Libia: i missili lanciati potrebbero contenere uranio impoverito
Secondo l'esperto di impianti nucleari Massimo Zucchetti, c'è la possiblita che le armi usate nella guerra contengano la pericolosa sostanza.
Dopo un primo bilancio sull’operazione militare “Odissey Dawn” in Libia, si alza la voce del Professor Massimo Zucchetti, docente di Impianti nucleari al Politecnico di Torino, che da anni studia le implicazioni su salute e ambiente dell’utilizzo di armi all’uranio impoverito in territori di guerra.
Tra gli oggetti incriminati risaltano i missili Cruise: a seconda della tipologia utilizzata rilasciano dosi più o meno gravi di uranio impoverito. Usa e Gran Bretagna hanno dichiarato di usare questi missili, rendendo piuttosto implicita la presenza di uranio impoverito nelle azioni militari verso la Libia. Le stesse forze armate non hanno però chiarito i dettagli sui modelli di artiglieria di cui si starebbero servendo: questo impedisce di quantificare le dosi di uranio che vengono lanciate sul suolo libico e sulla sua popolazione, ostacolando eventuali ipotesi di bonifica futura.
E il sospetto, secondo il Professor Massimo Zucchetti, si allarga: «è possibile che anche i caccia a decollo verticale a bordo di alcune porta aeree stiano utilizzando proiettili con uranio impoverito, come accadde in Kosovo. Il pericolo potrebbe quindi essere più esteso».
«E, se dovessi scommette – aggiunge il Professore - vista la quantità di missili che stanno sganciando, ipotizzerei che stiano dando fondo alle scorte, per incalzare la produzione di nuovi armamenti, supportando così, allo stesso tempo, la macchina dei prodotti bellici.
La quantificazione del rischio contaminazione, come si accennava prima, è complessa perché, come per i proiettili degli aerei A10, è possibile che il lancio di missili all’uranio venga alternato all’utilizzo di munizioni comuni, rendendo ancora più difficile effettuare stime affidabili.
«Se non c’è uranio, che lo dicano, ma che nel farlo non usino uno dei loro “schiavetti”: ci si aspetta una dichiarazione ufficiale, che precisi con chiarezza e trasparenza quali armi le forze in campo stiano utilizzando e in quali luoghi le stiano lanciando. Un po’ come la guerra in Kosovo, nel ’99, ultima occasione bellica in cui la Nato fece sapere tutti i dettagli: i luoghi colpiti e la natura delle armi usate negli attacchi».
Solo in questo modo, infatti, può essere avanzato un tentativo di tutela delle popolazioni locali e di bonifica dei suoli coinvolti negli attacchi: tra i casi più vergognosi il Professor Massimo Zucchetti ricorda l’Iraq, paese in cui, dopo i bombardamenti all’uranio, la popolazione è stata abbandonata a sé stessa, senza un minimo di assistenza. I civili sono quindi tornati nelle vecchie case, esponendosi così a tragiche contaminazioni, le cui conseguenze sono state studiate dallo stesso Professore: «tra i figli di coloro che sono stati esposti all’uranio impoverito si riscontrano preoccupanti malformazioni neonatali: l’Iraq è tristemente divenuto il laboratorio vivente di quanto una guerra può pesare sulla popolazione civile».
Ora la questione si sta riproponendo in Libia: occorrerà sapere con precisione dove è stato provocato inquinamento da uranio e impedire alla popolazione locale di tornare nei luoghi interessati dalla contaminazione, intervenendo con una puntuale opera di bonifica, ammesso che ve ne sia l’intenzione.
Anche perché, se lo scopo dell’intervento armato è – come dichiarato da tutte le forze militari scese in campo – quello di salvare la comunità libica dall’oppressione di Gheddafi, allora forse andrebbe presa seriamente in considerazione l’ipotesi di abolire, nella pratica, l’utilizzo di armi all’uranio impoverito, che, nonostante rispondano al nome di “missili intelligenti”, sprigionano effetti che non si riversano solo sul bunker del dittatore libico.
Per tutti i dettagli sullo studio citato: M.Zanchetti, Missili Cruise all’uranio impoverito sulla Libia. Un primo studio di impatto ambientale e sulla salute, 2011.
http://gogreen.virgilio.it/news/green-e ... ddafi.html