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30/08/2013, 21:46

Ufologo 555 ha scritto:

Le "americanate" le facciamo ... NOI! [;)]


Da buoni sudditi......... [8D]
Inchini e riverenze a chi ci stà inchiappettando a secco. [xx(]

30/08/2013, 22:14

Noam Chomsky - I rischi della globalizzazione

[BBvideo]http://www.youtube.com/watch?v=RPMJs4ykvx4[/BBvideo]

http://www.nocensura.com/2013/08/noam-c ... della.html


"Il neoliberismo è il paradigma economico-politico che definisce il nostro tempo: indica l'insieme delle politiche e dei processi che consentono a un gruppo relativamente ristretto di controllare il più possibile la vita sociale allo scopo di massimizzare i propri profitti". Questo è un passo tratto dal libro "Sulla pelle viva. Mercato globale o movimento globale?" di Noam Chomsky linguista statunitense di origine russa e polemista politico.

Noam Chomsky analizza il neoliberismo, pone in luce le distorsioni dell'interpretazione della stessa dottrina liberale classica che caratterizzano teoria e prassi degli alfieri postmoderni della deregulation, denuncia lo storico dominio americano (spesso reso possibile da generosi contributi pubblici alle industrie nazionali) e il disegno della Organizzazione Mondiale del commercio come longa manus di questo grande imperialismo globale che crea nuove povertà in termini di vita umana e di ambiente naturale tanto al Sud quanto al Nord del mondo.

Ormai, dice Noam Chomsky, tutto diventa globale ed il "pensiero unico" occidentale si materializza come intreccio di poteri e forme di dominio, di nuove forme di povertà, sfruttamento ed omologazione. Nell'arena globale, secondo Chomsky, le multinazionali ricoprono il vuoto lasciato dallo Stato-nazione e questo è il più grave danno per ogni sforzo di democrazia.

Il problema, secondo Noam Chomsky, è che anche le cosiddette forze della sinistra di governo sembrano rassegnarsi all'ineluttibilità della ricetta liberista; inizialmente associato a Reagan e alla Tatcher, negli ultimi due decenni il neoliberismo è stato il credo economico-politico dominante a livello globale, adottato non solo dai partiti politici di centro e di destra, ma anche da buona parte della sinistra tradizionale.

Questi partiti e le politiche adottate rappresentano gli interessi diretti di investitori estremamente ricchi e di meno di un migliaio di grandi imprese. Al centro dell'analisi di Noam Chomsky ci sono il ruolo storico degli Stati Uniti nell'informare secondo un modello funzionale ai propri interessi politici ed economici l'intero equilibrio dei rapporti mondiali. Chomsky sugli attentati alle torri gemelle ritiene che sono stati massime atrocità ma non riescono comunque a raggiungere il livello di tanti altri commessi dagli Stati Uniti.

Uno dei messaggi centrali del pensiero di Noam Chomsky è che la manipolazione delle coscienze, il gioco della distorsione dell'informazione, determina le condizioni ideali per il dominio sulla società da sfruttare. Noam Chomsky sostiene che stati e governi - tanto vituperati dai fautori del libero mercato - sono sostegni fondamentali per il sistema capitalistico al quale servono per la difesa degli interessi delle grandi imprese (sotto forma di sovvenzioni, fisco, ecc.) e sempre meno per tutelare i singoli cittadini, soprattutto i più deboli.

"I principi fondamentali del liberalismo classico trovano la loro naturale espressione moderna non nel dogma neoliberista, ma nei movimenti indipendenti dei lavoratori, nonché nelle idee e nell'azione di quel socialismo libertario espresso talvolta anche da grandi esponenti del pensiero del Novecento, come Bertrand Russel e John Dewey", scrive Noam Chomsky invitandoci a guardare oltre il confine che qualcuno vuole imporre al nostro immaginario.

31/08/2013, 03:10

Sembra di leggere le stesse parole dette da Nando Ioppolo in una intervista SPLENDIDA che hai postato qualche tempo fa :)

31/08/2013, 14:37

La "sinistra" è rimasta sorda alle proteste del popolo di Sinistra nei confronti del neoliberismo e della (fu)new economy, voglio ricordare il g8 di genova del 2002, finito col massacro avvenuto nell'istituto A.Diaz ai danni di studenti, professionisti, e persone comuni.. Quel Popolo ha cercato di far rinsavire la "sinistra" che oltre a far finta di non udire, ha concorso a quel massacro..[:(!]
Personalmente nn ho mai percepito pensieri "di sinistra".. nelle istituzioni..[8]

10/09/2013, 12:41

Il pericolo non arriva da Oriente, ma dalle riforme di liberalizzazione fatte negli Anni 90.


Il premio Nobel per l'economia, nonché keynesiano convinto, Paul Krugman avverte dei pericoli che si verifichi una crisi globale senza precedenti.


NEW YORK (WSI) - Fusioni societarie mal calcolate, cuscinetti di liquidita' insufficienti, speculazioni finanziarie senza freni, investimenti spregiudicati e deregulation. A tutti questi elementi, che hanno acceso la miccia della bomba subprime e poi del debito europeo, non è stato posto rimedio.

Anche nel caso della crisi asiatica e dei mercati emergenti che ha ridotto enormemente il valore di rupia indiana, yuan cinese e real brasiliano, tra gli altri, le origini sono da cercare nell'ottimismo eccessivo nel settore privato, secondo il premio Nobel Paul Krugman.

L'opinionista del New York Times, noto keynesiano, pone l'accento sugli eccessivi flussi di finanziamenti dall'estero finiti per gran parte nelle casse delle aziende private.

L'ottimismo ha ben presto lasciato il posto al pessimismo, "a una velocità impressionante, esacerbando la crisi". Nel suo editoriale Krugman si domanda se sia venuto il tempo di una crisi indiana e cinese.

Qualcuno paragona la crisi indonesiana del 1998 a quella greca dei giorni nostri ma, dice Krugman, "non c’è paragone tra le due crisi". Prima di tutto perché l’Indonesia disponeva di una propria moneta e, lasciandola deprezzare ha consentito in una paio di anni di avviare una solida ripresa.

La Grecia invece non ha questa possibilità, essendo ancorata alla moneta euro dove non ha alcuna possibilità di optare per una sua svalutazione. In secondo luogo, è sempre Krugman a dirlo, perché nella crisi indonesiana gli organismi di cooperazione economica internazionale, cioè il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, pur imponendo all’inizio provvedimenti severi per ottenere la concessione degli aiuti economici, non hanno poi imposto le severissime regole di austerity che ora vengono imposte dalle autorità mondiali ed europee alla Grecia e ad altri paesi (tra cui l’Italia, ndr).

A ogni modo, Krugman tranquillizza sulla possibilità che la nuova crisi indonesiana possa ricalcare quella del 1990 dato che il debito verso l’estero dell’Indonesia di oggi, grazie ai maggiori investimenti provenienti dall’estero, pesa molto meno, e l’attuale discesa del valore della rupia attirerà in breve nuovi investitori.

Il vero pericolo, secondo Krugman, anche se la Cina lo preoccupa più dell’Indonesia, non arriva da Oriente. Il pericolo arriva dalle riforme di liberalizzazione fatte negli Anni 90, a cui non si riesce a porre rimedio e che in poco più di dieci anni stanno creando le condizioni per l’avvio di una crisi globale senza precedenti.

Aver combattuto le crisi finanziarie degli Anni 80 e 90 intensificando gli scambi commerciali e finanziari con le altre economie globali, specialmente quelle del cosiddetto "terzo mondo", ha eliminato di fatto tutte le barriere e i controlli che regolavano la materia. L'effetto placebo ha presto lasciato il posto a una "reazione di rigetto", creando i presupposti la bolla subprime.

Le banche hanno assunto dimensioni troppo grandi ma al contempo troppo poco capitalizzate, "rendendo impossibile (come dettano le regole di mercato) la via del fallimento" nel momento in cui il capitale netto della banca, unitamente alle riserve, non è piu in grado di coprire le perdite accumulate.

Sono invece state "spalancate le porte ad ogni tipo di azzardo e speculazione in borsa", togliendo di fatto ai mercati quel "termometro" delle economie che era stato uno dei principali fattori nella crescita del libero mercato per tutta la seconda metà del secolo scorso

http://www.wallstreetitalia.com/article ... denti.aspx

10/09/2013, 16:10

Avete mai visto questo video? è molto interessante, parla Gerald Celente un esperto di borsa e trend di borsa americano. l'Ho postato anche in un'altra discussione ma centra anche con questa discussione [8]



Guardate anche questo documentario molto interessante

Thrive - Come gira la moneta

Ultima modifica di AgenteSegreto000 il 10/09/2013, 16:14, modificato 1 volta in totale.

10/09/2013, 18:10

ubatuba ha scritto:


Il pericolo non arriva da Oriente, ma dalle riforme di liberalizzazione fatte negli Anni 90.


Il premio Nobel per l'economia, nonché keynesiano convinto, Paul Krugman avverte dei pericoli che si verifichi una crisi globale senza precedenti.


NEW YORK (WSI) - Fusioni societarie mal calcolate, cuscinetti di liquidita' insufficienti, speculazioni finanziarie senza freni, investimenti spregiudicati e deregulation. A tutti questi elementi, che hanno acceso la miccia della bomba subprime e poi del debito europeo, non è stato posto rimedio.

Anche nel caso della crisi asiatica e dei mercati emergenti che ha ridotto enormemente il valore di rupia indiana, yuan cinese e real brasiliano, tra gli altri, le origini sono da cercare nell'ottimismo eccessivo nel settore privato, secondo il premio Nobel Paul Krugman.

L'opinionista del New York Times, noto keynesiano, pone l'accento sugli eccessivi flussi di finanziamenti dall'estero finiti per gran parte nelle casse delle aziende private.

L'ottimismo ha ben presto lasciato il posto al pessimismo, "a una velocità impressionante, esacerbando la crisi". Nel suo editoriale Krugman si domanda se sia venuto il tempo di una crisi indiana e cinese.

Qualcuno paragona la crisi indonesiana del 1998 a quella greca dei giorni nostri ma, dice Krugman, "non c’è paragone tra le due crisi". Prima di tutto perché l’Indonesia disponeva di una propria moneta e, lasciandola deprezzare ha consentito in una paio di anni di avviare una solida ripresa.

La Grecia invece non ha questa possibilità, essendo ancorata alla moneta euro dove non ha alcuna possibilità di optare per una sua svalutazione. In secondo luogo, è sempre Krugman a dirlo, perché nella crisi indonesiana gli organismi di cooperazione economica internazionale, cioè il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, pur imponendo all’inizio provvedimenti severi per ottenere la concessione degli aiuti economici, non hanno poi imposto le severissime regole di austerity che ora vengono imposte dalle autorità mondiali ed europee alla Grecia e ad altri paesi (tra cui l’Italia, ndr).

A ogni modo, Krugman tranquillizza sulla possibilità che la nuova crisi indonesiana possa ricalcare quella del 1990 dato che il debito verso l’estero dell’Indonesia di oggi, grazie ai maggiori investimenti provenienti dall’estero, pesa molto meno, e l’attuale discesa del valore della rupia attirerà in breve nuovi investitori.

Il vero pericolo, secondo Krugman, anche se la Cina lo preoccupa più dell’Indonesia, non arriva da Oriente. Il pericolo arriva dalle riforme di liberalizzazione fatte negli Anni 90, a cui non si riesce a porre rimedio e che in poco più di dieci anni stanno creando le condizioni per l’avvio di una crisi globale senza precedenti.

Aver combattuto le crisi finanziarie degli Anni 80 e 90 intensificando gli scambi commerciali e finanziari con le altre economie globali, specialmente quelle del cosiddetto "terzo mondo", ha eliminato di fatto tutte le barriere e i controlli che regolavano la materia. L'effetto placebo ha presto lasciato il posto a una "reazione di rigetto", creando i presupposti la bolla subprime.

Le banche hanno assunto dimensioni troppo grandi ma al contempo troppo poco capitalizzate, "rendendo impossibile (come dettano le regole di mercato) la via del fallimento" nel momento in cui il capitale netto della banca, unitamente alle riserve, non è piu in grado di coprire le perdite accumulate.

Sono invece state "spalancate le porte ad ogni tipo di azzardo e speculazione in borsa", togliendo di fatto ai mercati quel "termometro" delle economie che era stato uno dei principali fattori nella crescita del libero mercato per tutta la seconda metà del secolo scorso

http://www.wallstreetitalia.com/article ... denti.aspx


Penso non ci sia davvero da aggiungere altro..........
[:74]

18/09/2013, 14:21

DI RICCARDO STAGLIANO'
minimaetmoralia.it

I governi passano, Goldman Sachs resta. A un certo punto del documentario c’è qualcuno che lo dice. Non è un’iperbole, ma l’impietoso punteggio della partita attuale tra economia e politica. Vince la finanza, perdono tutti gli altri. E sul podio, da oltre un secolo, c’è sempre la banca fondata a New York nel 1869 dal tedesco Marcus Goldman che poi si assocerà con il genero Samuel Sachs. Più ricca dell’Arabia Saudita. Più potente di Obama. Più omertosa dei corleonesi. Il che rende particolarmente interessante Goldman Sachs: la banca che dirige il mondo, il film del francese Jérôme Fritel che sarà presentato per la prima volta in Italia al Premio Ilaria Alpi. «Non mi era mai successo di ottenere il novanta per cento di rifiuti a richieste di interviste» confessa il regista al telefono dalla Corsica. «Su oltre trecento tentativi ne abbiamo girate una quarantina, per poi tenerne la metà. E molti di quelli che avevano già parlato nel libro di Marc Roche, il mio punto di partenza, hanno acconsentito a farlo di nuovo solo lontano dalla telecamera. Il fatto è che, una volta entrato nell’azienda, non ne esci veramente mai». Quel gessato è per sempre.

I monaci-banchieri, come li definisce un fuoriuscito, sembrano sottoscrivere il motto nietszchano: «Ciò che non ti uccide ti rende più forte». La crisi, ad esempio. Prima che la bolla dei subprime esploda, lasciando macerie dove una volta c’erano case, capiscono e agiscono. Creano un nuovo prodotto cui danno l’innocuo nome di Abacus, il pallottoliere, una cosa semplice, da bambini. In quel pacchetto ci sono i peggiori mutui in circolazione: loro lo sanno, i clienti no. È così difficile capirlo che ne fa incetta anche la Ikb, antica banca tedesca che fallirà per questo. Fabrice «Favoloso» Tourré, Normalista divenuto trader e coinvolto nel loro smercio, si vanterà con la fidanzata: «Vedove e orfani belgi adorano il sintetico Abacus». Sottintende: poveri idioti. Quando non si può più far finta di niente la banca decide di sacrificarlo. Fa trapelare l’imbarazzante corrispondenza della «mela marcia». Paga una multa da 400 milioni di dollari e non deve ammettere alcuna colpa. Il processo all’ambizioso francese (difeso coi soldi dell’azienda) è in corso. Potrebbe essere l’unico a pagare, per salvare l’onore della casa madre.

È una banca fondata sul conflitto di interessi. Prendete Hank Paulson. Dal ‘99 al 2006 è amministratore delegato di GS. Lascia per andare a fare il ministro del tesoro del governo Bush (sotto Clinton c’era già stato un altro ex, Robert Rubin). È lui a decidere nel settembre 2007 di non salvare Lehman Brothers, avversario storico del suo precedente datore di lavoro. Sempre lui, a stretto giro, a intervenire in favore di Aig, il colosso assicurativo che garantisce i mutui. Se cade quella, la molto esposta Goldman perde dieci miliardi di dollari. Alla riunione d’urgenza convocata a New York Paulson tratta con il suo successore. «Quel salvataggio, costato miliardi ai contribuenti, è stata un’oscenità», si scalda William Black, esperto di diritto bancario che ha deposto davanti al Congresso, «ma così Goldman non ci ha rimesso un dollaro». Solidarietà tra allievi della stessa alma mater. Quando il Congresso interpella anche Paulson gli chiedono se non si sentisse a disagio in quel contesto incestuoso, gli rinfacciano lo sconto da 200 milioni di dollari che il fisco gli concesse per la vendita di azioni GS come condizione per entrare nel governo. Lui non sa cosa dire, balbetta. Sembra Charlie Croker, l’«uomo vero» di Tom Wolfe, che comincia a zampillare sudore di fronte a quella sorta di plotone di esecuzione di funzionari che gli chiedono di rientrare dei suoi tanti prestiti.

Ci sono altri preziosi momenti-verità. Lloyd Blankfein, l’attuale numero uno, che si vanta con il Wall Street Journal di «fare il lavoro di Dio», intendendo la creazione di denaro dal nulla. Figlio di un postino e di un’addetta alla reception, cresciuto in case popolari di Brooklyn dove i bianchi scarseggiano, ha sgomitato sino al vertice. E ora ha un perma-riso stampato in faccia, alla Joker, al punto che un meme internettiano lanciato da Adbusters, la stessa rivista che ispirò Occupy Wall Street, chiama a raccolta chiunque riesca a toglierglielo, quel ghigno. A un certo punto si vede uno spezzone di un’intervista alla superpotenza televisiva Charlie Rose. Domanda: «Avete venduto un prodotto che scommetteva contro i vostri clienti?». Segue una pausa che stancherebbe Celentano. Un minuto, forse più. Sembra un’eternità. «Qualcuno ci chiama un casinò, ma se anche fosse siamo un casinò socialmente molto importante». Non uno degli intervistati nel film condivide quest’affermazione.

Sono un network micidiale, quello sì, che crede di saper conciliare magicamente Dio e Mammona. «Quando alla fine degli anni ‘80, sull’onda della forte deregulation finanziaria britannica, aprono gli uffici a Londra» spiega ancora il regista Fritel, «si preoccupano di reclutare quanti più politici possibili, che diventino loro ambasciatori. Più tardi sarà il turno, come consulenti con credibilità a Bruxelles, anche dei vostri Mario Monti e Romano Prodi».

Ben più organico è un altro italiano da esportazione, l’ottava persona più potente al mondo stando alla classifica Forbes: Mario Draghi. L’attuale governatore della Banca centrale europea ne è managing director e vice chairman dal 2002 al 2005. Il comunicato ufficiale descrive il suo ruolo come quello di aiutare l’azienda a «sviluppare e portare a termine affari con le principali aziende europee e con governi di tutto il mondo». Nel film un europarlamentare verde, il francese Pascal Cafin, gli chiede in udienza pubblica che ruolo abbia avuto nella discussa vendita di derivati che ha consentito alla Grecia di ridurre di due punti il proprio debito pubblico: «E avvenuta prima del mio arrivo e io non ci ho avuto niente a che fare». Canfin non è affatto soddisfatto («Affare troppo grosso, non poteva non sapere»).

Neppure Simon Johnson, economista al Mit, lo ritiene verosimile e ha scoperto che dell’accordo, che varrà oltre 600 milioni di euro alla banca e una zavorra da 400 milioni di rimborsi annui sino al 2037 per Atene, si discuteva ancora nella primavera 2002. Insiste Fritel: «Ciò che sorprende è che Draghi abbia sostenuto di non voler occuparsi di governi quando tutti sapevano il contrario. Alcune nostre fonti ci hanno detto che era stato preso proprio nell’eventualità di pensare ad accordi del genere, legali ma scarsamente etici visto che i debitori finiscono per aggravare la propria posizione, con altri Paesi indebitati, come Francia e Italia». Draghi diventa Super-Mario, e il tempo delle domande diventa il tempo degli elogi. Jean-Claude Trichet, ex numero uno a Francoforte, accetta di essere intervistato ma, quando toccano il tasto del successore si blocca: «Stop. A questa domanda non voglio rispondere. Tagliate». Loro non tagliano e il diniego diventa eloquente.

Nel documentario c’è molto di più. Viene fuori bene l’ethos di questi banchieri al cubo. Per cui sembra decisivo non solo guadagnare tanto, ma più di tutti gli altri colleghi, in un parossistico gioco a somma zero. La busta paga diventa il pallottoliere, l’abaco del tuo valore. Una ex-Goldman pentita racconta un aneddoto: «Un venerdì pomeriggio convocano i neo-assunti per una riunione con il management. Passano le ore, nessuno si presenta. È estate, fuori la gente parte per il mare, le matricole rumoreggiano. Passano altre ore e qualche temerario, scocciato, se ne va. Alle dieci di sera finalmente arrivano i dirigenti. E licenziano seduta stante chi ha abbandonato il campo». Questa è l’azienda. Gli ordini non si discutono. I vecchi compagni non si tradiscono. Goldman ha sempre ragione (anche quando un suo errore informatico rischia di bruciare in un attimo 100 milioni di dollari). È una profezia-autoavverante: finché la reciti, funziona.

Fonte: http://www.minimaetmoralia.it
Link: http://www.minimaetmoralia.it/wp/goldman-sachs/
17.09.2013



Ho postato quì questo articolo mi sembra la discussione più azzeccata per parlare della finanza mondiale, perchè tutti devono capire cosa fanno e cosa sono le banche...
Ultimamente ho letto articoli interessanti sulla Goldman Sachs e a quanto pare molti dicono che sia abbastanza potente da decidere le sorti della politica e dell'economia mondiale.
Lo dice pure un trader andato in onda alla TV inglese BBC

18/09/2013, 15:48

di «fare il lavoro di Dio»,


Potrebbe non avere tutti i torti :)

18/09/2013, 16:20

Non potete non guardare questo documentario, lo sò è lungo un ora ma ne vale la pena, è uno dei migliori documentari che ho visto ultimamente
non so se è già stato postato, se è così scusate ma sarebbe importante farlo vedere a molte persone, fatelo vedere anche ai vostri amici e familiari [;)]


<h2>"DEBITOCRAZIA"</h2>

18/09/2013, 16:48

GOLDMAN SACHS, LA BANCA CHE DIRIGE IL MONDO


I governi passano, Goldman Sachs resta. A un certo punto del documentario c’è qualcuno che lo dice. Non è un’iperbole, ma l’impietoso punteggio della partita attuale tra economia e politica. Vince la finanza, perdono tutti gli altri. E sul podio, da oltre un secolo, c’è sempre la banca fondata a New York nel 1869 dal tedesco Marcus Goldman che poi si assocerà con il genero Samuel Sachs. Più ricca dell’Arabia Saudita. Più potente di Obama. Più omertosa dei corleonesi. Il che rende particolarmente interessante Goldman Sachs: la banca che dirige il mondo, il film del francese Jérôme Fritel che sarà presentato per la prima volta in Italia al Premio Ilaria Alpi. «Non mi era mai successo di ottenere il novanta per cento di rifiuti a richieste di interviste» confessa il regista al telefono dalla Corsica. «Su oltre trecento tentativi ne abbiamo girate una quarantina, per poi tenerne la metà. E molti di quelli che avevano già parlato nel libro di Marc Roche, il mio punto di partenza, hanno acconsentito a farlo di nuovo solo lontano dalla telecamera. Il fatto è che, una volta entrato nell’azienda, non ne esci veramente mai». Quel gessato è per sempre.

I monaci-banchieri, come li definisce un fuoriuscito, sembrano sottoscrivere il motto nietszchano: «Ciò che non ti uccide ti rende più forte». La crisi, ad esempio. Prima che la bolla dei subprime esploda, lasciando macerie dove una volta c’erano case, capiscono e agiscono. Creano un nuovo prodotto cui danno l’innocuo nome di Abacus, il pallottoliere, una cosa semplice, da bambini. In quel pacchetto ci sono i peggiori mutui in circolazione: loro lo sanno, i clienti no. È così difficile capirlo che ne fa incetta anche la Ikb, antica banca tedesca che fallirà per questo. Fabrice «Favoloso» Tourré, Normalista divenuto trader e coinvolto nel loro smercio, si vanterà con la fidanzata: «Vedove e orfani belgi adorano il sintetico Abacus». Sottintende: poveri idioti. Quando non si può più far finta di niente la banca decide di sacrificarlo. Fa trapelare l’imbarazzante corrispondenza della «mela marcia». Paga una multa da 400 milioni di dollari e non deve ammettere alcuna colpa. Il processo all’ambizioso francese (difeso coi soldi dell’azienda) è in corso. Potrebbe essere l’unico a pagare, per salvare l’onore della casa madre.

È una banca fondata sul conflitto di interessi. Prendete Hank Paulson. Dal ‘99 al 2006 è amministratore delegato di GS. Lascia per andare a fare il ministro del tesoro del governo Bush (sotto Clinton c’era già stato un altro ex, Robert Rubin). È lui a decidere nel settembre 2007 di non salvare Lehman Brothers, avversario storico del suo precedente datore di lavoro. Sempre lui, a stretto giro, a intervenire in favore di Aig, il colosso assicurativo che garantisce i mutui. Se cade quella, la molto esposta Goldman perde dieci miliardi di dollari. Alla riunione d’urgenza convocata a New York Paulson tratta con il suo successore. «Quel salvataggio, costato miliardi ai contribuenti, è stata un’oscenità», si scalda William Black, esperto di diritto bancario che ha deposto davanti al Congresso, «ma così Goldman non ci ha rimesso un dollaro». Solidarietà tra allievi della stessa alma mater. Quando il Congresso interpella anche Paulson gli chiedono se non si sentisse a disagio in quel contesto incestuoso, gli rinfacciano lo sconto da 200 milioni di dollari che il fisco gli concesse per la vendita di azioni GS come condizione per entrare nel governo. Lui non sa cosa dire, balbetta. Sembra Charlie Croker, l’«uomo vero» di Tom Wolfe, che comincia a zampillare sudore di fronte a quella sorta di plotone di esecuzione di funzionari che gli chiedono di rientrare dei suoi tanti prestiti.

Ci sono altri preziosi momenti-verità. Lloyd Blankfein, l’attuale numero uno, che si vanta con il Wall Street Journal di «fare il lavoro di Dio», intendendo la creazione di denaro dal nulla. Figlio di un postino e di un’addetta alla reception, cresciuto in case popolari di Brooklyn dove i bianchi scarseggiano, ha sgomitato sino al vertice. E ora ha un perma-riso stampato in faccia, alla Joker, al punto che un meme internettiano lanciato da Adbusters, la stessa rivista che ispirò Occupy Wall Street, chiama a raccolta chiunque riesca a toglierglielo, quel ghigno. A un certo punto si vede uno spezzone di un’intervista alla superpotenza televisiva Charlie Rose. Domanda: «Avete venduto un prodotto che scommetteva contro i vostri clienti?». Segue una pausa che stancherebbe Celentano. Un minuto, forse più. Sembra un’eternità. «Qualcuno ci chiama un casinò, ma se anche fosse siamo un casinò socialmente molto importante». Non uno degli intervistati nel film condivide quest’affermazione.

Sono un network micidiale, quello sì, che crede di saper conciliare magicamente Dio e Mammona. «Quando alla fine degli anni ‘80, sull’onda della forte deregulation finanziaria britannica, aprono gli uffici a Londra» spiega ancora il regista Fritel, «si preoccupano di reclutare quanti più politici possibili, che diventino loro ambasciatori. Più tardi sarà il turno, come consulenti con credibilità a Bruxelles, anche dei vostri Mario Monti e Romano Prodi».

Ben più organico è un altro italiano da esportazione, l’ottava persona più potente al mondo stando alla classifica Forbes: Mario Draghi. L’attuale governatore della Banca centrale europea ne è managing director e vice chairman dal 2002 al 2005. Il comunicato ufficiale descrive il suo ruolo come quello di aiutare l’azienda a «sviluppare e portare a termine affari con le principali aziende europee e con governi di tutto il mondo». Nel film un europarlamentare verde, il francese Pascal Cafin, gli chiede in udienza pubblica che ruolo abbia avuto nella discussa vendita di derivati che ha consentito alla Grecia di ridurre di due punti il proprio debito pubblico: «E avvenuta prima del mio arrivo e io non ci ho avuto niente a che fare». Canfin non è affatto soddisfatto («Affare troppo grosso, non poteva non sapere»).

Neppure Simon Johnson, economista al Mit, lo ritiene verosimile e ha scoperto che dell’accordo, che varrà oltre 600 milioni di euro alla banca e una zavorra da 400 milioni di rimborsi annui sino al 2037 per Atene, si discuteva ancora nella primavera 2002. Insiste Fritel: «Ciò che sorprende è che Draghi abbia sostenuto di non voler occuparsi di governi quando tutti sapevano il contrario. Alcune nostre fonti ci hanno detto che era stato preso proprio nell’eventualità di pensare ad accordi del genere, legali ma scarsamente etici visto che i debitori finiscono per aggravare la propria posizione, con altri Paesi indebitati, come Francia e Italia». Draghi diventa Super-Mario, e il tempo delle domande diventa il tempo degli elogi. Jean-Claude Trichet, ex numero uno a Francoforte, accetta di essere intervistato ma, quando toccano il tasto del successore si blocca: «Stop. A questa domanda non voglio rispondere. Tagliate». Loro non tagliano e il diniego diventa eloquente.

Nel documentario c’è molto di più. Viene fuori bene l’ethos di questi banchieri al cubo. Per cui sembra decisivo non solo guadagnare tanto, ma più di tutti gli altri colleghi, in un parossistico gioco a somma zero. La busta paga diventa il pallottoliere, l’abaco del tuo valore. Una ex-Goldman pentita racconta un aneddoto: «Un venerdì pomeriggio convocano i neo-assunti per una riunione con il management. Passano le ore, nessuno si presenta. È estate, fuori la gente parte per il mare, le matricole rumoreggiano. Passano altre ore e qualche temerario, scocciato, se ne va. Alle dieci di sera finalmente arrivano i dirigenti. E licenziano seduta stante chi ha abbandonato il campo». Questa è l’azienda. Gli ordini non si discutono. I vecchi compagni non si tradiscono. Goldman ha sempre ragione (anche quando un suo errore informatico rischia di bruciare in un attimo 100 milioni di dollari). È una profezia-autoavverante: finché la reciti, funziona.

Fonte: http://www.minimaetmoralia.it
Link: http://www.minimaetmoralia.it/wp/goldman-sachs/
17.09.2013

Articolo uscito sul Venerdì di Repubblica 12.09.2013

18/09/2013, 16:57

AgenteSegreto000 ha scritto:

Avete mai visto questo video? è molto interessante, parla Gerald Celente un esperto di borsa e trend di borsa americano. l'Ho postato anche in un'altra discussione ma centra anche con questa discussione [8]

Sono video che abbiamo già segnalato in questa discussione.....
ma ribadire il concetto, non fa mai male..... [;)]

19/09/2013, 14:01

Film verità su Goldman Sachs arriva in Italia [VIDEO]

di: Riccardo Staglianò Pubblicato il 19 settembre 2013| Ora 11:10









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Impero invisibile da 700 miliardi di euro di utili. Draghi fu assunto per fare con i governi accordi poco etici.








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Goldman Sachs incarna gli eccessi della crisi subprime: un potere che non conosce frontiere e che minaccia direttamente le democrazie.


ROMA (WSI) - I governi passano, Goldman Sachs resta. A un certo punto del documentario c’è qualcuno che lo dice. Non è un’iperbole, ma l’impietoso punteggio della partita attuale tra economia e politica. Vince la finanza, perdono tutti gli altri. E sul podio, da oltre un secolo, c’è sempre la banca fondata a New York nel 1869 dal tedesco Marcus Goldman che poi si assocerà con il genero Samuel Sachs. Più ricca dell’Arabia Saudita. Più potente di Obama. Più omertosa dei corleonesi.

Il che rende particolarmente interessante Goldman Sachs: la banca che dirige il mondo, il film del francese Jérôme Fritel (già passato sulle frequenze dell'emittente franco tedesca Arte) che sarà presentato per la prima volta in Italia al Premio Ilaria Alpi. «Non mi era mai successo di ottenere il novanta per cento di rifiuti a richieste di interviste» confessa il regista al telefono dalla Corsica.

«Su oltre trecento tentativi ne abbiamo girate una quarantina, per poi tenerne la metà. E molti di quelli che avevano già parlato nel libro di Marc Roche, il mio punto di partenza, hanno acconsentito a farlo di nuovo solo lontano dalla telecamera. Il fatto è che, una volta entrato nell’azienda, non ne esci veramente mai». Quel gessato è per sempre.

I monaci-banchieri, come li definisce un fuoriuscito, sembrano sottoscrivere il motto nietszchano: «Ciò che non ti uccide ti rende più forte». La crisi, ad esempio. Prima che la bolla dei subprime esploda, lasciando macerie dove una volta c’erano case, capiscono e agiscono. Creano un nuovo prodotto cui danno l’innocuo nome di Abacus, il pallottoliere, una cosa semplice, da bambini. In quel pacchetto ci sono i peggiori mutui in circolazione: loro lo sanno, i clienti no. È così difficile capirlo che ne fa incetta anche la Ikb, antica banca tedesca che fallirà per questo.

Fabrice «Favoloso» Tourré, Normalista divenuto trader e coinvolto nel loro smercio, si vanterà con la fidanzata: «Vedove e orfani belgi adorano il sintetico Abacus». Sottintende: poveri idioti. Quando non si può più far finta di niente la banca decide di sacrificarlo. Fa trapelare l’imbarazzante corrispondenza della «mela marcia». Paga una multa da 400 milioni di dollari e non deve ammettere alcuna colpa. Il processo all’ambizioso francese (difeso coi soldi dell’azienda) è in corso. Potrebbe essere l’unico a pagare, per salvare l’onore della casa madre.




È una banca fondata sul conflitto di interessi. Prendete Hank Paulson. Dal ‘99 al 2006 è amministratore delegato di GS. Lascia per andare a fare il ministro del tesoro del governo Bush (sotto Clinton c’era già stato un altro ex, Robert Rubin). È lui a decidere nel settembre 2007 di non salvare Lehman Brothers, avversario storico del suo precedente datore di lavoro. Sempre lui, a stretto giro, a intervenire in favore di Aig, il colosso assicurativo che garantisce i mutui. Se cade quella, la molto esposta Goldman perde dieci miliardi di dollari.

Alla riunione d’urgenza convocata a New York Paulson tratta con il suo successore. «Quel salvataggio, costato miliardi ai contribuenti, è stata un’oscenità», si scalda William Black, esperto di diritto bancario che ha deposto davanti al Congresso, «ma così Goldman non ci ha rimesso un dollaro». Solidarietà tra allievi della stessa alma mater. Quando il Congresso interpella anche Paulson gli chiedono se non si sentisse a disagio in quel contesto incestuoso, gli rinfacciano lo sconto da 200 milioni di dollari che il fisco gli concesse per la vendita di azioni GS come condizione per entrare nel governo. Lui non sa cosa dire, balbetta. Sembra Charlie Croker, l’«uomo vero» di Tom Wolfe, che comincia a zampillare sudore di fronte a quella sorta di plotone di esecuzione di funzionari che gli chiedono di rientrare dei suoi tanti prestiti.

Ci sono altri preziosi momenti-verità. Lloyd Blankfein, l’attuale numero uno, che si vanta con il Wall Street Journal di «fare il lavoro di Dio», intendendo la creazione di denaro dal nulla. Figlio di un postino e di un’addetta alla reception, cresciuto in case popolari di Brooklyn dove i bianchi scarseggiano, ha sgomitato sino al vertice. E ora ha un perma-riso stampato in faccia, alla Joker, al punto che un meme internettiano lanciato da Adbusters, la stessa rivista che ispirò Occupy Wall Street, chiama a raccolta chiunque riesca a toglierglielo, quel ghigno.

A un certo punto si vede uno spezzone di un’intervista alla superpotenza televisiva Charlie Rose. Domanda: «Avete venduto un prodotto che scommetteva contro i vostri clienti?». Segue una pausa che stancherebbe Celentano. Un minuto, forse più. Sembra un’eternità. «Qualcuno ci chiama un casinò, ma se anche fosse siamo un casinò socialmente molto importante». Non uno degli intervistati nel film condivide quest’affermazione.

Sono un network micidiale, quello sì, che crede di saper conciliare magicamente Dio e Mammona. «Quando alla fine degli anni ‘80, sull’onda della forte deregulation finanziaria britannica, aprono gli uffici a Londra» spiega ancora il regista Fritel, «si preoccupano di reclutare quanti più politici possibili, che diventino loro ambasciatori. Più tardi sarà il turno, come consulenti con credibilità a Bruxelles, anche dei vostri Mario Monti e Romano Prodi».

Ben più organico è un altro italiano da esportazione, l’ottava persona più potente al mondo stando alla classifica Forbes: Mario Draghi. L’attuale governatore della Banca centrale europea ne è managing director e vice chairman dal 2002 al 2005. Il comunicato ufficiale descrive il suo ruolo come quello di aiutare l’azienda a «sviluppare e portare a termine affari con le principali aziende europee e con governi di tutto il mondo».

Nel film un europarlamentare verde, il francese Pascal Cafin, gli chiede in udienza pubblica che ruolo abbia avuto nella discussa vendita di derivati che ha consentito alla Grecia di ridurre di due punti il proprio debito pubblico: «E avvenuta prima del mio arrivo e io non ci ho avuto niente a che fare». Canfin non è affatto soddisfatto («Affare troppo grosso, non poteva non sapere»).

Neppure Simon Johnson, economista al Mit, lo ritiene verosimile e ha scoperto che dell’accordo, che varrà oltre 600 milioni di euro alla banca e una zavorra da 400 milioni di rimborsi annui sino al 2037 per Atene, si discuteva ancora nella primavera 2002. Insiste Fritel: «Ciò che sorprende è che Draghi abbia sostenuto di non voler occuparsi di governi quando tutti sapevano il contrario. Alcune nostre fonti ci hanno detto che era stato preso proprio nell’eventualità di pensare ad accordi del genere, legali ma scarsamente etici visto che i debitori finiscono per aggravare la propria posizione, con altri Paesi indebitati, come Francia e Italia».

Draghi diventa Super-Mario, e il tempo delle domande diventa il tempo degli elogi. Jean-Claude Trichet, ex numero uno a Francoforte, accetta di essere intervistato ma, quando toccano il tasto del successore si blocca: «Stop. A questa domanda non voglio rispondere. Tagliate». Loro non tagliano e il diniego diventa eloquente.

Nel documentario c’è molto di più. Viene fuori bene l’ethos di questi banchieri al cubo. Per cui sembra decisivo non solo guadagnare tanto, ma più di tutti gli altri colleghi, in un parossistico gioco a somma zero. La busta paga diventa il pallottoliere, l’abaco del tuo valore.

Una ex-Goldman 'pentita' racconta un aneddoto: «Un venerdì pomeriggio convocano i neo-assunti per una riunione con il management. Passano le ore, nessuno si presenta. È estate, fuori la gente parte per il mare, le matricole rumoreggiano. Passano altre ore e qualche temerario, scocciato, se ne va. Alle dieci di sera finalmente arrivano i dirigenti. E licenziano seduta stante chi ha abbandonato il campo».

Questa è l’azienda. Gli ordini non si discutono. I vecchi compagni non si tradiscono. Goldman ha sempre ragione (anche quando un suo errore informatico rischia di bruciare in un attimo 100 milioni di dollari). È una profezia-autoavverante: finché la reciti, funziona.


Il contenuto di questo articolo, pubblicato da Minima et Moralia - che ringraziamo - esprime il pensiero dell' autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

19/09/2013, 14:04

Film verità su Goldman Sachs arriva in Italia [VIDEO]

di: Riccardo Staglianò Pubblicato il 19 settembre 2013| Ora 11:10
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Impero invisibile da 700 miliardi di euro di utili. Draghi fu assunto per fare con i governi accordi poco etici.


ROMA (WSI) - I governi passano, Goldman Sachs resta. A un certo punto del documentario c’è qualcuno che lo dice. Non è un’iperbole, ma l’impietoso punteggio della partita attuale tra economia e politica. Vince la finanza, perdono tutti gli altri. E sul podio, da oltre un secolo, c’è sempre la banca fondata a New York nel 1869 dal tedesco Marcus Goldman che poi si assocerà con il genero Samuel Sachs. Più ricca dell’Arabia Saudita. Più potente di Obama. Più omertosa dei corleonesi.

Il che rende particolarmente interessante Goldman Sachs: la banca che dirige il mondo, il film del francese Jérôme Fritel (già passato sulle frequenze dell'emittente franco tedesca Arte) che sarà presentato per la prima volta in Italia al Premio Ilaria Alpi. «Non mi era mai successo di ottenere il novanta per cento di rifiuti a richieste di interviste» confessa il regista al telefono dalla Corsica.

«Su oltre trecento tentativi ne abbiamo girate una quarantina, per poi tenerne la metà. E molti di quelli che avevano già parlato nel libro di Marc Roche, il mio punto di partenza, hanno acconsentito a farlo di nuovo solo lontano dalla telecamera. Il fatto è che, una volta entrato nell’azienda, non ne esci veramente mai». Quel gessato è per sempre.

I monaci-banchieri, come li definisce un fuoriuscito, sembrano sottoscrivere il motto nietszchano: «Ciò che non ti uccide ti rende più forte». La crisi, ad esempio. Prima che la bolla dei subprime esploda, lasciando macerie dove una volta c’erano case, capiscono e agiscono. Creano un nuovo prodotto cui danno l’innocuo nome di Abacus, il pallottoliere, una cosa semplice, da bambini. In quel pacchetto ci sono i peggiori mutui in circolazione: loro lo sanno, i clienti no. È così difficile capirlo che ne fa incetta anche la Ikb, antica banca tedesca che fallirà per questo.

Fabrice «Favoloso» Tourré, Normalista divenuto trader e coinvolto nel loro smercio, si vanterà con la fidanzata: «Vedove e orfani belgi adorano il sintetico Abacus». Sottintende: poveri idioti. Quando non si può più far finta di niente la banca decide di sacrificarlo. Fa trapelare l’imbarazzante corrispondenza della «mela marcia». Paga una multa da 400 milioni di dollari e non deve ammettere alcuna colpa. Il processo all’ambizioso francese (difeso coi soldi dell’azienda) è in corso. Potrebbe essere l’unico a pagare, per salvare l’onore della casa madre.

x il video

http://vimeo.com/49904381

È una banca fondata sul conflitto di interessi. Prendete Hank Paulson. Dal ‘99 al 2006 è amministratore delegato di GS. Lascia per andare a fare il ministro del tesoro del governo Bush (sotto Clinton c’era già stato un altro ex, Robert Rubin). È lui a decidere nel settembre 2007 di non salvare Lehman Brothers, avversario storico del suo precedente datore di lavoro. Sempre lui, a stretto giro, a intervenire in favore di Aig, il colosso assicurativo che garantisce i mutui. Se cade quella, la molto esposta Goldman perde dieci miliardi di dollari.

Alla riunione d’urgenza convocata a New York Paulson tratta con il suo successore. «Quel salvataggio, costato miliardi ai contribuenti, è stata un’oscenità», si scalda William Black, esperto di diritto bancario che ha deposto davanti al Congresso, «ma così Goldman non ci ha rimesso un dollaro». Solidarietà tra allievi della stessa alma mater. Quando il Congresso interpella anche Paulson gli chiedono se non si sentisse a disagio in quel contesto incestuoso, gli rinfacciano lo sconto da 200 milioni di dollari che il fisco gli concesse per la vendita di azioni GS come condizione per entrare nel governo. Lui non sa cosa dire, balbetta. Sembra Charlie Croker, l’«uomo vero» di Tom Wolfe, che comincia a zampillare sudore di fronte a quella sorta di plotone di esecuzione di funzionari che gli chiedono di rientrare dei suoi tanti prestiti.

Ci sono altri preziosi momenti-verità. Lloyd Blankfein, l’attuale numero uno, che si vanta con il Wall Street Journal di «fare il lavoro di Dio», intendendo la creazione di denaro dal nulla. Figlio di un postino e di un’addetta alla reception, cresciuto in case popolari di Brooklyn dove i bianchi scarseggiano, ha sgomitato sino al vertice. E ora ha un perma-riso stampato in faccia, alla Joker, al punto che un meme internettiano lanciato da Adbusters, la stessa rivista che ispirò Occupy Wall Street, chiama a raccolta chiunque riesca a toglierglielo, quel ghigno.

A un certo punto si vede uno spezzone di un’intervista alla superpotenza televisiva Charlie Rose. Domanda: «Avete venduto un prodotto che scommetteva contro i vostri clienti?». Segue una pausa che stancherebbe Celentano. Un minuto, forse più. Sembra un’eternità. «Qualcuno ci chiama un casinò, ma se anche fosse siamo un casinò socialmente molto importante». Non uno degli intervistati nel film condivide quest’affermazione.

Sono un network micidiale, quello sì, che crede di saper conciliare magicamente Dio e Mammona. «Quando alla fine degli anni ‘80, sull’onda della forte deregulation finanziaria britannica, aprono gli uffici a Londra» spiega ancora il regista Fritel, «si preoccupano di reclutare quanti più politici possibili, che diventino loro ambasciatori. Più tardi sarà il turno, come consulenti con credibilità a Bruxelles, anche dei vostri Mario Monti e Romano Prodi».

Ben più organico è un altro italiano da esportazione, l’ottava persona più potente al mondo stando alla classifica Forbes: Mario Draghi. L’attuale governatore della Banca centrale europea ne è managing director e vice chairman dal 2002 al 2005. Il comunicato ufficiale descrive il suo ruolo come quello di aiutare l’azienda a «sviluppare e portare a termine affari con le principali aziende europee e con governi di tutto il mondo».

Nel film un europarlamentare verde, il francese Pascal Cafin, gli chiede in udienza pubblica che ruolo abbia avuto nella discussa vendita di derivati che ha consentito alla Grecia di ridurre di due punti il proprio debito pubblico: «E avvenuta prima del mio arrivo e io non ci ho avuto niente a che fare». Canfin non è affatto soddisfatto («Affare troppo grosso, non poteva non sapere»).

Neppure Simon Johnson, economista al Mit, lo ritiene verosimile e ha scoperto che dell’accordo, che varrà oltre 600 milioni di euro alla banca e una zavorra da 400 milioni di rimborsi annui sino al 2037 per Atene, si discuteva ancora nella primavera 2002. Insiste Fritel: «Ciò che sorprende è che Draghi abbia sostenuto di non voler occuparsi di governi quando tutti sapevano il contrario. Alcune nostre fonti ci hanno detto che era stato preso proprio nell’eventualità di pensare ad accordi del genere, legali ma scarsamente etici visto che i debitori finiscono per aggravare la propria posizione, con altri Paesi indebitati, come Francia e Italia».

Draghi diventa Super-Mario, e il tempo delle domande diventa il tempo degli elogi. Jean-Claude Trichet, ex numero uno a Francoforte, accetta di essere intervistato ma, quando toccano il tasto del successore si blocca: «Stop. A questa domanda non voglio rispondere. Tagliate». Loro non tagliano e il diniego diventa eloquente.

Nel documentario c’è molto di più. Viene fuori bene l’ethos di questi banchieri al cubo. Per cui sembra decisivo non solo guadagnare tanto, ma più di tutti gli altri colleghi, in un parossistico gioco a somma zero. La busta paga diventa il pallottoliere, l’abaco del tuo valore.

Una ex-Goldman 'pentita' racconta un aneddoto: «Un venerdì pomeriggio convocano i neo-assunti per una riunione con il management. Passano le ore, nessuno si presenta. È estate, fuori la gente parte per il mare, le matricole rumoreggiano. Passano altre ore e qualche temerario, scocciato, se ne va. Alle dieci di sera finalmente arrivano i dirigenti. E licenziano seduta stante chi ha abbandonato il campo».

Questa è l’azienda. Gli ordini non si discutono. I vecchi compagni non si tradiscono. Goldman ha sempre ragione (anche quando un suo errore informatico rischia di bruciare in un attimo 100 milioni di dollari). È una profezia-autoavverante: finché la reciti, funziona.


Il contenuto di questo articolo, pubblicato da Minima et Moralia - che ringraziamo - esprime il pensiero dell' autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

http://www.wallstreetitalia.com/article ... video.aspx

19/09/2013, 15:08

ubatuba ha scritto:

Film verità su Goldman Sachs arriva in Italia [VIDEO]

di: Riccardo Staglianò Pubblicato il 19 settembre 2013| Ora 11:10
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Impero invisibile da 700 miliardi di euro di utili. Draghi fu assunto per fare con i governi accordi poco etici.






Oltre a Prrrrrodi non è cambiato niente in Europa! Tutti quelli che ci vanno non fanno mai gl'interessi del nostro Paese (e nemmeno se ne astengono ...) [8)] [:(!] [:o)]
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