rispetto al passato, soprattutto per i fenomeni di mutamento che sono velocissimi e in corso nelle strutture economiche e sociali. Abbiamo la stupefacente possibilitá di assistere ad una globalizzazione dei rapporti umani che procede su due gradi: da un lato la ricordata integrazione fra territori, al di lá delle frontiere statuali classiche, fondata sullo scambio e sui rapporti culturali e commerciali; dall'altro l'impoverimento del concetto portante degli Stati nazionali, cioé la caduta della sovranitá. Se combiniamo assieme questi due fattori di libertá e di identitá otteniamo appunto come risultato politico-istituzionale quello che io chiamo "federalismo per separazione". Esso comporta anzitutto una scomposizione degli Stati nazionali tradizionali e contemporaneamente una riaggregazione regionale a livello europeo e, auspicabilmente, in futuro, mondiale. Questo processo, a mio parere, coinvolge pienamente la Padania, che ora deve solo assumere coscienza del suo ruolo e della sua forza".

Lo scenario che ha disegnato si basa, come detto, sul declino dello Stato nazionale cosi come lo abbiamo conosciuto. Ma con la fine degli Stati di ispirazione filosofica giacobina vengono messi in discussione soprattutto i concetti di sovranitá e di nazione, fulcro dell'ideologia nazionalista che ha causato circa 100 milioni di morti nelle grandi guerre europee e mondiali. Come vede il passaggio al mondo nuovo?
ALBERTONI: "Lo Stato, cosi come si é formato e si é sviluppato dal '500 in poi, ha avuto come suo connotato essenziale la sovranitá, sempre piú invadente e ramificata del potere pubblico. I dati propri della sovranitá sono la legislazione uniformante e centralizzante, la forza armata, la moneta, il mercato diretto e chiuso, la burocrazia. Le sovranitá nazionali, dopo la seconda guerra mondiale, si sono ridotte notevolmente, perché con il Patto Atlantico ( 1949) é stata limitata completamente la sovranitá dal punto di vista militare; lo sviluppo delle istituzioni comunitarie ha diminuito i poteri dei singoli governi, cosi come ha fatto la creazione di un mercato prima comune e poi unico. Il colpo finale verrá tra breve dalla moneta europea. Perció quando Umberto Bossi parla di doppia legalitá dice una cosa vera, perché se é innegabile l'esistenza della legalitá dello Stato Italiano, é altrettanto certo che i processi di aggregazione europea sono tali per cui le dinamiche sociali, economiche e culturali portano a cercare altre e ben diverse dimensioni istituzionali. La Padania é, quindi, molto piú di un'ipotesi politica, é una via di salvezza al disastro italico.
Tengo molto a sottolineare questo aspetto spontaneistico e volontaristico perché, secondo me, la visione puramente normativa di un secessionismo, ma anche di un "federalismo per separazione", che si cerca in ogni modo di giustificare con le leggi non é sempre applicabile. Puó avere un senso in casi come quello della ex Cecoslovacchia o, forse in futuro, del Belgio, dove si hanno situazioni fortemente duali; in societá invece come la nostra, di tipo molto articolato e complesso, i procedimenti di separazione seguono vie che prescindono dal giá conosciuto. Occorre perció che si individuino mezzi e procedure efficaci e democratici al riguardo anche per il rapporto Padania-Europa.

Venendo alla "nazione", bisogna dire che si tratta di un concetto in termini giuridico-politici fortemente datato, elaborato a partire dalla Rivoluzione Francese e sviluppatosi soprattutto nell'Ottocento. Si tratta di una autentica invenzione, di una ideologia molto coinvolgente ed emotiva per tenere insieme le parti e gli interessi spesso eterogenei dello Stato. Questo é un elemento importantissimo, perché la crisi seguita alla esasperazione nazionalista sia del nazifascismo che del comunismo sovietico porta oggi a fare considerazioni ben precise; assistiamo infatti a.l declino di quelle strutture (gli Stati), che avrebbero dovuto contenere le nazioni, e che invece non sono piú in grado di rispondere alla nuova dialettica economica, sociale e culturale che investe ormai le nazioni stesse. Basta guardare alla realtá italica: circa 5 milioni di imprese economiche, che corrispondono ad un rapporto di una impresa ogni dieci-undici abitanti, formano un tessuto sociale impossibile da controllare da parte di uno Stato nazionale centralista ed omologante classicamente inteso, e da noi purtroppo ancora dominante. Le imprese economiche in un mercato chiuso vivono e muoiono d'autarchia, mentre in un mercato europeo unico e aperto, con rapporti globali con il resto del pianeta, hanno una possibilitá di moltiplicazione e insediamento che prescinde completamente dalla logica delle frontiere. E' questa l'autentica ed inedita frontiera delle "regioni economiche" che non corrisponde ormai piú a quella degli Stati nazionali. In questo senso io vedo una federalizzazione che é lontana dal provincialismo italico e che é, invece, prima di tutto europea. In questo ambito gli Stati devono chiudere la loro esperienza di tipo nazionale (e quindi tendenzialmente sempre centralistica), e devono ricomporsi in un processo che vede come protagoniste nuove entitá e nuove aggregazioni. Le regioni economiche sono e sempre piú saranno i soggetti attivi della nuova frontiera del federalismo interno ed europeo, poiché esse seguono l'indicazione naturale dell'economia e dello sviluppo, di una nuova ed inedita cultura civile, di un'etica individuale e comunitaria assai profonda. Certamente si tratta di un processo piuttosto complesso dal punto di vista giuridico, perché parte dal basso ed é attraversato da una forte dinamica revisionistica delle strutture esistenti. Ma é il solo processo vitale perché l'Europa effettivamente viva e noi con lei".



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Secessione in Campania? I comuni del Cilento vogliono il “Principato di Salerno”

pubblicata da INFORMAZIONE LIBERA
Si diffonde, in Cilento, l’idea di abbandonare la Campania, per aderire a un fantomatico “Principato di Salerno”: dopo il comune di Roccagloriosa, che nei giorni scorsi aveva votato alla unanimità la delibera secessionista, ora la proposta prende corpo a Camerota.
I gruppi di opposizione hanno chiesto infatti una seduta di Consiglio comunale per discutere della costituzione della “nuova regione”, che dovrebbe risolvere così il problema campano del “napolicentrismo”, valorizzando il territorio dell’entroterra. L’iniziativa è partita dai consiglieri comunali di “Forza Camerota-Pdl” e di “Insieme cambierà”, che hanno infatti presentato richiesta di convocazione del Consiglio ad hoc.
”Tutti i consiglieri di opposizione – ha spiegato il capogruppo di “Forza Camerota-Pdl”, Ciro Troccoli – hanno deciso di sostenere la proposta di costituzione di una nuova realtà regionale. Concordiamo infatti con l’ idea del presidente della Provincia di Salerno Cirielli che solo attraverso un rafforzamento dell’autonomia territoriale si possano superare i guasti provocati dal ‘napolicentrismo’. Confidiamo che anche i consiglieri di maggioranza siano favorevoli”.



http://www.blitzquotidiano.it/politica- ... no-552824/



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« Non dubitate che un piccolo gruppo di cittadini coscienti e risoluti non possa cambiare il mondo. In fondo è cosi che è sempre andata »
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Cuka: “un cambiamento italiano che parte dal salento”

10/09/2010
di Klodiana Cuka

Il Movimento Regione Salento ha iniziato la fase di strutturazione territoriale con l’individuazione dei primi referenti in alcuni dei 146 Comuni delle Province di Brindisi, Lecce e Taranto.

Quotidiano è il lavoro per individuare i responsabili dei vari settori del Movimento dopo la costituzione avvenuta lo scorso 5 agosto.

Klodiana Cuka, presidente Integra onlus, esperta a livello nazionale ed internazionale di politiche migratorie, è stata scelta come responsabile delle politiche migratorie e della cooperazione con i paesi dei Balcani e del Mediterraneo all’interno del Movimento Regione Salento.

“Mi dicono tutti che parlo italiano con accento salentino - afferma con entusiasmo Klodiana Cuka - Mi sento salentina quanto durazzina e ambasciatrice con onore ed orgoglio della salentinità, quanto dell’albanesità!

Fui premiata nel 2008 dal Comune di Lecce, con il Premio “L’eccellente”, perchè porto in giro per il Mondo la salentinità attraverso il mio lavoro costante e quotidiano volto a promuovere la solidarietà e la pace tra i popoli. Oggi ho accettato con grande piacere e responsabilità l’incarico conferitomi dal presidente del Movimento, Paolo Pagliaro, e lo ringrazio di cuore.

La mia presenza attiva all’interno del movimento è data da un semplice motivo: credo che il Salento sia una TERRA che ha nel proprio dna e in quello del suo Popolo l'accoglienza, la solidarietà e ispira ad un’ integrazione che non mira alla chiusura, ma, al contrario, ad un’apertura verso nuove vedute che guardano lontano, che spaziano l'occhio al di là delle acque del Mediterraneo e verso le rete dei Balcani per un Futuro Nuovo! Un Futuro che non può essere concepito senza il dialogo tra i popoli e la cooperazione, perchè il Sud non può essere considerato come la Terra di confine e di emarginazione, ma deve essere una Regione di frontiera dalla quale varare delle nuove prospettive verso dei nuovi orizzonti!

Ed è per questo motivo che non potrò che ribadire oggi con ulteriore convinzione che occorre andare avanti per fare della nostra terra salentina un terra che abbia uno spessore istituzionale oltre che culturale, come ha ben dimostrato di meritare in tutti questi anni. E’ nel Salento che tanti protagonisti della storia italiana sono nati – penso, tra tutti, ad Aldo Moro e a don Tonino Bello.

Il Salento merita di essere protagonista nella storia del nostro Paese Italia, un Paese vivo nella sua unità, senza divisioni o sentimenti di disgregazione.

Facciamo esprimere in un referendum il popolo salentino se vuole o no l'istituzionalizzazione della Regione Salento, proprio come la democrazia insegna. Che sia il POPOLO ad esprimere ciò che ritiene più giusto per il proprio destino!

Sono convinta che la terra nella quale sono cresciuta come donna e come professionista possa mettersi a capo di un progetto di cambiamento, per migliorare la vita sociale di tutti i cittadini. Per un cambiamento italiano che parte dal Salento!

Klodiana Cuka
Responsabile politiche migratorie e cooperazione con i paesi dei balcani e del mediterraneo del Movimento Regione Salento.



_________________
« Nel regno di chi cerca la verità non esiste nessuna autorità umana. Colui che tenta di recitarvi la parte di sovrano avrà a che fare con la risata degli dei » (Albert Einstein)

« Non dubitate che un piccolo gruppo di cittadini coscienti e risoluti non possa cambiare il mondo. In fondo è cosi che è sempre andata »
(Margaret Mead)
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MessaggioInviato: 21/09/2010, 18:15 
Una saccente giornalista...
come sempre riderà bene chi ridera ultimo...[;)]

Cita:
Italy's eccentric man of the north

It's easy to laugh at Umberto Bossi's ideas to drop the national anthem, flag and language, but Italians should take more notice


http://www.guardian.co.uk/commentisfree/2009/sep/17/italy-north-umberto-bossi

Cita:

Have you ever heard of Padania? It's an old politico-geographical concept that comes back regularly in Italian politics. Padania covers broadly what we would call north Italy, enclosing the regions of Piedmont, Lombardy, Emilia-Romagna and Veneto. Padania is the favourite word of the Lega Nord, vitriolic Umberto Bossi's party, which keeps asking for nothing less than Italy's complete dismantlement and the immediate secession of Padania, its most industrious and richest part.

[color=maroon]As Italy prepares for celebrations in 2011 of the 150th anniversary of its unification, Lega Nord's recent furious invectives feel like insidious venom. For about a decade and until this summer, Bossi, as a regular guest-star minister in Silvio Berlusconi's different governments, had kept his dreams of secession quiet and had focused on keeping Berlusconi on a very rightist political agenda.


A few weeks ago, however, Bossi couldn't contain himself any longer and lashed out against the national anthem, its national flag and the country's common language.

It has now become usual practice for the Lega Nord's 60 MPs and 30 senators to boo each time they hear Fratelli d'Italia (Brothers of Italia) play. Fratelli d'Italia may not be the most memorable and powerful national anthem in the world, but it is nonetheless Italy's choice of hymn. Of course, the ebullient North Leaguers rather prefer the heady and melodramatic melodies of Giuseppe Verdi, himself a man of the north. The magnificent Va Pensiero from Nabucco has been chosen as Lega Nord's choice of anthem. Italian art critic Andrea Martini commented:

It is of course ironic that they should prefer Verdi. Verdi may have died in Milan but he was very much engaged politically in the Risorgimento, the unification of Italy, alongside Garibaldi and Cavour. Also, Umberto Bossi doesn't seem to have a clue about Va Pensiero's lyrics and its historical references. Nabucco is the story of the Jews' battle for freedom against the Babylonians. At the time, Verdi was mirroring the fight for Italian unification. Besides, technically, Verdi was French, as he was born, at the time, in a French-controlled province.

The Lega Nord doesn't stop here. Alongside the national anthem, Bossi would also like to get rid of the Italian flag, il tricolore, in favour of regional fanions. He also hopes his party will help make his patois from Lombardy compulsory in schools after the 2011 regional elections.

Bossi's demands may sound at best eccentric and at worst dangerous, but he may soon have the means to implement them partially in the regions in which his party seem to be getting stronger and stronger after each election. In April 2008, during the last regional elections, Lega Nord scooped 8% of the votes in north Italy. Last June, at the EU elections, it reached 10%, sending nine MEPs to the EU parliament in Strasbourg.

It is easy to laugh at Bossi's anachronistic and reactionary posturing but if the Italians don't pay more attention, he may soon one day be in a position to put in place his deeply divisive policies.
[/color]




_________________
[^]The best quote ever (2013 Nonsense Award Winner):
«Way hay and up she rises, Way hay and up she rises, Way hay and up she rises, Early in the morning!»
© Anonymous/The Irish Rovers
http://tuttiicriminidegliimmigrati.com/
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MessaggioInviato: 21/09/2010, 21:43 
Alla faccia dell'Autonomia
Pubblicato il Thursday, 16 September @ 14:28:03 CDT di admin

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Assistiamo allo stillicidio quotidiano di notizie relative agli incontri, agli spistolini, agli inciuci che il furbo Ministro-Presidente della Regione Siciliana, in linea con la buona (e confermata nel tempo) tradizione democristiana da cui ben dimostra di provenire, sta vivendo in vista della formazione di un nuovo governo regionale.

Figure e mezzi busti si avvicendano nel conto alla rovescia che sembra appassionare pero' soltanto quei quattro giornalisti, prezzolati dai partiti, che svolgono semplicemente il ruolo di imbonitori dell'opinione pubblica e servono soltanto ad indorare la supposta che Lombardo si appresta a servire ai siciliani.

Fingono certo stupore di fronte ad ipotesi pirotecniche di 4° governo regionale, in due anni, che mettono in secondo piano il voto espresso dai cittadini e dimostrano che questa classe politicante, dei cittadini e delle loro esigenze non se ne frega più di tanto.

Economia a rotoli, disoccupazione, precari in aumento, università in tilt per mancanza di posti ( tutti dottori! ), turismo schiaffeggiato dai quattro riciclati che per due mesi cercano di sfruttare i malcapitati ospiti della terra "impareggiabile", ferrovie obsolete, rete di trasporti fatiscente, alluvioni "soltanto" estive che riescono pero' a bloccare paesi e strade, e la giunta regionale, attraverso l'assessore riciclato da Lombardo perché trombato in continente, ma ben imparentato, scopre che bisogna impegnarsi di più nello sfruttamento delle risorse turistiche della Sicilia..., minchia pero'...!?!?!

E aggiunge, da buon amico di Franco Zeffirelli, che bisogna incrementare il turismo ... omosessuale. Non giudicateci contrari alle nuove esigenze della società contemporanea (sic) ma noi restiamo legati ad un mondo scomparso fatto di corteggiamenti, di occhiate, di innamoramenti, di... belle gnocche e a Taormina ci andavamo per trovare le svedesi...!).

Pero', se il governo regionale scopre che la risorsa "turismo" deve essere sfruttata, beh, sicuramente questi Soloni hanno fatto studi e inchieste approfondite, alla faccia dei 10 secoli e passa già prima di Cristo di storia e di cultura che la Sicilia ha elargito nel mondo e che l'assessore Strano scopre soltanto oggi, 2010 !.

Ritornando pero' al nuovo inciucio che Lombardo sta architettando a dispetto, ma grazie ai voti che gli avete dato, ci sconvolge il fatto che la preoccupazione principale di questa gente siano gli accordi e le spartizioni piuttosto che le manovre per risollevare l'economia dell'Isola.

Sembra che nel tessere l'inciucio, il Ministro-Presidente tornerà da Roma con i soldi per i Fas, con la firma per l'aeroporto di Comiso, nazionale quindi, con relative spese di gestione a carico della Repubblica, con un piano integrato per il sud, alla faccia della coerenza autonomista con cui ha fatto le sue fortune, ma sicuramente macchiavellico.

L'Autonomia, che L'Altra Sicilia predica da anni, ha trovato in questi ultimi anni terreno fertile nelle coscienze e nel sentire comune della gente. Lo Statuto che noi veneriamo come nostra Carta costituzionale sembra aver avuto un rilievo importante nelle richieste della gente proprio perché porta in luce le opportunità di riscatto della nostra terra. E Lombardo in primis, ma tutta la classe politicante siciliana sta cercando di cavalcare questo tema, strumentalmente pero', senza averne piena e convinta percezione.

Tanti politicanti di lungo corso, incapaci ormai di dare risposte sulla crisi economica, sui deficit di sviluppo, stanno cercando di riciclarsi, o lo hanno già fatto, all'interno di partiti localistici o autonomisti, oggi in grande spolvero, cercando di affibbiare crisi e mancanze al governo nazionale, sicuramente ma non completamente il solo colpevole, diciamo noi.

L'autonomia di questi signori ci sconcerta e ci spaventa perché non autentica e quindi destinata ad arenarsi. Noi temiamo che la gente ne attribuisca poi il fallimento non a questi stessi signori, come sarebbe opportuno, ma, manipolata poi da giornali e tv, alla grande idea dell'Autonomia. Del resto, non lasciamoci fregare.

La pretesa Autonomia di Lombardo e dell'MPA si squalifica da sola. Lombardo può infatti stare in regione con Miccichè e con PD e quindi contro Udc e Pdl mentre a Roma sta con Udc e con Berlusconi e non con il Pd... .così il teatrino della cosidetta politica puo' continuare all'infinito.

Può esistere a questo punto un'Autonomia a trazione nazionale e che serve da supporto all'azione del governo romano?

Di quale autonomia stiamo parlando? Di quella personale e dell'onorabilità, o di quella che servirebbe a soddisfare le esigenze e i bisogni dell'Isola?

Berlusconi, Casini, Fini, Bossi, ne abbiamo già abbastanza con i nostri Lombardo, Cascio, Craolici, Miccichè & Co... siciliani, ma mandiamoli tutti a casa, nazionali e isolani, finalmente a lavorare!

Ufficio stampa
L'ALTRA SICILIA - Antudo


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MessaggioInviato: 21/09/2010, 21:46 
La quadratura del cerchio
Pubblicato il Monday, 20 September @ 00:05:00 CDT di admin

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Martedì' prossimo, 21 settembre, il Ministro Presidente della Regione Siciliana presenterà all'ARS la sua proposta di nuovo esecutivo, il suo quarto governo regionale, in soli due anni di legislatura.

La Sicilia in piena prima Repubblica !

Significa un governo ogni sei mesi, con tutto lo spreco di soldoni che comporta l'organizzazione della macchina amministrativa che, appena messa in moto, deve completamente essere cambiata, e questo ormai già alla quarta passata: svariati milioni di euro, spesi pero' per una giusta causa... personale!

Raffaele Lombardo appare sicuro del voto favorevole della casta dei "sodali", vuoi perché soltanto a fine novembre loro signori avranno maturato i diritti alla pensione, vuoi per l'accordo che è riuscito a strappare ai partiti romani cui si è rivolto passando oltre gli ascari isolani, che fingono di incazzarsi.

Intanto i siciliani si domandano se questo teatrino possa portare loro qualche prospettiva di sviluppo, qualche possibilità di lavoro e di occupazione ....

Ma tutto sembra mescolarsi: spinta autonomista, potere assoluto, poltrone, ascari, Casini, Romano, finiani e deludenti democratici...

Certo, rimettere al governo le forze che hanno perso le elezioni è davvero grossa, ma tutto si giustifica (Machiavelli) e il laboratorio politico messo a punto da Lombardo - per fare i suoi interessi e non certamente quello dei siciliani -, svincolato dal controllo dei partiti, con 6 assessori tecnici e 6 assessori quasi politici, tutti ai suoi ordini, gli assicura il potere assoluto e gli consente di fare "l'en plein" di poltrone da assegnare ai suoi fedelissimi.

L'Autonomia che tanti politici scoppiati, a corto di progetti, cercano cinicamente di cavalcare appare oggi solo il pretesto strumentale alla loro incapacità di dare risposte alla gente ed alle richieste di lavoro e occupazione.

Tutti a rincorrere il valore dello Statuto per poter rinversare sul governo, poi, le colpe della loro incapacità e il fallimento della loro attività politica.

Ripetiamo: non si può fingere di fare qualcosa in cui non si crede. "San Giovanni non vuole inganni" titolammo una volta a proposito della forzatura della rincorsa autonomista.

E questo Lombardo lo lascia trasparire pienamente col suo cinico comportamento: l'autonomia che professa col suo movimento dovrebbe intendersi non quella statutaria ma quella dal controllo e dal rendicontare ai cittadini. D'altronde, chapeau, se glielo lasciano fare...

E questo cinismo appare tutto nei 3 punti programmatici del nuovo esecutivo,( tanto che ci domandiamo: ma finora loro dov'erano? ):

1- fiscalità speciale, ( ma se la Corte "incompetente" ha destinato le tasse percepite in Sicilia al Nord; se la gestione delle autostrade siciliane si fa in Continente e non le fa il Consorzio Siciliano, CAS, come sarebbe nella logica... )

2 - piano infrastrutturale dei trasporti (sperando poi che non significhi il Ponte, mentre il dissesto idrogeologico del territorio, specie quello interessato dall'eventuale costruzione, si svela in tutta la sua gravità già nelle piogge di fine estate; mentre strade e autostrade latitano e gli aeroporti restano solo 3, nonostante i proclami al turismo del geniale assessore Strano?)

3- lotta alla criminalità organizzata ( e lo scandalo rifiuti?. L 'aumento degli insediamenti della grande distribuzione, le trivellazioni che ENI, Agip si accingono a iniziare nel canale di Sicilia, complice l'arlecchino libico?)

D'altronde Lombardo ben dimostra di provenire dalla Democrazia cristiana siciliana, quella dei Mannino, Andreotti, Cuffaro, tutta gente che con la magistratura, ad un certo punto ha avuto qualche problemino.

Lo stesso nostro Eroe, nel 92 era stato arrestato e condannato in primo grado per abuso d'atti d'ufficio, poi assolto in appello. Nel 94 era stato ri-arrestato e ri-condannato in primo grado per corruzione nell'affare delle mense dell'ospedale di Catania.

Anche qui assolto in appello con Pellegrini, allora patron dell'Inter, condannato a risarcire lui e gli altri coimputati ben 5 miliardi di vecchie lire. In quegli stessi anni lo stesso Fini, che oggi appare suo buon sodale nel gabbare i siciliani, in un comizio a Catania lo indico' per nome e cognome come colluso con le cosche mafiose, accusa che dopo due giorni confermo' con una interrogazione depositata ancora alla Camera e la conseguente querela di Lombardo rimasta senz'esito perché la Camera aveva negato la levata di immunità di Fini.

Certo il Ministro Presidente è stato prosciolto da tutte le accuse, questo vogliamo sottolinearlo per evitare ogni conseguenza, ma vuoi mettere? Alla fine il nomen giuridico non conta niente, moralmente resta pero' una macchia.
Non capita certo a tutti i buoni padri di famiglia di farsi arrestare, condannare in primo grado, e poi assolvere in appello, e questo per ben due volte !

Ancora recentemente, nel 2006, lungo la costa di Ispica, in località denominata Ciriga, sito di interesse geologico per l'esistenza della città di Apollinare e zona a protezione ambientale perché luogo di approdo degli uccelli migratori, sono state sequestrate, in attesa della decisione della Procura, una concessione edilizia intesa alla chiusura di un tratto di 300 metri di spiaggia e una concessione edilizia per la recinzione di un altro tratto di spiaggia che invece stava comportando la costruzione di un abitazione in sasso. E la concessione edilizia portava un nome: Raffaele Lombardo....

Questo non per criticare sempre e comunque il programma del nuovo esecutivo ma per sottolineare un vecchio detto: "giustizia fora da me casa" e aspettando che la gente capisca e che possa aprirsi, per la terra "impareggiabile", una nuova era di etica, legalità, riforme politiche e coerenza.

Ufficio stampa
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MessaggioInviato: 28/09/2010, 11:28 
Garibaldi e il saccheggio del Regio Banco di Sicilia
Pubblicato il Monday, 27 September @ 13:10:22 CDT di admin

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Il 27 maggio del 1860 data l’inizio della scientifica spoliazione e della rapina delle ricchezze e dei beni delle genti del Sud e dei siciliani. Con l’entrata di Garibaldi a Palermo ha infatti inizio il saccheggio della tesoreria del Regio Banco di Sicilia. Del resto che cosa ci si poteva aspettare da un predone che in sud america era uso, grazie alle lettere di “ corsa” assaltare e depredare, per far bottino, le navi imperiali brasiliane e spagnole.

Dell’enorme tesoro in lingotti d’oro che allora il Banco di Sicilia conteneva e che fu saccheggiato da Garibaldi ne è testimonianza il fatto che poco meno di un anno prima(nel 1859) i dirigenti del banco siciliano avevano commissionato ad alcune imprese edili il rafforzamento della pavimentazione del Banco stesso resa pericolante dall’enorme peso della traboccante cassaforte in cui appunto erano contenute ingenti somme di denaro e enormi quantità di lingotti d’oro.

Ad alleggerirla in quel maggio del 1860 e a risolvere i problemi e i pericoli del sovrappeso della cassaforte ci pensò, alla sua maniera, Garibaldi rapinando il contenuto della cassaforte e depredando i palermitani e i siciliani dei loro risparmi. Il tutto avvenne in occasione dell’incredibile e inspiegabile ingresso di Garibaldi in una Palermo presidiata da 24000 borboni e dopo la farsa della battaglia di Calatafimi, dove grazie al tradimento e alla corruzione (il prezzo del tradimento ammontò allora a 14000 ducati) del generale Landi, 3000 borboni batterono in ritirata di fronte a circa 1000 garibaldini male in arnese e nella quasi totalità inesperti all’uso delle armi. In quell’occasione, proprio quando i borboni in numero nettamente superiore e attestati in una posizione più che favorevole, si accingevano a sconfiggere facilmente i garibaldini, il generale Landi, che già aveva intascato una fede di credito di 14000 ducati, un somma enorme per quei tempi equivalenti a 430 milioni di vecchie lire e 224mile euro dei nostri giorni, diede ordine al proprio trombettiere, di suonare il segnale della ritirata, lasciando sbigottiti ed esterrefatti gli stessi garibaldini che, a quel punto, non credevano ai propri occhi. Come non credevano ai propri occhi gli stessi soldati borbonici che con rabbia e sdegno, loro malgrado, furono costretti a ubbidire.

Scriverà poi Cesare Abba nelle suo libro “ Da Quarto al Volturno” : “E quando pensavamo di avere perso improvvisamente ci accorgemmo di avere vinto e meravigliati dal campo stemmo a guardare la lunga colonna ritirarsi a Calatafimi”. E ancora, uno dei Mille, Francesco Grandi nel suo diario così riportava:” Ci meravigliammo non credendo ai nostri occhi e alle nostre orecchie, da come si erano messe le cose, quando ci accorgemmo che il segnale di abbandonare la contesa non era lanciato dalla nostra tromba ma da quella borbonica.” Più chiaro di così . Tanto potè a Calatafimi il tradimento e la corruzione del generale Landi come possiamo rilevare da quanto riportato nei loro diari degli stessi garibaldini increduli testimoni dell’ "inglorioso" evento.

Ma “l’intelligenza con il nemico” di Landi nella battaglia di Calatafimi non fu certo pari a quella del generale Lanza a Palermo. Questi lo superò di gran lunga, nel modo come all’alba del 27 maggio agevolò l’entrata di Garibaldi a Palermo da porta Termini, lasciandola deliberatamente sguarnita e non prendendo alcun provvedimento malgrado alcuni suoi ufficiali lo sollecitassero a fare uscire le truppe (che contavano ben 24000 uomini) acquartierate al Palazzo Reale per contrastare i circa 3000 garibaldini (ai Mille si erano nel frattempo aggiunte alcune bande di picciotti molte delle quali condotte da noti mafiosi dell’epoca) che si accingevano a entrare in città. Lanza lasciò deliberatamente il grosso delle truppe inoperose e poca resistenza poterono fare le 260 reclute che erano rimaste a presidio di porta Termini da cui, travolta questa scarsa resistenza, i garibaldini dilagarono in città rimanendone nei giorni successivi assoluti padroni poiché Lanza si ostinava a tenere inspiegabilmente (era evidente il tradimento e la connivenza con il nemico) le sue truppe acquartierate e inoperose nei pressi del Palazzo Reale.

Nei giorni seguenti, fedele a un copione già stabilito e concordato, chiede per il giorno 29 maggio all’ammiraglio inglese Mundy, che si trovava con la sua nave ammiraglia Hannibal nella rada di Palermo la mediazione per la firma di un armistizio che verrà accordato e che si protrarrà sino al 3 giugno. Nelle more dell’armistizio, per accordare ulteriori 3 giorni di proroga Garibaldi, pretenderà la consegna di tutto il denaro del Regio Banco delle Due Sicilie. E come è facilmente arguibile, da copione già scritto, il Lanza acconsentirà facendo per questo nascere il legittimo sospetto, alla luce degli avvenimenti di quei giorni caratterizzati da tradimenti e corruzioni, che, nella divisione della torta del saccheggio del Banco, una fetta non indifferente andasse alla fine nelle capienti tasche del generale borbonico. Del resto, di qualche giorno a Calatafimi sulla falsariga della corruzione e del tradimento, lo aveva preceduto per cifre più modeste il generale Landi. La cronaca di quei giorni e della consegna di quanto contenuto e saccheggiato dal "Banco delle Due Sicile” e bene e dettagliatamente riportata nel libro di Lucio Zinna “il Caso Nievo” (che come si sa fu il viceintendente di finanza della spedizione dei Mille). Zinna fa una puntuale e interessante ricostruzione del caso Nievo e della sua misteriosa morte avvenuta nel marzo del 1861, nell’affondamento del Piroscafo Ercule a punta Campanella nei pressi di Napoli mentre stava portando a Torino la rendicontazione della gestione amministrativa e finanziaria dell’impresa dei Mille comprendente anche, si presume, la vicenda riguardante la “consegna” del denaro del Banco delle Due Sicile preteso da Garibaldi all’atto dell’armistizio.

Ma sfortunatamente tutto andò a fondo nel naufragio dell’Ercole e ogni notizia al riguardo si perse con la misteriosa morte di Nievo. Lucio Zinna nel suo interessante libro, così puntigliosamente e minuziosamente, ricostruisce la cronaca del ” prelievo” fatto da Garibaldi a danno dei palermitani e dei siciliani al Banco delle Due Sicilie: “ Il primo giugno Francesco Crispi e Domenico Peranni (ultimo tesoriere di nomina borbonica, ben presto e per breve tempo Ministro delle Finanze della dittatura garibaldina) ricevettero nel palazzo delle finanze, dallo stesso generale Lanza e in presenza di funzionari, la somme che vi erano custodite. Complessivamente 5 milioni 444 ducati e 30 grani. E poiché nella monetazione siciliana - spiega Zinna nella sua puntuale ricostruzione - un ducato,equivalente a dieci tarì, corrispondeva al cambio in lire italiane di 4,20, la somma complessiva ammontava a 22 milioni 864mila 801 ducati e 26 centesimi pari a 166 miliardi 962 milioni738 mila 984 lire che tradotti in euro fa 86 milioni 229 058 e 44 centesimi. Un importo complessivo costituito dai depositi dei privati tranne 112 mila 286 ducati di pertinenza erariale. Una somma enorme equivalente a quasi metà delle spese sostenute nella guerra franco piemontese del 1859 contro l’Austria. E fu così che privati cittadini palermitani e siciliani si videro così spogliare di tutti i loro risparmi ai quali Garibaldi rilasciò una improbabile ricevuta con su scritto “ Per spese di guerra” con l’impegno che il nuovo stato avrebbe restituito il prestito. Il foglietto contenente la ricevuta restò negli archivi a futura memoria. Il dovuto non fu mai restituito ma distribuito ai garibaldini, alla copertura delle spese delle guerre sabaude e al ripianamento del debito pubblico dello stato più indebitato d’Europa che era allora il Piemonte per le enormi spese di guerra sostenute. I siciliani e i palermitani aspettano ancora di essere risarciti di queste rapine anche per questo la magica parola Risorgimento vorrà ancora oggi, per loro significare, con i dovuti interessi, Risarcimento.

Di questo prelievo indebito e forzato è difficile, trattandosi di un vero e proprio atto di saccheggio e di pirateria dei depositi bancari dei siciliani, trovarne traccia nelle cronache e nei libri del tempo. Ne fa cenno nel suo libro-diario “La Flotta inglese e i mille” l’ammiraglio sir Rodney Mundy, inviato, con la sua flotta, dal governo del suo paese, a scortare e proteggere Garibaldi, che così debitamente riporta l’avvenimento : 1° giugno – Riferendosi alle clausole della convenzione firmata dal generale Lanza e dal sig. Crispi, segretario di stato del governo provvisorio, la Finanza e la Zecca reale passava agli insorti. Nelle casse furono trovate un milione e duecentomila sterline in denaro contante” ( Corrispondente, in sterline, all’ingente somma così bene e minuziosamente descritta da Lucio Zinna).

Per non fare torto ai siciliani e ai palermitani, appena giunto a Napoli, Garibaldi non si fece parimenti scrupolo di depredare e usare lo stesso trattamento e gli stessi metodi di rapina alla capitale del Regno delle Due Sicilie. Il palazzo reale fu spogliato e depredato di tutto e così come avvenne a Palermo fu saccheggiato l’oro della Tesoreria dello Stato e tutti i depositi del Banco di Napoli requisiti e dichiarati beni nazionali . Con un decreto del 23 ottobre, ben 6 milioni di ducati equivalenti a 118 miliardi delle vecchie lire e a 90 milioni degli attuali euro provenienti da questi saccheggi furono poi divisi tra gli occupanti e i loro sodali. Furono pure requisiti il patrimonio e i beni personali di Francesco II di cui indebitamente si impossessò Vittorio Emanuele II . Più avanti il re di Sardegna si offrirà di restituirli al legittimo proprietario se questi avesse acconsentito a rinunciare al suo diritto al trono delle Due Sicilie.

“La dignità non si compra” fu la lapidaria risposta del deposto ultimo re della dinastia borbonica in Italia, definita “la negazione di Dio”, al re “galantuomo”che lo aveva depredato di tutto. E dire che di recente il ballerino cantante principe Emanuele Filiberto di Savoia e suo padre Vittorio Emanuele, degni discendenti del re “galantuomo”, con la regale faccia tosta che li contraddistingue, rientrati dall’esilio pretendevano un cospicuo risarcimento per svariati milioni di euro per i danni subiti, a loro dire, dallo stato italiano. Avrebbero fatto bene i due ridicoli e patetici rampolli discendenti di casa Savoia a rileggere la Storia di quei tempi e rivisitare i massacri le rapine, le spoliazioni e i saccheggi perpetrati indebitamente dai loro avi a danno delle popolazioni meridionali e per questo, esse e non i Savoia, legittimamente destinatarie di risarcimenti mai bastevoli a compensare gli incommensurabili e inestimabili danni subiti.

Ma torniamo al generale Ferdinando Lanza. Dopo avere consentito a Garibaldi di depredare, nelle more dell’armistizio del 30 maggio, il Banco di Sicilia in cui si presume abbia avuto la sua parte di “bottino”, giusto il tempo di consentire saccheggio, firmerà appena sette giorni dopo (il 6 giugno) una disonorevole e umiliante capitolazione . Ben 30 mila borboni bene armati e in pieno assetto di combattimento (ai 24000 uomini accampati, che Lanza teneva inoperosi nel piano di palazzo reale, se ne erano nel frattempo aggiunti 6000 agli ordini di Bosco e Won Mekel rientrati a Palermo dopo il vano inseguimento alla colonna del garibaldino Orsini) si arrenderanno a poco più di 3000 tra picciotti e garibaldini male in arnese e scarsamente armati.

Una incredibile e assurda capitolazione che non trova alcuna elementare spiegazione in nessun manuale di strategia militare, se non giustificata dalla corruzione e dal tradimento dei generali Landi a Calatafimi e Lanza a Palermo. Scrive, a proposito di questa inconcepibile resa, ancora Cesare Abba: “Gli abbiamo visti partire. Sfilarono dinanzi a noi alla marina per imbarcarsi, una colonna che non finiva mai, fanti, cavalli, carri. A noi pare un sogno, ma non a loro” Era un sogno. I garibaldini ancora una volta, come a Calatami, non credevano ai propri occhi: avevano guadagnato una battaglia che, considerata l’enorme disparità in campo a loro sfavorevole mai pensavano di poter vincere. Un sogno per i garibaldini, un incubo per i soldati duosiciliani cui li aveva precipitati il tradimento e la corruzione dei propri generali.

Rientrato a Napoli, Ferdinando Lanza finirà davanti alla Corte Marziale per alto tradimento. Non ci sarà il tempo di condannarlo per il precipitare degli eventi dovuti alla fuga da Napoli di Francesco II. Il generale Lanza potrà così godersi il frutto delle proprie malefatte. Della sua “intelligenza con il nemico” negli avvenimenti di Palermo del giugno del 60 ne è riprova quanto avvenne poco meno di tre mesi dopo a Napoli. Il 7 settembre Lanza si recherà a palazzo d’Angri a rendere omaggio a Garibaldi e a complimentarsi per le sue “ vittorie” e ricordargli che a queste vittorie lui aveva dato il suo determinante e peculiare contributo.

Altrettanto bene non finirà invece al generale Landi. Vi ricordate delle fede di credito di 14mila ducati quale prezzo della sua arrendevolezza a Calatafimi?
Ebbene nel marzo del 1861 quando si presenterà presso la sede del banco di Napoli per esigere il prezzo del”malaffare”, dai funzionari del banco si sentirà dire che quella fede di credito era taroccata.
Il suo valore non era di 14mila ducati ma bensì di 14 ducati a cui erano stati aggiunti truffaldinamente tre zeri. Ai dirigenti, che gli aprivano sconsolatamente le braccia, confesserà con rabbia di averla avuta personalmente da Garibaldi.
Corrotto e truffato dunque, Landi, precedentemente degradato e posto in pensione, morirà per il dispiacere poco tempo dopo.

Saccheggi, spoliazioni, tradimenti corruzioni, truffe da Garibaldi ai Savoia questi gli ingredienti che caratterizzarono la conquista del Sud e portarono a una mal metabolizzata “Unità d’Italia”. Oggi, a distanza di 150 anni da quegli avvenimenti, nulla è cambiato.
Con queste premesse del resto cos’altro potevano pretendere gli italiani e le popolazioni meridionali che di questa mala Unità ne pagarono e ne continuano a pagare le drammatiche e costose conseguenze.

Ignazio Coppola


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MessaggioInviato: 28/09/2010, 11:44 
L’impennata indipendentista della Sardegna

di Sergio Rizzo, Gianantonio Stella - corriere.it.

La crisi della pastorizia si sta saldando con la scommessa industriale persa. E nella terra del primo martire prendersela con Roma diventa moda intellettuale.

[seguono commenti dal blog di Michela Murgia]

«Guidare la Sardegna verso una piena e compiuta indipendenza». Chissà cosa direbbe Francesco Cossiga a leggere la mozione del consigliere regionale Paolo Maninchedda.

Passava ore, l’ex presidente da poco scomparso, a parlare del suo orgoglio sardo: «Siamo una nazione incompiuta. Abbiamo tutto (lingua, leggi, costumi, cultura, identità territoriale) per essere una nazione. Non lo siamo perché abbiamo rinunziato all’autonomia per amore dell’Italia. C’è chi ha detto che la Svizzera è una "nazione di volontà": ecco, si può dire che la Sardegna è italiana per volontà».
Una nazione. Divisa in paesi. E i paesi in clan: «In sardo non esiste manco la frase: «come fai di cognome». Uno dice: «come ti narri»? Io rispondo: Franziscu. Nome proprio. Poi: «di che ratza sese?». Di che razza sei? Gruppo famigliare e paese. Rispondo: deo so de sos Còssiga de Zaramonte. Sono un Cossiga di Chiaramonti ». E così, vezzosamente, voleva essere chiamato: Ceccio da Chiaramonti.
Ma mai avrebbe potuto sottoscrivere quella mozione di Maninchedda. Dove si dice proprio così. Che «del territorio della Sardegna decidono i sardi e non lo Stato italiano». E che la giunta deve impegnarsi «a guidare la Sardegna verso una piena e compiuta indipendenza, avviando con lo Stato italiano una procedura di disimpegno istituzionale che preveda un quadro articolato di indennizzi per la Nazione sarda, in ragione di tutte le omissioni, i danni e le sperequazioni che la Sardegna ha subito prima dal Regno d’Italia e poi dalla Repubblica italiana». Non autonomia: «indipendenza». Brutalmente: secessione.
Cos’è: una testa calda? Macché: un docente di buone letture. Che col Partito Sardo d’Azione appoggia la giunta di Ugo Cappellacci. Le altre otto o nove mozioni presentate per modificare lo statuto regionale, del resto, non sono meno combattive. C’è chi chiede, come la sinistra e l’Udc, di riscrivere il patto fra la Regione e lo Stato. Chi, come il Pdl, vuole una proposta di legge costituzionale da inviare alle Camere per «affermare il diritto del Popolo sardo al suo pieno autogoverno».
Per non dire di quella di un gruppo con in testa Renato Soru che riafferma

«la sovranità del Popolo sardo sulla Sardegna, sulle sue isole minori, sul suo mare territoriale, sovranità frettolosamente abbandonata nelle mani della Monarchia sabauda in cambio della "fusione perfetta con gli Stati della terraferma"» e «denuncia la concessione della perfetta fusione deliberata dal Re di Sardegna Carlo Alberto» considerando «politicamente conclusa la vicenda storica conseguente alla rinuncia alle proprie sovranità istituzionali, avvenuta il 29 novembre 1847».

Parole durissime. Tanto più perché pronunciate alla vigilia dei 150 anni dell’Unità in una terra che ha dato all’Italia non solo il primo contenitore istituzionale, cioè il Regno di Sardegna, ma il primo martire (quell’Efisio Tola di cui parla Manlio Brigaglia) e una lunga serie di protagonisti della nostra storia. In particolare in quell’incredibile quadrilatero intorno alla parrocchia di San Giuseppe di Sassari che ha visto crescere nei dintorni — anche se non tutti, ovviamente, andavano in chiesa —, due capi dello Stato (Francesco Cossiga e prima di lui Antonio Segni), due segretari del Pci (Palmiro Togliatti che fece il liceo a duecento metri ed Enrico Berlinguer che abitava a due passi), un leader referendario che per qualche tempo sembrò avere in pugno l’Italia (Mario Segni) e una sfilza di ministri, da Giuseppe Pisanu a Sergio Berlinguer, da Luigi Berlinguer ad Arturo Parisi.
Certo, Palmiro Togliatti sorrideva della retorica del Risorgimento: «È per il piccolo borghese italiano come la fanfara per gli sfaccendati. Fascista o democratico, egli ha bisogno di sentirsela squillare agli orecchi, per credersi un eroe». Ma certo sarebbe rimasto sbalordito da un’impennata indipendentista come quella che, senza che a Roma se ne siano ancora accorti, è partita dalla Gallura a capo Teulada. Come sarebbe rimasto stupito Indro Montanelli, che nel 1963 percorse per il Corriere l’isola (dove aveva frequentato il liceo al seguito del padre preside a Nuoro) e scrisse che «nelle loro rivendicazioni i sardi si sono mostrati molto più prudenti, cauti e misurati» dei siciliani.

«Quello che sta accadendo», spiega Mario Segni, «è una follia totale. La conseguenza di una situazione di profonda crisi nell’economia e nella società. Il fatto preoccupante è che comincia a essere un argomento di moda, fra gli intellettuali come nel sindacato. La classe politica, inetta, trova comodo scaricare le proprie responsabilità su Roma. E non è solo una questione limitata a pochi matti sardisti, se consideriamo che perfino 14 consiglieri del Pd hanno firmato una mozione nella quale si rivendica il concetto di sovranità. Insomma, è una situazione pericolosissima».

Tanto più in un momento come questo. Con la giunta Cappellacci nel caos. Il governatore che un anno e mezzo fa, trainato dai comizi del Cavaliere, sconfisse Soru innescando una reazione a catena culminata con le dimissioni di Walter Veltroni, è sotto assedio. A sinistra, come a destra, gli imputano di essersi fatto coinvolgere nella vicenda del business eolico dal faccendiere Flavio Carboni. Né gli sono risparmiate critiche per i silenzi sulla gestione del G8 della Maddalena. Prodi aveva promesso a Soru, insieme a un pacchetto da 400 milioni per sistemare pendenze in ballo da decenni, il rifacimento della statale fra Olbia e Sassari. Si sa com’è finita. L’appuntamento è stato spostato a L’Aquila. La strada e tante altre cose non si sono più fatte e ai sardi è rimasta la rabbia per il fiume di denaro sprecato, gli scandali della «cricca» e tutto il resto.
La miccia indipendentista pareva a lenta combustione. Ma rischia di bruciare più rapidamente in una regione dove l’economia è a pezzi e la politica non riesce a dare risposte. O peggio si arrocca nella difesa di realtà indifendibili, come le province regionali passate da quattro a otto sotto la precedente giunta destrorsa (ma senza troppe lagne della sinistra...) e rimaste nonostante Soru le avesse bollate come «una pazzia» tentando di abolirne quattro con un referendum. Otto giunte, otto consigli, otto sedi, otto amministrazioni. Anche dove c’è una manciata di abitanti, come nella Provincia dell’Ogliastra che ha come capoluogo Lanusei: 5.665 anime. Un ventesimo scarso degli abitanti di Giugliano.
Pascolano i consiglieri provinciali, pascolano i consiglieri regionali (uno ogni 19.266 abitanti: in Lombardia uno ogni 113.858), pascolano meno bene le greggi dei pastori cantati da Tonino Ledda: «Terra brujada est custa/ e d’est bocchende/ semen in sinu e brios in sas venas... » Terra bruciata è questa, e sta uccidendo semi nel seno e brio nelle vene...
La pastorizia attraversa la crisi più grave del dopoguerra. Nei magazzini giacciono 60 mila quintali di pecorino. Era l’oro della Sardegna. Non lo è più. Il prezzo del latte ovino è precipitato. «Me lo pagano mediamente 60 centesimi al litro, trenta o quaranta in meno di quanto mi costa produrlo», si sfoga Agostino Madau, che ha trecento pecore dalle parti di Stintino, «È impossibile tirar avanti. Impossibile».
La crisi economica pesa, ma non spiega tutto. Negli ultimi due anni le esportazioni sono crollate. Colpa soprattutto degli Stati Uniti. Ma non perché gli americani, travolti dal crac delle banche, abbiano tagliato i consumi di pecorino. Gli è che non lo acquistano più tutto dalla Sardegna, ma anche dalla Spagna, della Grecia, dalla Romania. Direte: che c’entra la Romania? La risposta la trovate, per fare un esempio, aprendo il sito http://www.lactitalia.ro della rumena Lactitalia. Dove si spiega che il caseificio di Izvin tratta circa centomila litri di latte al giorno e produce Ricotta salata pressata, Toscanella, Mascarpone, Mozzarella, ricotta Pecorino. Tutti squisiti formaggi italiani dal nome italiano e tradizione italiana. Fatti vicino a Timisoara. Con effetti, secondo la Coldiretti, devastanti se è vero che anche a causa della concorrenza dei formaggi «italiani» fatti all’estero avrebbero chiuso dal 2004 ad oggi in Sardegna un migliaio di allevamenti.
Il punto è che in Lactitalia non solo l’azionista di maggioranza è la sarda Roinvest che fa capo alla famiglia Pinna, ma tra i soci c’è lo Stato italiano: il 29,5% è infatti della Simest, una società al 76% del ministero dello Sviluppo economico costituita per sostenere l’espansione all’estero delle nostre imprese. «Con l’ombrello della internazionalizzazione», accusa il direttore della Coldiretti sarda, Michele Errico, «un’azienda pubblica, magari in buona fede, sta finanziando la concorrenza sleale». Andrea e Paolo Pinna respingono le accuse sdegnati: «Per un breve periodo dell’anno è presente in loco latte di pecora con cui viene prodotto un pecorino da grattugia dello stesso tipo di quello che da anni si produce in Francia, in Bulgaria, in Siria, negli stessi Usa e in tanti altri Paesi, venduto poi sul mercato internazionale delle commodity industriali a basso costo. È un formaggio assolutamente diverso dal Pecorino Romano Dop per gusto, per forma, per marchiatura sulla crosta».
Che c’entra il pecorino romano? Vi sembrerà impossibile, ma questo è uno dei tanti «furti» dei quali i sardi si lamentano: il 90% del pecorino romano è sardo. Uno spreco assurdo di marchio, di cultura casearia, di identità. Vissuto in modo più doloroso oggi, con i pastori che occupano aeroporti e piazze per gridare la loro disperazione. Le 12.750 aziende per un totale di 30 mila pastori sono al collasso: se saltano loro salta il 35% dell’agricoltura sarda. Che già soffre per altri motivi. Non escluse, insiste Mario Segni, le responsabilità politiche: «Da un anno Bruxelles ha versato alla Sardegna più di 100 milioni per il miglioramento fondiario. Denari che la Regione doveva distribuire agli agricoltori. Che non hanno visto ancora un euro».
«Macché cento milioni: molto di più!», accusa Felice Floris, che per i pastori rappresenta un po’ quel che è Bové per i contadini francesi. «Per il periodo dal 2008 al 2013, l’Ue ha varato un piano di sviluppo rurale da un miliardo e 180 milioni. Ma ancora non è arrivato niente. E abbiamo una paura: che il grosso di questi soldi finisca per alimentare il parassitismo. La macchina burocratica attaccata alla politica».
Nel 2009, dice la Banca d’Italia, i raccolti si son ridotti del 13,7%: quattro volte la media nazionale. Ancora Floris: «Annate di siccità paurose. Autunni bruttissimi. Concimi passati da 20 a 110 euro. E poi i ricatti del mercato. A noi sta bene il mercato, ma mettano delle regole!». Per i cereali è stato un annus horribilis: -46,1%. Baingio Maddau, il padre di Agostino, ci trascina a vedere un enorme mucchio di grano. Ne prende un pugno, se lo fa scorrere fra le dita: «Sa quanto mi danno? 12 euro al quintale! Dodici euro! Vergogna! Piuttosto lo dò alle galline! ».
Ce l’ha con i grossisti, ce l’ha con l’Europa, ce l’ha con Luca Zaia che «ha pensato alle quote latte dei suoi elettori e non a noi». Dice che ha 120 vacche da carne e «un tempo erano una ricchezza», ma oggi per vacche di 6 quintali «sono arrivati a offrirmi 600 euro: un euro al chilo!» Felice Floris conferma: «Zaia ha condonato un miliardo e 600 milioni di multe alle aziende dei suoi elettori, ma poi quei soldi li pagheremo noi perché Bruxelles distribuirà i tagli a tutti».
Certo, la Sardegna è cambiata. Non ci sono più contadini come Ciccio Azzara così ignari del mondo da vendere per 160 mila lire a ettaro (si comprò una Fiat 600 e «un po’ di terra buona ad Arzachena») la favolosa insenatura di Liscia di Vacca dove, raccontò Mino Monicelli, le mucche andavano «al pascolo a nuoto, le corna alte sull’onda, dalla spiaggia di Pevero agli scogli Limbani, verdi e gialli nel mare verde e viola».
Tanti problemi, però, sono rimasti intatti. L’isola, per usare le parole di Montanelli (e sono passati 47 anni!) non è ancora riuscita a «liberarsi dal monopolio strangolatore della Tirrenia ». E mentre perfino il turismo pare in risacca (nel 2009 il calo delle presenze in Gallura, che pesa per il 40%, è stato del 4%.) alla drammatica crisi della pastorizia si salda la crisi del sogno industriale.
I dati sono da brivido. Nel primo trimestre 2010 il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 16,1%: il più alto fra tutte le regioni. «In due anni abbiamo perso 24mila posti nella sola industria. Ma se aggiungiamo i 100mila sardi che beneficiano di qualche ammortizzatore sociale, si arriva al 26 o 30%», stima il segretario della Cisl sarda Mario Medde. Centomila: un lavoratore su sei è in cassa integrazione o riceve un sussidio. Per non dire dei giovani: «Quelli senza lavoro sono il 44%. L’emigrazione intellettuale è devastante. Il 21,4% delle famiglie versa in condizioni di povertà ».
Nel 2009, stando sempre alla Banca d’Italia, le esportazioni sono precipitate del 43,9%, il doppio abbondante rispetto al resto del Paese. Un crollo che si aggiunge a quello del 2008 quando l’export della provincia di Sassari era smottato del 23%, scendendo a un decimo di quelle di Alessandria o Ravenna. Confronti da spavento: provincia di Sassari vuol dire Porto Torres. E Porto Torres era il nodo del grande sogno industriale che dopo aver vinto la scommessa di strappare la Sardegna alla malaria (sulla spalliera di un ponte sul Cedrino si leggeva: «Vincerà l’uomo o la zanzara?») pensava di strappare i sardi alla miseria e alla emigrazione.
Hanno fatto soldi in tanti, a Porto Torres. Su Porto Torres. Come Nino Rovelli, il brianzolo patron della Sir che chiuse la sua spericolata avventura lasciando un buco pari a 14 miliardi di euro attuali. Poi, uno alla volta, come avevano immaginato Indro Montanelli e Guido Piovene, hanno spento gli impianti. In crisi l’alluminio, in crisi il polo tessile, in crisi il polo chimico. Con l’Eni decisa a chiudere e andarsene a dispetto di quanto accanitamente sostengono gli operai e cioè che «un grande Paese non può rinunciare alla chimica e la chimica come spiega Legambiente possiamo farla solo noi, che abbiamo imparato a nostre spese come occorrano grande professionalità e grande attenzione alla natura».
E non è un caso che questa doppia crisi della Sardegna pastorale e della Sardegna industriale trovi il suo punto simbolico all’Asinara. L’aspra, stupenda, struggente isola in faccia a Stintino che ha ospitato secoli di uomini ammaccati dalla fatica e dal dolore. Prima i pastori chiusi in una «isolitudine» disperata. Poi i reduci deportati qui in quarantena dopo viaggi di emigranti verso la Meriche interrotti da spaventose epidemie di colera. Poi i galeotti trascinati nei penitenziari. E infine Piero Marogiu e gli altri operai lasciati a spasso dalla Vinyls che da 212 giorni si sono «auto-carcerati» in un edificio dell’isola-galera inventandosi «l’isola dei cassintegrati». Grande idea mediatica. Che ha consentito loro di trascinare lì un sacco di gente. E ottenere ieri un incontro con Berlusconi. Ce la faranno i nostri eroi a vincere? Mah... In uno stanzone hanno steso uno striscione: «Chi lotta può perdere, chi non lotta ha già perso ». Ogni giorno, sul loro blog, tengono un diario. Quando cala la sera la solitudine li prende alla gola. Da dietro le sbarre, con il pensiero alle famiglie in terraferma, il mondo pare quello cantato da Lucio Dalla: «Dalla finestra lui vedeva solo il mare/ed una casa bianca in mezzo a blu...».

Fonte: http://www.corriere.it.25 settembre 2010

http://www.megachipdue.info/tematiche/b ... degna.html



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